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Autore: Dark Magician    21/11/2008    2 recensioni
Parte II (cap 13-?) - Dopo il Risveglio, la vita di Zack è costretta a cambiare bruscamente. Ospite nella Fortezza del Signore del Deserto, deve imparare a gestire il nuovo potere il prima possibile o soccomberà all'Anomalia.
Ed improvvisamente cominciano le visioni...
"Tu che leggi le mie parole devi però esser conscio che niente persiste immutabile per l'intera durata del tempo. Il Tutto è ciclico, come vedi essere il corso della vita: come sono nascita e morte, in un circolo eterno, così l'Ordine ciclicamente ricade su se stesso. Quello è il momento, quello è la fine e l'inizio. Quello, quello è l'Hibalah."
Genere: Drammatico, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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MEMORY #01 - INCONTRO

Di questa storia ho scritto solo i primi tre capitoli, che tra l'altro hanno un tempo di incubazione allucinante, ma visto che mi piace come stanno uscendo mi si è acceso un barlume di speranza riguardo ad una sua futura pubblicazione. Indi per cui, ho bisogno di altri pareri, oltre a quelli positivissimi dei miei due lettori XD aspetto stroncature o incoraggiamenti, ma soprattutto critiche negative su cosa dovrei migliorare! XD Anche se già si avverte un notevole passo avanti rispetto a Weiss...
Beh, vi lascio alla lettura di tewom.
Comunicatemi qualsiasi errore, a volte mi sfuggono! ;D

 

 

MEMORY #01 - INCONTRO

 

Il tiepido venticello autunnale accarezzava con delicatezza gli antichi edifici diroccati della Old Babylon, abbandonati al loro destino da tempo immemorabile.

Da quando Dio l’aveva maledetta, mille anni prima, nessuno aveva avuto più il coraggio di mettervi piede, tanto da indurre gli uomini a ricostruire la città a poche centinaia di metri di distanza - un modo per non allontanarsi troppo da quel luogo, che racchiudeva e conservava le loro radici, e abbandonarlo al tempo stesso.

Ma nessuno poteva negare che l’antica città in rovina avesse sempre esercitato su chiunque un certo fascino.

Forse per l’immensa mole di leggende che vi orbitavano attorno, forse per il semplice fatto che fosse stata maledetta da Dio - quel Dio il cui potere nessuno poteva eguagliare, ad esclusione della Madre Terra - la rendeva il luogo ideale per le prove di coraggio dei ragazzini, che comunque raramente osavano spingersi poco oltre il grosso muro di mattoni rossastri sgretolati dal tempo che circondava l’intera Old Babylon.

Capitava spesso di vedere gruppi di bambini in un teso silenzio arrampicarsi sul muro e gettare occhiate furtive dall’altra parte, scappando poi al primo rumore improvviso.

Zack aveva avuto più volte la tentazione di infrangere il divieto, prendere una scala ed entrare nella “città proibita”, ma, e gli doleva ammetterlo, gli era sempre mancato il coraggio. E anche una buona scusa per farlo, sebbene vi fosse una curiosa leggenda che lo attraeva particolarmente.

Quel giorno, però, si era deciso a rischiare, anche se forse la sua parte razionale di dodicenne non la pensava allo stesso modo, dal momento che ormai era seduto sul muro da un’ora e le sue braccia non avevano intenzione di sollevare la scala di legno e buttarla dall’altra parte.

Oltretutto si stava avvicinando il tramonto, e l’ultima cosa che voleva era perdersi di notte in una città semi-distrutta.

Sospirò, passandosi una mano fra i folti capelli del colore dell’oro, e si insultò da solo per la sua mancanza di coraggio.

Di cosa aveva paura? Dio non avrebbe mai scomodato uno dei suoi Angeli per punire un bambino, nonostante si fosse dimostrato più volte una creatura crudele e sanguinaria, e nella Old Babylon non c’erano persone cattive che avrebbero potuto aggredirlo.

