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Autore: The_red_Quinn_of_Darkness    19/01/2015    1 recensioni
[Five finger death punch]
[Five finger death punch][...era molto meglio avere l’acqua alla gola, piuttosto che una pistola puntata alla testa…]
"Questa è la storia di una ragazza, tormentata da un passato infernale, che grazie ad un'inaspettata offerta di lavoro e ad un volo diretto verso l'America (e forse, anche grazie al volere del destino?), troverà davanti a sé la possibilità di rifarsi una nuova vita.
Ma verrà anche travolta da un gruppo di cicloni iperattivi che, oltre ad aiutarla, le faranno vivere una miriade di emozioni facendola sentire di nuovo viva...
Ma ci sono anche due occhi di ghiaccio che la osservano... la studiano...e la rapiscono."
Ho trovato il coraggio, finalmente, di pubblicare una storia su efp e per iniziare, ho voluto mettere quella scritta più di recente.
Questa storia ha serie infinita di sfaccettature,come quella comica, quella delicata, quella triste, quella più pazza...
Spero che piaccia e che vi catturi almeno un pò! :)
Mamma mia... che timida e stretta presentazione... non sapevo cosa scrivere! XD
Ora, non mi resta altro che lasciarvi alla fanfiction in questione, ed augurarvi una buona lettura :)
The_red_Quinn_of_Darkness
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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°RED DOLL°

Passi.
Solo passi…
Tanti, frenetici passi.
Luci abbaglianti e sagome sfocate.
Voci sommesse ed agitate che non riuscivo a capire.
Sentii una mano stringere la mia, forte.
-Herie, non mollare!! MI HAI SENTITO?! NON DEVI MOLLARE HERIE!!!!!!
Urlava.
Qualcuno urlava il mio nome.
Sentivo il petto bruciare…respiravo piano…
Faceva tanto male…troppo…
Qualcosa sbattè forte e non sentii più la mano sulla mia…
Solo un urlo.
-HERIE!!!!!!

Mi svegliai di soprassalto.
Mi guardai intorno, sudata e tremante.
Ero nel mio letto, nella mia stanza buia… non era successo niente.
Presi gli occhiali dal comodino e li indossai.
I miei occhi puntarono la sveglia nera.
Anche se le luci verdi fluorescenti mi bruciarono via una retina, riuscii a leggere 5.30 sul display.
Sbuffai alzando la testa verso il soffitto con gli occhi chiusi.
Sentii uno zampettare abbondante arrivare dal corridoio, poi un enorme massa bianca saltò sul mio letto.
Accarezzai il pelo della mia cagnolona e la salutai facendole un sorriso.
-Ciao Ivy…- biascicai mezza addormentata.
Mi passai una mano nei capelli rosso scuro per provare a sistemarli un po’.
Senza successo, ovviamente.
Il grosso pastore dei Pirenei mi leccò felicemente la faccia per darmi il buongiorno.
-Noooo ti prego, bava di cane appena svegliata no… - piagnucolai alzando gli occhi al cielo.
Presi tra le mani il grosso musone di Ivy e la guardai dandole un bacione sul naso.
-Ho capito tesoro, buon giorno anche a te… ora mi alzo e ti vengo a dare la pappa.
La cagnona emise un guaito interrogativo, mentre mi alzavo dal letto stiracchiandomi davanti alla finestra.
Aprii le tende e feci entrare la leggera luce dell’alba.
Mi girai e notai il testone di Ivy inclinato da un lato…un po’ come per dire “amica…che cazzo fai?”.
La guardai e scrollai le spalle.
-Oggi siamo mattinieri purtroppo… mi spiace Ivy.
Mi infilai i pantaloncini corti e una felpa nera e iniziai a dirigermi verso la cucina con la cagnona che mi seguiva a ruota.
Arrivai in sala e iniziai ad aprire le tapparelle illuminando la stanza, una per una, poi passai ad aprire le finestre per fare un po’ di aria corrente.
Inspirai profondamente, sentendo i primi profumi del mattino.
L’aria fredda, il profumo del forno sotto casa mia e anche l’odore pungente di foglie secche e di autunno inoltrato.
Un mix che mi inebriava la mente.
Ivy mi risvegliò con un lamento e poi un sonoro “BAU”.
Mi scrollai da capo a piedi, rigirai su me stessa e mi diressi verso la cucina.
Dopo aver preparato la colazione di Ivy, iniziai a riscaldare il caffelatte e a tirare fuori dalla credenza di legno i biscotti.
