Stars
P R O L
O G U E
L’universo.
Un’accozzaglia di spazio inutilizzato, stelle, pianeti e
asteroidi. Mucchi di
terra che girano su se stessi all’infinito. Palle di fuoco
che splendono
nell’eternità fino a consumarsi del tutto. Eppure
esse non sono come il resto.
Tutto ciò che un giorno vive, quello successivo muore. Ogni
cosa ha il suo
tempo. Tutto, nell’intero universo, ha una fine. Ma non le
stelle.
No, loro
no. Privilegiate pupille dell’universo, esse continuano la
loro vita pure dopo
la morte. Quando si spengono o cessano d’esistere, si
reincarnano in una
creatura nuova, così piccola eppure così
raggiante e meravigliosa. E possono
vivere altri cento, anzi altri mille anni e anche di più.
Non c’è niente al
mondo che possa distruggere una stella. O quasi.
Esse vivono
nelle loro reincarnazioni, gli tramandano il calore e la luce della
quale un
tempo splendevano. E’ lasciato un importante compito a questi
figli: le stelle
da vive rappresentano la luce che respinge
l’oscurità, e il calore che permette
la vita. Ogni singolo pianeta sarebbe inabitabile se non avesse una
stella che
lo riscalda. E’ questo il compito che i loro figli ereditano
da esse:
rappresentare la luce e il calore di cui tutti hanno bisogno. Devono
essere
luminose guide nell’oscurità, proteggere e
rispettare le creature viventi e
respingere ogni minaccia verso queste.
Sono i
guardiani della pace e della vita, sono la giustizia e la conoscenza.
Non sono
dei, sono molto di più. Sono figli delle stelle.
Ma anche
delle creature splendenti e superiori come loro hanno bisogno di un
aiuto. Di
una guida. Di un guardiano, che li mantenga sempre sulla retta via.
E’ per
questo che nello stesso periodo nascono il figlio di una stella e il
suo
Guardiano. Essi sono sempre di sesso diverso, e il destino del
guardiano è uno
e uno soltanto: quello di guidare sulla retta via il figlio della
stella. Di
insegnargli il valore dei suoi poteri, e come utilizzarli. E se
necessario dare
la vita per la salvezza di esso.
* * *
Milos allontanò la moglie da sé e carezzò con un dito la guancia della piccina, che rise divertita.
* * *
E D G E
-Ha il
marchio!
Esclamò il
medico, che appena raccolto il bambino si era preoccupato di ripulirlo
dal
sangue e dal liquido amniotico rimasto appiccicato alla sua pelle. Lo
consegnò
a un’infermiera, che lo portò via.
-No! Fermi!
Cosa fate?! Il mio bambino?! IL MIO BAMBINO!!
La donna
che aveva appena partorito, si agitò sul letto e fece per
alzarsi, ma altre
infermiere la fermarono.
-Vi prego
non potete farlo…non portatelo via…è
il mio bambino…
Il medico
le sia avvicinò, e le carezzò la fronte mentre si
agitava.
-Calmatevi,
vi prego…sapevate che sarebbe potuto accadere…
Cercò di
tranquillizzare la donna. Quella scoppiò in lacrime
disperata, mentre le infermiere
la lasciarono andare dopo un cenno del medico. Lui le strinse la mano,
mentre
lei si rannicchiò in posizione fetale mentre piangeva e
singhiozzava.
-Ditemi,
come volevate chiamarlo?
La donna lo
guardò con gli occhi strabuzzati, sperando almeno per un
attimo
nell’impossibile.
-E…Edge…
Riuscì a
balbettare tra un singhiozzo e l’altro.
-Mi
assicurerò che si chiami così signora, glielo
prometto - disse il medico.
Proprio
quel nome. Una coincidenza?
-Sia fiera
di suo figlio…in ogni giorno della sua vita. E’
destinato a grandi cose.
Si voltò e
se ne andò via mentre le infermiere si riavvicinavano per
occuparsi della
donna. Uscito dalla sala, svoltò a destra e
inseguì l’infermiera che teneva in
braccio il bambino.
-Non mi ci
abituerò mai… - disse alla giovane mentre con
passo svelto si dirigevano
all’ufficio d’ispettorato.
-E’ una
pratica barbarica… - rispose l’infermiera con tono
velenoso.
-Abbassate
la voce signorina, se la sentono dire certe cose potrebbero anche
metterla agli
arresti - disse il dottore bisbigliando e controllando che nessuno
potesse aver
sentito. Alla fine del corridoio svoltarono a sinistra e si fermarono
davanti a
una porta. Il medico bussò due volte e poi aprì
la porta, seguito
dall’infermiera.