E poi, se fosse davvero riuscito ad esaudire il suo grande desiderio… magari le cose sarebbero anche migliorate, dato che peggio di così non potevano comunque andare.

Uno scalpiccio interruppe i suoi pensieri e Zack si voltò, incrociando lo sguardo sconvolto di uno dei suoi compagni di classe.

«Zack Lorraine!», esclamò il bambino portandosi ai piedi della scaletta a pioli «Tu sei completamente fuori!».

«Ciaao…», lo salutò Zack agitando una mano, e girò il corpo nella sua direzione «Che ci fai qui, Ray?».

Ray lo fissò stralunato «Mi prendi in giro?! Ti stiamo cercando da mezz’ora!».

Si arrampicò solo fino a metà della scaletta, dato che Zack aveva posato i piedi sull’ultimo piolo, e continuò: «Ma come ti è saltato in mente di marinare la lezione di controllo? Ma’ ti ucciderà!».

«Che esagerato!», sdrammatizzò Zack facendo spallucce «Che dovevo fare, rimanere a guardarvi in silenzio, come sempre? Lo sai benissimo che sono un Ai-See, un Abbandonato. Mi annoio».

E non solo si annoiava, ma stava anche male come un cane. Però questo non lo disse.

Ray fissò in silenzio i particolari occhi di Zack, le cui iridi color smeraldo erano tagliate da una strana linea nera che si trovava sempre esattamente a metà fra la pupilla e il bordo scuro dell’iride.

Occhi da Ai-See. Poverino, in cuor suo lo compativa.

Gli Abbandonati erano rarissimi, tanto che, tolto Zack, nessuno degli abitanti della New Babylon ne aveva mai visto uno, e le uniche informazioni che erano riusciti ad ottenere le aveva fornite Ma’ traducendo un antico testo in Iri.

Al mondo, ogni essere umano che nasceva, da qualsiasi luogo provenisse - Nord, Sud o anche il deserto - aveva una piccola quantità di energia della Madre Terra che gli scorreva dentro, e questa energia era comunemente chiamata “magia”. La quantità poi variava da individuo ad individuo, ed erano pochi coloro che ne possedevano livelli alti o comunque degni di nota.

Gli Ai-See, invece, a differenza di tutte le persone normali, non avevano neanche una goccia di magia; per questo erano definiti “Abbandonati”: la Madre Terra non aveva dato loro la sua protezione, come se non li riconoscesse figli suoi.

«E comunque…», riprese Zack, un sorrisetto saccente dipinto sulle labbra «Se tu ora scendessi mi faresti un favore. Sai, vorrei andare dall’altra parte!».

«Scherzi?!», esclamò Ray sconvolto, ma l’espressione sicura di Zack gli confermò che il ragazzino era tremendamente serio. Allora saltò giù dalla scaletta e corse via, gridando che sarebbe andato immediatamente a chiamare Ma’.

Zack lo osservò allontanarsi finché non fu scomparso dalla sua vista, e solo allora sospirò e afferrò la scaletta. Fece una fatica immensa per sollevarla e appoggiarla dall’altra parte, e prima di scendere rimase ancora qualche secondo ad osservare la fatiscente città abbandonata.

Ora o mai più.

Si voltò deciso e scese velocemente i pioli, cercando di autoconvincersi che quella fosse la cosa migliore.

Una delle numerose leggende sulla Old Babylon narrava che vi fosse un luogo, all’incirca al centro della città, talmente ricolmo dell’energia della Madre Terra che chiunque vi si fosse avvicinato ne sarebbe stato fatalmente attratto, e avrebbe potuto attingere a quella magia per realizzare qualsiasi desiderio. E Zack ne aveva un elenco intero, di desideri.

Gli sarebbe piaciuto poter rivedere sua madre e chiederle scusa, ma sapeva che questo era impossibile; gli avevano sempre insegnato che le persone buone si reincarnavano, e sua madre era la donna più dolce e generosa che lui avesse mai conosciuto.

