Film > La bella addormentata nel bosco
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Autore: Kore Flavia    19/01/2015    10 recensioni
Passò per l’ennesima volta per il mercato come ogni giorno, osservando i banconi sudici riempiti di frutta e verdura. Una mela rossa come il sangue lì, una lattuga rinsecchita là, Aurora non si sarebbe fatta deliziare o schifare da quella vista, continuò con passo svelto verso la piazza delle fontane, suo padre l’attendeva a casa e lei non poteva tardare. Il cielo si faceva sempre più sanguigno, il sole stava andando a dormire.
Il regno del principe Filippo è stato devastato da una terribile maledizione, si cerca aiuto per liberare tutti. Se sarà un ragazzo a salvare il regno verrà ripagato con denari e una sontuosa residenza, se sarà una ragazza a farlo potrà sposare il principe.
Per maggiori informazioni andare a parlare con il valletto che dorme nella locanda del pastore.
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aurora/Rosaspina, Filippo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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God, I want to dream again
Take me where I've never been
I want to go there
This time I'm not scared
Now I am unbreakable, it's unmistakable
No one can touch me
Nothing can stop me
 
 
Passò per l’ennesima volta per il mercato come ogni giorno, osservando i banconi sudici riempiti di frutta e verdura. Una mela rossa come il sangue lì, una lattuga rinsecchita là, Aurora non si sarebbe fatta deliziare o schifare da quella vista, continuò con passo svelto verso la piazza delle fontane, suo padre l’attendeva a casa e lei non poteva tardare. Il cielo si faceva sempre più sanguigno, il sole stava andando a dormire.

La piazza era formata da molteplici vasche d’acqua che erano decorate da animali in pietra che sputavano fiotti argentei dalla bocca. Una tigre dalle fauci spalancate l’aveva intimorita fin da piccola, ma ora non la guardava nemmeno. Svoltando in una stradina del paese adocchiò un manifesto appiccicato il muro con la foto di un giovane ragazzo sorridente. Strappò il foglio dal muro per osservarlo: al lato della pagina c’era un piccolo testo che diceva:

Il regno del principe Filippo è stato devastato da una terribile maledizione, si cerca aiuto per liberare tutti. Se sarà un ragazzo a salvare il regno verrà ripagato con denari e una sontuosa residenza, se sarà una ragazza a farlo potrà sposare il principe.

Per maggiori informazioni andare a parlare con il valletto che dorme nella locanda del pastore.

Aurora rimase immobile per qualche istante poi, con passo svelto e silenzioso, percorse la strada fino a casa. Suo padre le aprì la porta sorridendo affabile e tre fatine comparvero dietro le sue spalle.

-Papà devo darti una notizia! –Gridò felicemente poggiando sul mobile d’ingresso la sacca della spesa. L’uomo la guardò perplesso per qualche secondo poi, con un passo in avanti e un bacio sulla fronte della figlia chiese:

-Dimmi tutto. –La sua voce grave s’insinuò in modo familiare nelle orecchie di Aurora che sorrise e saltellando per l’ingresso si aggrappò alla manica del padre trascinandolo nella sala da pranzo.

-Il regno del principe Filippo è stato maledetto, se lo si libera si diventa la principessa! Posso provarci? – Il tono esuberante della quindicenne fece ridere l’uomo, che, dopo aver recepito il messaggio, si oscurò rapidamente in volto.

-Certo che no, è pericoloso, non puoi. –La rimproverò passandosi freneticamente le mani sui pantaloni unti: il fatto che lui lavorasse in continuazione sui suoi strani marchingegni lo rendeva completamente imbrattato e la cosa aveva sempre schifato la figlia. Lei incrociò le braccia sotto il seno appena accennato mettendo su la faccia da cucciolo più convincente che aveva, ma la sua mossa non fu ripagata con la risposta desiderata.

-Ho detto di no, Aurora, pensa a tua madre, che ti direbbe lei? – Il fatto che lui avesse tirato fuori la questione madre le fece ribollire il sangue, lui non aveva alcun diritto di nominarla. La faccia da cucciolo svanì, sostituita dalla rabbia, gli occhi le si offuscarono e le si creò un nodo alla gola. Non poteva parlare di sua madre come se fosse viva.

