Non
E’ Mai Troppo Tardi
2
Drake fu puntuale, riservava l’esigua scorta di
puntualità del suo DNA per l’F.B.I..
Scaricò due borsoni e gliene consegnò uno. «Rock
‘n’ roll» fu il suo commento.
Si avviarono al portone principale, «Hai dato
un’occhiata?» gli chiese.
«Ho saputo resistere alla tentazione.»
«Allora non era una tentazione.»
Drake gli rivolse una di quelle occhiate che
avrebbero dovuto farlo sentire un privilegiato in quanto suo migliore amico,
perché solo in quanto tale gli risparmiava di fargli sapere cosa pensasse di
lui in quel momento.
Entrarono e salirono subito in camera sua, «Ok,
togliamoci il pensiero.»
Aprirono i borsoni.
Ognuno di essi conteneva un completo nero
elasticizzato di uno strano tessuto leggero e quasi impalpabile che comprendeva
una tuta intera, un passamontagna, stivaletti e guanti leggeri, poi una
fondina, una Beretta novantadue/fs calibro nove mm Parabellum, silenziatore e
relativo adattatore e infine auricolari con microfono.
Rimasero un attimo in contemplazione del tutto,
poi Drake sospirò «Ecco spiegati quei tempi assurdi: si presuppone che ci si
divida», disse mentre osservava meglio l’apparecchiatura portatile di
comunicazione a distanza. «Testa e croce per chi sta fuori?»
«Chi è entrato l’ultima volta?»
Drake ebbe un brevissimo attimo d’esitazione,
«Io.»
«Allora credo proprio che ti tocchi il parco
stavolta.»
«Un po’ di contatto con la natura non mi farà che
bene.»
Rimise tutto a posto, «Se lo dici tu… bene,
abbiamo solo trentadue ore per mettere insieme un piano perfetto.»
Passarono tutta la mattina davanti alla piantina
del parco e la planimetria della villa.
Era immensa, quasi quanto Villa McGregory, e la
stanza di Estrada si presumeva essere fra le più interne, al secondo piano.
«Abitazioni con più di dieci stanze dovrebbero
essere dichiarate fuori legge» commentò Drake. «Mi spieghi che senso hanno diciannove
stanze? Io mi perderei in una villa del genere.»
«Dopo vent’anni anche qui non vai più in là del
salotto e di camera mia…» ribatté Juna, evitando di sottolineare che, con gli
ultimi lavori, le stanze a Villa McGregory erano salite a venticinque.
Lo gratificò di una smorfia, poi riprese «Penso
ancora che i tempi siano dannatamente stretti.»
«Troveremo una soluzione.»
Dopo pranzo rimasero soli in casa: dietro esplicita
richiesta di Juna, all’intera servitù era stato dato il fine settimana libero.
Si trasferirono sul tavolo da venti persone nella
sala e tirarono le linee generali della situazione.
Verso le quindici squillò il portatile che Juna
aveva accanto, rispose al terzo squillo «Pronto?»
«Ciao tesoro.»
«Mamma! Come va?»
«Bene. Tu?»
«Tutto ok.»
«Che fai di bello?»
«Lavoro.»
Che poi non era una bugia.
Sua madre sbuffò, «Tanto per cambiare eh? E
Drake?»
«Cosa ti fa pensare che Drake sia qui?»
«Il fatto che Jessica mi ha chiesto se voglio un
tot per la pensione completa di suo figlio per questo fine settimana.»
Guardò l’amico, «Tua madre ci ha sputtanato» lo
informò.
Drake scosse la testa, «Dio fa le mamme e poi le
accoppia. Non potevano essere meglio assortite queste due.»
«Digli pure che le mamme in questione pensano lo
stesso dei figli.»
«Lo sa già mamma. Ho coinvolto anche lui
comunque.»
«Me lo immaginavo…» disse qualcosa a qualcuno che
doveva esserle accanto, poi proseguì «Che progetti avete per la serata?»
«Nessuno, usciamo domani. Chi c’è lì con te?»
«Papà e il nonno.»
«Ah… e sei proprio sicura che vada bene?»
«Sicurissima.»
«Sta succedendo qualcosa mamma, ma non riesco a
capire cosa» disse serio.
«Credo che tutto si sistemerà. Ti passo papà.»
«Ok, ciao mamma.»
Breve silenzio, poi la voce rilassata di suo padre
lo salutò allegramente, «Ciao campione.»
«Ciao papà, ti diverti?»
«Da morire. Ti salutano tutti.»
«Capirai, non mi hanno mai visto.»
«Riferirò, saranno contenti di ricevere i tuoi
saluti.»
Rise, «La diplomazia è un tuo pregio che mi era
sfuggito.»
«Raramente, ma ogni tanto capita anche a te di
esserlo, in fondo avrai ripreso qualcosa di buono anche da tuo padre.»
«Vuoi dire a parte l’amore per una donna
stupenda?»
«Soprattutto
quello! La mamma sarà contenta di saperlo.»
«Non le dire niente o si monta la testa…»
«Canaglia», disse trattenendosi a stento dal
ridere.
«Beh, qualcosa di buono l’ho preso anche da te no?
A parte le battute, saluta tutti.»
«Tutti tutti?»
«Mi hai insegnato tu a non essere razzista…»
Questa volta non riuscì a trattenere una risata,
«Hai decisamente ripreso il meglio da me! Ciao pargolo, ci vediamo domenica
sera!»
Riattaccò.
«Come sta tua madre?»
«Sembra bene.»
«Mi fa piacere.» Gli mise davanti la cartina
«Guarda un po’ qui che forse ho avuto un lampo di genio. Vedi, qui c’è
l’entrata principale, qua invece quasi in linea retta dalla parte opposta c’è
il generatore, tutto intorno il parco, mi segui?» Al gesto affermativo
dell’amico si assestò meglio sulla sedia e continuò, «Entriamo scavalcando il
muro a metà strada fra i due obbiettivi, poi ci dividiamo: tu verso l’entrata,
io al generatore. Man mano che incontreremo sentinelle… bang.»