Quindi, scartato questo primo desiderio, la seconda cosa che voleva più di tutte era essere un bambino normale, con un po’ di energia magica come tutti quanti.

Così non l’avrebbero più preso in giro o maltrattato, e forse suo padre sarebbe stato finalmente un po’ fiero di lui.

Scavalcando un cumulo di terra, mosse i primi, incerti passi verso la città, notando con disappunto che da lì gli sembrava ancora più grande di quanto non apparisse quand’era seduto sul muro.

Strinse i pugni per infondersi coraggio e cominciò a girare fra le vie, circondato da un silenzio assoluto, quasi opprimente. Persino gli animali parevano temere quel luogo, tanto che il gorgheggiare degli uccellini che aveva avvertito fino a poco prima si fece sempre più lieve man mano che si inoltrava fra gli edifici diroccati, fino quasi a scomparire dopo che ebbe compiuto poche centinaia di metri.

Cercando di memorizzare l’intricato percorso che le macerie accatastate un po’ ovunque lo obbligavano a seguire, non mancava di osservare ogni particolare con quella curiosità a tratti così irritante che era tipica del suo carattere.

Non ne sapeva moltissimo, ma da quel che vedeva ora poteva rendersi conto di quanto la Old Babylon fosse stata splendida e piena di vita prima che Dio la maledisse per qualche motivo sconosciuto. Chissà poi cos’avevano fatto gli uomini per attirare l’odio di Dio, che nonostante il suo carattere sadico e scorbutico evitava di darsi ad atti esagerati come addirittura maledire un’intera città. Questo era uno dei tanti misteri di quella strana creatura dalle ali bianche.

Con un sasso chiaro Zack lasciò un segno su un muro per ricordare il percorso che aveva imboccato e si infilò in uno stretto vicoletto, dal momento che la strada principale era bloccata dai resti di un’abitazione crollata; si ritrovò così in una piccola piazza circolare con al centro quella che una volta doveva essere una fontana.

Si sedette sul bordo di questa per riflettere qualche secondo sul da farsi, dato che il cielo stava già cominciando a tingersi dei colori caldi del tramonto e al buio gli sarebbe stato impossibile ritrovare la strada per tornare indietro.

Se non fosse stato messo in punizione a vita da Ma’ o da suo padre, avrebbe dovuto provare a ritornarci di mattina, in modo da avere più ore a disposizione.

Certo che era stato proprio idiota. Ma purtroppo era un altro lato del suo carattere: tendeva a comportarsi in maniera troppo impulsiva quando veniva ferito nell’orgoglio, e purtroppo Luis, col suo solito comportamento da spaccone, durante la lezione di Controllo l’aveva colpito profondamente per l’ennesima volta.

Lui e il suo livello di magia che sfiorava il 5.2… quanto lo odiava. Era quasi contento che sua sorella Nina lo superasse di gran lunga, era una sorta di vendetta.

Zack adorava la sua sorellina minore, sebbene essere il fratello Ai-See della bimba col più alto livello di magia in tutta New Babylon gli creasse diversi problemi, in particolare agli occhi di suo padre. In compenso aveva più problemi a relazionarsi con Violet, la maggiore, un giovane genietto estremamente colto e con un forte senso di superiorità.

Chiuse gli occhi, lasciando ciondolare la testa indietro, quando all’improvviso una sorta di suono perforante gli attraversò le orecchie, stordendolo a tal punto che cadde dentro l’antica fontana tenendosi la testa fra le mani.

Tu… sei qui?, mormorò una voce, anche se più che una voce a Zack parve quasi un alito di vento.

Tu che… hai osato affrontare la maledizione di Dio…

La voce fece una pausa, dando tempo a Zack di rimettersi in piedi e guardarsi attorno. Era solo come prima. Chi stava parlando, allora?

Proveresti… a giungere da me?

