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Autore: AnyaTheThief    10/01/2015    2 recensioni
"... Magari lei è tornata" espone la sua teoria ai compagni che lo guardano seri ed in silenzio per tutta la durata del suo discorso, mentre il giovane neo-Moschettiere tenta di esprimere tutta la sua preoccupazione.
Entrambi all'unisono scoppiano in una risata fragorosa.
"E tu hai capito tutto questo da...? Un ghigno sotto ai baffi?" lo deride Aramis.
Il povero D'Artagnan sospira rassegnato, ma anche un poco divertito. E va bene, forse ha esagerato e viaggiato un po' con la fantasia, sicuramente un po' di alcool ha fatto la sua parte.
"Fidati, amico, Athos sta benone." lo rassicura Porthos appoggiandogli una sonora pacca sulla spalla. "Per quanto bene possa stare uno che ha rischiato di morire più volte per mano della moglie che credeva di aver ucciso." aggiunge poi, prima di scoppiare a ridere di nuovo assieme ad Aramis.
Anche D'Artagnan ritorna ad immergersi nell'atmosfera leggera e spensierata, e a sorseggiare dal suo boccale, costringendosi a fingere solo per un attimo che i suoi amici abbiano ragione. Ma lui sa che non è così, ed andrà a fondo in questa cosa.
E poi è davvero tanto, tanto curioso.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La carrozza aveva proceduto lentamente per tutta la durata del viaggio, ma lei era troppo impaziente. Continuava a sporgersi per capire se ci fosse qualche problema che li facesse avanzare così piano, ma poi ha capito che il problema è solo suo: non vede l'ora di arrivare a Parigi.
Un acquazzone estivo è appena terminato ed ha rinfrescato l'ambiente, e l'aria è carica di umidità e profumo di foglie e piante bagnate. La città dovrebbe essere ormai vicina.
Guarda ancora una volta il cocchiere che con calma conduce i cavalli sulla terra bagnata, lasciando dietro di sé profondi solchi nel terreno e orme di zoccoli nella terra già smossa da altre carrozze.
Ritorna a sedersi composta, ma è sempre nervosa; respira affannosamente e batte con le dita sulla borsa di pelle che porta con sé: è il suo unico bagaglio.
Con le dita ansiose inizia a giocherellare coi propri boccoli, stranamente poco ribelli, che le ricadono sul davanti, incapace di restare immobile.
Si trattiene dallo sporgersi di nuovo in avanti, ma ormai ha capito: un brusio crescente di voci confuse attorno a lei le annuncia che sono arrivati in città. Chiude gli occhi ancor prima di guardare fuori.
Ora il profumo del sottobosco ha lasciato spazio a un misto di aromi e lezzi tipici. Le pare di sentire... Pesce! E poi uno sgradevole odore di fognatura... E qualcosa di appena sfornato! Cerca di lasciarsi andare a tutte quelle sensazioni: le pare di udire qualcuno battere ritmicamente con un martello su qualcosa di metallo, le risate dei bambini e lo scalpitio degli zoccoli di altri cavalli, accompagnato dal rumore delle ruote delle carrozze sui ciottoli. Il suo respiro si fa più affannoso.
Profumo di... Spezie. Ed ora l'odore poco gradevole della lavorazione del cuoio. Ma poi... Fiori.
Riapre gli occhi coi battiti del cuore a mille, mentre fa guizzare lo sguardo a destra e a sinistra ansiosa. Non può stare un minuto di più seduta lì. Si alza di scatto, picchiando sul legno della carrozza per tre volte per fermare il cocchiere, che difatti arresta la sua corsa un po' bruscamente.
Il tempo di voltarsi, e lei ha già raccolto la sua borsa ed è scesa dal veicolo. Non si cura molto di sollevare la veste aggraziatamente, dopotutto si può capire che non è certo un abito di gran classe quello che indossa.
Apre la borsa, ed allunga al cocchiere un sacchetto di monete, annuendo in segno di saluto: un gran sorriso le illumina ora il volto pieno e lentigginoso. E' finalmente arrivata. Si trova davvero a Parigi! Dopo che la carrozza riparte, inizia a guardarsi attorno con gli occhi che brillano di eccitazione.
Tutta quella gente e quel chiasso la emozionano e la riempiono di entusiasmo, tanto che sembra quasi sul punto di scoppiare a ridere di gioia in mezzo alla strada. E' tutto così diverso...
Ma improvvisamente pare ricordarsi di qualcosa. Qualcosa che la porta a frugare freneticamente nella borsa, fino ad estrarre da essa un foglietto ripiegato in quattro. Torna a guardarsi attorno, col pezzo di carta stretto in mano, poi si avvia con decisione verso quella che pare la via più affollata.