«Odio fare l’avvocato del diavolo, ma se non
incontriamo tutte le sentinelle fuori? Voglio dire, a parte il fatto che per
fare quello che dici attraverseremmo solo mezza circonferenza del parco: questa
parte, da dove entriamo», disse segnandola sulla cartina con un dito. «E’
ragionevole pensare che le sentinelle saranno dislocate su tutta la superficie
del parco non credi? Non riesco a capire poi su quali basi abbiano stabilito il
dislocamento delle sentinelle all’interno della villa. Mi sembra inverosimile
che ce ne siano solo due davanti alla porta di Estrada.»
Negli occhi di Drake passò un lampo che lo stupì.
«Dimentico sempre qualcosa» fu il suo solo commento. «Ma anche io ho qualche
perplessità per le sentinelle all’interno» aggiunse tetro.
«Potremmo seguire il tuo piano, poi tu mi
raggiungerai all’entrata dalla parte diciamo ripulita, è troppo pericoloso
per una persona sola affrontare l’altra parte da sola, e mi aspetterai nascosto
fuori controllando che non arrivino sorprese. Io mi occuperò di quelle dentro.»
Drake annuì.
«Ti va un caffè?»
«McGregory, se non fossi il mio migliore amico e
ti conoscessi come ti conosco, potrei fare la follia di sposarti.»
Juna scosse la testa sorridendo.
Menomale suo padre non era lì ad ascoltare.
A volte lui e Drake sembravano ragionare con lo
stesso cervello… certo a forza di stare insieme il loro senso dell’umorismo ne
aveva risentito!
Quella notte un temporale lo tenne sveglio per un
bel pezzo.
Che aveva Drake? C’era qualcosa che non quadrava
in lui.
Erano le tre passate quando si decise a scendere
in cucina a bere qualcosa… e si scontrò con Drake.
«Cosa ti tiene sveglio?» gli chiese appena lo vide
sulla soglia della porta «Il temporale o il nervosismo?»
«Sei nervoso Drake?»
«Come se non te ne fossi accorto…»
«E’ una missione un po’ strana» concesse prendendo
posto davanti a lui, «ma non ci stai rimuginando sopra un po’ troppo?»
«E se rivoluzionassimo gli orari?»
Juna si fece attento, «Stai veramente chiedendomi
di fare di testa nostra?» chiese lentamente, quasi sillabando le parole.
«Lo so, è follia. Quegli orari sono saltati fuori
da settimane di appostamenti ma…» sospirò, «non lo so. Quello che so è che per
la prima volta tutti e due abbiamo delle perplessità riguardo i dati che ci
hanno dato.»
«Ok Drake, voglio la verità intesi? Cosa stai
covando? Matthew ti ha detto qualcosa che ti ha messo in allarme? Credo di avere
il diritto di saperlo, se corriamo realmente dei rischi.»
Il ragazzo rimase in silenzio, lo sguardo fisso
sul piano di formica del tavolo di cucina.
Lo conosceva anche troppo bene per cercare di
illudersi: Drake stava radunando il coraggio per una confessione in piena
regola.
All’improvviso alzò lo sguardo su di lui e… «Juna,
sono fermamente convinto che la nostra ultima missione sia stata una trappola
in piena regola e che solo un mostruoso colpo di fortuna ci ha impedito di
lasciarci la pelle.»
Gli occhi di Juna si fecero penetranti come un
raggio laser. Ci mise qualche secondo ad assimilare la notizia, poi si alzò,
«Ok amico mio, raccontami tutto, io faccio un po’ di tea… ne abbiamo
decisamente bisogno.»
Drake si rilassò visibilmente e prese a raccontare.
Juna non spiccicò parola, ogni tanto annuiva,
mentre il mosaico andava completandosi con una semplicità che lo portò a
chiedersi dove avesse tenuto il suo geniale cervello nelle ultime due
settimane. Sotto naftalina, dannazione.
Adesso si spiegavano molte cosette.
«… è per questo che alla fine hai dovuto
aspettarmi per ben un quarto d’ora»
concluse.
«Non ci doveva essere nessuno e per una manciata
di secondi non ti hanno beccato?» chiese Juna con l’aria di uno che è convinto
di aver capito male.
Drake annuì, «Mi ha salvato l’essermi impigliato
facendo scattare quel meccanismo che ha aperto la parete capisci? E pensare che
ero convinto che i passaggi segreti esistessero solo nei romanzi. Erano in tre Juna,
erano armati e sapevano che ero lì. Non ti dico la loro sorpresa trovando solo
il cadavere. Hanno ribaltato la stanza per cercarmi, hanno guardato sotto il
letto, aperto gli armadi… sapevano che
ero lì. Hanno anche controllato il cornicione fuori della finestra! Ho
cominciato a temere che alla fine avrebbero preso te che mi aspettavi per
quanto sono rimasti nella stanza. Appena ho potuto mi sono precipitato
dov’eri.»
Juna si passò le mani fra i capelli, «Drake, per
Dio, cosa aspettavi a dirmelo? Lo hai detto a Farlan vero? E lui ha avvertito
Lewing. Con tutti quei particolari non stava rassicurando noi, stava cercando
di tranquillizzare se stesso.»
Drake assunse l’aria del bimbo beccato dalla mamma
con la manina nel vasetto di marmellata, per altro una delle espressioni
migliori del suo repertorio, «Non t’incazzare Mac, so di averla fatta grossa e
non cerco giustificazioni, aspettavo solo il momento giusto. Volevo dirtelo
quando siamo andati fuori a cena, ma dovevamo essere soli. E poi la tua
osservazione di oggi pomeriggio sul fatto delle guardie all’interno della
villa… è stata la prima cosa che ho pensato leggendo la relazione, ma sentirlo
dire ad alta voce da te…»
«Ho visto l’effetto che ha avuto su di te, e ora
capisco il perché.»
Doveva cercare di ragionare lucidamente, c’era in
ballo anche la vita di Drake.
Aveva dell’incredibile per Dio.
