Nothing else matters
Non avevo
mai pensato che ciò che è successo sarebbe mai potuto accadere.
È iniziata
come una mattinata come le altre: mi sono svegliata, ho preparato la colazione,
ho salutato James che partiva per un viaggio di lavoro, e sono uscita per le
mie solite faccende.
Sono stata
fuori tutto il giorno, pranzando con Kelsie dopo secoli che non ci vedevamo, e sono
tornata a casa solo per l’ora di cena.
Parcheggio
la macchina di fronte a casa, la mia vecchia
casa ad Albuquerque, e scendo, tenendo in mano le buste della spesa.
E lo vedo.
Scende da
un’auto nera a cui non ho fatto caso, davanti alla mia, e mi chiama per nome:
“Gabriella.”
Quasi mi
cadono le buste per la sorpresa: “Co-cosa ci fai qui?”
Scuote le
spalle: “Io… io ero in giro e ho pensato di venirti a fare un saluto. Ho… ho
fatto male?”
“No, no,
assolutamente. Vieni, entra pure.”
Apro la
porta e lo lascio passare. Certo che non ha bisogno di indicazioni. Conosce
quella casa come le sue tasche, come io conosco quella dei suoi genitori.
Ci abbiamo
passato tanti bei momenti insieme, ognuno più prezioso dell’altro. Ma sono
trascorsi molti anni, ormai.
Mi aiuta a
sistemare la spesa: “Vuoi qualcosa da bere?” gli domando mentre mi avvicino al
frigo.
“No,
grazie. Sono a posto così.”
Va in
salotto e si siede, al buio. Mi viene da sorride. Anche dopo tutti questi anni,
sceglie ancora il ‘suo’ posto, nel bel mezzo del divano. Una volta il suo
profumo rimaneva impregnato anche per settimane, visto che non cambiava mai.
Sono anni che non lo sento.
Sospiro e
lo raggiungo, sedendomi vicino a lui: “Cosa c’è che non va, Troy?”
Lui
sorride appena: “Scusami, Gabriella. Sono piombato qui dopo anni, senza nemmeno
avvertirti. Che stupido che sono. Solo che… non sapevo dove andare, sei stata la
prima persona che mi è venuta in mente.”
Certo,
Chad ormai abita a New York con Taylor. Ma tu?
“Cosa è
successo, Troy?”
Rimane in
silenzio, a fissare una decorazione sul tappeto.
Mi rendo
conto che ormai non so più niente di te. Non so dove vivi, con chi vivi… se sei andato avanti.
“Tu come
stai, Gabby?” fa come quando era ragazzo, evita le domande dirette a cui non
sa, o non vuole, dare risposta.
“Io sto…
bene, grazie. Ma non hai risposto alla mia domanda.”
Ridacchia:
“Con te non si vince mai, eh?”
“Troy. Se
non ne vuoi parlare, basta dirlo.” forse ancora un po’ ti conosco. Anche dopo
dodici anni.
Ci impiega
qualche secondo a rispondere: “Il mio matrimonio è finito definitivamente. Ho
firmato le carte del divorzio giusto ieri. Peccato che la mia ex moglie si sia tenuta la casa di Los
Angeles.”
Sgrano gli
occhi. Non sapevo nemmeno fosse sposato, ed adesso scopro che ha addirittura
divorziato?
“Mi
dispiace…”
Troy
scuote la testa: “Non dispiacerti. È stata una stupidata fin dall’inizio. Sai,
il fascino dell’attricetta bionda e bella. Ma tra basket e cinema non può
funzionare. È durato un anno solo.”
E di
nuovo, il silenzio. Una volta non era pesante; ora bensì è intriso di ricordi e
pensieri.
“Tu
invece, Gab?” ho un brivido. Sono dodici anni che nessuno usa più quel
soprannome. È riservato solo ed esclusivamente a lui. Nemmeno James mi chiama così.
“Convivo
da due anni con un ragazzo. Si chiama James, è un ingegnere informatico.”
Si guarda
intorno: “Deve arrivare? Perché se vuoi vado via.”
Lo fermo
per un polso, senza quasi accorgermene: “No, non c’è. Torna domani sera. È in
viaggio di lavoro.”
Mi guarda
dal basso, cerca di incrociare il mio sguardo. È lui che ancora, davvero,
capisce me: “Non va tanto bene, vero?”
Scuoto le
spalle: “Sai com’è… praticamente non stiamo mai insieme…”
“Già… la
lontananza…”
Ahia.