-Dottor
Jegghins, si accomodi pure.
Disse
l’omone grosso e pelato che stava seduto dietro la scrivania
posta di fronte la
porta, mentre sorrideva sornione.
-Collins,
abbiamo un possibile Guardiano.
Rispose in
fretta quello, mentre l’infermiera lo superava con il
fagottino azzurro in
braccio.
-Ohoh ciao
ragazzone.
Disse
divertito Collins mentre prendeva in braccio il bambino. Un neonato
stranamente
silenzioso.
-Ma è vivo?
Commentò
sarcastico mentre lo scuoteva delicatamente tra le braccia.
-Si chiama
Edge.
Disse con
voce ferma il dottor Jegghins. Collins lo guardò abbastanza
imbruttito, quasi
come sul punto di esplodere.
-Abbiamo
già discusso di questa storia e.. - provò ad
aprire la questione, ma il dottore
fu inamovibile.
-Ho detto
che si chiama Edge. – tuonò di nuovo.
Negli occhi
aveva un che di minaccioso che convinse Collins a non insistere.
Quest’ultimo
si diresse verso il lato destro della stanza, dove vi era un lettino.
Poggiò il
bimbo su di esso e cominciò ad esaminare il simbolo. Era
posto sulla spalla
sinistra della piccola creatura, ed era costituito da quattro linee
curve
collegate tra di loro per mezzo di una sola di esse. Si diresse poi
alla
scrivania e prese un libro da uno dei cassetti, per poi cominciare a
sfogliarlo
velocemente, alla ricerca di una corrispondenza.
-Galassia
di Leo, Nilin! - esclamò indicando il simbolo sul libro.
-Cazzo …
non può essere … - commentò il medico
passandosi la mano tra i capelli.
-Non
esplodeva una stella da troppo tempo, sapevamo che sarebbe arrivato il
momento.
Il bambino deve partire per il monastero. ORA.
* * *
-Ogni volta
è sempre la stessa storia! – sbottò la
ragazza seccata. L’erba le arrivava fin
quasi alla vita, rischiando di macchiare le pompose e colorate vesti
rosse e
gialle. Quei colori così sgargianti e splendenti erano
diventati un simbolo
della dea, temuta e rispettata sulla terra. La giovane si
passò una mano tra i
lunghi capelli neri mentre continuava ad arrancare tra le sterpaglie.
-“Sei la
dea della guerra, è ora che cominci a prenderti le tue
responsabilità”. – disse
mimando gli atteggiamenti di suo padre Zeus.
-Che poi
chi è che lo ha eletto “re degli dei”,
eh? Solo perché è scampato per primo
alla follia del porco1.
Continuò a
farneticare mentre si avvicinava alla cima della collina. La notte era
calata
da poco e l’arrivo della dea Atena necessitava un certo non
so che di
trionfale, dopo gli ultimi avvenimenti. Ateniesi e Spartani infatti,
per
l’ennesima volta, si volgevano al combattimento e nonostante
lei fosse la dea
della guerra non ne poteva davvero più di questa storia.
Aveva intenzione di
porre fine una volta per sempre al conflitto tra le due
città mostrando cosa
succede a contrariare una divinità.
O meglio,
in realtà era quello che le aveva chiesto di fare Zeus,
spazientito come lo può
essere un padre all’ennesimo litigio dei proprio figli.
Quindi la dea era scesa
sulla terra, dall’altro lato della collina dove si erano
accampati i due
eserciti, per non farsi scoprire ed arrivare a sorpresa nel mezzo dello
scontro. Secondo Ecate2 infatti gli
ateniesi avevano
intenzione di attaccare di notte l’accampamento dei loro
avversari, cogliendoli
alla sprovvista e assicurandosi di fatto la vittoria.
Atena,
dalla cima della collina avvertì le prime grida e quando
fece per catapultarsi
nel vivo dell’azione accadde qualcosa di imprevisto.
Alzò lo sguardo al cielo e
vide una palla di fuoco di medie dimensioni precipitare a gran
velocità. Si
dirigeva verso il campo di battaglia inesorabile. Fu un istante:
l’impatto
generò un forte boato che fece tremare la terra per
chilometri. L’accampamento
degli ateniesi era stato raso al suolo, e al suo posto ora
c’era un gigantesco
cratere.
-Ma che
diavolo sta succedendo? Che sia opera di Ares3?