«Juna…»
«Dovrei strozzarti lo sai vero?, ma visto che ti
voglio troppo bene e in ultima analisi mi servi, dovrò limitarmi a trovare una
soluzione. Sta bene. Arriveremo alla villa con un bel po’ di anticipo, direi che
verso l’una o le due andrà bene. Seguiremo il piano che abbiamo preparato ed
entreremo tutti e due dentro… dopo di che, andremo letteralmente con Dio.
Scordiamo tutte le notizie di quel dossier. Se qualcosa dovesse andare storto,
andremo da Richard, a questo punto sono certo che nell’evenienza della peggiore
delle ipotesi, ci aspetta. Spero solo che lui sia dalla nostra parte e di non
cadere dalla padella alla brace.»
Drake sembrò andare a sbattere contro un muro. «Veramente
pensi che…??» cominciò allibito.
«So che tendi ad affrontare una brutta notizia per
volta Drake, ma questa è una situazione che va affrontata a trecentosessanta
gradi. Cerca di ragionare: se dobbiamo proprio dirla tutta, chi è in grado di
tenderci una trappola o di mettere qualcun altro in grado di farlo?»
Il suo migliore amico chiuse gli occhi, «Oh merda…
Mac, mi rifiuto di credere una cosa simile. Ci hanno arruolato loro, che senso
avrebbe?»
Juna scosse appena le spalle, «Potremmo funzionare
troppo bene. Potrebbero essere cambiate alcune cose. Chi lo sa?»
«Amico mio, se non possiamo fidarci di Lewing e
Farlan, non usciamo neanche di casa.»
«Qualcuno ci ha traditi Drake, questo non è in
discussione. Darkness e Falcon sono diventati scomodi per qualcuno e fino a
quando non sapremo chi è questo figlio di puttana, non possiamo fidarci
più di nessuno tranne che di noi stessi. Abbiamo preso un impegno e lo
porteremo a termine, ma da adesso fino a quando non avremo le idee chiare,
voglio che tu abbia ben chiara una cosa Drake: io sono l’unico amico che hai e
l’unico di cui ti puoi fidare.»
Drake lo fissò per qualche istante, poi
semplicemente annuì.
In fondo era così da sempre.
Il primo a svegliarsi fu proprio Drake. Erano da
poco passate le ventuno.
Svegliò anche l’amico e decisero di indossare
subito le tute.
Nessuno dei due aveva riposato bene.
Juna stesso si rendeva conto che per essere agenti
segreti avevano vissuto nel mondo dei sogni fino ad allora. Addirittura davanti
all’evidenza di un tradimento, neanche per un attimo Drake aveva messo in
discussione Richard Lewing e Matthew Farlan… eppure erano loro due le persone
più ovvie.
Ci vollero quasi due ore per vestirsi e preparare
le apparecchiature, era evidente che non si sentivano per niente sicuri.
Avevano preso la loro appartenenza all’F.B.I. come
un gioco, ecco la verità, e alla fine si erano svegliati da quel bel sogno.
L’auricolare era ad una sola cuffietta – la destra
- collegata tramite un filo sottilissimo al microfono ultrapiatto della
grandezza di una monetina che restava agevolmente sotto il passamontagna, il
quale, una volta indossato, lasciava scoperti solo gli occhi.
Controllarono le pistole, smontandole e oliandole,
e i caricatori, infine, inserito il caricatore nella pistola e assicurato
quello di scorta alla cintura, le misero nella fondina legata alla coscia.
Provarono i microfoni e Drake lanciò un breve
fischio, «Ti ho a meno di un metro e mezzo, eppure ti sento dall’auricolare.»
«Queste tute devono essere di un particolare
materiale isolante, hai notato come sono leggere? Sembrano una seconda pelle.»
Drake annuì.
Farlan aveva scritto in un biglietto a parte di
averle scelte all’ultimo momento, che erano arrivate in dotazione all’F.B.I.
meno di una settimana prima… e adesso sia lui che Drake si stavano chiedendo se
per caso quella fosse l’ironia finale.
Stavano andando a farsi ammazzare?
«Che ne facciamo dei borsoni?» chiese Drake.
«Ce li portiamo dietro, insieme al cambio di
abiti.»
Uscirono dalla porta di servizio e raggiunsero il
garage dove avevano nascosto la porche nera con la targa falsa e i finestrini
scuri.
Per circa mezz’ora nessuno dei due parlò.
Juna guardava la strada che scorreva veloce sotto
le ruote della macchina e la sua guida era sicura e sciolta come sempre, era
l’aria che li circondava carica di un qualcosa di molto simile alla tensione.
Alla fine fu Drake a parlare «Ce l’hai con me
vero?»
«No Drake, non ce l’ho con te. Capisco la tua
reticenza nel dirmi una cosa del genere: è grave, sono in gioco le nostre vite,
volevi essere sicuro. Pensi che non mi sia accorto che la preoccupazione ti
stava quasi soffocando? Certe cose sono pericolose a prescindere che siano vere
o false… stiamo parlando di una talpa in seno a un dipartimento che conta più
agenti in incognito e sotto copertura di qualunque altro all’interno
dell’F.B.I., dannazione. Se non si tratta né di Richard né di Matthew la
situazione è addirittura al limite della catastrofe. Lascia perdere per un
attimo noi due e la tragedia che sarebbe per le nostre famiglie che non sanno
nulla. Ricordi quella lista? Tutti gli agenti in Libia, in Jugoslavia, in Afghanistan… sarebbe una strage.»
«Matthew, per quello che può valere adesso, mi ha
assicurato che sono al corrente di questa missione solo cinque persone: lui, il
suo braccio destro, Lewing, il capo dell’F.B.I. e il Presidente degli Stati
Uniti…»
«… ma non sono sicuri. Altrimenti Richard non ci
avrebbe messo a disposizione sua madre.»
«Esattamente quello che ho pensato io. Sempre che
quella non sia la trappola se usciamo vivi da quella villa, dannazione!» esplose
dicendo finalmente a chiare lettere e ad alta voce quello che pensavano
entrambi «Come ho fatto a non arrivare a pensare una cosa simile? E’ la più
logica.»
