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Autore: Lena1897    06/01/2015    1 recensioni
Due personaggi e la loro storia d'amore che sembra una favola ma non finisce con il classico "E vissero felici e contenti"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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La non favola
 
Tanti anni fa, in una terra lontana e antica circondata dal mare viveva una donna. Molti dicevano che fosse l'incarnazione della dea Afrodite poiché questa signora possedeva lunghi boccoli del colore della sabbia baciata dal sole e la pelle bianca come la spuma del mare ed occhi azzurri come il cielo; il suo corpo era curvilineo come le onde che si infrangono sulla battigia e le sue labbra del colore del corallo. Come l'antica Dea, questa donna amava l'amore e lo concedeva senza vergogna né falso pudore a chiunque le andasse ricevendone in cambio doni e favori. I doni più preziosi che ricevette dai suoi amanti furono due figli. Un maschio bello e robusto ed una bambina che aveva ereditato da lei tutta la grazia e la bellezza... e dal padre degli occhi che il mondo vede raramente: Occhi come le ametiste, blu-violetto, grandi e dolci, ma anche seducenti e incantatori. Quella bimba crebbe lontano dai peccati della madre, pura come l'acqua di fonte. Ma ovunque tutti l'additavano come la figlia della meretrice scrivendo in quella frase la condanna al suo futuro. E quella bimba divenne fanciulla; sempre più bella, sempre più ammirata e invidiata e sempre più triste. La sua unica consolazione era la fede. Pregava ogni giorno il buon Dio che le desse una vita semplice e serena, con un uomo e una famiglia da accudire. E di notte quella stessa preghiera la rivolgeva agli Dèi antichi e pagani, le divinità originali della sua terra. Vi era una statua che venerava in particolare: in un tempio in rovina era conservata la statua di un Dio guerriero: Ares, signore della guerra. Il Dio prediletto di Sparta. E lei era quello: una discendente degli spartani i più temuti e abili guerrieri del mondo antico. Ma non c'era nessun Dio che rispondesse alle sue preghiere. Molti ragazzi la stuzzicavano, ma nessuno la corteggiava con l'intenzione di sposarla. Perché lei era la figlia di una cortigiana e presto o tardi avrebbero potuto comprare il suo tempo senza il bisogno di guadagnarsi il suo affetto. Impossibilitata a trovare l'amore negli uomini, la fanciulla rivolse il suo amore all'arte. Possedeva del talento, eppure questo è nulla senza la tecnica e la disciplina. Ben sapendolo cerco un maestro e lo trovò e questi le chiese del denaro per insegnarle. Ma lei non aveva denari, non aveva nulla se non il desiderio bruciante di imparare e quel vecchio maestro le disse che effettivamente c'era un'altra moneta con cui poteva pagarlo... Scappò via, spaventata, indignata. Nemmeno l'arte poteva avere senza perdere la propria purezza. Passò ancora giorni e poi settimane a pregare, ma ancora una volta nessun Dio ascoltò le sue preghiere. E alla fine cedette. Andò da quel maestro d'arte e sciolse i veli del suo abito, lasciando che le mani decrepite di sessantenne si poggiassero sulla fresca pelle dell'adolescente. Non ancora compiute le quindici estati prima che vendesse la sua purezza per divenire allieva del pittore. Non solo allieva, anche amante, musa, modella e ossessione. La prima volta provò vergogna, disgusto e dolore. Poi il dolore scomparve e così anche la vergogna; alla fine morì anche il disgusto e semplicemente smise di provare qualsiasi sentimento cosegnando quei lassi di tempo al nulla. Il vecchio le insegnava, la dipingeva, la possedeva e poi tornava a tratteggiare i lineamenti infantili su tela. E ad ogni quadro era meno innocente. Un anno e otto tele dopo il maestro non aveva più nulla da insegnarle e lei lo lasciò. Quello rimase sconfortato, aveva creduto che l'abitudine e la sicurezza l'avrebbero persuasa a rimanere con lui, ma la verità è che si erano usati e consumati a vicenda e non avevano più niente da darsi. Passarono i mesi. Lavorava come sguattera in una taverna. Ancora pregava per il suo sogno: un uomo onesto e dei figli da accudire in una casa piccola e modesta. Non le sembrava di chiedere poi tanto, ma vedendo i mendicanti agli angoli della strada, si convinceva alla fine che effettivamente chiedeva troppo... lei che infondo era diventata una peccatrice esattamente come sua madre. E poi venne quel ragazzo, quello che vendeva il formaggio alla locanda e le portava sempre i rametti di lavanda dalla montagna. All'inizio era stata sospettosa e poi s'era convinta che finalmente poteva avere ciò che desiderava. Attese... settimane, mesi e poi lui glielo disse che la amava e lei allora seppe che non c'era più nulla d'attendere. Infondo non aveva una verginità da donargli, ma un cuore, quello sì e lo fece. Si donò a lui completamente per i tre mesi seguenti, senza mettere limiti a quella giovane e incosciente passione.