E così, improvvisamente com’era giunta, la voce scomparve, lasciando Zack disorientato e confuso.

Era forse questo il richiamo del luogo pieno di magia?

Ma dove doveva andare, allora?

Si voltò, e notò alle sue spalle l’entrata di un santuario della Madre Terra.

Entrare in un edificio abbandonato sarebbe stato pericoloso, però… sentiva di doverci andare.

Forse sarebbe cambiato qualcosa o forse no, ma tanto ormai era lì, quindi valeva provare.

Allora fece un respiro profondo e senza aver tempo di ripensarci si infilò nel santuario.

L’interno dell’edificio era spettacolare: sebbene fosse spoglio come tutti i santuari, su tutte e quattro le pareti si aprivano vetrate meravigliose raffiguranti Dio e i sette angeli, tanto che Zack rimase senza fiato.

La più grande, nella parete di fronte all’ingresso, ritraeva Dio con una spada in mano.

Dio, la creatura delle antitesi: dal carattere scostante e superbo, ma padrone di un’energia fatta completamente di luce. Ma in fondo bastava vederlo con le ali fuori per rendersi conto di quanto anche solo il suo aspetto fisico fosse contrastante: piume bianche su pelle scura, a differenza degli altri angeli, che erano di carnagione chiara.

Zack voltò la testa ed osservò affascinato le altre sette vetrate, stupendosi per la loro conservazione perfetta - ma del resto tutto l’edificio sembrava messo piuttosto bene.

Alla sua destra, in tre finestre leggermente più piccole, erano raffigurati i tre angeli il cui potere era più vicino alla luce: Costantine degli astri, biondo come le sue ali, Narçia del cielo, dai capelli di un tenue rosa pastello, e Krista del vento, dalla folta chioma viola.

Sulla parete sinistra invece comparivano i tre angeli più vicini alle tenebre, ovvero Faust dell’acqua, il cui colore era l’azzurro, Salomon della terra, dalle ali verdi, e Tala del fuoco, la cui capigliatura era scarlatta come il suo elemento.

E alle sue spalle, proprio sopra il portone d’ingresso, Axalariel delle ombre, l’essenza stessa dell’oscurità, l’angelo dai capelli corvini che mille anni prima aveva osato ribellarsi a Dio e da questi era stato sconfitto ed ucciso.

Incuriosito, Zack mosse qualche passo verso l’immagine quest’ultimo.

Gli era capitato di intravedere gli altri sei angeli, ma di Axalariel non aveva mai visto nemmeno un disegno. Così ad occhio sembrava più giovane dei suoi compagni.

Chissà, forse era proprio a causa sua che Dio aveva maledetto la Old Babylon.

«Violet sarà invidiosissima, quando le racconterò di questo!», esclamò avanzando di qualche altro passo sul pavimento di legno mangiato dai tarli, che scricchiolò in maniera inquietante.

Ma Zack non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi dello strano rumore che le tavole sotto i suoi piedi si ruppero e lui precipitò giù.

 

Quando si risvegliò, non seppe definire quanto tempo fosse passato dalla sua caduta.

La stanza sotterranea in cui era finito era illuminata solo da alcune sfere di vetro incastonate nei muri che emettevano una tenue luce biancastra, e quindi non riusciva a capire se, all’esterno, il sole fosse già tramontato o meno.

Piagnucolando per il dolore si massaggiò la testa, e quasi si prese un colpo quando vide la mano sporca di sangue. Doveva aver dato una bella botta.

Alzò lo sguardo per capire da dove fosse caduto, cercando una possibile via d’uscita, ma l’unica cosa che ottenne fu farsi venire le lacrime agli occhi quando vide di essere precipitato per un lungo cunicolo senza appigli che sbucava dal soffitto.

Era finito. Sarebbe morto di fame lì dentro, se non fosse riuscito a trovare un’uscita.