«Ora dobbiamo solo pensare ad arrivare a vedere
l’alba, dopo di che se c’è qualcosa da scoprire, sta’ certo che la scopriremo.»
Si lanciarono un’occhiata.
Arrivarono al muro di cinta poco prima dell’una e
nascosero la macchina. Scesero e, indossati i giubbotti antiproiettile, Drake
prese la corda con gancio dal portabagagli.
Guardarono un attimo i lacrimogeni che giacevano
sul fondo, poi i loro sguardi s’incrociarono.
Drake chiuse il bagagliaio con un tonfo sordo.
Non c’era che dire: l’automobile era stata ben
equipaggiata.
«Dimmi il punto da scavalcare, sei molto più bravo
di me con i calcoli spazio-aria.»
Juna si guardò intorno mentre quel computer che
era il suo cervello si mise in moto.
Avevano superato il cancello e girato intorno alla
villa per circa trecento metri, tenendo conto che il cancello era a circa
centocinquanta metri in obliquo rispetto all’entrata… «Dobbiamo spostarci di un
altro centinaio di metri verso destra o ci troveremo troppo distanti dal
generatore.»
Drake annuì e si mossero silenziosi e fulminei.
Quando Juna gli fece cenno che era il punto
giusto, si fermò e lanciò la corda che attaccò alla prima.
Si arrampicarono e saltarono dall’altra parte. Non
si curarono della corda, con un po’ di fortuna gli sarebbe servita di nuovo
alla fine della storia e, accovacciati sul manto erboso si guardarono intorno
per mandare a memoria tutti i possibili particolari del luogo per poi poterlo
ritrovare.
«Si dice di andare?» chiese Drake.
«La minima cosa che non ti torna, avvertimi.»
«Mi hai tolto le parole di bocca…»
«Drake.»
«Cosa?»
«Tieni questi.»
I piccoli pugnali ninja
luccicarono sotto un improvviso raggio di luna.
Sentì il respiro del suo migliore amico
bloccarglisi nei polmoni. «Dove li hai
presi?» chiese.
«Ho le mie scorte personali Tyler. Ne abbiamo
dieci per uno.»
Drake scosse la testa, «Mac, ecco perché sono
sempre pronto a mettere la mia vita nelle tue mani…»
«In bocca al lupo.»
«Crepi.»
Estrassero le pistole e tolsero le sicure, poi
scattarono nelle due direzioni opposte.
La luna era andata in vacanza quella notte,
probabilmente vi erano ancora le nuvole della notte prima.
Per fortuna i suoi occhi si abituavano subito
all’oscurità, ma se si fosse messo a piovere - anzi a diluviare – come
la notte precedente, sarebbero stati dolori.
All’improvviso la voce di Drake gli diede una
bella notizia, «E cinque… mi sento tanto come un bambino davanti al bersaglio
al luna park, anche se qui non ci saranno orsacchiotti in omaggio.»
C’era decisamente qualcosa che non quadrava per la
miseria, in poco meno di trentacinque minuti Drake aveva incontrato e ucciso
cinque guardie, lui non aveva ancora visto un’anima!
Che accidente di sorveglianza era quella?!
«Sta’ attento Drake.»
«So cosa vuoi dire… vedi qualcuno in giro?»
«Neanche un cane.»
«E’ una situazione di merda Juna, se c’è un po’ di
istinto animale in te, è ora di tirarlo fuori.»
Sorrise «Hai anche tu la netta sensazione di
essere troppo in anticipo?» Drake gli rispose con un verso a metà fra il
sospiro e il ringhio. «Ho capito. Avvertimi quando hai scollegato l’allarme.»
Continuò a procedere lento e guardingo.
All’improvviso sentì un brusio distante ed
incomprensibile, si bloccò appiattendosi contro un grosso albero e rimase
immobile. Qualunque cosa fosse, puntava verso di lui.
Alla fine distinse due voci e nel suo campo visivo
entrarono due figure precedute da un fascio di luce… e la prima sorpresa della
serata.
Cani. Stramaledizione,
due dobermann.
«Io non capisco tutta questa fretta» stava dicendo
quello più alto in uno spagnolo biascicato accendendosi una sigaretta. «Prima
delle quattro e mezzo non si vedrà nessuno, è appena l’una e mezzo e mister
F.B.I. se la faceva già sotto dalla paura!»
«Già, quei due devono essere autentici fenomeni.
Io non capisco perché vogliono fare fuori i loro agenti migliori, da quello che
ho capito, elementi del genere servirebbero a noi!» Dette una risatina bassa ed
estremamente sgradevole «Ma sarà comunque un gioco da ragazzi farli fuori
quando arriveranno! Calcola che non sanno dei cani e che già per le tre avremo
organizzato il comitato di accoglienza… quasi quasi mi vergogno di essere
pagato stasera!»
«Non ti nascondo che sono curioso di vederli in
faccia questi due» continuò l’altro, «per mettere il pepe al culo a uno come
Carlos devono essere davvero delle belve! Sai cosa ho sentito dire…?»
Per un attimo scordò il problema dei cani e una
rabbia sorda s’impossessò di lui. Drake aveva visto giusto! Era una dannata
trappola! Se avessero eseguito alla lettera le istruzioni ricevute sarebbero
stati ammazzati senza possibilità di difendersi.
Un pensiero lo colpì: perché i cani non sentivano la sua presenza? Se ne stavano
tranquilli vicino ai due uomini, a meno di quattro metri da lui.
Lizar e Dragar lo sentivano appena passava il
cancello.
Chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente più
leggero. Ringraziò mentalmente Matthew e le sue improvvisazioni: la tuta, ecco cosa lo stava proteggendo.
Tirò fuori due pugnali ninja.
Con l’altra mano impugnava la pistola.
Essere ambidestro tornava veramente utile a volte.
Anche le lezioni di piano che aveva preso fino a tre anni prima lo avevano
aiutato non poco a disconnettere le mani l’una dall’altra.