Questo non dovevi dirlo. Non con quel
tono.
Mi alzo di
scatto, ritorno in cucina: “Ti va di restare a cena? Ormai è ora.”
“Okay,
grazie. Sempre se non disturbo.”
Non gli
rispondo ed inizio a preparare da mangiare.
All’improvviso,
un gatto nero si struscia contro le mie caviglie.
Sorrido e
lo prendo in braccio: “Ehi, micione. È anche l’ora della tua pappa, eh?”
Troy
compare all’improvviso al mio fianco: “Come si chiama?”
Ops. Arrossisco
di botto, come non mi capitava da anni: “Ehm… Troy…”
Un ghigno
sorpreso e divertito, il suo ghigno,
gli si dipinge sulle labbra: “Hai chiamato il tuo gatto come me?”
Mi stringo
nelle spalle, mentre rovescio una lattina di cibo per gatti nella scodella di,
ehm, Troy-bis: “Ha il tuo stesso colore degli occhi.”
In
effetti, è stato per questo che l’ho comprato. Quegli occhi sono stati la prima
cosa che mi aveva colpita non appena ero entrata nel negozio. Non ho resistito.
Come d’altronde, non ho resistito ai suoi
occhi.
Accende la
radio, al suono della musica prepariamo la nostra cena. Ci scontriamo,
cantiamo, balliamo sul posto, ci lanciamo le bucce di patata e ci passiamo il
prezzemolo sul viso, e ridiamo. Rido come non mai.
Non
pensavo che potesse ricomparire così e farmi stare così bene. Non so nemmeno perché è qui. Perché ci stiamo comportando così.
Ma
d’altronde, lui è Troy Bolton ed io sono Gabriella Montez. È nel nostro DNA
fare cose che nessuno si aspetta. Sconvolgere tutto. E lo sappiamo bene.
Apparecchiamo
con una bottiglia di vino rosso ed addirittura un paio di candele, ci sediamo
ed iniziamo a mangiare.
E da qui,
incominciano i ricordi. Naturali, sgorgano dalle nostre labbra senza quasi che
ce ne accorgiamo. O forse non vogliamo accorgercene. Perché va meglio così.
Sarà
l’atmosfera, sarà il vino, sarà il cuore. Sarà che probabilmente non ti ho mai
dimenticato.
“Eravamo
una bella coppia, io e te.” non è una domanda. È un’affermazione.
Sorrido:
“Già.”
Troy fa
girare il suo bicchiere, osservando i movimenti del liquido rosso: “Dove
abbiamo sbagliato?”
“Non lo
so, Troy.”
“Forse non
era destino.”
“Io penso
che lo fosse.”
“E allora
perché?”
Trovo la
forza di specchiarmi in quelle due pozze d’oceano: “Non abbiamo avuto
abbastanza coraggio, forse.”
“Taylor e
Chad l’hanno avuto.”
“Ma noi
non siamo Taylor e Chad.”
“Vorrei
che lo fossimo.”
Sento il
cuore stringersi. Anche io lo vorrei, Troy. Davvero tanto: “Ma non si può.”
“Perché
no?”
Non lo so:
“E’ passato davvero tanto.”
“Non riusciremmo
a recuperarlo?”
“Non lo
so, Troy.”
Ghigna:
“E’ strano sentirti dire ‘non lo so’, Gabby. Tu hai
sempre saputo tutto.”
Sorrido
anche io. Già, è vero. Ero io la genietta della scuola, la stramba ragazza
della matematica, che sapeva sempre tutto, e rispondeva a qualunque domanda del
Dio della scuola, della stella del basket.
E adesso,
cosa siamo?
“Lo ami?”
La domanda
a bruciapelo mi fa alzare lo sguardo: “Cosa?”
Mi fissa
duramente: “Lo ami?”
Boccheggio
un paio di volte, prima di rispondere: “Io… non lo so.”
Lui fai
spallucce e fa per bere: “Dovresti, se ci vivi insieme e lo aspetti a casa
quando lui è in viaggio.”
“Tu la
amavi?” ribatto.
Ci pensa
qualche istante: “Così credevo. Poi invece mi sono svegliato.”
Mi alzo e
raccolgo i piatti sporchi: “Mi dispiace.”
Mi
raggiunge e mi aiuta: “Ti ho già detto di non farlo. E comunque, anche tu stai
soffrendo.”