Non fa caso alle pozzanghere che calpesta, inzuppandosi le scarpe di tela; il clima è comunque piuttosto afoso, e la sua missione pare importante. Deve sbrigarsi, perché non ha ancora molto tempo prima che cali il sole, e non ha un posto dove dormire stanotte.
Continua a guardarsi a destra e a sinistra, ma nonostante non faccia attenzione a dove mette i piedi, una cosa sembra evitare con cura: gli uomini.
Anche se le passano di fianco per puro caso, quando ne incontra uno tiene lo sguardo ben fisso su di egli, finché non sparisce dal suo raggio di movimento; quando può è lei ad allontanarsi dal loro rettilineo, con aria sospettosa.
Nonostante tutto sembri così nuovo per lei, non si fa tentare troppo dalle bancarelle, anche se su alcune ci butta più di un'occhiata, mentre però continua a camminare per la sua strada.
Ma alla fine le torna il sorriso in volto: con gli occhi punta una donna intenta ad esaminare dei tessuti disposti su un banchetto. Di certo è vestita meglio di lei, ma non così tanto come i nobili, e pare affabile e gentile.
Le si avvicina con gran determinazione, battendole sulla spalla delicatamente un paio di volte.
“... Desiderate?” domanda la donna, con aria perplessa.
Lei esita un attimo: com'è bella quella signora. Si sente improvvisamente molto inferiore; i suoi capelli devono essere un disastro dopo il viaggio, ha le scarpe zuppe, l'orlo del vestito infangato ed il corpetto allentato, perché ad un certo punto si era sentita soffocare.
Ma alla fine riesce a porgerle il biglietto. La donna lo legge velocemente, pensierosa.
“Non so chi sia. Mi dispiace...” annuncia, restituendoglielo.
Alla ragazza sembra che le si sia spezzato il cuore in quel preciso istante. Come fa a non conoscerlo? Aveva sentito che era famoso a Parigi. E se fosse stata una bugia? E se nessuno lo conoscesse? Continua a guardare la signora con aria ferita, stringendo al petto il pezzo di carta, poi abbassa lo sguardo tristemente.
“Prova alla taverna magari. Lì passa un sacco di gente.” cerca di rassicurarla la sua interlocutrice, tornando poi ad esaminare le stoffe.
Il suo sguardo torna a brillare di speranza.
Finché non si trova poi di fronte alla taverna. La porta è aperta, ma lei non sembra molto convinta di entrare. Si sporge a destra e a sinistra cercando di ispezionarne l'interno, ma ad ogni sguardo sembra sempre più corrucciata. Le persone che vede non sono altro che uomini, oppure donne che non sembrano proprio in grado di leggere.
Un uomo grande e grosso esce barcollando, lasciandosi dietro un pungente odore di alcool e camminando a zigzag le passa terribilmente vicino. Lei sussulta e si scansa in un gesto più drammatico del dovuto, andando ad appiattirsi contro il muro della taverna e rimanendo a fissare con terrore quell'uomo che l'ha a malapena sfiorata. Ricomincia a respirare affannosamente, mentre scivola sconsolata verso il basso, fino a toccare terra col sedere.
Ed ora...?
Tira su col naso e si asciuga una lacrima, iniziando a singhiozzare. Non si era mai sentita tanto stupida. Dagli occhi le cola una sostanza grigiastra: per l'occasione si era persino truccata con il bistro, ed ha cercato di sistemare pure quell'indomabile criniera, fermandola con alcuni spilloni ed adornandola con dei fiorellini.
Ma ora non sembra che una sciocca. Una sciocca figlia di un sciocco sarto che scioccamente ha pensato di andare fino a lì con una sola vana speranza, fingendosi più ricca di quanto non sia in realtà. Stringendo al petto il pezzo di carta che sembra di vitale importanza, cerca invano di smettere di piangere.
Non vuole dare nell'occhio, non vuole che qualcuno le si avvicini, ma non riesce proprio a farsi coraggio e ad entrare in quel posto terribile.
Ha la vista annebbiata dalle lacrime e più se le asciuga, più il bistro continua a colare e ad insozzarle le mani e gli zigomi, facendole bruciare gli occhi e provocando sempre più lacrime.
In una visuale confusa, le sembra di intravedere un panno candido a pochi centimetri dal suo volto.
Lo prende senza pensarci, e tra i singhiozzi cerca di darsi una sistemata asciugandosi il viso, ma non appena solleva lo sguardo e collega la persona che l'ha aiutata alla figura di un uomo, anzi due uomini, la sua reazione più immediata è quella di premersi ancora di più contro al muro, provando a rialzarsi in piedi velocemente come un topo in trappola.