Si chiese
Atena mentre cercava di vedere qualcosa all’interno della
cortina di polvere
che si era alzata. Ma non c’era nessuna traccia di suo
fratello. Allora decise
di cogliere la palla al balzo. Si catapultò
nell’accampamento degli spartani, dove
entrambe le fazioni avevano cessato il combattimento e restavano
allibite ad
osservare e a cercare di capire che cosa fosse successo. Con la sua
voce
altisonante, la dea attirò l’attenzione di tutti i
soldati.
-Ora basta.
Se resterete qui con le spade sguainate ancora per un solo istante lo
considererò come un affronto nei miei confronti, la dea
Atena!
-Tu, come
osi! Blasfema!
Gridò un
uomo additandola. La dea trasalì. Scomparve nel nulla, per
poi riapparire
dietro colui che l’aveva ingiuriata. Con un movimento rapido
della mano destra
gli sfilò la spada dal fodero e lo trafisse da dietro.
Quello ebbe giusto il
tempo di afferrare la lama che lo aveva trapassato, prima di
stramazzare al
suolo privo di vita.
-Ade4 reclama la
tua anima. - disse ancora furente Atena, con un tono dispregiativo.
-Passeranno
altri cento anni come minimo prima che un ateniese versi il sangue di
uno
spartano o viceversa. Se uno solo di voi mi contrarierà,
l’intera sua città ne
pagherà il prezzo. Tornate dalle vostre mogli se non volete
un biglietto di
sola andata per gli Inferi!
Esclamò la
dea mentre manifestava tutto il suo potere scatenando una spropositata
energia
che si diffondeva in ogni angolo della valle in cui si trovavano. Poi
lasciò
l’accampamento. Gli uomini avrebbero sicuramente creduto che
l’esplosione fosse
collegata al suo arrivo, ma lei sapeva che non era così. E
se non era stato
Ares, ne un’altra divinità, chi poteva essere
stato? O meglio, cosa poteva essere
stato? Questo si
chiedeva Atena mentre si avvicinava al centro del cratere. Raggiunto il
punto
d’impatto non credette ai suoi occhi. Una strana struttura
metallica ovale
stava in mezzo al cratere, e al suo interno una piccola creaturina si
muoveva.
-Ma è…è una
bambina.
Sibilò tra
se e se la dea. Cercò un modo di aprirla, di liberare la
bambina, ma non ci
riuscì.
-E va bene,
vorrà dire che userò le maniere forti
Atena
afferrò la parte superiore della struttura da una sporgenza
e mentre con
l’altra mano la teneva ferma tirò con forza
strappandola in due. Gettò la parte
vuota e prese in braccio la piccola che aveva iniziato a piangere.
Notò che
sulla spalla destra aveva un tatuaggio molto particolare, un simbolo
che lei
non aveva mai visto prima.
-No, no
piccolina, non piangere…no…
Cercò di
calmarla con la voce, cullandola un poco. Ci riuscì. I loro
sguardi si
incrociarono per un istante e il sangue le si gelò nelle
vene. Sentì
all’improvviso la voce sibilante di Ecate riecheggiarle nella
testa, fin quasi
a fargliela scoppiare.
“UCCIDILA
PRIMA CHE LEI CI DISTRUGGA, UCCIDILA”.
La giovane
cadde sulle ginocchia, e chiuse gli occhi. La voce svanì.
Quando riaprì gli
occhi, notò che tra le coperte vi era un piccolo foglio di
carta. Lo prese e lo
lesse.
-Nilin…è
così che ti chiami? Nilin…devo portarti al sicuro.
Disse
infine stringendo il fagottino al suo petto.
* * *
P
R O F E Z I A
-Ottimo
lavoro Figlia mia
La voce
calda e profonda di Zeus riempì la stanza in cui la giovane
Atena lustrava
l’armatura, seduta ad un banco.
-Con
l’armatura? - rispose la ragazza facendo finta di nulla. Zeus
fece qualche
passo superando così l’uscio della stanza, per
potersi avvicinare a sua figlia.
-No, con
gli Ateniesi. - rispose divertito il Cronide5. La
splendida armatura d’oro rifletteva le fattezze del padre
degli dei, ormai non
più così giovane. I lunghi e ispidi ricci erano
oramai ingrigiti, così come la
folta barba che ne camuffava il viso. Eppure il suo prestante fisico
sembrava
non risentire del passare degli anni. Atena fece per voltarsi, e vide
una
figura scura passare dietro lo stipite della porta socchiusa.
Avvertì una
sensazione fastidiosissima, come se stesse congelando
dall’interno.
