Film > L'uccello dalle piume di cristallo
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Autore: Feles 85    24/01/2015    2 recensioni
Questa fiction nasce da una suggestione che ebbi guardando questo capolavoro di Argento. Tutto si sviluppa dal rapporto, accennato appena ma intenso, che intercorre tra il protagonista, lo scrittore americano Sam Dalmas, e Monica Ranieri, l'assassina che si muove di notte per le strade di Roma e dà sfogo alla sua latente follia. È un rapporto fatto di sguardi e di pensieri ricorrenti, che genera diverse impressioni. Sono partita da questi elementi per sviluppare questo piccolo scritto.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Sarebbe mai tornato a scrivere? 
Questo era il pensiero fisso di Sam. 
Giorni, mesi, anni...
Quella mattina ci aveva provato ancora. Niente macchina da scrivere: si era seduto sulla sua scrivania, ormai impolverata, con solo una matita consunta in mano.
Una lurida matita mordicchiata in modo indecente!
E quel maledetto foglio infernale...
Bianco come l'inferno quando è vuoto!
La luce candida del mattino inoltrato infiammava ancora di più quel foglio, abbandonato sulla scrivania, mentre Sam Dalmas stava cominciando a stringere nervosamente quel mozzicone di matita nella sua, un tempo fidata, mano destra. 
Passarono dieci minuti, venti, una mezz'ora scarsa; l'orologio ticchettava perfido ed impassibile.

«AL DIAVOLO!»
La matita era finita in un angolo infame di quella stanzetta, emettendo il suo ultimo tic.
Sam si accasciò come un pupazzo sulla seggiola. Ancora silenzio. 
Il foglio lo fissava, impudente. Lui fissava il foglio, impudentemente. 

"Morirai... devi morire..."

«AH!»
In un attimo guizzò in piedi, come spinto da una molla. Il cuore gli scoppiava nel petto e una goccia di sudore gli rigò la tempia. Ansimava.
Stava per addormentarsi, forse? 
Eppure, quella voce non sembrava scaturire dalle nebbie dei sogni o dei ricordi...
Sembrava uscire, nitida ma sussurrata, da quelle mura, da quella calce, da quei mattoni. Quei mattoni che costruivano la sua casa, il suo attico newyorkese, così lontano da quel luogo... laggiù... a Roma...

«Sam! Sam, cosa stai facendo?»
Un paio di grandi occhi azzurri gli si erano parati davanti al viso.
Sam Dalmas si scosse violentemente dal suo torpore.
«Giulia... io stavo... scrivendo, credo...»rispose attonito alla compagna.
«Se non lo sai tu... Stai bene? Hai certi occhi da matto!»
«Sì... sto bene, io...»
«Ascolta, io esco un attimo. Devo comprare delle mele.»
«Ancora mele?»
«Ancora mele.»

"Per la dieta, per posare per le foto... caro, hai dimenticato che sono una fotomodella?"

Ancora questa frase gli girava in testa, mentre Giulia si era già defilata da un pezzo.
Lo ripeteva sempre, Giulia, anche . A Roma...

"Morirai... devi morire..."

 Un altro sussulto, un altro brivido gelido giù per la schiena.
Sam si guardò attorno con circospezione; gli occhi sbarrati, i capelli irti dai brividi. 

Se la rivedeva lì davanti, mentre lei annaspava sul pavimento bianco, mentre i capelli rossi si scuotevano agitati, mentre con una mano si reggeva l'addome ferito e cruento. Li separava il doppio vetro dell'ingresso alla galleria.
Vestita di bianco, capelli rossi, sangue... Sola nel bianco assoluto di quella galleria d'arte. Ombre grigie vegliavano quel tempio, statue deformi e scure, statue con artigli, statue con voragini al posto della bocca. Lei, con quei chiari occhi spalancati, gli tendeva una mano tremolante. E poi cadeva per terra, sul pavimento candido. Gemeva, Monica, gemeva ma lui non poteva sentirla. Vedeva la sua bocca aprirsi e deformarsi, ma non la sentiva. E lui apriva la bocca per chiamarla, urlava, ma lei non udiva a sua volta.
Sola in quel bianco assoluto.