Agì come un ciclone e in pochi secondi quattro
corpi senza vita giacevano ai suoi piedi.
«Drake.» La rabbia era troppo violenta per essere
trattenuta o nascosta «Drake, ascoltami bene, siamo nei guai.»
«Juna? Ma cosa…?»
In poche parole gli spiegò cosa aveva scoperto, la
novità dei cani e quanto dovessero ringraziare Matthew, «Il problema è che non
so quanti cani ci sono, e tanto meno sono sicuro di quante guardie ci siano
rimaste… e calcola che stanno organizzando un comitato di accoglienza.»
Drake bestemmiò, «Sono davanti al generatore da
almeno cinque minuti Juna e ora capisco: l’allarme
è scollegato, ci ho messo una vita a capacitarmene! Questi figli di puttana
non hanno neanche perso tempo ad attivarlo per quanto erano sicuri di farci
fuori! Fra quanto sei all’entrata?»
A parte il fatto che fosse incazzato nero percepì
lo stesso sollievo nel suo tono.
Matthew poteva essere ragionevolmente pulito… a
meno che non avesse voluto coprirsi le spalle all’ultimo momento.
«Dieci minuti scarsi.»
«Aspettami lì.»
«Occhio ai cani Drake, non ti sentono, ma possono
vederti. E sono dei dobermann, sai cosa voglio dire.»
«Stai tranquillo amico mio, ho visto i tuoi
cuccioli in azione.»
Appena un quarto d’ora dopo erano entrambi
acquattati a una trentina di metri dall’entrata principale, un grosso e pesante
portone di legno.
«I quattro cani siamo costretti a ucciderli tutti»
cominciò Juna, «uno degli uomini deve sopravvivere il tempo utile per dirci
quel nome Drake, voglio quel nome.»
«Scegli compare, quale vuoi che sopravviva?»
chiese indicando con un gesto della mano i quattro uomini che stazionavano
davanti al portone.
Potevano saperlo tutti o nessuno, a quel punto
scelse l’alternativa più pratica per loro.
«Quello con il giubbotto di jeans.» Era il solo non
armato, tratteneva due cani.
«Scelta lungimirante. Tu gli uomini, io i cani?»
Gli annuì. «Grazie.»
«Figurati.»
Stavano per muoversi, quando Drake vide un
qualcosa di così incredibile che per qualche secondo riuscì a convincersi di
avere le allucinazioni.
Afferrò l’amico per un braccio, «J-Juna, hanno un
ostaggio» farfugliò senza crederci neanche lui.
«Cosa? Ma dove lo vedi?»
«Tu quella specie di puffo legato ed imbavagliato
come lo definiresti?»
«Tu prendi l’uomo e fatti dire il nome, io mi
occupo del bambino. Stanno andando via Drake, muoviamoci!»
Saettarono fuori della vegetazione e coprirono la
distanza che li separava dall’ingresso in pochi secondi.
Tutti i bersagli scelti furono colpiti a morte.
Il ragazzino rimase inchiodato al suolo, due
occhioni azzurri sgranati e terrorizzati.
L’altro si guardò intorno come se non ci credesse
e Drake gli fu fulmineamente addosso con un allegro “Sorpresa!”, che ovviamente sentì solo lui, per poi trascinarlo
lontano da loro.
Il bambino lo guardava con un misto di stupore e
curiosità. «Tutto ok cucciolo», disse mentre gli toglieva il bavaglio «non
vogliamo farti del male.»
Lo sguardo non cambiò, se si esclude un lampo di
paura.
Dannazione, il passamontagna, non lo sentiva.
Si liberò la bocca e ripeté il concetto, «Stai
tranquillo piccolo, non vogliamo farti del male.»
«Mi-mi portate a casa?» chiese in un bisbiglio.
Aveva sì e no l’età di Melissa.
«Come ti chiami?»
«Michy… cioè, Michael.»
«E poi?»
«Flalagan.»
S’impose la calma, in fondo non c’era un solo
Flalagan in tutta Boston… quell’improvviso pessimismo era a causa delle brutte
notizie che gli aveva dato Drake.
«Come si chiama tuo padre?»
«Jeremy… e la mamma Sarah e mia sorella Jennie…
Jennifer.»
Per un attimo gli mancò il respiro, poi dovette
fare uno sforzo notevole per reprimere una bestemmia: il governatore per
l’appunto si chiamava proprio Jeremy Flalagan, ed era troppo realista per
cercare di convincersi che esistesse un altro Jeremy Flalagan sposato con una
Sarah e con una figlia di nome Jennifer.
Che razza di nottata!
Drake tornò «Ho il nome» annunciò torvo. «Non mi
dice niente, ma il tizio mi ha confermato che era uno dell’F.B.I..»
E ancora non sapeva il resto…
Rimise a posto il passamontagna, «Bene, me lo
dirai dopo. Il piano è cambiato, io entro e tu torni subito in macchina con
lui. Ti spiegherò tutto dopo.»
Drake non sembrò molto contento della cosa, «Juna…»
Ecco un bel problema.
«Per parlargli libera la bocca o non ti sente e
ricordati di usare i nostri nomi in codice in sua presenza, potresti
scordartene quando non hai il passamontagna. Non ti azzardare a chiamarmi Juna
davanti a lui, intesi?»
«Non ci sono altri cani dentro, ma sei uomini
oltre Estrada e sono armati fino ai denti.»
«Ora che lo so, saprò regolarmi di conseguenza.
Drake, non possiamo portarci dietro il bambino là dentro e non possiamo
lasciarlo qui, è spaventato a morte. Dammi retta. Tu poi neanche capisci lo
spagnolo, sapere cosa dicono aiuta parecchio. Torna alla macchina con lui, come
senti gli spari in aria…»
«Come farò a sapere che sono spari in aria e non
contro di te?»
A volte Drake aveva più domande di un bambino di
tre anni. Lasciava Michael in buona compagnia.
Attinse dal suo arsenale di pazienza, «Quelli che
sparerò io saranno al di fuori della villa e li sentirai, quelli all’interno
della villa non li sentirai: hai letto anche tu che le pareti sono
insonorizzate, ricordi?»