“Ehi, ehi, non volevamo spaventarvi!” si affretta a dire uno dei due, rassicurandola. Ma questo non sembra fare molto effetto, soprattutto quando lei nota la grande cicatrice che corre perpendicolare al suo occhio. Dopo essere scivolata un paio di volte nel panico, rinuncia a cercare di fuggire, e si paralizza dalla paura portando le braccia a coprirsi sulla difensiva.
“Sei tu che la spaventi, Porthos!” lo rimbecca l'altro. “Non hai di certo un aspetto rassicurante. Ma potete fidarvi, mademoiselle.” aggiunge l'uomo in tono pacato, chinandosi leggermente ed offrendole una mano agguantata. Ma lei ha chiuso gli occhi e contratto ogni muscolo del corpo, come se si aspettasse che succeda qualcosa da un momento all'altro.
“Siamo Moschettieri del re.” precisa l'altro uomo, quello che le fa più paura, levandosi il cappello in segno di saluto, imitato subito dopo dall'amico.
A quelle parole lei abbassa la guardia. Riapre gli occhi e li fissa a bocca aperta, uno per volta, come se avesse appena visto degli angeli scesi dal cielo.
Sono i Moschettieri. Non si può avere paura dei Moschettieri, che stupida! Si affretta a ricomporsi, si alza in piedi, sistemandosi l'abito e restituendo il panno al ragazzo più rassicurante. Come si saluta un Moschettiere? Non ne ha idea, si limiterà a fare l'inchino come fa con i nobili...
Al suo gesto i due sghignazzano, e lei si sente di nuovo terribilmente in imbarazzo. Corruga la fronte con aria perplessa, chiedendosi cosa abbia sbagliato: sicuramente non si è inchinata abbastanza a fondo. Cerca di ripetere il gesto, ma il Moschettiere più scuro di pelle la ferma.
“Non preoccupatevi degli inchini. Sembrava che aveste bisogno di aiuto.”
“Oh!” fa lei, porgendo il biglietto stropicciato ed ora anche un po' macchiato di bistro all'altro ragazzo, che lo fissa con aria pensosa
“Ollie” legge lui, passando lo sguardo dalla scritta alla ragazza. “Potrebbe essere chiunque...” commenta poi verso l'altro.
“Non ne ho idea. Non sapete dirci nient'altro?”
Lei annuisce entusiasta, e poi indica le spalle dei due, dove spicca il simbolo dei Moschettieri.
“E' uno di noi?” chiede conferma il ragazzo con la cicatrice, volgendosi poi al compagno. “Non conosco nessun Ollie. Sarà un diminutivo?”
Il suo amico si gratta il capo ancora più perplesso di prima. “Non lo so. Ma vi consiglio per ora di trovare un riparo per la notte. Ecco...” si sfila dalla tasca una manciata di monete e le porge a lei, che, un po' inebetita da tanta gentilezza, un po' delusa dal fallimento della sua missione, non riesce a far altro che accettarle.
I due ragazzi la salutano cordialmente, e si allontanano. Lei fissa le monete con aria afflitta.
Ollie...
Dove sei, Ollie...?

 

 

“Dove sei, Ollie?”
Una vocetta cinguettante lo fa sorridere. Non era mai stata brava a quel gioco, ma era sempre lei a proporlo, forse perché lo trovava comunque divertente, e lui la assecondava sempre perché non gli spiaceva affatto.
“Ollieeee, guarda che il mostro arriva a prendertiiii...!”
Il bambino si preme una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere. E' così buffa quando fa quella voce che vorrebbe far paura... Nel buio dell'armadio solo uno spiraglio di luce gli permette di controllare cosa succede fuori. Ma lei è ancora lontana.
“Ollieeeee... Sai che... Ho visto che Georgette ha appena fatto la confettura di mirtilli...”
Bugiarda! Georgette la fa solo di giovedì, e oggi è... Oh, che giorno è oggi?
“E io...”
No, non può essere, ieri era martedì... Vero? Oh, ha perso di nuovo il conto dei giorni!
“... io ora vado di sotto...”
Non vale, non vale, lo sta dicendo solo per farlo uscire allo scoperto!
“... e me la mangio tutta senza di te!”
Non è vero, non sta andando. La sente avvicinarsi alla camera in cui è nascosto, tra l'odore dei vecchi vestiti impolverati di suo padre. Ora non gli servivano più, perché il padre di lei gliene aveva cuciti di nuovi e bellissimi, prima di ammalarsi. Trattiene il fiato, sente che è vicina, capisce che sta guardando sotto al letto, e a lui viene da ridere di nuovo. Là sotto è così polveroso, che ogni volta che sollevano le coperte da terra...
