Piange ciò che muta, anche
per farsi migliore. La luce
del futuro non cessa un solo istante
di ferirci
Non so per quanto tempo sono rimasta in
questa vasca.
Minuti e anni si sfumavano nel turbinio di
pensieri che mi comprimeva la testa, un ronzio trafittivo che dopo un po’
divenne cofosi, rassicurante cofosi.
La corda continuava a comprimere, il solco
sempre più profondo ed omogeneo, almeno avrebbero saputo di cosa ero morta.
Dicono che si abbiano le convulsioni prima
di esalare l’ultimo respiro, perché la vita è ostinata nonostante ci sia chi la
dispregia.
Avrei sentito il caldo, un’ultima
volta, era una sensazione che avevo dimenticato.
Ma quella corda poi, chi l’aveva posta lì?
Potevo ancora liberarmene, vero? Lui non è più forte di me, è la tara degli
aguzzini.
Più la corda stringeva, più sentivo il
sangue raschiare contro le pareti della mia fragile carotide, non voleva
arrendersi. Perché ogni parte di Asuka non
sapeva perdere, piuttosto morire! Ammesso che fosse rimasto qualcosa di
ancora vivo dentro quella pelle macerata. Quel corpo lì, per quanto sfinito ed
umiliato, però continuavo a sentirlo, era l’unica cosa che mi rimaneva, era
l’unica cosa per cui aveva ancora senso lottare. Era semplice, in fondo:
bastava tirarsi fuori da quella fredda vasca, un ultimo estenuante sforzo e non
avrei sentito più nulla. Tra il nulla ed il dolore per una volta avrei scelto
il nulla, la mia unica scelta coraggiosa.
Nella voragine che si era creata nella mia
mente, ci fu un attimo di tregua per ripensare alle mie lezioni di scienze,
nella mia infanzia che sapeva di Germania.
I piccoli codini rossi, la mano sempre
alzata, gli applausi di tutti.
Lei non c’era già più, è vero, ma la sua
scomparsa era troppo recente per far sentire tutto il peso dell’assenza.
Un giorno soleggiato, uno dei pochi in
verità, mi avvicinai alla cattedra e chiesi alla signorina Else cosa
significasse una strana parola di origine greca, mete o metaplasia.
– Ma chi ti mette queste strana parole in
testa, piccola Asuka?- la signorina Else era sempre
così dolce, profumava di vaniglia. – Metaplasia è la trasformazione del corpo,
la risposta difensiva ad una serie insulti cattivi provenienti dall’esterno. Il
corpo acquisisce una corazza, diviene più forte, cambia per non farsi del male.
Ma non sempre il cambiamento è una cosa positiva, è inutile che sorridi in quel
modo birbantella! La trasformazione può non fermarsi più e diventare qualcosa
di cattivo, si perde il legame con ciò che si è. –
STOP! Firewall per i ricordi dolorosi.
Una volta che si è verificato il
cambiamento non si può più tornare indietro, il rosso non avrebbe più folgorato
l’adorante e patetico pubblico.
Ma desideravo soltanto che le pesanti
tende polverose si chiudessero per poter finalmente slacciare il corsetto e
respirare. Desideravo dire: E’ FINITA.
Respirare, l’importanza dei piccoli
fondamentali gesti.
Ci si può sempre accontentare anche di
altri colori, perché vivere è di base un compromesso.
Lo era stato aspettare Shinji, lo era stato anche immaginare che andasse via, lo è
continuare ad aspettarlo in questa vasca, sebbene sappia che non verrà.
Magari non è neanche tanto lontano, si
starà nascondendo tremante nella stessa accanto. In fondo, aspetta qualcosa
anche lui.
La maledizione degli Eva comporta un’eterna
adolescenza di cuori infranti, perché i giovani cuori falliscono.
Ciò che ci accomuna, caro Shinji, è questo nostro desiderio di annullarci, per non
soffrire più. Ci annulliamo nei nostri stessi combattimenti, sperando che un Angelo
magnanimo ponga fine una volta per tutte alle continue aspettative che ci
schiacciano.
Ma la morte è un privilegio non concesso
ai piloti, il cui destino è salvare l’umanità e non loro stessi.
Dunque, io non posso salvarti, mio adorato
Shinji, né tu puoi salvare me. O non vuoi, poco
importa.
Mi chiedo: quante altre volte dovrò ancora
salire su quel dannato robottone, attendere la
sincronizzazione, i battiti che accelerano, il rumore di sirene che mi
allertano di un pericolo che mai correrò?
Se vinco, riceverò i complimenti di Katsuragi e sarò orgogliosa di me solo per un giorno, sarò
migliore degli altri solo per un
giorno. La soddisfazione ha una breve emivita.
Se perdo, il dolore mi farà desiderare di
non essere mai nata, perderò la voce a furia di gridare, pregherò mia madre di tornare
da me e…. le luci si spegneranno all’improvviso,
calerà il silenzio e l’Eva si accascerà con il fragore di cianfrusaglie. Di nuovo,
non sentirò più nulla. Ma il consueto inganno durerà poco perché ci sarà una
nuova Asuka, con una plugsuit
scintillante dai colori più scuri, pronta a risalire sull’Eva, con un occhio o
un braccio in meno.
La maledizione degli Eva…
Chissà,
forse un giorno perderò il cuore e sarò finalmente felice.
È quel freddo silicone che aderisce
perfettamente, ma costringe crudelmente a farmi più male e tu, Shinji, lo sai
bene.
Se solo riuscissi ad arrendermi a questa
umanità che si nutre dei miei sentimenti, dei miei ardori, se solo riuscissi ad
essere normale come le altre ragazze,
che si preoccupano dei chili di troppo o del fidanzato che non le chiama.
Invece no, ho scelto di dare la mia vita
agli altri, soltanto perché era un fardello troppo pesante da sopportare da
sola.
Anch’io sono debole, e codarda. Anch’io so
piangere.
La corda comincia a stringere meno. Il
solco però non smette di bruciare.
Bisogna accettare l’indifferenza, se la
sconfitta fa troppo male, se la sconfitta non riesce a concludere.
Forse posso ancora salvarmi da sola, basta
fare un po’ forza sulle braccia, ecco così … brava Asuka!
Ancora un piccolo sforzo e ce l’hai fatta, come sempre.
La metaplasia sta funzionando. Un altro
nuovo corpo, dai contorni irriconoscibili. Un surrogato di vita.
La corda non stringe più, ma il nodo
scorsoio rimane.
Meglio asciugarsi e tornare alla base,
meglio sentirsi utile. Se combatto
non penso, se combatto…
***
Questa storia non finisce. O non continua.