Allora, nonostante la testa che gli doleva e gli girava impietosamente, fece l’enorme sforzo di alzarsi in piedi, scrollandosi i rimasugli delle travi rotte da dosso, e si guardò attorno.

Nessuna uscita. In compenso, però, in mezzo alla stanza c’era qualcosa simile ad una bara aperta, poggiata sopra ad un basso altare.

Al suo interno, un bellissimo ragazzo dai capelli del colore della pece giaceva profondamente addormentato con le mani intrecciate sul ventre.

«E tu chi saresti?», esclamò Zack, chinandosi su di lui per osservarlo meglio.

Fisicamente non doveva avere più di diciotto anni, ma aveva tratti più androgini di un normale adolescente maschio. Era tanto bello che sembrava una creatura soprannaturale.

Che fosse proprio…?

«Ehiii!» Zack allungò una mano e lo scosse delicatamente «Ehiii! Sveglia!».

Ma non ottenne nessuna risposta. Il ragazzo continuò a respirare tranquillamente, con un’espressione rilassata sul viso.

«Suu, dammi una mano a uscire da qui! Ti pregooo!», insisté Zack, schiaffeggiandogli delicatamente una guancia «Per favoreeee… svegliati!».

Nessuna risposta nuovamente.

Sconsolato, il bambino si lasciò ricadere a terra, poggiando la schiena contro l’altare.

«Quindi… mi tocca davvero morire qui dentro?», continuò con le lacrime agli occhi, parlando più che altro a se stesso «Ma non è giusto! Io non ho la minima voglia di morire!».

Si strofinò la faccia, e alzò lo sguardo verso il soffitto «Però… tu chi sei? Sei tu che mi hai chiamato? Assomigli molto all’immagine di Axalariel che ho appena visto. Sei… davvero lui?».

Tacque ancora qualche istante, poi riprese: «Axalariel, se sei proprio tu, perché non ti svegli e mi aiuti? Ti pregooo…».

E, detto questo, tornò in silenzio, sentendosi ancora più stupido di prima.

Era impossibile che quel ragazzo fosse davvero Axalariel, dal momento che Dio l’aveva eliminato.

E poi, anche se lo fosse stato? Cosa sarebbe cambiato?

«Mammaaa…», piagnucolò, e avrebbe cominciato a singhiozzare se un respiro particolarmente profondo non avesse attirato la sua attenzione.

Voltò la testa, e quasi sobbalzò quando incrociò i gelidi occhi azzurro ghiaccio del misterioso ragazzo dai capelli corvini.

«Chi… sei tu?», gli chiese questi spaesato, sporgendosi dalla bara per fissarlo «Dove… Che posto è questo?».

Zack rimase a guardarlo impietrito, e ciò parve irritare molto il bel ragazzo. I suoi delicati lineamenti si contrassero in una smorfia infastidita, mentre allungava una mano e afferrava Zack per il gilet di pelle.

«Sei muto, moccioso? O devo farti tornare la voce a suon di calci?», sibilò minaccioso, e il bambino scattò il piedi per lo spavento.

Solo che, così facendo, il ragazzo si sbilanciò e perse l’equilibrio, rovinando a terra con un urlo e trascinandosi dietro la bara.

«Stai… stai bene?», balbettò Zack preoccupato precipitandosi ad aiutarlo, ma l’altro riuscì a rimettersi in piedi da solo, sebbene la bara sembrasse piuttosto pesante.

«Oh, allora ce l’hai la voce», riprese il ragazzo, cavandosi la polvere di dosso. Lanciò qualche rapida occhiata alla stanza, poi tornò a fissare il bambino «Io sono… confuso. Che razza di posto è questo?».

«Siamo nella Old Babylon», rispose Zack titubante. Quello strano tipo gli sembrava davvero fuori di testa «Sono entrato in un santuario abbandonato, sono precipitato quaggiù e ti ho trovato. Tu chi sei?».

«­Old Babylon…», ripeté il ragazzo, ignorando la seconda parte del discorso.