-Primo: questo è l’unico modo per farti smettere a lavorare ai tuoi marchingegni! Secondo: non parlare di mia madre come se fosse viva! - Le braccia strette contro i fianchi erano rigide come marmo e i denti digrignati riflettevano la luce fioca delle candele. Girò i tacchi e si andò a chiudere in camera sbattendo la porta, tanto che le assi di legno oramai marcio cigolarono pericolosamente. Non c’era da sorprendersi che la porta fosse crollata.

Aurora si lasciò cadere contro la porta rannicchiandosi al buio e prese fiato osservandosi intorno. Quella camera era piena di cianfrusaglie, libri aperti sulla scrivania traballante, fogli scarabocchiati volati a terra per colpa del vento freddo che spirava dalla finestra aperta. Un brivido le percosse la schiena, ogni santa mattina si dimenticava di chiudere quella finestra, ci si fiondò per sbatterla violentemente, il vetro s’incrinò e la ragazza ringhiò sommessamente. Voleva bene a suo padre per carità, ma certe volte quell’uomo le rendeva la vita difficile, e quando lei voleva aiutare, lui non era d’accordo, e quando lei se ne stava sdraiata a letto, lui veniva a chiederle di aiutarlo. Sempre la stessa storia, non era mai contento di quello che faceva. Osservò la finestra per qualche istante poi, presa da un moto istintivo, acchiappò un mantello nero e una borsa a tracolla piena di buchi. Salì sopra la scrivania, posizionata davanti alla finestra, pronta a buttarsi fuori tra i cespugli, poi si ricordò che uscendo così non si sarebbe mai potuta difendere, perciò con estrema rapidità afferrò anche un piccolo pugnale fabbricato dal padre. Uscì fuori, cadendo tra i rovi –Forse avrebbe fatto meglio a potare quei cespugli-. Le spine le strapparono le vesti, lasciando brandelli della gonna tra i rami.

Si calcò addosso il mantello pronta a dirigersi verso la “locanda del pastore”, dove avrebbe incontrato il valletto. Strinse forte il foglio con la richiesta d’aiuto, in una morsa quasi feroce. I piedi battevano rapidi il terreno mentre la ragazza correva a perdifiato, le guance arrossate per il freddo e i capelli dorati fluenti al dolce vento. Il cielo nero era ricolmo di nidi di stelle, la luna era ridotta ad uno spicchio argentato.

Vide in lontananza le luci della locanda, ci si fiondò dentro sbattendosi la porta dietro e tutti gli uomini all’interno si girarono verso di lei, chi sbigottito, chi arrabbiato, chi infastidito e qualcuno anche contento d’aver visto finalmente una donna lì dentro. Non c’era da sorprendersi se non se ne trovavano, il luogo era appestato dal tanfo degli uomini e dal luridume sparso ogni dove. C’erano mucchi di sporcizia ai lati della sala della grandezza d’un letto, ci si sarebbe potuta distendere se non l’avessero rivoltata tanto.

Notò un omuncolo vestito in modo ridicolo in un tavolo scostato rispetto agli altri, lei si diresse lì con grandi falcate, piazzandosi davanti al tipo. L’abito dell’omino era un’ammucchiata di merletti bianchi e grossolane decorazioni viola: doveva per forza essere lui il valletto dell’annuncio. Si sedette con pesantezza sulla panca poggiando sul tavolo il foglio, con la mano lo spinse davanti al petto del valletto. Quello guardò prima la ragazza e poi l’annuncio, con uno sguardo eloquente Aurora fece capire le sue intenzioni. L’uomo con trepidazione prese il foglio spiegazzato e mostrando i suoi denti storti sorrise per poi cominciare a parlare.

-Bene bene, abbiamo un’eroina vero? – Aspettò una risposta che non arrivò, piuttosto contrariato continuò –Allora allora allora, stavamo dicendo? Ah sì! Il regno del principe Filippo è stato maledetto da Malefica, brutta strega, brutta strega. Quindi tu vorresti salvarlo? Bene, devi andare al regno, uccidere il drago o almeno così dicono, svegliare il principe e il gioco è fatto! Già già, facile vero? Per svegliarlo dicono si debba baciare… il principe dico, non il drago! Povera te, povera te, non è un gran baciatore il nostro principe! Nessuna offesa per carità, è un dato di fatto, già già. - Blaterò l’uomo parlando talmente veloce che la metà delle parole andarono a perdersi nel suo boccale di birra. Aurora corrugò la fronte e annuì.