Si alzò
dalla sedia di scatto e senza dir nulla corse fuori. Guardò
a destra e vide
Ecate stare in piedi di fronte a lei. Quest’ultima si
voltò e continuò a
camminare, come se volesse essere seguita. Atena seguì quel
mantello nero per i
corridoi della reggia, in attesa di risposte. Improvvisamente
però, quando le
era ormai vicinissima, quella svanì come fosse uno spettro.
La giovane si
voltò, e si ritrovò al collo la mano della stessa
Ecate, che stringeva con
forza. Gli occhi grigi e glaciali di quest’ultima si
piantarono fissi su quelli
azzurri e candidi della prima. La sua corona d’oro cadde a
terra provocando un
tintinnio che rimbalzò sulle pareti di pietra del corridoio.
Quel suono
metallico, così pungente, ipnotizzò Atena, che
cominciò a vedere strane cose.
Nella sua visione, le apparve una giovane ragazza dai capelli rossi e
gli occhi
iniettati di sangue che teneva in mano la testa di suo padre Zeus,
mentre
dietro le faceva da sfondo una scena apocalittica: esplosioni, lampi,
tuoni e
un cielo nero. Città in fiamme e gente morta.
-Questo è il destino a cui ci
condanni, se la
bambina vive noi moriamo. - sibilò al suo orecchio
la dea indovina,
richiamando Atena dalla visione al presente.
-Tu…dimentichi
chi sono! - esclamo la giovane indispettita. Afferrò il
polso della sua
avversaria con la mano destra e lo torse con tale forza da romperlo. A
quel
punto le fu impossibile continuare a stringere la presa sul candido
collo della
figlia di Zeus, e fu costretta a lasciarla andare. Ma Atena
continuò a
stringere la presa fino a che Ecate non cadde sulle ginocchia per il
dolore.
-Non osare
mai più sfidarmi - disse minacciosa - Se ne parli con
qualcuno, io ti ammazzo. Sai che lo
farò.
Quella
sbarrò gli occhi atterrita, e mentre si teneva il polso
rotto con l’altra mano
corse via. Atena si guardò intorno, e raccolse la corona. Si
diede una
sistemata e si avviò verso le sue stanze.
* * *
G
U A R D I A N O
-E’ il
calore che senti nel petto, quello che ti scalda quando
c’è la neve. Quello che
ti permette di andare avanti ogni giorno, di affrontare la vita. Di
rialzarti
quando sei caduto. Ciò che ti da la forza di combattere
anche quando non c’è
più nessuna speranza, la forza più grande che
esista nell’intero universo. Più
forte persino di una stella. E’ il potere che scaturisce
dall’amore che
proviamo per i nostri cari. Ed è una cosa che nessuno
potrà mai toglierci e –
Le labbra
di Jonine interruppero quel flusso infinito di parole, poggiandosi con
delicatezza sulle sue. Edge restò pietrificato, con gli
occhi sbarrati a
fissare la giovane che sembrava non volersi più staccare.
Per qualche istante
restarono seduti sulle gradinate di pietra del teatro, mentre dietro di
loro il
sole scendeva accompagnando via le ultime luci del giorno. Lui
pensò che
sarebbe stato brutto spingerla via, quindi continuò ancora
per qualche secondo
a guardare le sue palpebre, fin quando questa capì che il
suo bacio non sarebbe
stato ricambiato. Lentamente si distaccò, e si morse un
labbro nel tentativo di
non piangere.
-Io…beh…mi…dispiace.
- farfugliò Edge mentre guardava negli occhi lucidi la
giovane.
-Perché? -
riuscì a domandare lei, mentre ormai le lacrime
già le solcavano le guance.
Edge
s’imbarazzò un po’. Non aveva mai detto
a nessuno quello che sentiva dentro,
ciò che era legato alla sua percezione del mondo. E Jonine
era davvero molto
carina, in quel momento si sentì anche un po’
stupido. Molti giovani le avevano
fatto la corte, in fondo era alta, atletica, prosperosa nelle forme e
aveva
degli splendidi occhi verdi. Eppure lui la stava respingendo. Qualcuno
avrebbe
potuto pensar male di lui.
-Non
fraintendermi Jo’, sei una bellissima ragazza e abbiamo un
bel rapporto, ma…ma
il mio cuore appartiene già ad un'altra… - disse
il ragazzo rialzando lo
sguardo e sorridendo un poco. Jonine si avvicino a lui,
passò una mano tra la
sua barba ispida e una tra i suoi capelli lunghi e biondi.
-Ma non sai
neanche se la incontrerai mai… - rispose mentre copriva di
baci il suo viso e
bramava le sue labbra. Edge la afferrò per le spalle e la
allontanò con
decisione da se.