Mosse lentamente qualche passo per la piccola sala, sostando di tanto in tanto ad osservare le sfere biancastre incastonate nella parete. Dall’espressione smarrita che aveva dipinta sul viso, sembrava quasi un bambino appena venuto al mondo.

«Moccioso…», borbottò dopo qualche minuto di silenzio, voltandosi verso Zack con i sottili occhi azzurri dilatati «…in che anno siamo?».

«1498 dalla comparsa di Dio. Siamo alle soglie del nuovo secolo!».

Gli occhi del ragazzo si fecero ancora più grandi, e istintivamente si portò una mano sulla scapola destra. Perché, se fino a quel momento i suoi ultimi ricordi gli erano apparsi sfocati e indistinti, ora si mostravano in tutta la loro crudele nitidezza.

«La mia ala…», mormorò lasciandosi ricadere in ginocchio «Quel… dannato bastardo! Dannato figlio di puttana!».

Zack lo fissò in silenzio, senza sapere cosa dire.

Ci rimuginò a lungo, e alla fine gli venne in mente che la cosa più sensata forse era fare le presentazioni.

«Il mio nome è Zack Lorraine», disse, portandosi una mano al petto «Tu, invece? Sei davvero… il mitico angelo decaduto Axalariel?».

L’interpellato tacque per una manciata di secondi, senza cambiare posizione.

Poi sospirò, e rispose con un sussurro: «Sì. Ma… non usare quel nome. Ora come ora mi innervosisce».

«Ah? E allora come devo chiamarti?», chiese Zack perplesso, e l’angelo sbuffò.

«Axel potrebbe andare. E’… un diminutivo».

«Va bene, Axel», gli sorrise Zack, e mosse qualche incerto passettino verso di lui.

Tutto ciò gli sembrava incredibile. Un angelo in carne e ossa!

Stava letteralmente morendo dalla voglia di subissarlo di domande, ma quel sacro timore che nutrivano gli umani nei confronti delle creature alate lo tratteneva dal farsi avanti; per questo si limitava a fissarlo da qualche metro di distanza in assoluto silenzio, strofinando freneticamente i piedi per terra.

Indubbiamente l’ultima cosa che voleva era infastidirlo, e Axel sembrava già abbastanza nervoso di suo. Però gli si presentava davanti una situazione davvero delicata: cos’avrebbe fatto il bell’angelo dai capelli corvini? Non poteva di certo tornare da Dio - e non sembrava nemmeno averne tanta voglia - ma allora dove avrebbe passato la notte? O trovato da mangiare?

Fu per questo che Zack si decise a prendere la parola, rompendo quell’insopportabile silenzio che durava ormai da diversi minuti.

«Tu… vieni a casa con me?».

Sorpreso, Axel voltò la testa in direzione del bambino, che gli sorrise incoraggiante e proseguì: «Sì, insomma… non credo che tu abbia un posto dove stare, no? Mio padre gestisce una locanda… farà un po’ di storie, ma alla fine non ti lascerà per la strada».

«Tu mi stai… offrendo ospitalità?», osservò Axel incredulo, e Zack annuì.

«Ah, considera però che dobbiamo uscire di qua. E non sembra un’impresa semplice».

Axel sospirò e si alzò in piedi. Alzò poi lo sguardo verso il cunicolo verticale attraverso cui era precipitato Zack, e non riuscì a trattenere un sorrisetto beffardo.

«Risalire non è un problema», sogghignò, distendendo un braccio dinnanzi a sé.

Una gran quantità di energia scura gli si addensò attorno alla mano fino a prendere la forma di una massiccia spada quasi più alta di lui, che si posò poi su una spalla con disinvoltura.

«Dimmi solo una cosa, moccioso», mormorò, portandosi la mano libera sul fianco «Per quale motivo tu sei il primo a giungere qui? Mi sembra davvero strano che in tutto il tempo in cui sono rimasto in questo luogo non sia arrivato nessuno».