E poi una sera lui le disse che non potevano, che aveva fatto il fioretto di non toccare più una donna fino al suo matrimonio e lei scoppiò a piangere di gioia. Lacrime che si tramutarono in disperazione quando chiarì che non era lei che avrebbe sposato. La fanciulla che quel ragazzo avrebbe sposato era certo meno bella di lei, ma almeno era vergine e non sarebbe stata di nessun altro che sua. Tornò a casa disperata e alla fine rivelò tutto alla madre, che la comprese e la compatì. Per molte settimane se ne stette semplicemente rinchiusa in casa cercando di riattaccare i cocci del suo cuore, chiedendosi se sarebbe mai riuscita a risanarlo.
Quando uscì di nuovo tutta la gente si stupì nel vederla. Perché della fanciulla dagli occhi dolci non c'era più traccia. In quelle settimane passate in casa la madre le aveva insegnato ogni cosa, ogni dettaglio, ogni segreto dell'arte dell'irretire gli uomini e lei aveva appreso voracemente, trattenendo in sé informazioni come una spugna mai troppo imbevuta. Nessuno le avrebbe più rubato o spezzato il cuore. Ma lei poteva rubare e spezzare i loro per vendetta. E lo fece. Senza pudore né vergogna. Non si concesse mai più a nessuno benché le fossero state offerte somme che avrebbero potuto cambiarle la vita; benché alcuni le avessero chiesto la sua mano. No, non si sarebbe mai sposata, l'aveva giurato.
Una notte si era rintanata nel vecchio tempio di Ares ed era salita sul piedistallo della statua per baciare la bronzea guancia del Dio. Avrebbe sposato lui o nessun altro. Una sacerdotessa di Marte, s'era consacrata da sola ed era rispettata e temuta per questo. Tutti sapevano chi era e i forestieri lo imparavano presto. Anche quei marinai che venivano da quel paese tanto lontano. Decisero tuttavia che certe superstizioni pagane erano blasfeme e andavano sovvertite. L'avebbero posseduta loro la prostituta del Dio della guerra; la Venere in terra. E lui glielo impedì. Quello straniero con gli occhi il colore del mare in tempesta. Parlò in tono minaccioso brandendo una spada e tutti si ritirarono e la lasciarono in pace. Li lasciarono soli e poi si inchinò davanti a lei e le sorrise.
Non era esattamente certa di averlo mai visto un uomo così bello in tutta la sua vita. Per qualche giorno impararono reciprocamente uno dall'altra: qualche parola, usanze, fiabe, leggende, consigli, confidenze. E poi lui le chiese di salpare per il paese da cui lui proveniva. Non ebbe paura e non esitò nemmeno per un secondo. Prese la sua mano e si lasciò condurre a bordo della nave, in quella strana e avvincente avventura. Forse a convincerla fu il fatto che lui non alzò mai una mano su di lei, forse, semplicemente, si riconobbero come uguali. Animali feriti in cerca di vendetta e redenzione. Dopo tanto tempo in mare lui la lasciò in una città chiamata Londra, perché non poteva portarla con sé a casa sua. Le trovò una casa e un lavoro e si occupò di lei in maniera gentile e disinteressata. Fu il padre che non aveva mai avuto. Che cosa lei sia stata per lui non l'ha mai scoperto. Gli anni passarono lenti, inesorabili. La ragazza era divenuta a tutti gli effetti una donna con un saldo mestiere in mano. La sua arte pittorica convertita in una più spendibile sapienza manuale come sarta e ricamatrice. Talmente abile da potersi permettere un negozio tutto suo, sempre con il patrocinio di quel ragazzo ricco, che diventava ogni giorno più importante.