Morirai... devi morire...

Sam si scosse ancora, in quel silenzio bianco. 
Quante volte aveva rivisto quella scena, nella sua mente?

"Si sforzi, provi a ricordare... Sono sicuro che lei ha visto qualcosa d'importante, quella sera..." 
gli aveva detto il commissario Morosini, poco prima che... il telefono squillasse... poco prima di sapere...

driin driin
Il telefono cominciò a squillare. Chissà chi è che mi cerca, pensò Sam
Suonava davvero, il telefono? O erano solo i ricordi che ora si stavano mescendo al presente?
O era Monica che, con la voce alterata, lo minacciava? Era Monica che sfidava il commissario Morosini?

Oh, ricordava quella telefonata fatidica...
"... pronto?" " Mph mph"
"Chi parla?"
"Sono la persona che tutti voi state cercando... mi lasci parlare:
vi annuncio che questa settimana ci sarà un altro delitto, il quinto..."


Poi, il telefono, quello vero non quello dei ricordi allucinati, si ammutolì di colpo. Ancora silenzio. Quell'ottuso silenzio bianco che tanto assomigliava a quello di quella famosa notte, a Roma, di tre anni prima. Il volto di Monica, rossa di capelli e di sangue, col volto agonizzante gli tendeva la mano e lui provava ad incitarla. Ma non poteva sentire i suoi gemiti, né accorrerle accanto per sollevarla da terra, farle forza, soccorrerla. Un corridoio stretto tra due vetri intangibili ed insonorizzati lo separavano dal mondo esterno e da lei, ingannevole vittima in vetrina. E là dentro era tutto talmente candido da suscitare terrore...
Quella scena si era impressa nella sua mente come un marchio a fuoco. Gli si ripresentava quando guardava i muri bianchi, quando provava a scrivere, a leggere, quando si trovava tra le braccia di Giulia, in macchina, in treno...
A quei tempi, Sam credeva che Monica fosse una vittima.
Ricordò come gli strinse la mano, con le sue esili dita fredde, per ringraziarlo, sotto gli occhi scuri e custodi di suo marito. Anche lei l'aveva guardato fisso, fremendo quasi, con i suoi due instabili e graziosi occhi verdi. 
Suo marito... chissà cosa pensava quell'uomo, visto che per amore era diventato complice della pazzia della moglie e, in extremis, avrebbe voluto accentrare tutte le colpe della sua donna su di sé. Anche in punto di morte.

Tutto per amore di Monica...

La pazzia di Monica... l'aveva vista, oh, se l'aveva vista! 
Quel volto stravolto, quegli occhi frementi, quello sguardo supplichevole e ardito che aveva incrociato un paio di volte, erano mutati in un attimo, quella volta fatidica, stravolgendosi in una risata sonora, perfida e godereccia. 
Sembrava quasi che avesse voluto rivelarsi a lui per ciò che era davvero: l'assassino, anzi, l'assassina efferata che aveva massacrato cinque giovani donne. 
In piedi, nel buio illegale di quell'appartamento pieno di segreti, accanto a quel quadro, ella si era manifestata, ridendo e sciogliendo la fulva e densa chioma. E aveva riso di gusto, vestita con il soprabito di lucida vernice nera e i guanti con cui solitamente usciva a compiere i delitti. Non le importava che suo marito fosse appena morto, non le importava che Giulia fosse ancora viva, sotto il letto. Le importava solo di rivelarsi a Sam.

Quel quadro...

Sam si girò e andò verso l'armadio di noce che regnava nella parete occidentale di quel piccolo ufficio. Lo aprì. Davanti agli occhi aveva quel quadro, o meglio, la riproduzione in bianco e nero che lui aveva usato a Roma durante le indagini sull'assassino che trucidava sadicamente le giovani donne. 

L'assassina...

