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Autore: Yaya    13/01/2015    0 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. Lui è un idolo delle teenager. Entrambi vorrebbero essere guardati per quello che sono, non per come appaiono. Due mondi che collidono oppure l'incontro di due anime che si appartengono?
“Il mio nome (...) è Keegan. Keegan Allen”.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di Keegan Allen ed eventuali altre star si incontreranno, nè offenderle in alcun modo'
 
Semplicemente buona lettura.
Yaya
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CAPITOLO 1. BENVENUTI AL BYRON'S BAY

"Te la sei cercata, Sissi. Buona fortuna!"

L'eco delle parole di Greg si spegne nel momento in cui chiude la porta; la sua risata sardonica, invece, resta sospesa nell'aria e mi strappa un sorriso. E' vero, me la sono cercata.

Mi guardo intorno, sospiro ed inizio a rassettare l'ordinario pasticcio che si crea quotidianamente qui al Bayron's Bay: music book and coffee, Berkeley, California. E' un locale unico nel suo genere, che fonde caffè, musica e libri. Un paradiso per chiunque cerchi un attimo di relax ed un buon espresso. E in una città universitaria come questa sono in molti a cercarli. In realtà è un paradiso anche per me, espatriata per sfuggire alla mia vita. E' un nido che mi ha accolto e che mi permette di ripartire da zero. Niente passato, niente spiegazioni, niente di niente se non me stessa.

Greg, il figlio del proprietario del locale, è stata la prima persona che ho conosciuto in America. Mi sono imbattuta in lui mentre girovagavo senza meta per la città. Era indaffarato a trasportare scatoloni di libri e vedendolo in difficoltà mi sono fermata per aiutarlo. Da un momento all'altro mi sono ritrovata assunta e arruolata: mi illudo che la mia conoscenza della letteratura e del mondo editoriale l'abbia ammaliato, ma sono certa che sia stato il mio caffè italiano a conquistarlo. Gira e rigira, dietro al bancone infatti ci finisco sempre io.

C'è da dire però che non posso lamentarmi. Posso leggere qualsiasi libro io voglia e anche esercitarmi al pianoforte. Cosa questa che faccio regolarmente solo quando il locale è vuoto. Non per falsa modestia, ma semplicemente perché ho paura che chi mi ascolta suonare possa raggiungere parti di me che non sono ancora pronta a rivelare al mondo. Sono in fuga da me stessa, non posso né voglio che qualcuno possa raggiungermi. Posso anche organizzare incontri con gli autori e presentazioni di libri, anche se solitamente io seguo l'organizzazione senza addentrarmi davvero a conoscere gli ospiti o presentarli al pubblico.

Fino ad ora.

Ho perso una scommessa e per onorarla Greg si occuperà della scelta del soggetto, mentre toccherà a me conoscere l'autore e pianificare con lui la presentazione vera e propria. "Hai bisogno di buttare giù qualche muro", mi ripete Greg ad oltranza. Lui sa che qualcosa di importante mi ha spinta ad andarmene da casa ma io non mi sono mai sbilanciata a raccontargli tutto. Non ha mai indagato rispettando i miei silenzi, ma è chiaro che quel ragazzo allampanato dall'aria svagata intuisce più di quanto io non dica. Quindi si, ho bisogno di molta fortuna, perché sono certa che organizzerà qualcosa di grosso. La sua risata non preannuncia niente di buono.

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Il trillo del telefono interrompe la mia ennesima rilettura di Alice's Adventures in Wonderland. Il locale è quasi vuoto a metà mattina e io non ho lasciato sfuggire l'occasione per rintanarmi un po' nel paese delle meraviglie. Ci metto così tanto a riemergere che non mi accorgo neanche di rispondere in italiano.
"Pronto?!" Mi accorgo di essere stata un po' brusca, ma prima che possa aggiungere altro sento una voce maschile all'altro capo.

"E' il Bayron's Bay? Parlo con...Sissilia?"

Giro gli occhi all'insù, sospirando. Il mio non è il miglior nome per passare inosservata in terra straniera.
 
"Cecilia. Si, sono io."

"Oh, ciao. Greg mi ha dato il tuo nome per organizzare il primo incontro. Sai, per quella presentazione. Io sarei disponibile già oggi se per te non è un problema"

"Figurati, io sono qui" rispondo.

La ricezione è pessima, riesco si e no ad appuntarmi un nome ed un orario. Mi guardo intorno. I tavolini rotondi attendono clienti che non tarderanno ad arrivare, i libri sono ben ordinati sugli scaffali, la sala della musica è ben visibile perché le spesse tendi blu di velluto sono aperte e il pianoforte verticale nero brillante si fa notare. Mi accomodo sullo sgabello e faccio scivolare lo sguardo nella saletta, dal divanetto imbottito alle chitarre posizionate lì accanto. Resto con lo sguardo fisso, finché la curiosità non ha la meglio e mi collego ad internet con lo smartphone. Voglio sapere chi incontrerò, cosa ha scritto, magari su Wikipedia trovo anche qualche curiosità che può tornarmi utile per non far languire la conversazione!

Dopo qualche minuto inizio a spazientirmi e borbotto ad alta voce una serie di epiteti poco carini rivolti a Greg. Vorrei strozzarlo perché si sta prendendo gioco di me riuscendoci senza sforzo. Se neanche Google trova questo fantomatico autore, la possibilità che sia uno scherzo si fa sempre più concreta. Invio un sms senza pensarci due volte: Greg, chi accidenti è Key Gallen?