«Dormivi da molto tempo?», domandò Zack, e Axel borbottò qualcosa che suonò come “all’incirca mille anni”.

Così, improvvisamente, il bambino comprese per quale motivo Dio avesse maledetto la Old Babylon, spingendo gli abitanti ad abbandonarla.

Voleva evitare che Axalariel si risvegliasse, evidentemente, ma al tempo stesso anche fare in modo che gli edifici non gli crollassero addosso uccidendolo. Ecco perché, sebbene disabitata, la Old Babylon rimaneva in condizioni decenti.

«Mille anni fa Dio ha maledetto la città e questa si è svuotata», spiegò brevemente Zack, e mentre parlava fu colpito da un particolare. Se Axel aveva passato dormendo tutto quel tempo, poteva averlo fatto solo a causa di una maledizione che ora, per qualche misterioso motivo, si era rotta.

Ma se l’anatema che aveva costretto l’angelo al sonno fosse stato collegato a quello che teneva in piedi la Old Babylon?

La conferma gli venne da un orrendo rumore proprio sopra le loro teste, tanto forte da preoccupare persino il bell’angelo dai capelli corvini.

Con uno scatto fulmineo Axel agguantò il bambino e se lo trasse accanto, conficcando con forza la spada nel pavimento.

«Ma porc…! Viene giù tutto!», esclamò ergendo una barriera su di loro, mentre il soffitto e il santuario sopra crollavano miseramente.

 

*

Harold Lorraine era famoso per essere un modello esemplare di uomo - o almeno della tipologia di uomo che tendeva ad essere ammirata al Sud, dal momento che al Nord la gente, affogata com’era nella tecnologia, aveva probabilmente una mentalità diversa.

Di aspetto piacevole, dal fisico muscoloso e ben formato, era un esempio di forza e coraggio; non c’era nessuno, sia nella New Babylon che nelle città vicine, che non lo stimasse o non ne avesse anche solo sentito parlare positivamente.

Inoltre, da quando la piccola Nina Lorraine aveva mostrato appieno le sue capacità di maga ed esorcista, a dir poco eccezionali per una bambina così piccola, la fama del padre era aumentata a dismisura.

Era quindi comprensibile quanto Zack, essendo oltretutto l’unico figlio maschio, si sentisse a disagio con un genitore del genere. Aveva sempre fatto di tutto pur di compiacere il padre, e, sebbene questi avesse mostrato in un primo momento di apprezzare tutti gli sforzi del secondogenito, da quando Zack aveva indirettamente causato la morte della madre, tre anni prima, Harold aveva cominciato a trattare il figlio con un’indifferenza che spesso e volentieri sconfinava nel disprezzo.

In particolare perché Zack, nonostante tutta la sua buona volontà, era comunque un Ai-See - e sembrava che la comparsa di un Abbandonato fosse anche un cattivo presagio.

In ogni caso, una briciola di amore paterno Harold la provava ancora, perché altrimenti non si sarebbe appostato fuori dal lungo muro di mattoni che circondava la Old Babylon ad organizzare un gruppo per ritrovare suo figlio.

Aveva lasciato passare l’intera notte - le probabilità di trovarlo al buio erano meno che scarse, complice anche il fatto che gli unici attrezzi di cui disponevano per l’illuminazione erano o ingombranti fiaccole o scomode lampade ad olio, ma non appena il sole aveva timidamente fatto capolino sulla vasta pianura si era indaffarato freneticamente nell’organizzare un gruppo di ricerca.

Anche perché, insomma, se non l’avesse fatto ci avrebbe rimediato una pessima figura.

Accanto a lui, con una sigaretta serrata fra le labbra, una robusta donna di colore osservava la scena con un’espressione strana, fra il perplesso e il preoccupato.

«Povero piccolo, spero che non abbia patito troppo freddo. La temperatura si è abbassata notevolmente, stanotte», disse con voce triste, soffiando una boccata di fumo nell’aria tersa del mattino.