-E’ il mio
destino…mi dispiace. – affermò
convinto. Poi si alzò e se ne andò lasciandola
lì. Non sapeva che non l’avrebbe mai
più rivista. Scese i gradoni che portavano
al centro della scena, e poi all’uscita dietro le quinte. Una
volta fuori, vide
che c’era il maestro Wuh ad aspettarlo.
-Maestro,
come facevate a sapere dov’ero? - chiese il ragazzo
entusiasta correndo verso
il vecchietto. Si trattava di un arzillo anziano, minuto e simpatico.
Da che
Edge si ricordasse, era sempre stato pelato e con una lunga e folta
barba che
gli arrivava fino alle ginocchia. La teneva ben curata e pettinata,
legata in
un codino con un elastico all’altezza della vita. Da qualche
anno aveva
iniziato a girare con il bastone. In realtà non ne aveva
bisogno, camminava
benissimo, ma disse che gli dava un tocco di stile. Si trattava di un
uomo
molto simpatico e scherzoso, ma che sapeva essere severo quando ce
n’era
bisogno. In realtà non era proprio il suo maestro, ma lui
era abituato a
chiamarlo così. In realtà Wuh lo aveva cresciuto
come fosse suo figlio, per
volere dell’ordine dei Guardiani, l’ente universale
che si occupava
dell’addestramento dei Guardiani delle stelle. Anche lui in
passato era stato
un Guardiano, uno dei più stimati. Ma dopo la morte della
stella Parmenis,
decise che non avrebbe mai più combattuto e si
ritirò a vita privata. Quando
gli dissero che gli avrebbero affidato un giovane, rifiutò.
Ma qualcosa, quando
vide il bambino, gli fece cambiare idea. I suoi occhi verdi come il
mare, gli
ricordarono quelli della sua amata stella. Così lo crebbe, e
gli insegnò tutto
ciò che sapeva.
-Un maestro
sa sempre dov’è il suo allievo. - rispose
sorridendo. Poi gli fece cenno di
seguirlo.
-Vieni
Edge, devo mostrarti una cosa.
Il giovane
lo seguì fino a casa, senza dire una parola per tutto il
viaggio. Per tutta la
sua vita gli avevano ripetuto che quando avrebbe compiuto venti anni
avrebbe
dovuto raggiungere la sua stella. Beh, lui li aveva compiuti da un mese
ormai,
e ancora nessuno si presentava alla sua porta. Ogni volta che il
maestro gli
rivolgeva la parola sussultava.
Per quanto
il suo cuore palpitasse dalla voglia di raggiungere la sua stella,
sapeva che
sarebbe stato doloroso lasciare la sua patria.
Giungendo
verso casa, da lontano Edge scorse un uomo ben vestito. Indossava un
completo
blu, con delle sottili righe verticali scure, e una cravatta grigia
piuttosto
orrenda. Aveva dei capelli corti neri letteralmente sparati in aria, e
gli
occhi del medesimo colore. Quando furono a poco meno di un metro, il
giovane
gli rivolse la parola.
-Voi chi
siete?
-Wuh, è da
un pezzo che non ci vediamo - disse quello, ignorando del tutto il
ragazzo.
-Maestro,
voi lo conoscete?
-Certo, è
colui che ti ha portato qui, venti anni or sono.
A quel
punto l’uomo si voltò verso il giovane.
-Il mio
nome è Timothy. Per te, è giunto il momento di
partire. Sai già dove trovare la
stella?
Edge lo
guardò indispettito.
-Regola
numero uno, mai rivelare a nessuno posizione ed identità
della stella. -
rispose freddo.
-Oh, hai
fatto i compiti - commentò sghignazzando.
-Beh, vi
lascio il tempo per gli ultimi saluti. Edge, ti aspetto al porto
spaziale tra
un’ora
Il giovane
annuì, e seguì in silenzio il maestro dentro casa.
-E’ una
vita che aspetto questo giorno, dovrei sentirmi felice? -
domandò il giovane
dopo aver chiuso la porta dietro di se. Wuh non era mai stato uno che
esternava
i propri sentimenti, e nemmeno Edge. Ma a loro stava bene
così. Non si
sarebbero mai scambiati frasi sdolcinate, nessuno dei due avrebbe
pianto. Ma
sapevano che entrambi avrebbero sofferto in silenzio.
-Sarai un
grande Guardiano. - rispose il maestro. Poi prese una scatola bianca,
che era
poggiata sul tavolo, e la porse al giovane.
-Questo è
il mio regalo d’addio. Ti farà comodo. Ora va a
prepararti.
