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Autore: Althea Way    11/01/2015    1 recensioni
Quel giorno me ne stavo sdraiato sul divano del salotto, lontano dalla lite furibonda tra la signora Harmon e Hayden che aveva distrutto la tranquillità della mia cantina. Parlavo con il dottore del più e del meno. Di quanto fossi annoiato, di quanto mi sentissi in colpa per tutto quello che avevo fatto nel passato. Lui ascoltava e prendeva appunti come aveva sempre fatto ma, ad un tratto, posò la penna e il taccuino e si mise una mano sugli occhi, come per placare un gran mal di testa. Dopo qualche secondo di silenzio parlò.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben, Harmon, Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasseraa😊 Questa è una nuova prova. Una oneshot sulla prima stagione di AHR. La storia è narrata dal POV di Tate ed è incentrata sulla rappacificazione con Violet. Ok ho già detto troppo. Mi scuso per eventuali errori grammaticali che vi prego di segnalarmi (soprattutto i verbi, non voglio sbagliare i verbiiii 😫). Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione. Come sempre, le critiche sono ben accette! Dopotutto, l'obiettivo è migliorare, no? Anyway, davvero non siate timide/i, ditemi le prime cose che vi passano per il cervello leggendola, perché ci tengo davvero a migliorare. XOXO
-A

 
I'LL WAIT FOR YOU, TILL THE END OF TIME

Erano passati 50 anni, e quella casa era ancora in piedi. Non avevo più fatto del male a nessuno. Avevo passato gran parte del tempo in cantina, senza muovermi ne parlare. Ero morto nel vero senso della parola. Con questo intendo che non avevo soltanto lasciato il mio corpo, ma ero morto dentro. La mia anima stava appassendo troppo velocemente. Le poche volte che abbandonavo quella posizione statuaria mi ritrovavo a parlare con il dottor Harmon. Ci aveva messo un po' a perdonarmi. Dopo tutto quello che avevo fatto alla sua famiglia e a molte altre era comprensibile. Però alla fine aveva capito che non ero più il mostro che aveva fatto quelle cose, perché sua figlia mi aveva salvato da me stesso. Violet era stata l'unica luce che avevo visto durante la mia intera esistenza. Aveva completamente rimosso l'oscurità dal mio cuore e mi aveva fatto scoprire chi ero realmente. Non un mostro, non il diavolo, semplicemente un ragazzino troppo fragile per resistere al male che aveva albergato dentro di sé per troppo tempo, scombussolando i suoi pensieri e facendolo agire secondo il suo volere. Lei era stata l'ancora lanciata nel bel mezzo dell'oceano che mi aveva ripescato. Si era avvicinata al fondale lentamente, riflettendo i raggi del sole che la colpivano dalla superficie. Mi ero aggrappato a lei, rischiando di trattenerla nella mia oscurità, ma quella ragazzina era molto più forte di me, e aveva riportato a galla entrambi. Aveva pagato un prezzo molto caro, però. Avrebbe meritato una vita felice, un matrimonio con un brav'uomo, una famiglia, un lavoro che la facesse sentire realizzata. E invece era morta. Voleva solo dimenticare le sue visioni e rilassarsi. Non aveva intenzione di andarsene, non era pronta. A volte però, il nostro desiderio di scappare dalla realtà ci porta a conseguenze inaspettate e ci ritroviamo a pagare un prezzo molto più caro rispetto a quanto previsto. Io le era stato vicino, facendole credere di averla salvata e guadagnandomi la sua fiducia. Che egoista ero stato... Avevo capito dal primo istante che era speciale e avevo voluto tenerla per me. Non avrei sopportato di vederla distrutta dalla notizia della sua stessa morte e avevo colto l'occasione per legarla a me. Erano passati 50 anni, e Violet non