Dopo essermi accucciata come un avvoltoio sulla sedia iniziai a fare la mia buona colazione, in compagnia di Ivy che cercava di elemosinare qualche biscotto dopo aver finito tutta la pappa.
Era molto strano vivere da soli in un appartamento.
Quando stavo per trasferirmi ero eccitata all’idea di una vita tutta mia, senza genitori che dettavano le regole e gli orari che dovevo rispettare quando ero fuori con gli amici.
Mi aspettavo la pacchia totale in carne ed ossa…
Invece eccomi qua, in una casa silenziosa e talvolta colma di monotonia.
Lavoro, casa, pulizie, lavoro, casa, pulizie…
Meno male che ho Ivy al mio fianco, che fa una buona guardia… ma anche un eccellente compagnia, non vedo l’ora di tornare a casa alla sera solo per vederla corrermi incontro scodinzolante e con la lingua penzolante.
E beh, nel tempo libero ho anche lei, Natasha, la mia migliore amica.
Ma lavorando, anche lei, riesco a vederla solo due sere a settimana e i fine settimana.
Andiamo a fare un giro in centro se ci va, se fa brutto rimaniamo chiuse in casa a sfondarci di play-station, film e montagne di cibo…
Nulla di speciale, ma almeno non sono sola.
Finii di sorseggiare il mio caffelatte e di smangiucchiare i biscotti, poi mi alzai e misi tutto nella lavastoviglie.
Ivy scodinzolava frenetica e mi faceva segno con la testona pelosa di voler uscire.
Avrei iniziato a lavorare alle 9…
-Va bene, oggi riusciamo a fare un giretto bello lungo, che ne dici? – le chiesi sorridendo.
Ivy andò verso il guinzaglio, lo prese in bocca e me lo porse in mano.
Sorpresa, guardai per un attimo il guinzaglio lunghissimo nero, poi scoppiai a ridere.
-Bene allora, vado a cambiarmi.
Mi diressi verso il bagno stropicciandomi gli occhi e sbadigliando senza contegno, poi mi diedi una bella lavata, con acqua esclusivamente tiepida, per svegliarmi meglio.
Dopo quella alzataccia, la giornata non sarebbe stata leggera…
Mi misi le lenti a contatto e una volta fatto ciò, iniziai a truccarmi, esagerando con l’eyeliner nero e sfoderando tutta la mia abilità di truccatrice per incorniciare al meglio i miei occhi scuri.
La carnagione diafana aiutava a far risaltare il trucco…ma a volte mi sembrava davvero di non avere sangue in corpo.
La mia salute non brilla molto…quindi il colore della mia pelle era più che un simbolo di bellezza, un segno di scarsa salute.
Per non parlare della mia anemia...
Mi sistemai la chioma rossa, lisciandola con piastra e spazzola e poi misi la mia collana portafortuna.
Non potevo stare senza di lei… 
Dal cordone nero pendevano tre ciondoli: una mano di Fatima argentata, un grosso anello e un gufo nero.
Ogni volta che uscivo senza, ne capitavano di tutti i colori.
Mi guardai un attimo, fissa, senza pensare nulla, poi scossi la testa e mi diressi in camera.
Mi tolsi la felpa e la canottiera e mi infilai il reggiseno.
Per colpa del mio seno grosso e pieno, ogni volta faccio fatica ad infilarlo.
Mi infilai i leggins di eco pelle neri, una felpa nera con il marchio della Monster verde fluo stampata sul davanti e per finire le mie immancabili New Rock nere lucenti.
Mi ammirai in tutta la mia metallonaggine e fui soddisfatta del risultato.
Mi infilai gli occhiali da sole in testa e imbracciai la mia borsetta di eco pelle.
Dopo aver messo il guinzaglio ad Ivy, chiusi la porta di casa a chiave e iniziammo a scendere le scale di marmo bianco.
Appena fuori dal portone del palazzo, mi accesi una sigaretta e dopo aver sorriso ad Ivy, iniziammo il nostro giretto mattiniero.


Rientrammo in casa alle 8, giusto in tempo per prendere le cose del lavoro.
Appena entrata, Ivy corse a bere in cucina, mentre io accesi il cellulare.
Con il dito, scorsi tutti i messaggi che mi erano arrivati durante la notte.
Chiamate insistenti, messaggi in segreteria, notifiche…solo ed esclusivamente sue.