Immergo le
mani nell’acqua saponata: “Amare vuol dire anche soffrire.”
“Con me
hai sofferto?”
“Alla fine
sì.”
“Anche io.
Ma ne è valsa la pena.”
Cade il
silenzio, interrotto solo dai rumori dei piatti che cozzano e dell’acqua che
scorre.
“Qual è
stato il regalo più grande che hai fatto alla persona che amavi?” mi domanda
all’improvviso.
Scuoto le
spalle: “Non lo so. Tu?”
Si ferma:
“Affrontare l’intera scuola, la mia famiglia e gli amici, solo per lei.
Fregarmene di tutto e di tutti, per lei. Regalarle ogni mia partita, ogni mio
canestro, ogni mia canzone.”
I miei
occhi si bagnano. Il mio corpo trema. Lascio cadere un piatto nel lavandino,
facendolo affondare lentamente. Lo guardo: “Perché, Troy?”
Mi scosta
una ciocca di capelli, mettendola dietro l’orecchio: “Dimmelo tu.”
Peccato
che io non sappia la risposta.
E poi
succede. Come nei film, al rallentatore.
I suoi
occhi si avvicinano, il suo naso sfiora il mio, le sue labbra si posano sulle
mie.
Un bacio.
Come non ne ricevevo da dodici anni. Un bacio che mi annebbia il cervello, che
mi fa schizzare il cuore, che mi annulla qualsiasi capacità mentale.
Un suo bacio. Il suo sapore. A cui si mischia quello salato delle mie lacrime.
Non so
come, non so dopo quanto, ma ci ritroviamo in camera mia.
Non quella
che condivido con James, che era la camera di mia madre, ma proprio la mia
vecchia camera. Quella della nostra prima volta.
Perché,
dopo dodici anni, è di nuovo la nostra prima volta.
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La luce
che entra dalle tende aperte mi sveglia.
Apro
lentamente gli occhi, cercando di abituarmi. In un secondo, ricordo tutto. E
non ci metto molto a capire.
Mi giro, e
le mie supposizioni diventano giuste e reali. Lo conosco troppo bene per
potermi illudere.
Al posto
che doveva essere occupato da lui, che ancora sa di lui, c’è un foglietto strappato.
Lo apro e
leggo le parole scritte dalla sua calligrafia disordinata:
“Non so se scusarmi o dirti grazie
per quello che è successo stanotte.
Sappi solo che non ho voluto
ferirti. Non ne ho mai avuto l’intenzione.
Ti lascio ciò che avrei dovuto
regalarti dodici anni fa. Il suo posto era sulla tua mano.
Ma non ne abbiamo avuto il coraggio,
o forse il tempo.
Lei non l’ha mai messo, lo giuro. È
sempre stato con me in tutti questi anni.
Buona fortuna, Gab. La meriti
tutta.
Con amore, per sempre
Troy.”
Alzo lo
sguardo sul comodino e prendo l’anello.
Lo bagno
di lacrime mentre lo indosso. Non mi interessa cosa potrà pensare James. Non mi
interessa niente.
L’unica
cosa che davvero mi interessa è lui, come ha sempre fatto e come sempre farà.
Giro il
foglietto, c’è un numero scritto sopra.
Non ho
bisogno di pensare tanto per sapere che cos’è.
Il gioco è
ricominciato.
Stravolgeremo
di nuovo tutto, come dodici anni fa. Perché così siamo noi. Perché ci fidiamo
di noi. Forse stavolta avremo abbastanza coraggio.
Senza
fregarci di ciò che pensano gli altri. Perché non importa nient’altro, se non
noi.
Never cared
for what they do
Never cared
for what they know
But I know
So close no
matter how far
Couldn’t be
much more from the heart
Forever
trusting who we are
And nothing
else matters
- ‘Nothing
else matters’, Metallica
Fine
Okay,
questa non so da dove mi è uscita. È stata scritta anche lei in tre ore, ascoltando
tristissime canzoni.
Va
così, ragazze, che ci posso fare. Non l’ho nemmeno riletta, quindi prendetela
come viene, sperando che vi sia piaciuta.
La
dedico a chi non riesce a dimenticare. Ed ogni volta torna sempre dalla stessa
persona.
Ringrazio
chi ha commentato “Il mio pensiero”: Angels4ever, armony_93, Herm90, lovely_fairy e Tay_.
Un
bacione e grazie in anticipo a tutte coloro che commenteranno!
La
vostra
Hypnotic Poison