voleva ancora parlarmi. La osservavo spesso, di nascosto ovviamente. Ammiravo il suo sorriso mentre parlava con il suo fratellino, che era morto per cause naturali all'età di 8 anni. Ammiravo la determinazione con cui escogitava un piano per cacciare i nuovi inquilini, per salvar loro la vita. Tutto in Violet mi incantava. Ero a pochi passi da lei, eppure sentivo tremendamente la sua mancanza. Non la amavo come la prima volta che l'avevo vista, la amavo molto di più. Ogni giorno, per 50 anni, avevo trovato in quella ragazzina qualcosa di nuovo e sorprendentemente bello. La piega che si formava agli angoli della bocca quando sorrideva, l'angolazione del punto di luce riflesso nei suoi occhi quando leggeva una storia al fratello nella sua cameretta, i singhiozzi strozzati che la facevano sobbalzare ogni notte, in seguito ad uno dei suoi frequenti pianti. Piangeva spesso. Ero sicuro che tutta quella tristezza derivasse dalla sua morte e dall'obbligo che la incatenava a questa casa, così come faceva con tutti noi. E io stavo sprecando la vita che Violet mi aveva ridato, che vita non era. Stavo sprecando la mia vita da morto, per quanto fosse paradossale. Quel giorno me ne stavo sdraiato sul divano del salotto, lontano dalla lite furibonda tra la signora Harmon e Hayden che aveva distrutto la tranquillità della mia cantina. Parlavo con il dottore del più e del meno. Di quanto fossi annoiato, di quanto mi sentissi in colpa per tutto quello che avevo fatto nel passato. Lui ascoltava e prendeva appunti come aveva sempre fatto ma, ad un tratto, posò la penna e il taccuino e si mise una mano sugli occhi, come per placare un gran mal di testa. Dopo qualche secondo di silenzio parlò.
-Sai, Violet è triste. Piange ogni notte, ininterrottamente -
-Si, lo so...-
-Devi aiutarla -
-Io? Lo sa che non vuole parlarmi. E, poi, è lei il dottore. Se soffre perché è morta io non posso farci niente. Anche se odio vederla così-
-Si, sono io il dottore, e ti dico che non soffre per la sua morte. Soffre per te -
-Come? -
-Dopo 50 anni ci siamo rassegnati tutti alla nostra morte, Violet compresa. -
-E cosa c'entro io? -
-Sente la tua mancanza, la sente incredibilmente. Lei sa che la guardi, di nascosto. Lo sappiamo tutti. E non ti manda via, perché vuole sentirti vicino. Non lo vorrebbe, ma lei è innamorata di te, Tate. Devi fare qualcosa. Sai benissimo quanto è difficile dover passare l'eternità sotto lo stesso della persona che ami senza che vi rivolgiate la parola -
Non riuscivo veramente a credere alla mie orecchie. Violet. La Violet che mi aveva detto "Vai via", che mi aveva detto addio nonostante fossimo costretti sotto lo stesso tetto. La mia Violet, innamorata di me? Innamorata di Tate il mostro? Si, quando iniziavo a guardarla di nascosto lei arrossiva lievemente e sorrideva, ma non avevo mai collegato quella reazione alla mia presenza. E se avesse ragione suo padre? Valeva la pena rischiare di complicare ulteriormente la situazione nella flebile speranza di raggiungere finalmente la felicità? Senza dubbio. Ero pronto a sentire i suoi commenti disprezzanti ancora una volta, pronto a vedere l'odio nei suoi occhi, pronto a sentirmi morire di nuovo. Speravo con tutte le mie forze che il dottore avesse ragione e che avrei riavuto la ragazza che amavo. Ma cosa avrei dovuto fare? Se ci fosse stata la mia sorellina, lei mi avrebbe dato un gran bel consiglio. Lei sapeva cosa volevano le belle ragazze, perché lo era. Mi manca così tanto... Scaccia quel pensiero che mi stava inumidendo gli occhi e mi alzai lentamente, senza rispondere al dottor Harmon. Andai in cantina dove nel frattempo la calma si era ristabilita. Mi sedetti