Sbuffai lanciando il cellulare nella borsa.
-Fanculo stronzo…- sibilai.
Mi massaggiai le tempie facendo uscire per un poco le dita dalla felpa sospirando.
Ivy entrò in camera e venendomi incontro, strusciò il muso sulla mia gamba e guaì dolcemente.
La guardai triste, con un groppo di lacrime in gola, mi chinai e la strinsi forte, dandole un bacio sulla testa.
-Forza cucciolona, devo andare o se no farò tardi a lavoro.
Mi si stringeva il cuore ogni volta che la lasciavo sola… ma non sapevo come altro fare.
Accesi la tv e socchiusi le tapparelle, lasciando accese un paio di luci.
Presi le chiavi della macchina e aprii la porta.
-Ciao Ivy, ci vediamo dopo, fa la guardia e azzanna tutti eh? – mi raccomandai con lei stropicciandole il musone.
Chiusi la porta e chiamai l’ascensore a malavoglia.
Mentre scendevo verso il garage, appoggiai la testa alla parete fredda e scura della cabina e feci sospiri lunghi e profondi, in modo da calmarmi un po’.
Scesi e mi diressi verso la mia Audi bianca, la aprii e iniziai a collegare l’auricolare wireless infilandomelo in un orecchio.
Il rombo del motore mi caricò e stringendo forte il pomello delle marcie, partii verso il cancello automatico grigio.
Mi rilassava guidare, mi sentivo potente e potevo andare dove ne avevo voglia, quando ne avevo voglia.
Immediatamente, accesi la musica a palla e mi accoccolai meglio sul sedile bianco, adagiando la testa al poggiatesta.
Partirono in quinta i Nightwish, il mio gruppo preferito, con “I want my tears back”.
-Si cazzo si…- sussurrai facendo un mezzo sorriso.
In quel momento mi sentii calma e quasi felice.
Sfrecciavo tra le strade intricate di Milano, con 1000 pensieri in testa e, nonostante ciò, stranamente tranquilla.
Guardavo fuori dal finestrino gli alberi e gli edifici che sfrecciavano, muti, grigi e tristi come al solito.
Non mi piaceva quel posto, ma dopo 2 anni di permanenza, mi ero abituata all’idea di vivere in una città monotona e con fin troppo casino, per i miei gusti.
Arrivata al parcheggio dell’edificio dove lavoro, parcheggiai con eleganza la macchina buttando fuori dal finestrino il mozzicone di sigaretta che mi stavo fumando, pestandola subito dopo con la pesante New Rock.
Scesi, richiusi l’auto e mi diressi verso le porte scorrevoli dell’entrata.
Lavoravo come truccatrice e grafica presso un’azienda molto popolare, specialmente presso il mondo della moda e della musica.
Io ero specializzata per il secondo, moda e modelle mi davano decisamente il voltastomaco…
Ho lavorato con molte band e cantanti, purtroppo per la maggior parte italiani ed ero abbastanza richiesta sia per trucchi per video, concerti e spettacoli, sia per realizzare copertine di CD, pubblicità di concerti ed eventi.
Insomma… sono una specie di factotum!
Non è affatto un brutto lavoro…
Il problema è che non ascolto affatto la musica italiana, tralasciando due o tre artisti vecchi che ascoltavo da piccola con i miei genitori.
Quindi lavoro, si, ma con indifferenza.
Avevo avuto molte possibilità per iniziare a lavorare anche all’estero…ma non avevo mai avuto le palle per buttarmi e provare.
Solo da pochi mesi sto rivalutando la cosa, con il piccolo particolare che non è più arrivata richiesta di personale fuori dal continente.
Quindi, mi attacco allegramente a sto cazzo. 
Arrivai alla porta del mio piano di lavoro, entrai e mi diressi verso la mia scrivania, salutando i colleghi con un sorriso.
Appena appoggiai la borsa alla sedia e tolsi gli occhiali da sole, mi venne incontro Lola, la segretaria del capo, con un mucchio di cartelle in braccio.
Lola, era una donna semplice, carina, con dei buoni modi di fare che a volte mi lasciavano di stucco, senza molte pretese o ambizioni…era assolutamente genuina e spontanea.
-Buongiorno Herie. – disse facendomi un enorme sorriso.
Ricambiai il sorriso con occhi stanchi.
-Hai avuto una brutta nottata?
-No, Lola, ho solo avuto un alzataccia. – dissi scrollando le spalle.
Mi appoggiò una mano alla spalla.