Il ragazzo,
con la scatola in mano, salì le scale che portavano al piano
superiore, e seguì
il corridoio fin nella sua stanza. Poggiò la scatola sul
letto e la aprì.
Avvolti nella carta, vi erano gli abiti neri da Guardiano, gli stessi
che
indossava Wuh prima di ritirarsi a vita privata. Si trattava di abiti
collegati
spiritualmente al proprietario, in grado di apparirgli addosso ogni
volta che
quest’ultimo attiva la “Gad Mode”, la
trasformazione dopo la quale il Guardiano
può attingere ai suoi massimi poteri. Richiuse la scatola e
si affrettò a
prepararsi per andare. Si aggiustò la lunga sciarpa rossa
che portava appesa al
collo e che gli scendeva davanti al petto fin quasi a toccare terra. Si
assicurò
che le fasce e le fibbie di cuoio che teneva allacciate intorno al
ventre e
alla vita fossero ben strette, in modo da poterci legare eventuali
borse o armi
maneggevoli. Poi indossò un mantello bianco legato al collo,
e un comodo
cappuccio del medesimo colore che oltre ad avvolgere il capo copriva
anche le
spalle davanti e dietro. Controllò che la maglia e i
pantaloni di lana nera che
indossava non fossero strappati e si lucidò gli stivali
rossi. Quando fu pronto
lasciò la sua stanza e scese di sotto, dove Wuh lo aspettava
sull’uscio della
casa. I due si guardarono per qualche istante. Entrambi sorrisero
malinconicamente. Edge superò la soglia, diretto verso
l’ignoto, mentre ad ogni
passo il cuore di entrambi si lasciava stringere sempre più
forte dalla tristezza.
* * *
I
L G I O R
N O D E L
L A V E R I T A’
-Ci siamo.
Disse la giovane davanti alla bancarella del pesce. Lesse
un’ultima volta il foglietto che la matrigna le aveva dato
per non sbagliare, e
si diresse con passo sicuro verso il pescatore. La giovane, poco
più che
vent’enne, era molto affascinante. La matrigna la mandava
sempre a far spese
con la speranza che qualche mercante le facesse dei regali. La sua
pelle bianca
e candida era oggetto dell’invidia di molte donne, e
nonostante avesse dei
comuni capelli castano scuro, il fatto che li portasse corti le dava
fascino e
attirava l’attenzione. Spesso e volentieri indossava una
gonna bianca con uno
spacco a destra in diagonale, che lasciava intravedere le gambe lunghe
e sode.
Sopra indossava un drappo colorato di due diverse tonalità
di rosso, che dalla
spalla destra le scendeva a coprire le forme perfette e le lasciava
libero il
braccio sinistro, mentre avvolgendosi su se stesso scendeva fin sotto
la
cintura, mentre dei semplici sandali le avvolgevano i piedi delicati.
-Mi scusi, avete delle trote?
Il pescatore guardò la giovane che gli sorrideva e
pensò a
un mucchio di battute sconce che avrebbe potuto fare, con la vana
speranza di
abbordare una così bella ragazza nonostante i suoi denti
rancidi e i capelli
grigi e unti. Ma, per fortuna, la cortesia prevalse.
-Ehm, si mia signora, a volontà.
Rispose indicando una cassetta piena di pesci. La ragazza
sorrise.
-Oddio per me i pesci sono tutti uguali, non avrei mai
saputo riconoscerle, potrebbe darmene due?
E scoppiò in una risata isterica, carica di imbarazzo. La
scenata della ragazzina ingenua in genere funzionava sempre, ma dire
certe cose
la metteva in ogni caso non poco a disagio.
Il pescatore allocco ne incartò tre, e se ne fece pagare
soltanto una. E poco gli importava che avesse incassato poco, mentre
con la
bava che gli colava dalla bocca guardava la ragazza sculettare via
contenta.
-Oh tesoro mio, tu sai proprio come ammaliarle le persone.
Esclamò la matrigna di Nilin mentre scartava tutta contenta
i tre pescioloni. Ma la giovane non stava ad ascoltarla. Passava le sue
giornate così, tra una commissione e l’altra,
perdendosi nei suoi pensieri
quando poteva. Sentiva di non essere al posto giusto, sentiva il
bisogno di
avere uno scopo nella vita. Erano passati anni dall’ultima
volta che la sua
vera madre, o quella che lei credeva esser la sua vera madre, ovvero
Atena, le
aveva fatto visita. Si domandava come fosse possibile che la figlia di
una dea
fosse costretta a fare una vita così inutile. Spesso si era
chiesta se per
entrare nell’Olimpo non dovesse fare altro che dare una prova
del suo valore.