al solito angolo, con gli occhi sgranati a causa della nuova scoperta che portava la speranza a dare nuova vita al mio cuore. Non mi importava quanto avrei sofferto, quanto sarei stato male. Avrei tentato di tutto. Rimasi in quella posizione pochi secondi che sembrarono un'eternità. A volte pensavo che la dimensione temporale in cui viaggiava il mio cervello fosse completamente estranea a quella in cui vivevano tutti gli altri. Alcuni istanti sembravano eterni, e l'eternità mi sembrava così breve. Non potevo permettermi di sprecare un secondo di più. Avevo deciso che non avrei escogitato nessun piano. Nessun'entrata ad effetto, nessun discorso preparato, niente fiori, niente cioccolatini. Solo io, Violet, la casa e tutta la sincerità che non avevo avuto il coraggio di liberare negli ultimi 50 anni. Mi precipitai nella sua vecchia camera, nella quale si rifugiava ogni volta che scoppiava una lite in casa. La porta era aperta e Violet era sdraiata a letto, a pancia in su, con gli occhi chiusi e completamente immersa nella musica del suo mp3. Il volume era altissimo e non faticai a riconoscere le note di Welcome To The Black Parade. Aveva sempre pensato che, da morta, si sarebbe unita alla parata di cui parlava la canzone, con la quale avrebbe marciato verso al suo destino. Invece era intrappolata in quattro mura, con le anime dei suoi cari e dei suoi più grandi nemici. 
L'istinto mi spinse a nascondermi dietro l'armadio, per osservarla senza essere notato, ma poi mi ricordai che non era quello il mio obiettivo: questa volta non avrei ammirato la ragazza che amavo nascosto come un ladro, sarei entrato in contatto diretto con lei. Lentamente uscii dal mio nascondiglio e mi avvicinai al letto. Non si accorse della mia presenza e quindi decisi di sedermi ai piedi del letto. Il mio peso modificò la posizione del materasso, facendo sobbalzare Violet che aprì gli occhi e lanciò via gli auricolari.
-Vai v...-
-Ti prego, non dirmi di andare via-
Mi guardò stupita e confusa. Probabilmente non sapeva se la mia richiesta dovesse renderla felice o meno.
-Cosa vuoi?- chiese con freddezza.
-Parlare con te-
-Ti sto ascoltando, parla-
Aprii la bocca, sicuro che le parole sarebbero arrivate al mio cervello spontaneamente, in una cascata incontrollabile. E invece niente... Non avevo idea di cosa dire.
-Come stai?- chiesi banalmente.
-Bene- stava mentendo, glielo si leggeva negli occhi.
-Non mentirmi-
-Sono morta, Tate-
Mi avvicinai a lei e finalmente capii che suo padre aveva ragione: Violet stava usando la propria morte come scusa per mentire a se stessa e agli altri. Non era quello il vero problema, non più perlomeno. E la sua espressione ne era la conferma. C'era qualcosa di molto più grande che turbava il suo cuore. Rimaneva solo da capire se quel qualcosa fossi io. Decisi di fingere di crederle e indurla a realizzare da sola che avrebbe dovuto affrontare i suoi veri problemi.
-Sai, mentirei se ti dicessi che ti capisco. Sapevo cosa stava facendo quando mi sono tolto la vita e non ho avuto problemi ad accettare la mia fine. Anche se non avrei mai immaginato che sarei rimasto rinchiuso qui dentro per sempre. La vedevo come una prigione, all'inizio. Poi quando sei arrivata tu ho ringraziato Dio, o chiunque ti abbia mandata da me. Se avessi avuto la possibilità di lasciare la casa non ti avrei mai incontrata. E ora sarei ancora il mostro che hai conosciuto.-
-Perché mi stai dicendo questo, Tate? Hai rovinato tutto, tu sei la causa della mia morte, della morte della mia famiglia e delle disgrazie che ci sono capitate. Stai chiedendo una seconda possibilità? Neanche tra altri 50 anni riuscirò a perdonarti!- .