«Come pensi di uscire dal parco? Sarò costretto a
tirare la corda dall’altra parte uscendo con lui e non è detto che la ritrovi
se la lancio alla cieca, hai imparato a volare stanotte? Sarai completamente…»
«Troverò un’altra uscita, vieni a prendermi al
cancello.»
«Quanto coprono di distanza questi auricolari?»
«Temo solo il perimetro del parco della villa
Drake, non era nei piani dividersi così tanto.»
«E’ una follia Juna, là dentro niente potrebbe
essere come te l’aspetti.»
«Dovrò rischiare. Drake, non perdiamo tempo
inutilmente: non è in discussione che il bambino debba uscire subito dal
perimetro del parco, ok? Non abbiamo altra scelta. Appena senti gli spari, porta
la macchina al cancello e aspettami lì.»
Detto questo si girò verso il portone.
Drake lo bloccò per un braccio, «Aspetta accidenti
a te. Dammi la tua pistola, prendi la mia e il mio caricatore di riserva.»
«Tu pensi di difenderti a parolacce?»
«Li abbiamo uccisi tutti, restano solo quelli
dentro, e preferisco che i proiettili avanzino a te. Tu hai sparato meno di me,
la tua pistola è più carica: ho sparato alle cinque guardie, poi abbiamo usato
i pugnali, tu hai sparato solo alle due guardie, per i cani hai usato subito i
pugnali. Non rimarrò indifeso.»
Ci pensò qualche secondo, «Ok», disse prendendo la
pistola e il caricatore, «porta via il bambino.»
Sparì dentro il portone.
«Testone incosciente…» bofonchiò. Si alzò il
passamontagna il minimo indispensabile per liberare la bocca, «Come ti chiami
campione?»
«Michael.»
«Ok, vieni con me.»
«E il tuo amico?»
«Ci raggiungerà fra poco» rispose sperandolo con
tutto se stesso.
«Va dall’uomo cattivo vero? Da Carlos.»
«Può darsi, ha qualche importanza?»
«Se ti chiedo come ti chiami non me lo dici vero?»
«No piccolo, non posso.»
«Tu e lui non siete cattivi.» Gli tese la manina
«Vengo con te.»
Mentre si avviava verso la vegetazione con quel
puffo appeso alla mano cominciò a chiedersi come accidenti pensava di ripassare
dall’altra parte del muro con lui.
Eppure Juna aveva ragione: c’erano tutta una serie
di follie da fare e non avevano altra scelta.
Il cancello di ingresso era troppo normale
e poi forzare la serratura avrebbe richiesto tempo e rumore… e comunque per raggiungere
la macchina sperando di non essere visto doveva per forza uscire da dove era
entrato.
Quel bambino non ci voleva proprio.
«Michael, hai mai scalato un muro?» Al cenno
negativo del bambino sorrise, «Non è mai troppo presto per cominciare. Tu dovrai
solo tenerti molto forte, ok?»
Michael annuì.
Si rimise il passamontagna. «Amico mio, mi senti?»
Lo accolse un buio totale e un piacevole fresco.
Non era affatto tranquillo. Da quel momento era
solo ed era la prima volta che succedeva da quando lui e Drake si erano
imbarcati in quell’avventura.
La voce di Drake lo raggiunse in cuffia «Amico
mio, mi senti?»
«Per ora sì.»
«Mi sto avviando al muro. Proverò a ricontattarti
solo appena passato il muro… probabilmente per avere la conferma che non sarai
più raggiungibile, maledizione. Concentrati su quello che devi fare ed esci
vivo di lì, perché solo io posso smontarti, intesi?»
«Intesi.»
Recuperò nella memoria la piantina della villa,
sperando sempre che fosse… aggiornata.
Capì subito verso dove doveva dirigersi, ma i
primi due problemi apparvero nel salone d’ingresso.
I due uomini rimasero talmente scioccati
intravedendolo alla luce delle torce che fece in tempo a raggiungerli e
ucciderli con una pugnalata alla gola.
Quanti ce ne dovevano essere? Sette?
Salì velocemente lo scalone che portava al piano
superiore e appena arrivato nel pianerottolo si scontrò con il terzo problema.
Gli ruppe semplicemente l’osso del collo, stordendolo prima con il calcio della
pistola.
Era abbastanza evidente che non lo aspettassero
così presto… neanche erano armati.
Arrivò senza ulteriori problemi davanti alla porta
della camera di Carlos… sempre, per inciso, che fosse veramente quella
la stanza di…
La sua attenzione fu catturata da delle voci in
fondo al corridoio.
Le seguì raso al muro e vide della luce filtrare
attraverso una porta socchiusa. Sembrava che gli assenti all’appello fossero
tutti lì.
Aveva il caricatore praticamente pieno di Drake
nella pistola e in ogni caso lo sapeva cambiare a velocità record se la
situazione lo richiedeva.
Sei solo adesso, Dio solo sa se la
situazione lo richiede.
Si avvicinò ancora di più alla porta… gli
conveniva entrare e aprire il fuoco? Non sapeva la dislocazione dei bersagli
nella stanza.
«Carlos, saresti dovuto andare via con Diego e Migũel»
disse la voce numero uno.
«Non mi sarei perso lo spettacolo per niente al
mondo Ernando» rispose la voce di Carlos Estrada, perché doveva essere per
forza lui a rispondere.
Serrò la mascella imponendosi la calma… lo avrebbe
vissuto in diretta lo spettacolo, quel figlio di puttana, poteva scommetterci.
«Sono dei sicari, Flyer è stato chiaro, più che
per l’F.B.I. lavorano per chi li ha arruolati… siete proprio sicuri che non sia
il caso di provare ad averli dalla nostra?» chiese la voce numero due.
«Ci hanno creato troppi problemi» disse la voce
numero tre «e poi come tradiscono l’F.B.I. potrebbero tirarlo in culo a noi.
No, meglio toglierli di torno.»
«Sante parole» disse Ernando. «Mi addormenterò più
tranquillo sapendo quei due al Creatore.»