-Mi potrebbe dare una mappa e indicarmi almeno il luogo? Vorrei andarmene da questo luogo maleodorante il prima possibile. – Chiese lei mentre si alzava portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. L’omuncolo strinse gli occhi in una lamina di vetro infastidito dal tono della ragazza, poi sorrise mellifluo stropicciandosi le maniche viola e bianche.

-Sì certo certo! Ecco qui la mappa ed ecco il luogo, te lo segno con una puntina ok? – Rispose tutto trafelato lui, passandole la mappa e indicandole il regno che distava una quindicina di chilometri, sarebbe arrivata a destinazione in un giorno e mezzo prendendosela comoda. La cosa la sollevò molto, non si sarebbe presa la briga di farsi troppa strada: era comunque una signorina e aveva una dignità.

Salutò il valletto con la voce più angelica che possedesse nel repertorio e poi si diresse verso la porta, gli uomini seduti ai vari tavoli la osservavano con interesse -e alcuni con malizia-  mentre apriva il portone con enfasi. Si girò un’ultima volta verso la locanda e poggiando le mani sulla vita annunciò entusiasta:
-Io salverò il principe! – A quelle parole i clienti ubriachi esultarono certi che quello che avesse detto lei fosse per aver trovato marito e non per l’amara possibilità di morire. Tra le esultanze la voce rauca del valletto le arrivò come un colpo di spada. Quelle parole se le portò fuori al fresco della notte e sotto i nidi di stelle cominciò a camminare: si sarebbe fermata appena si fosse allontanata abbastanza dal paese.

Sempre che tu ci arrivi viva, bambina,

Quella frase l’aveva fatta rabbrividire sul momento e fino ad allora  non era cambiata. Si sentiva ancora debole e indifesa, forse lo era, forse doveva lasciar fare agli uomini. Lei era solo una ragazza, anche piuttosto mingherlina per altro, si sarebbe fatta mangiare dal drago? Oppure sarebbe morta prima? Però era una donna e sua madre sarebbe stata fiera di lei se si fosse comportata in modo valoroso. Odiava esser messa da parte per colpa del suo sesso e questa era un’ottima occasione per mettere fine a questa discriminazione! Ce l’avrebbe fatta a costo di morire.

Arrivata ad un boschetto abbastanza coperto alla vista si sedette, la schiena poggiata ad un albero e si addormentò. Il sonno l’accolse cingendola nel nulla, un nulla confortevole e pesante.

Venne svegliata alle prime luci dell’alba, si stiracchiò sbadigliando e socchiudendo gli occhi. I capelli erano un totale disastro, un intrico biondo che provò in tutti i modi a sistemare, ma alcune ciocche continuavano a sfuggire al suo controllo. Un ronzio fastidioso le riempiva le orecchie e d’istinto agitò le mani accanto ad esse, il rumore si allontanò per tornare ancora più impertinente di prima. Allora la giovane si alzò di scatto con un urlo infastidito pronta a ripartire, si calcò il mantello e si mise davanti al naso la mappa dei paesi nelle vicinanze.

-Allora… Nord poi est poi attraversare il boschetto, guadare il fiume e il paese sarà sulla collina alla mia destra. Ottimo, sono pronta a partire. – Borbottò incamminandosi con passo lento, una volta deciso il tragitto il passo si fece più svelto e deciso. Avrebbe fatto una pausa solo a mezzogiorno per mangiare in una locanda e comprare provviste. Nelle tasche delle gonne aveva qualche soldino e se li sarebbe dovuti far bastare.

Le ore passarono e il mantello non le servì più, il calore si insinuava nel vestito e la rendeva accaldata, doveva bere qualcosa perché stava morendo di sete. Nel paesaggio verde si delinearono i contorni di un villaggio: sorrise soddisfatta, era sicura che ce l’avrebbe fatta. Affrettò ulteriormente il passo e raggiunse le prime strade che s’inerpicavano sulla collina.

Le case erano distribuite disordinatamente e senza alcun senso logico, anche le singole costruzioni sembravano innalzate rapidamente e male. Non si sarebbe sorpresa se un’anta di legno le fosse caduta addosso schiacciandola. Nel luogo aleggiava un silenzio rumoroso, che le faceva ronzare le orecchie e che le pesava sulle spalle. In lontananza, spezzata a terra, si trovava un’insegna che indicava la strada da percorrere per una locanda, lei la seguì, anche se inconsciamente avrebbe preferito non farlo. Voleva capire cosa era accaduto in quel luogo colmo di assi di legno e silenzio.