Il suo tono di voce era passato dal frustato all'aggressivo. Pronunciò le ultime parole stringendo i denti, sputandomi le sillabe in piena faccia e trattenendo a stento lacrime di rabbia.  Mi meritavo tutto quello che mi stava dicendo, quindi incassavo ogni frase resistendo al dolore che mi provocava e ignorando il crepitio del mio cuore che si spezzava ancora e ancora. 
-So benissimo di meritare tutto questo, e molto altro. E non ti sto chiedendo scusa, perché quello che ho fatto è imperdonabile, lo so bene. Ma tu mi hai dato più di quanto credi: mi hai salvato, mi hai salvato in tutti i modi in cui un essere umano può essere salvato. Non sono qui per chiederti scusa, sono qui per ringraziarti. Voglio ringraziarti perché hai trovato il vero Tate in mezzo alla feccia in cui era immerso, perché hai visto oltre l'oscurità che mi imprigionava e hai dato alla mia anima una nuova luce. Voglio ringraziarti per avermi indicato la via della pace. Mi manca ancora un'ostacolo da superare per essere felice, e quell'ostacolo sei proprio tu. Ho passato 50 anni a guardarti nascosto nell'ombra, a desiderare il tuo calore e la tua vicinanza senza poterle avere. È una tortura non poterti stare accanto, ma non pretendo di poterlo fare, perché io mi merito di soffrire. Quando però ti vedo piangere e singhiozzare non riesco a non pensare che, per arrivare alla pace, ho bisogno di aiutarti. Io ho bisogno della tua felicità, Violet. E voglio darti la possibilità di trovarla, come tu hai fatto con me. Devi solo trovare in te stessa il vero motivo del tuo malessere. Smettila di mentire a te stessa. Hai accettato la tua morte tempo fa-.
Ed improvvisamente mi accorsi che non la volevo tutta per me. Lo avrei desiderato, certo, ma il mio obiettivo non era riaverla. Volevo che lei riavesse se stessa, e che fosse finalmente felice. Le lacrime di frustrazione che le avevano rigato il volto poco prima si erano trasformate in lacrime di tristezza. Sapeva benissimo qual'era il problema, non aveva alcun bisogno di cercarlo in se stessa.
-È che... Dopo tutto quello che hai fatto... Dopo tutto quello che hai fatto alla mia famiglia... Io non dovrei amarti... Dovrei trovarti ripugnante, dovrei odiarti e volerti lontano da me. Ma quanto mi accorgo che sei nascosto vicino a me io sono felice. È come se stessi tradendo i miei genitori, amandoti. Ma non riuscirò mai a passare l'eternità lontana da te...-
Le diedi un abbraccio, uno di quelli senza pretese, che si danno per trasmettere amore incondizionata senza aspettarsi nulla in cambio. Lasciai che le sue lacrime mi bagnassero la maglietta e, quando i singhiozzi si placcarono, mi staccai quanto bastava per poterla guardare negli occhi.
-Sono qui, e ci sarò sempre. Non sei pronta per darmi un'altra possibilità, e ne hai tutte le ragioni. Ti aspetterò. Continuerò a nascondermi per osservarti e fingerò di credere che tu non te ne accorga. Quando sentirai che l'amore che provi per me è più forte del risentimento, io ci sarò. Non importa se dovrò aspettare altri 1000 anni. Sarò qui, pronto a dare tutto quello che mi resta per renderti felice. Abbiamo tutta l'eternità, non abbiamo nessuna fretta-. Improvvisamente l'eternità era tornata ed essere un periodo lunghissimo, e lo avrei vissuto con Violet. Dovevo solo avere pazienza 
   
 
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