Dalle voci dovevano essere raggruppati… seduti
intorno ad un tavolo o forse su un divano e delle poltrone vicine.
Erano così gentili da voltare anche le spalle alla
porta?
«Come siamo messi con il governatore?» chiese
all’improvviso Carlos «Sono stanco di avere il moccioso fra i piedi.»
«Se lo uccidiamo adesso dovremo trovare un posto
per nasconderlo a dir poco a prova di bomba Carlos» disse la voce numero due.
«Quel ragazzino è l’unica motivazione che potrebbe convincere Flalagan a non
firmare quella legge.»
«Io mi sarei divertito molto di più con la
figlia…» aggiunse la voce numero tre.
Senza rendersene conto accarezzò la canna della
pistola… lo avrebbe fatto divertire lui adesso.
Le risatine che seguirono quel commento gli fecero
venire l’impulso di irrompere nella stanza.
Si riscosse sorpreso… che gli stava succedendo?
Ricordava Jennifer… era un pulcino spaurito quando
avevano passato quella vacanza insieme alle loro famiglie alle Hawaii, non
sarebbe sopravvissuta un quarto d’ora con quegli animali.
La decisione fu immediata.
Spinse appena la porta e si piantò sulla soglia.
Lo accolse il silenzio più assoluto e due paia di
occhi che si sgranarono fino all’inverosimile.
«Ma che accidente…» cominciò la voce numero tre,
poi si girò e lo vide.
Carlos, lo riconosceva per averlo visto in foto,
lo guardò come se non ci credesse.
Per sfizio sparò subito in testa alla voce numero
tre.
Lo sparo fu seguito dal silenzio più assoluto.
Poi fu la voce numero due a balbettare, «Non… non
è possibile… non puoi essere davvero…»
Sparò anche a lui, al cuore colpendolo in pieno.
Avevano avuto la gentilezza di mettersi già in
posizione da plotone di esecuzione…
Puntò la pistola contro Ernando, che tese le mani
in avanti, «No! Ti scongiuro! Non f…!»
Sparò anche a lui.
Occhi-cuore occhi-cuore.
Le più classiche esecuzioni.
Il silenziatore rendeva ogni detonazione come un
palloncino che si sgonfia tutto insieme, ma nel silenzio assoluto sembrava un
boato.
Puntò la pistola contro Carlos.
«Aspetta…» disse Carlos. «Capisci la mia lingua?»
Voleva parlare? Ok, anche i condannati hanno
diritto ad un ultimo desiderio.
Annuì con la testa, sempre tenendolo sotto mira.
«Stammi a sentire… posso darti molti soldi.
Chiedimi quello che vuoi.»
Gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia se avesse
avuto la soddisfazione che lui lo vedesse.
Scosse la testa.
Carlos storse la bocca in un sorrisino tirato,
«Sono il solo rimasto vivo in questa casa, vero?»
Alzò la mano libera facendogli segno che erano in
due.
Carlos ebbe uno sbuffo, «Hai anche senso
dell’umorismo. E il figlio del governatore? Lo avete già ripreso?»
Annuì.
Aveva molta flemma quell’uomo. Sembrava non aver
paura.
«Come dannazione avete fatto a capire che era una
trappola?»
Scosse le spalle, era la vita.
«Già che sono un uomo morto potresti toglierti il
passamontagna. Voglio guardare in faccia chi ammazza quattro uomini disarmati.»
O era molto coraggioso o…
Qualcosa lo mise in allarme, senza pensare piegò
il braccio che teneva la pistola sopra la sua spalla e fece fuoco alle sue
spalle, all’altezza della sua testa, colpendo alla cieca.
Ebbe la soddisfazione di udire un gemito seguito
da un tonfo sordo.
L’uomo aveva chiaramente mentito a Drake.
In quanti erano allora?
A quanti stronzi stava voltando le spalle?
S’impose la calma.
Vide Carlos cambiare colore per la prima volta… ne
dedusse che l’uomo aveva visto cadere a terra la sua sola speranza.
Alzò il passamontagna per liberarsi la bocca,
adottò il suo timbro di voce più soave. «Flyer non ti ha avvisato che ho gli
occhi anche di dietro? Peccato. Tanto per chiarire: sei disarmato perché sono
arrivato prima che ti armassi, gran figlio di puttana. Non farmi discorsi
sull’etica e l’onore Estrada, sei l’ultima persona al mondo che può parlarne.
Nei tuoi piani sarei dovuto essere io quello massacrato, vero? Dieci persone e
quattro cani da guardia contro due persone totalmente impreparate ad
un’imboscata: era questo il tuo onorevole piano, vero? Ti do una notizia in
esclusiva: ti è andata male. Appena ho un attimo di tempo mi occuperò anche del
tuo aggancio all’interno dell’F.B.I. e ti posso garantire una cosa: i tuoi
fratellini si troveranno con il culo scoperto e io sarò lì pronto a prenderli a
calci.»
Sparò anche a lui e chiuse virtualmente la
missione.
Si tirò di nuovo giù il passamontagna ed eseguì
una rapida perlustrazione della stanza.
Scorse velocemente i documenti sul tavolo in fondo
alla stanza, si rese conto che erano le planimetrie della villa e decise di
lasciarle dov’erano.
Dopo un’ultima occhiata in giro uscì dalla stanza
e ripercorse a ritroso la strada che lo aveva condotto lì.
Quando dopo i quaranta minuti più lunghi della sua
vita, durante i quali non si maledì mai abbastanza per aver dato retta a quella
testa matta del suo migliore amico, sentì gli spari, mise in moto la macchina e
si diresse verso il cancello.
Aveva dovuto spostare la macchina in una stradina
piccola e mal illuminata, aveva cercato di avvicinarsi il più possibile al
cancello… ma gli sembrava sempre di esserne troppo lontano.
Da quel momento in poi avevano i secondi contati,
sempre sperando che gli agganci di Matthew fossero già ai loro posti.
Guardò l’ora, forse sì.
«Andiamo a prendere il tuo amico?»