Arrivata alla locanda ci si infilò rapidamente dentro: il luogo era completamente diverso dall’esterno, infatti era illuminato da tenui luci e tutto era messo in ordine e pulito con cura, non se lo sarebbe mai immaginato, ma ne fu sollevata. Non le sarebbe piaciuto mangiare in un luogo sudicio come la locanda del pastore, avrebbe preferito fare la fame piuttosto che mangiare lì.

-Potrei avere qualcosa di caldo da mangiare e da bere? Fate voi. – Chiese al bancone e la donna dall’altra parte annuì asciugandosi sul grembiule le mani bagnate per dirigersi verso una stanza che probabilmente erano le cucine.

 Aurora nell’attesa si guardò attorno incuriosita: era tutto così pulito e accogliente che sarebbe rimasta lì anche per sempre se non fosse stato per la missione. Posò lo sguardo su una figura seduta ad un tavolo da sola. Di una cosa era certa: non era un tipo con cui attaccare briga. La donna tornò con un piatto fumante di cosce di pollo che la ragazza prese poggiando al suo posto cinque monete doro –molto più di quanto costasse effettivamente quel pasto. Raccolte le sue cose andò a sedersi con malagrazia nel posto vuoto davanti alla figura.

Ehi! – Esclamò lei in segno di saluto sbocconcellando una coscia, ora che lo guardava da più vicino era piuttosto giovane, solo una decina di anni più di lei, se non fosse stata per una cicatrice che lo sfigurava sarebbe stato un bell’uomo. Sul viso sfigurato si aprì uno sguardò curioso e diffidente allo stesso tempo e ad Aurora ricordò particolarmente un cagnolino, di quelli che fanno tanto i duri e che poi non lo sono affatto. Decise ugualmente di continuare il discorso:

-Mi potresti dire perché questa cittadina sta cadendo a pezzi? E’ colpa della maledizione del principe Filippo o altro? – Lei volle rimanere appositamente sul vago per non farsi sgamare che poi, sgamare di che? si chiese in un borbottio. Il viso sfigurato si piegò in un’espressione che probabilmente andava a significare sorpresa o orgoglio, Aurora non riuscì a capirlo con esattezza. L’uomo alzò il mento e con voce tonante rispose:

-Questo villaggio non è maledetto ne povero, noi ci proteggiamo nascondendoci dietro la debolezza. Come un cucciolo ferito fa tenerezza noi faremo pietà, ma non verremo distrutti. La debolezza è la miglior difesa. – Aurora l’osservò stranita per qualche istante la debolezza non può divenire forza penso lei in un sospiro.
-Mi vorresti dire che le debolezze non debbano essere sconfitte? Non debbano essere represse nel profondo? Che la forza in realtà non è tale? – Sbottò lei irritata dalle parole dell’uomo, quelle frasi le avevano toccata sul vivo e la cosa non le piaceva. Era un modo per dirle che era stupido sentirsi vulnerabile quando qualcuno parlava di una tua debolezza? E senza rendersi conto aveva detto più del dovuto, si era sentita libera di aprirsi difronte a lui, un perfetto sconosciuto dall’aspetto poco raccomandabile. Il signore le indicò la cicatrice e sorrise.

-Questa è per essermi dimostrato forte quando nessuno lo era, questo è per essermi dimostrato umano e vulnerabile quando non ce la facevo più. – Finendo la frase si indicò il sorriso, un sorriso da bambino su di un viso vissuto. Se avesse avuto ragione quell’uomo? Se la forza non fosse stata sempre la scelta migliore? Aurora si alzò lentamente allontanando il piatto verso lo sconosciuto.

-Finisci tu io devo tornare in viaggio. – La voce le uscì spezzata e si allontanò rapidamente dal tavolo facendo un cenno alla donna, che aveva ripreso a pulire con cura un boccale di birra.

-La nostra più grande forza è saper usare le nostre debolezze a nostro vantaggio! – Le gridò dietro l’uomo dal sorriso di parole. Lei si girò a guardarlo e annuì riluttante.