“Eeeeetciù!!”
Non ce la fa più. Scoppia in una fragorosa risata: non gli interessa più di essere beccato.
“Aaah-ah!!” esclama lei, spalancando l'anta dell'armadio. “Lo sapevo che eri qui, stavo temporaggiando!”
Lui continua a ridere a crepapelle, e tra un singulto e l'altro precisa “Si dice temporeggiando, Liv!”
Lei finge un broncio malriuscito, incrociando le braccia dopo essersi scostata un ciuffo ribelle dal viso lentigginoso. “Grazie, maestro! Sai, io non sto tutte quelle ore sui libri con quel...” si guarda attorno ed abbassa la voce per sicurezza, ponendo comunque enfasi sulla parola “... vecchiaccio!”
“Monsieur Dupuis non è così vecchio!” ride ancora lui, venendo finalmente allo scoperto. “E a me piace studiare con lui.” aggiunge, tranquillo. “Forse dovresti farlo anche tu!”
A quella proposta, Liv lo guarda a bocca aperta.
“Cosa dici, lo sai che mio padre non accettereb--”
“Ma se fosse mio padre a chiederglielo...” la interrompe lui, come se avesse già studiato il piano da molto tempo. “... non potrebbe dirgli di no. Non gli ha mai detto di no.”
“E lo sai bene perché, è il suo miglior clien--”
“E' il suo migliore amico!” la interrompe di nuovo.
“Ma poi ora... Papà non sta bene, lo sai...” si rabbuia lei, abbassando lo sguardo. “Roland continua a dire che è una fortuna che mi abbia insegnato tutto ciò che sa prima di ammalarsi... Ma non capisco perché continui a ripeterlo!”
Ollie non sa cosa rispondere. Ha capito l'intento della frase che il fratello di Liv le continua a ripetere, ma non può certo spiegarglielo. Dopo qualche secondo di silenzio, è lei a parlare di nuovo, stavolta col solito tono. “E poi mi annoierei, non so come fai tu, che noia mortaleeee! Tutti quei vecchi libri e quei nomi...!”
Sta fingendo, Ollie lo capisce benissimo, non è una brava attrice. Sta morendo dalla voglia di unirsi a lui e a Monsieur Dupuis, ma non lo ammetterebbe mai. Dopotutto la capisce, tutti sono rimasti molto colpiti dalla malattia di suo padre, non è il caso di disturbarlo mentre soffre. Nonostante sia più divertito che mai all'idea che la sua migliore amica si unisca a lui nello studio, tutto questo può aspettare. Le fa un sorriso rassicurante.
“Sono sicuro che presto starà meglio. Abbiamo tempo per lo studio. E poi in quella casa che ti regalerò...”
“Oh, quella grandissima che mi hai promesso?” esclama lei, senza riuscire a contenere l'entusiasmo.
“Sì, quella. In quella casa...”
“A Parigi, vero?” lo interrompe di nuovo.
“Dove vorrai tu. Dicevo, in quella casa ci metterò una grande biblioteca.” riesce finalmente a concludere la frase.
“Ma dev'essere vicina alla tua!” precisa lei. “E poi devi regalarmi anche un maestro, se no come faccio a imparare a leggere e a scrivere?”
“Sarà vicino alla mia! E ti insegnerò io. Adesso non sono tanto bravo, ma...”
“Sì che sei bravo!” esclama lei d'improvviso, interrompendolo per la quarantesima volta. “Ho visto quello che riesci a fare.”
Lui sorride orgoglioso, incassando il complimento con molta soddisfazione. In effetti anche il maestro gli ha detto più volte che fa passi da gigante. Gli è venuta un'idea.
“Se non lo dici a nessuno...” sussurra, avvicinandosi all'orecchio di lei. Impresa impossibile trovarlo, circondato da quella chioma indomabile ed arruffata. “... dopo ti insegno a scrivere i nostri nomi.”
“Woooh! Davvero?!” Liv si fa sfuggire un urlo, zittito subito da Ollie, che le fa segno di fare piano. “Eh-ehm... Davvero?!” ripete, a voce più bassa.
Lui annuisce sorridendo maliziosamente, poi le allunga una mano perché lei la prenda.
“Adesso andiamo a mangiare la marmellata di Georgette?”
Lei ricambia il sorriso, afferrandogli la mano e mettendosi poi subito a ridere divertita. Quella risata gli ricordava sempre tanti campanelli che suonavano assieme. E poi...
“Oggi è venerdì, pollo!”

 
  
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