La voce di Michael lo fece sussultare.
Con il fatto che si fosse placidamente appisolato,
si era quasi scordato di lui.
«Sì Michael, vuoi farmi un favore? Rimettiti a
dormire, non avremo molto tempo per te.»
Si coprì di nuovo la bocca abbassando
completamente il passamontagna.
Il bambino si rimise buono buono sdraiato sul
sedile posteriore.
Arrivò al cancello in meno di dieci minuti e Juna
lo stava giusto scavalcando.
Per chissà quale miracolo non si ruppe niente
saltando a terra da un’altezza impossibile.
Quando entrò in macchina cominciò a rilassarsi di
nuovo.
«Tutto a posto, parti.»
Partì con una sgommata.
«Stai bene?»
«E’ stato un gioco da ragazzi, non mi aspettavano
così presto.»
«Quanti erano?»
«Uno in più rispetto a quanto ti hanno detto.»
Le mani di Drake si serrarono intorno al volante,
«Quel figlio di puttana… sei sicuro di stare bene?»
«Sono illeso, stai tranquillo. Mi è arrivato alle
spalle ma gli ho sparato colpendolo anche senza vederlo.»
Drake sbuffò, «Gli addestramenti di Cip e Ciop
fanno miracoli.»
«Non ho neanche dato un’occhiata in giro per
vedere se ci fosse ancora qualcun altro all’interno della villa.»
«Non ti sei neanche messo un bersaglio sulla
schiena, perché avresti dovuto comportarti come se lo avessi?»
Sentì la risatina di Juna, «Sei esilarante quando
sei incazzato, lo sai?»
Cosa lo tratteneva dallo strangolarlo? Decise di
ignorare il commento.
«Che ne facciamo di lui adesso?»
«Lo riportiamo a casa.»
«Nel quoziente duecentosessanta c’è inclusa la
chiaroveggenza? Come fai a sapere dove abita?»
«Prima ti faccio io una domanda: hai avuto
problemi a portarlo fuori di lì?»
«No, figurati. Mi si è avvinghiato addosso e non
ha respirato fino a quando non abbiamo toccato terra dall’altra parte.»
«E’ il figlio del governatore.»
«Cosa?»
«Fermati a quella cabina.»
«Chi chiami?»
«Farlan, la talpa si chiama Flyer vero?»
«Ti faccio una domanda idiota: chi te lo ha
detto?»
«Li ho sentiti parlare.»
«Colin Flyer a voler essere precisi.»
«So cosa stai pensando Drake, ma a prescindere dai
sospetti dobbiamo essere realisti adesso: deve arrivare per primo alla villa,
fa parte del piano, non possiamo essere sicuri che i suoi agganci siano pronti
a quest’ora.»
«Sai vero che potrebbe arrivare per primo per
trovare il modo di incastrarci.»
«E’ un rischio che dobbiamo correre. La contro
partita sarebbe l’aver fatto tutto questo per niente.»
Drake accostò senza fiatare.
Juna entrò nella cabina, parlò meno di due minuti
al telefono e rientrò in macchina.
«A casa del governatore ora, ti dico io dove
andare.»
«Non possiamo farci vedere.»
«Ci penso io. Conosco bene quel posto, mio nonno
conosce Jeremy Flalagan da quando è nato, con suo padre andavano a scuola
insieme. Io è da circa sei anni che non li vedo, sapevo della nascita di
Michael, ma non lo avevo mai visto prima. Lascerò il bambino sulla soglia di
casa e gli chiederò di contare fino… beh, fino a dove può arrivare, speriamo
arrivi fino a trenta o quaranta, prima di bussare.»
«Se non sa ancora contare, digli di cantare per
venti volte di seguito la sigla del suo cartone preferito. Io non so chi me lo
fa fare di darti retta, abbiamo fatto più cazzate in una nottata che nel nostro
ultimo anno di vita.»
«Pensa a che noia sarebbe la nostra vita
altrimenti.»
Drake decise di ignorarlo. «Che facciamo dopo?»
«Andremo da Richard, Matthew ci raggiungerà lì.»
Michael lo seguì docile.
Lo vide illuminarsi quando riconobbe la propria
casa e la stretta di quella manina nella sua si serrò.
«Mi avete davvero riportato a casa… grazie»
mormorò con le lacrime agli occhi.
Lo guidò dietro una siepe e il bambino lo seguì
fiducioso, anche se si allontanarono dalla casa.
Si liberò la bocca dal passamontagna e si accucciò
accanto a lui. «Michael, devo chiederti un favore.»
«Dimmi.»
«Per motivi che non posso spiegarti, per niente al
mondo i tuoi devono vedere me o il mio amico. Ti accompagnerò fino alla porta,
poi dovrai contare fino a cinquanta prima di suonare il campanello o farti
sentire.»
«So contare fino a dieci senza sbagliare.»
«Ok, allora conta fino a dieci per cinque volte.
So di chiederti molto perché tutto quello che vuoi in questo momento è rivedere
il tuo papà, la tua mamma e la tua sorellina… ma devi lasciarmi il tempo di
mettermi al sicuro.»
L’espressione di Michael si fece corrugata, «Sei
in pericolo?»
«Potrei esserlo se qualcuno mi vede.»
«Conterò fino a dieci per cinque volte e lo farò
lentamente. Te lo prometto.»
Lo spettinò in un gesto d’affetto che sorprese lui
per primo.
Michael si limitò a gettargli le braccia al collo
e baciarlo sulla guancia lasciata scoperta dal passamontagna alzato, «Grazie
guerriero. Grazie anche a quello che mi ha portato oltre il muro, ho avuto
paura, ma sapevo che non mi avrebbe fatto cadere.»
Gli annuì e rimise a posto il passamontagna, poi
lo prese di nuovo per mano e lo accompagnò davanti alla porta.
Lo lasciò davanti alla porta e si allontanò.
Quando si voltò arrivato al cancello, Michael lo
stava ancora guardando, una manina sprofondata nella tasca dei pantaloni e una
davanti alla bocca… neanche aveva iniziato a contare.