Una volta fuori dalla locanda si diresse immediatamente verso il percorso da intraprendere, mancavano poche ore e sarebbe arrivata, una volta lì avrebbe dovuto uccidere il drago, entrare nel palazzo e baciare il principe. Tra le tre cose l’ultima era la cose che meno le piaceva, ma se l’avesse fatto per una buona causa allora non si sarebbe lamentata.
La luce incominciò a calare, nuvole minacciavano tempesta e buio, inconsciamente Aurora si strinse a sé. Mancava poco.

Sempre che tu ci arrivi viva al regno, bambina. Sempre che tu ci arrivi viva al regno, bambina. Sempre che tu ci arrivi viva al regno, bambina

Quelle parole le risuonavano nella testa da quando si era allontanata dall’ultima locanda, e con esse era arrivata la paura. Forse quella prova era troppo ardua per una ragazzina della sua età.  Quei pensieri si rintanarono nella parte più profonda della sua mente. Quando raggiunse i primi rovi che creavano un intricata muraglia introno al palazzo, Aurora tirò fuori il pugnale e spinse un bottone, dalla punta balenò una luce che lasciò il posto ad una lama sfavillante e accuratamente lavorata. Il miglior lavoro di suo padre che forse non l’avrebbe mai perdonata. Testò la spada per controllarne la pesantezza: era perfetta per Aurora. Tirò un fendente per tagliare alcuni rovi, ma quelli, una volta tagliati, ricrescevano più di prima.

Cominciò ad infilarcisi con qualche difficoltà e si concentrò sui sentieri più fattibili. Le vesti le si strapparono lasciando brandelli sulle spine e i capelli s’incastrarono continuamente tra i rovi, quando trovò un piccolo spiazzo si lasciò cadere a terra stremata. Era terribilmente sudata e sporca di polvere, il vestito da contadina era ridotto a brandelli che a malapena si tenevano insieme, i capelli si erano ridotti ad un intricato cespuglio. Prese la spada e con una mossa precisa li recise di netto all’altezza delle spalle. Sarebbe stato più semplice continuare il cammino tra i rovi così. Decise di riprendere fiato prima di ripartire.
Con il passare del tempo i rovi si facevano sempre più intricati e fitti e, anche se con i capelli corti, le era più facile proseguire, non era comunque una facile impresa riuscire a non ferirsi tra quelle spine. Quando finalmente ne uscì lanciò un urlo di sollievo prima di osservarsi intorno. Il castello era a pochi metri, ora doveva sconfiggere il drago che stava a guardia del luogo. Impugnò la spada con forza e paura, il movimento dell’aria le fece capire che il drago era lì, pronto a prenderla tra le fauci e dilaniarle le carni. Sollevò lo sguardo su quell’essere enorme e dal muso di un drago di Komodo*: le caddero le braccia vedendolo. Era impossibile per lei sconfiggerlo, non era all’altezza, ora sarebbe stata mangiata e nessuno avrebbe salvato il principe Filippo. Il valletto aveva ragione: non ce l’avrebbe fatta, il drago emise ruggito che fece tremare la terra.

Aurora si fece piccolina e la vista le si offuscò dalle lacrime, aveva paura, paura di morire, paura di lasciare una vita che tanto amava. Perché lei amava la vita, amava una vita che l’aveva rifiutata perché era nata femmina, era nata contadina, era nata povera. Chiuse gli occhi stringendoli forte: forse se non avesse guardato il drago avrebbe potuto pensare che quell’essere non esisteva. Nella più completa disperazione, con le lacrime che le rigavano il viso polveroso formando vere e proprie righe bianche tra la sporcizia, pensò alle parole dell’uomo sfigurato:

La nostra più grande forza è saper usare le debolezze a nostro vantaggio!

Questa frase si accavallava con quella del valletto, sopprimendola. Aurora aprì gli occhi e osservò il drago che ancora aspettava una mossa da parte della ragazza, quest’ultima prese coraggio e s’inginocchiò davanti al mostro poggiando la spada davanti a se e rimase a guardarlo fisso negli occhi. L’essere, sorpreso da quella mossa, si avvicinò alla ragazza succinta e le ringhiò sul viso, l’alito caldo e fetente l’investì in pieno e per poco non cadde a terra tanto era la puzza.