Ma non avrebbe saputo neanche da dove iniziare. Quella notte, sarebbe
cambiato
tutto.
-Ci siamo.
Esclamò Edge mentre la sua navicella spaziale monoposto si
avvicinava al pianeta Terra.
-E’ qui che si trova, ne sono certo.
Chiuse un istante gli occhi per concentrarsi, e percepire
meglio la posizione esatta della stella, tanto per essere sicuro di non
sbagliare. La sua navicella, gentilmente donatagli
dall’ordine dei Guardiani,
aveva una forma piuttosto particolare. Si trattava di una struttura di
forma
ovoidale di cristallo, che conteneva la cabina di pilotaggio,
circondata da una
serie di tubuli in una lega di metallo speciale che le conferivano la
forma di
una piramide con l’apice rivolto in avanti, dal quale era
possibile sparare dei
raggi per difendersi in caso di attacco. Mentre scendeva a grande
velocità
verso il pianeta, con il radar cercava una zona che non fosse
eccessivamente
lontana dal suo obiettivo. Individuò una piccola isola
deserta poco al largo
della costa vicina al punto in cui percepiva la sua Stella. Le prime
luci
dell’alba cominciavano a fare capolino dietro di lui, dunque
si affrettò per
piombare su quell’isola deserta silenziosamente, con un
atterraggio
controllato. Scese con calma dalla navicella spaziale. Le forme di vita
che
aveva rilevato sembravano piuttosto primitive, quindi pensò
bene di nascondere
la sua nave coprendola con delle fronde. Fatto questo si
librò in volo grazie alle
sue speciali abilità, e si diresse verso il suo obiettivo.
Si fermò appena
fuori le imponenti mura di una grossa città con il sole che
era già alto da un
po’, e scese a terra senza essere visto con
l’intento di mischiarsi tra la
folla.
-“Atene”.
Recava una scritta che indicava la città. Edge si
assicurò
che il cappuccio lo coprisse per bene ed entrò nella
città. Non fu difficile
per gli abitanti riconoscere lo straniero, visto che indossava degli
abiti poco
comuni. Ma la sicurezza del suo passo e la sua totale indifferenza gli
conferiva un aspetto quasi rassicurante. La gente dopo poco sembrava
quasi
essersi abituata. Dopotutto erano soliti vedere mercanti provenienti da
ogni
dove girare per la città, ma questo Edge non poteva di certo
saperlo.
Si aggirava per la città come se la conoscesse a memoria,
come se l’avesse costruita lui o se ci vivesse da sempre.
Seguiva un percorso
ben preciso, finché in una piazza il suo cuore perse un
battito. Fu allora che
per la prima volta la vide. Dall’altro lato della piazza, tra
la folla, scorse
il suo viso e la riconobbe in mezzo a mille.
-Nilin…
Sibilò a bocca asciutta. Si fece largo tra la gente, nel
tentativo di raggiungerla. Cercò di starle dietro e di non
farsi vedere. La
seguì fin quando non fu sola. Portava un sacco di borse,
penso che potesse
essere un buon pretesto per avvicinarla.
-Serve aiuto? - la ragazza lo guardò sorridendo. Edge rimase
qualche istante ipnotizzato dal sorriso della meravigliosa fanciulla.
-Oh…grazie - disse Nilin, porgendo due delle quattro borse
che portava al giovane - Come vi chiamate? –
domandò infine incamminandosi.
-Edge, mi chiamo Edge. - lui si fermò dopo solo qualche
passo e lasciò andare le buste a terra con delicatezza, in
modo che il
contenuto non si rovesciasse.
-Perché vi siete fermato?
-Nilin, io devo parlarvi.
-Come conoscete il mio nome? Mi stavate forse seguendo? Cosa
volete da me? Rispondete!
-E’ tutta la vita che vi cerco.
-Che significa?
-Nilin, voi non sapete chi siete?
La ragazza sussultò. Come poteva lo straniero sapere che era
figlia di Atena?
-Si, io sono la figlia di Atena..
-La figlia di chi?
-Della dea Atena.
Edge scoppiò in una grassa risata.
-Che avete da ridere?!
-Voi siete molto più che la figlia di una sconosciuta dea
della Terra.
-Di cosa state parlando?! Siate chiaro!
Il giovane guardiano si avvicinò a Nilin.
-Voi siete Nilin, figlia della Stella Nilin di Leo!
-Che cosa state farneticando?
-Voi…non sapete nulla… - sussurrò tra
se e se Edge, mentre
indietreggiava con lo sguardo perso nel vuoto.