«Un Consalvi prima maniera...», commentò tra sé, guardando quell'opera sinistra. Così glielo aveva presentato il pazzo pittore che aveva voluto rappresentare un soggetto simile...
Che Consalvi fosse pazzo quanto Monica? Sam ne era convinto. E, anche se così non fosse stato, quel quadro non poteva non evocare ferocemente la follia della rossa assassina, poiché in quella tela era rappresentata lei. In quel quadro c'era Monica in veste di vittima. No, non era una sottile metafora: il soggetto di quel naive era davvero Monica Ranieri, assalita da ragazza da un maniaco vestito di nero. Consalvi aveva scelto proprio un soggetto scabroso per quel naive! Eppure, quando a Monica era capitato sotto gli occhi, per caso, quel quadro, non si era identificata nel ruolo, legittimamente suo, di vittima.
Si era identificata nel carnefice.

E poi c'era stata la resa dei conti. Erano solo loro due, Monica e Sam, di nuovo in quella galleria d'arte, nivea e spaventosa, degna chiusura circolare della loro vicenda. E Monica aveva quasi vinto, avendolo intrappolato sotto quell'infernale opera d'arte contemporanea, forse peggiore dei quadri agghiaccianti del Consalvi, il divoratore di gatti! Aveva quasi vinto, Monica...
Eppure aveva indugiato a finirlo. Aveva riso ancora, aveva mostrato la sua follia alla nivea luce elettrica di quel luogo blasfemo, col suo coltello goloso di sangue.
Ma, aveva indugiato a colpirlo. Aveva goduto a rimirare Sam in trappola, in balia del suo volere, giocando come una serpe fa con lo sparuto topo. Eppure, ella non riusciva a sferrare il colpo definitivo. Invece, gli aveva sussurrato qualcosa a fil di voce, come a convincersi.
"Morirai... devi morire..."
E lui, a sua volta, era come mesmerizzato dal ghigno folle della donna, e dal riflesso argenteo che il coltello rifletteva sui suoi denti ostentati. 
Ci fu un istante, veloce come un sospiro strozzato, in cui la paura di Sam era scomparsa. Eppure la morte, con le sembianze di Monica, gli stava sussurrando una sicura condanna. Era sotto le mani di una psicotica assassina.
Ma lui, per un attimo, non aveva più sentito la paura. Incantato come un topo davanti alla danza di un cobra con le fauci spalancate.
Per fortuna che era arrivato in tempo il commissario Morosini a salvare Sam! Un colpo dietro la nuca di Monica ed ella fu neutralizzata. Innocua.

Perché quella volta, sotto le grinfie della rossa assassina, non aveva avuto paura? 

...

Ad un tratto, Sam capì. Era stata un'epifania, violenta come una folgore: lui non era mai stato in sé tutte, ma proprio tutte le volte che aveva avuto a che fare con Monica! 
Era sempre stato come ipnotizzato da lei... mentre la donna agonizzava sul pavimento, mentre gli stringeva le mani con riconoscenza, quando si era rifugiata tra le sue braccia per sfuggire al marito, creduto suo aggressore e assassino... mentre lo minacciava con quel sottile coltello!
La follia di Monica era assoluta e assoluta e incontrastata era stata Monica tutte le volte che gli era comparsa davanti. Era come se esistesse solo lei. Non aveva occhi che per lei.

Ossessionato da una pazza assassina che ha provato ad uccidermi...

«AHAHAHAHAHAH!»
La risata nacque subitanea dalla sua bocca. Una secca, violenta e sardonica risata. Assomigliava forse alle risa demoniache di Monica?
Rise talmente tanto che la pancia cominciò a dolergli. Ancora una volta, si accasciò mollemente sulla sedia, asciugandosi gli occhi.
Poi di nuovo silenzio.

Monica, dove ti trovi ora? In manicomio? In galera? Dove sei... Monica? Monica...
                                                             

*




Giulia non trovò Sam, quando poche ore più tardi, rientrò nell'appartamento con una borsa piena di mele.
Lo chiamò, una, due, tre volte. Ma nessuno rispose ai suoi appelli. Sul tavolo giallo della moderna cucina, spiccava un foglio bianco, lo stesso foglio che era giaciuto sopra la scrivania di Sam quella mattina. Sopra di esso non vi erano che poche parole, scritte con quella zozza matita vecchia.

"Giulia, torno a Roma."


   
 
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