 Aurora respirò profondamente e con un gesto rapido riprese la spada trafiggendo il collo scoperto del drago. Quello sgranò gli occhi in una smorfia grottescamente sorpresa e con uno sbuffo bollente cadde nella polvere, degli zampilli rossi andarono a colpire il volto, e le vesti di Aurora. Il sangue cominciò a riversarsi sul terreno rendendolo fangoso e pastoso, la ragazza si allontanò in fretta osservando il mostro che ora riposava con gli occhi spalancati, morto.
La ragazza cadde a sedere a terra con il fiato accelerato dalla paura, si morse un labbro per impedirsi di gridare per la gioia e il terrore.  Passarono minuti interi dove il silenziò era interrotto solamente dai respiri di Aurora: ce l’aveva fatta, era riuscita a uccidere un drago.

Infilò la spada nell’elsa e con sguardo di trionfo riprese il percorso, spinse il portone di quercia del palazzo reale aprendolo nel cigolii di protesta del legno vecchio e ammuffito e prese le prime scale a destra percorrendole fino ad arrivare alla torre dove vivevano la famiglia reale. Aprì ogni porta che sbucava su quel corridoio stretto cercando la figura giovane del principe dell’annuncio, aprì l’ultima porta infondo e si trovò di fronte ad un letto a baldacchino di legno scuro, sormontato da teli rossi e pesanti. Si avvicinò ad osservare il giovane sdraiato sul letto: tutto sommato era bello. Ora le toccava baciarlo, ma per quanto lui potesse sembrare attraente Aurora non se la sentì affatto. Si piegò inginocchiandosi al lato del letto e si avvicinò al volto del ragazzo e, con un bel ceffone ben piazzato, svegliò il principe. Quello fece un balzo sorpreso guardandosi intorno rintronato, notando la ragazza accanto a se sorrise baldanzoso e chiese:

-Vuoi sposarmi? – Aurora si sollevò rapidamente sorpresa, come poteva chiederglielo così? Si era appena svegliato e subito faceva domande inappropriate? Cosa ci vedeva in lei, era completamente ricoperta di sangue e polvere, le vesti strappate e il viso ferito, era forse l’eroismo? Il fatto che fosse diversa perché aveva lottato contro un drago? Sì doveva essere per forza questo. Il giovane notando lo sguardo della ragazza e sorrise.

-Non preoccuparti, è per seguire quello che dice il foglio con la richiesta di aiuto. – Lanciò uno sguardo eloquente al foglio spiegazzato caduto al lato del letto. E Aurora che pensava fosse per un altro motivo! Come poteva anche solo averci pensato? Era un maschio, non c’era da sorprendersi. Annuì poco convinta, lo diceva il foglio ora lei sarebbe diventata ricca e avrebbe sposato il principe Filippo.

-Quindi la tua risposta è sì, allora le nozze sono fissate tra una settimana? – Rise Filippo alzandosi e aiutando Aurora a fare altrettanto. Lei sorrise accondiscendente poco convinta. Poi Filippo continuò: -Però vai a lavarti sei tutta sporca! – La ragazza lo guardò sbigottita e uscì sbattendosi la porta dietro.

-PRINCIPE DEI MIEI STIVALI! – Gridò lei uscendo di corsa dal palazzo.
Da quel giorno il principe Filippo mise in giro la voce che fosse lui ad aver salvato Aurora e è questa la versione che ascoltiamo tutt’oggi.
 
'Cause all of this is all that I can take
And you could never understand the demons that I faced
So go ahead and bat your eyes and lie right to the world
For what everything you are

 
Note d'autore: Eccomi dopo un mese con una nuova One Shot, scusate se è passato tanto tempo (ai pochi a cui interessa), ma con lo studio è stato un vero disastro trovare il tempo di scrivere. 
Il drago di Komodo, per chi non lo sapesse, è la più grande lucertole esistente ed è diffusa nelle isole indonesiane di Komodo, Rinca, Flores e altre di cui ora non ricordo il nome.
 Può raggiungere i tre metri di lunghezza e se volete vedere una foto cercatela su internet, ce ne sono molte. 
Devo ringraziare la beta: Audrey Horne
In realtà non sapevo se mettere la storia tra le originali o tra le ff, alla fine ho deciso per quest'ultima così andavo sul sicura. 
Recensite se volete.
Bye bye
Black
   
 
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