-Vuoi che ti faccio un caffè? – chiese gentilmente.
Sorrisi.
-Grazie, mi servirebbe…
-Va bene, ti volevo anche dire che ti vorrebbe vedere Gian, ha detto che è urgente.
Stropicciai gli occhi e annuii.
-Beh certo, per che ora devo presentarmi nel suo ufficio?
-Ha detto il prima possibile, tesoro, deve essere una cosa importante.
Scattai in piedi, quasi sull’attenti.
-Va bene, ti ringrazio Lola. – dissi dirigendomi verso il corridoio.
-Herie, fammi sapere quando torni qui così ti porto il caffè caldo!
Le feci il segno dell’OK con la mano e corsi da Gian.
Non so perché ero così agitata, solitamente ogni volta che mi chiamava nel suo ufficio ci andavo con comodo, scialla da Dio… oggi correvo come un’assatanata.
Non potevo crederci.
Sfrecciavo nei corridoi e sulle scale facendo casino con le mie New Rock, tant’è che appena passavo davanti ad una porta le persone s’affacciavano per vedere che succedeva.
Altri, senza proprio alzarsi dalla sedia, urlavano –Buongiorno Herie!
Ed anche se ero già lontana, ricambiavo il saluto urlando come una scaricatrice di porto.
Ormai c’erano tutti abituati, ero popolare perché ero quella strana, coi gusti strani e i modi di fare strani.
Non mi dispiaceva affatto distinguermi dalla massa.
Arrivai dietro la porta bianca dell’ufficio di Gian e senza fermarmi la aprii entrando nella stanza con fare da carro armato.
Uno Sherman, per la precisione.
Il capo si fermò mentre si stava per portare alla bocca un tazzone di caffè e mi guardò da sopra gli occhiali con occhi sgranati.
-Buongiorno tesoro, ti avevo riconosciuta dal passo pesante…
Ansimando, feci un cenno di saluto con la testa.
-Eccomi qua…- dissi con il fiatone.
Gian guardò fuori dalla finestra e scrutò il cielo.
-Sei decisamente puntuale alla mia chiamata oggi… ma non vedo ancora i nuvoloni da tempesta di neve in giro…- disse tornandomi a guardare.
Lo fissai con una faccia impassibile, alzando un sopracciglio.
Lui sorrise.
-Beh, arriveranno più tardi.
Mi sedetti sulla poltrona rossa, di fronte a lui, ed appoggiai le braccia incrociate sul legno d’ebano scuro.
Gian mi accarezzò i capelli.
-Nottataccia tesoro?
Io per tutta risposta mugugnai, annuendo con la testa.
-È ancora lui?
Tentennai un secondo, pensando che anche se avessi raccontato una palla colossale, mi avrebbe sgamata subito…
Quindi annuii più lentamente.
Gian, per tutta risposta, fece una faccia rassegnata e scosse la testa, abbassando gli occhi.
Sapeva benissimo cosa ho passato e cosa stavo tutt’ora passando… mi conosce da quando ero bambina…
Giancarlo (detto anche Gian) è un caro amico di mio padre, per questo ho l’enorme fortuna di lavorare qua dentro.
Mi ha accolta subito, perché sapeva delle mie grandi doti artistiche e creative e sapeva anche che avevo voglia e bisogno di lavorare.
Se ho una bella macchina e un bell’appartamento, lo devo specialmente a loro due.
Lui è come un nonno per me, non un secondo padre, perché per me ne esiste solo uno.
Anche se lo facevo arrabbiare, arrivavo tardi a lavoro o alle sue chiamate, oppure gli facevo degli scherzetti infami… gli volevo un gran bene, è un santo con me.
Paziente e buono, faceva finta di arrabbiarsi un sacco e sgridarmi, ma alla fine mi prendeva da parte e mi faceva la predica come se fosse stato mio padre.
Molti colleghi infatti di questa speciale “relazione”, ne erano gelosi marci.
Le lacrime mi stavano salendo disperatamente, ma siccome non volevo assolutamente piangere sul lavoro, decisi che era meglio cambiare argomento.
-Perché mi hai fatta chiamare? - chiesi dandomi un contegno.
Gian si sistemò gli occhiali e sorrise, come se mi stesse nascondendo un enorme segreto.
Guardai per un secondo il suo ghigno malefico mentre mi porgeva una carta da fotocopie davanti a me.
-Tesoro mio, parti per l’America.

   
 
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