Per fortuna non ho molto tempo per rimuginarci su, perché il movimento frenetico dell’ora di pranzo mi raggiunge puntuale come sempre. Il cibo della mensa sarà anche accettabile, ma il caffè a quanto pare no. Non ho nemmeno il tempo di estorcere informazioni al mio caro collega che continua a servire i clienti lanciandomi sorrisi sornioni. Quanto lo detesto quando fa così! Sa benissimo che mi destabilizza, odio non sapere chi incontrerò. Tendo ad avere tutto organizzato, forse a volte in modo eccessivo, ma oggi non voglio dargli soddisfazione. Mi impongo di rilassarmi e sfodero il mio lato più simpatico e cordiale. Neanche mi accorgo dell’ingresso di un ragazzo con occhiali da sole e berretto calato sulla fronte che si siede all'estremità bancone, mezzo nascosto da una libreria, fino a quando non sento che mi chiama.

“Sissilia?”

Ci risiamo, penso alzando gli occhi al cielo.

“Si, sono io. Abbi pazienza, un attimo e sono da te”

L’attimo si rivela più lungo del previsto, persa come sono tra spremute, cappuccini e caffè-che-come-fai-tu-non-li-fa-nessuno. Non mi sembra però che il ragazzo ne abbia risentito. Sta leggendo il libro che avevo appoggiato dietro al bancone facendo attenzione a non perdere il mio segno, tamburellando piano le dita sulla copertina.

“Dove sei arrivato?” gli chiedo avvicinandomi.

“All’incontro con il brucaliffo. E’ la mia parte preferita”. Sorride e la bocca sottile crea qualche ruga sul viso squadrato. Noto anche la fossetta sul mento, mi sembra un dettaglio conosciuto. Scuoto via il pensiero, chissà quante persone ho incontrato con quella fossetta! “Dunque è con te che devo parlare” aggiunge osservando la targhetta che ho appuntata al grembiule. “Si…si…lia?”

“No. Cioè si.  E’ con me che devi parlare. Ma il nome si legge Cecilia. Ce come the Cheshire Cat, ci come… Oh, lasciamo perdere. Puoi chiamarmi semplicemente Sissi” termino mentre mi slaccio il grembiule e lo appoggio dietro il bancone.

“Nome straniero?”

“Già”, sorrido. Sono davvero pochi quelli che capiscono al volo che sono straniera tutta intera, non solo per il nome. Ma ho colori così ordinari che in una società mista come quella americana passo assolutamente inosservata. Non che la cosa mi dispiaccia, perché mi diverte lo sguardo stupito di chi scopre la verità davanti ad un piatto di pasta cucinato come si deve.

Nei due minuti scarsi di tempo in cui mi sono fermata il locale si è di nuovo riempito. C'è un via vai strano per quest'ora. Solitamente la frenesia del dopo pranzo sfuma in pomeriggi rilassati con i clienti abituali che studiano, leggono e spiluccano. Ora invece sembra che l'età media si sia abbassata e che invece di universitari e ricercatori abbiano deciso di trasferirsi qui in massa liceali curiose. Greg si districa da un gruppo di biondine che bisbigliano in modo eccitato e si avvicina a noi salutando Key come se si conoscesse da tempo.

“Gregory” saluta il ragazzo alzandosi.

“Key” gli risponde Greg abbracciandolo fraternamente. Odia essere chiamato col nome completo, dice che è troppo snob. Ma la presa in giro nei toni di voce di questi due è bonaria e  sincera. Non può assolutamente essere fraintesa. Sono davvero amici.

“Dai, ragazzi” continua. “ Andate in saletta, qui me ne occupo io. Così potete iniziare a pianificare l'evento”.
Il mio caro collega mi fa un favore? Solitamente mi avrebbe relegato a fare caffè mentre lui avrebbe passato il tempo a pavoneggiarsi con quel gruppo di belle ragazzine.

Mhm. C'è qualcosa che non quadra. Tutto questo mi piace sempre meno, accidenti.

Greg continua a ridacchiare anche quando ci porta due tremendi caffè americani e non si trattiene neanche mentre chiude le spesse tende. Faccio davvero fatica a capire cosa abbia in mente. Quello che è certo è che me la pagherà. Oh, si. Me la pagherà!

Mi siedo nervosamente sul divano e inizio a radunare sul tavolo notes e pennarelli per il brainstorming iniziale. Dalla cartellina mi scivola un foglio con il nome di Key posizionato nel centro e tante frecce che...non puntano a nulla. Con la coda dell'occhio noto che si sfila gli occhiali ed il berretto e fissa con attenzione il foglio, ma non ho il coraggio di guardarlo in faccia.

Sbuffa.

“Ok. Ehm. Ho cercato qualche notizia su di te, per iniziare a buttare giù qualche idea ma...Google non sa chi sei, non ti ho trovato né su Wikipedia né nei social. E Greg non si è sprecato a darmi informazioni quindi...”

Sbuffa ancora. Non riesco a capire se è infastidito o se sta trattenendo una risata.

“Non preoccuparti”, mi dice. “E' colpa del nome che hai scritto, è sbagliato”

Mentre sollevo lo sguardo mi porge la mano ed improvvisamente lo riconosco e capisco. Dio. Vorrei morire.

“Il mio nome non è Key, ma Keegan. Keegan Allen”.

Oh.

Merda.
  
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