«Perché sei venuta anche tu, Magdalene?», la rimbeccò Harold irritato - quella donna gli dava spesso sui nervi «Il tuo posto è fra le scartoffie».

Ma’ rise «Cooome sei sgarbato! È necessaria una presenza femminile, sai? Servirà qualcuno che schiaffeggi e poi coccoli un po’ quel povero bambino».

«Quel “povero bambino” subirà una lavata di capo senza precedenti, stanne certa», sbottò Harold, brontolando qualcos’altro fra sé e sé.

Stava per far segno agli altri uomini di scavalcare il muro, quando un orrendo rumore alle sue spalle lo interruppe.

Salì velocemente su una scala, e lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi fu sconvolgente: come se un antico equilibrio si fosse improvvisamente spezzato, la Old Babylon stava rovinosamente crollando su se stessa.

«Oh, merda», mormorò Ma’ arrampicandosi su una scaletta per osservare la situazione «Ti scongiuro, Hii-Nieska, fa che Zack stia bene».

La donna congiunse le mani per rivolgere una veloce preghiera alla Madre Terra - Hii-Nieska in Iri, l’idioma parlato anticamente nel mondo - ma rifletté che obbiettivamente la Madre Terra non doveva avere Zack molto in simpatia, visto il triste destino da Ai-See che gli aveva riservato.

Harold Lorraine, invece, rimase immobile, senza parole. Quello che era appena accaduto era stato talmente strano ed improvviso e sconvolgente da impedirgli di capacitarsene.

«Oh, Somma Madre…», riuscì solo a mormorare, portandosi una mano alla testa.

Zack era sì un incapace e un disonore, ma in fondo era anche suo figlio.

 

Nel contempo, con un leggero sforzo che gli strappò un gemito di fatica, Axel allargò le braccia e dissolse la barriera, facendo in modo che tutti i ruderi crollati su di loro gli ricadessero attorno senza schiacciarli.

«Dannazione», borbottò poi sostenendosi con la spada, ancora conficcata nel terreno «Che mammoletta di merda sono diventato… mi vergogno di me stesso…».

Zack, in uno stato fra lo spaventato per la fine che aveva rischiato di fare e l’elettrizzato per ciò che aveva appena compiuto l’angelo, mise su un sorriso ebete ed esclamò: «Wow! Ma tu sei grandioso!».

Axel sorrise, addolcito dall’ingenuità del bambino.

«Mille anni fa… allora sì che ero forte. Ho bisogno di allenarmi un po’. E poi devo anche…».

Improvvisamente sgranò gli occhi distrutto, portando nuovamente una mano alla scapola destra.

«Dannato bastardo», sibilò a denti stretti «Giuro che questa me la paga, fosse l’ultima cosa che faccio!».

«Ce l’hai con Dio?», gli chiese Zack, ma Axel lo ignorò freddamente. Allora il bambino alzò lo sguardo verso il cielo, e rimase stupito nel costatare che ore fossero.

La rivelazione non ci mise molto a sconvolgerlo.

«Ohi ohi», borbottò scattando in piedi «Accidenti, papà sarà infuriato! Mi spellerà vivo, questa volta!».

«E’ più probabile invece che si faccia prendere dal sollievo per il fatto che tu sei vivo», rispose laconico Axel, ma Zack dissentì con espressione triste, e ciò sorprese l’angelo.

«Non hai visto i miei occhi? Sono un Ai-See, non ho magia. Mio padre non è proprio fiero di me…».

Axel lo fissò in silenzio. Cominciava a vederlo sfocato, a tratti, ma non avrebbe mai ammesso di non sentirsi bene.

Peccato che il suo fisico non la pensasse alla stessa maniera.

La grossa spada scomparve e, privato del suo appoggio, Axel non riuscì più a reggersi in piedi e rovinò miseramente a terra.

L’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu Zack che si chinava preoccupato su di lui.

   
 
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