Non era la vita per cui aveva pregato, ma era una vita molto felice. Indipendente, forte, fiera, libera. Corteggiata da molti, favorita da alcuni. In grado di mettersi da sola un piatto di carne in tavola ogni domenica. In grado di spedire soldi a sua madre.
Tutto cambiò un pomeriggio d'autunno. Stava sistemando la vetrina del suo negozio e pioveva forte. Un lampo squarciò il cielo e subito dopo lo vide e si sentì mancare. Come fosse stato partorito da quella saetta il suo antico amante era lì, al centro della strada, solo che non era più solo una statua di bronzo. Era in carne e ossa. Come Gesù Cristo anche il Dio Ares si era fatto uomo per vivere in mezzo ai mortali. Aprì la porta e per un istante due gelidi abissi neri la fissarono, per poi sorpassarla come non fosse effettivamente un essere rilevante. Quell'essere – ai suoi occhi più che uomo – riprese il suo cammino, lasciandola incredula a inzupparsi gli abiti di pioggia. Giorno dopo giorno le capitava di rivederlo e piano piano scoprì che aveva un nome, un mestiere, una casa e un titolo. Lui apparteneva a quell'unico tipo d'uomo che non avrebbe mai potuto avere. Forse per questo prese a desiderarlo con tutta sé stessa. Se solo si fosse soffermata a pensarci avrebbe concluso che era più saggio diventare l'amante dell'oste o la moglie del macellaio. C'era anche quello speziale di Ludgate...
E invece si mise in testa che voleva proprio quel soldato. S'era convinta che le sarebbe bastato averlo una volta, togliersi lo sfizio per poi archiviarlo. Ci mise un po' perché lui sembrava fermamente determinato a non notarla mai. Ma alla fine la vide e quando le posò gli occhi addosso per più di un secondo, non seppe più distogliere lo sguardo. Si abbandonarono l'uno a all'altra, si divorarono senza mai riuscire ad essere sazi. Si colpirono con violenza e si leccarono l'un l'altro le ferite. E poi accadde l'inevitabile: un figlio.
Per onore lui decise di sposarla e per orgoglio lei rifiutò. Aveva promesso a sé stessa di non farlo e in più sapeva che non c'era un futuro per due come loro. Insieme potevano solo distruggersi l'un l'altro. Ci era anche riuscita a farlo allontanare, consegnandogli la bambina nata dalla loro passione. Ma proprio quando stava raccogliendo i cocci distrutti del suo cuore andato nuovamente in pezzi lui era tornato e con un bacio aveva spazzato via i cocci dandole un cuore nuovo.
E furono felici, per un po', tra alti e bassi. Si amarono certamente. A modo loro. Con gelosie e ripicche. Nello stesso modo in cui si amarono Ares e Afrodite. Si amarono, certo. Ma non come nelle favole, come nella vita vera. Perché questa non è una favola... e nella vita vera non si vive per sempre felici e contenti.
Lei lo lasciò e se ne tornò nel suo paese d'origine. Tornò alla sua statua di bronzo che era fredda e la ignorava; ma se non altro aveva la valida scusa di essere una statua per tale comportamento. Lui forse trovò una donna più adatta... e visse una vita serena, forse non sconvolta dalla passione, ma anche priva dell'estenuante dramma di cui lei lo faceva vittima. E fu felice. O quanto meno questo è quello per cui lei ha sempre pregato.
   
 
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