-Questo è un bel guaio…chi vi ha messo in testa
questa
storia sulla dea Alena?
-Atena stessa! E comunque io sono sua figlia, lei mi ha
detto questo e sono certa che sia la verità. Non conosco la
Stella di Leo di
cui voi parlate! - Rispose la giovane.
-Non è una persona, ma una stella! Come il Sole! - disse
Edge indicando con il dito verso la gigantesca sfera luminosa che si
stagliava
in cielo.
-Ecco, questa è la prova che voi siete completamente pazzo!
Ridatemi le mie borse, torno a casa da sola! - Commentò
seccata. Ma lui la
afferrò per il braccio con delicatezza.
-No, ora mi condurrai dalla dea Atena!
-Cosa?! Ma vuoi farti ammazzare? Gli dei stanno sul monte
Olimpo, quelli come me e te non ci possono entrare! - disse lei
indicando
l’entroterra, e divincolandosi dalla presa di Edge.
Quest’ultimo le si gettò
addosso abbracciandola. La ragazza chiuse gli occhi e gettò
un urlo atterrita.
Quando li riaprì, si ritrovò in un luogo
vagamente familiare. Il terreno
sembrava fatto di nuvole, e davanti a loro una gigantesca reggia si
stagliava a
qualche centinaio di metri.
-Immagino che questo sia il monte Olimpo di cui parlavi,
l’ho notato arrivando qui – esordì Edge -
Vedi, nell’intero universo vige un equilibrio
che permette la vita.
Questo equilibrio è mantenuto dai figli delle stelle, che
nascono ogni volta
che una stella muore. E tu sei una di loro, e ora che hai compiuto
venti anni è
ora che tu cominci il tuo addestramento. Io sono il guardiano
incaricato di
guidarti e proteggerti, per questo sono venuto a cercarti.
Quella storia pareva a Nilin una favoletta, eppure quando
sentì quelle parole le venne quasi da tirare un sospiro di
sollievo. Come se
quella pressione che aveva sempre sentito, quel pensiero che le
sussurrava ogni
notte che non stava adempiendo a uno scopo, avesse quasi acquisito un
senso.
-Quando gli dei scopriranno che siamo qui, ci uccideranno!!
- disse la ragazza spaventata.
-Gli dei non possono farci nulla. - rispose l’altro con
sicurezza. Ma una voce, che arrivava da dietro di lui, lo
smentì.
-Al tuo posto non ne sarei così sicuro.
Un uomo piccolo e magro fluttuava in aria alle loro spalle,
vestito solo di un drappo bianco e con una corona di alloro intrecciata
tra i
riccioli d’oro. I due si voltarono e Nilin riconobbe il dio.
-Quello è Ermes, il messaggero degli dei!
-Lasciate questo luogo, o morirete - Disse quello, mentre
poggiava i piedi a terra con fare sicuro e pieno di se.
-Dobbiamo vedere la dea Atena. - replicò il guardiano
muovendo qualche passo verso il messaggero degli dei.
Quest’ultimo lo guardò
con aria di sfida.
-Non siete voi che decidete chi incontra chi. Se non ve ne
andate.. - proseguì con aria minacciosa. Ma Edge lo
interruppe.
-Che fai? Ci cacci? Eh, nano?
Ermes s’indispettì, e provò ad
aggredire il giovane in preda
alla collera, ma qualcosa si frappose tra i due.
-FERMATI ERMES!
Una voce femminile risuonò nell’aria, mentre la
figura di
Atena si stagliava a pochi centimetri dai due potenziali sfidanti.
-Madre!
Gridò sollevata Nilin.
-Dunque siete voi la dea Atena. Dovete delle spiegazioni
alla vostra presunta figlia!
–esclamò
a sua volta Edge.
-Io non devo nulla a nessuno. Se te ne vai adesso, ti
risparmierò.
La dea sembrava sicura di se, ma non poteva neanche
lontanamente immaginare cosa la aspettasse.
-Cacciami. – gli intimò Edge.
La dea si liberò dal drappo bianco che indossava per potersi
muovere più agevolmente e attaccò frontalmente il
giovane, cercando di colpirlo
con un pugno sul volto. Il lunghi capelli neri le fluttuavano sinuosi
dietro le
spalle, mentre la tunica aurea le danzava sulle gambe scossa dal vento.
Un
destro secco, un dritto micidiale che si piazzò sulla
guancia sinistra di Edge,
che non fece una piega. La dea lo colpì ancora con un gancio
sinistro sulla
guancia opposta, poi con un destro sul naso e di nuovo un sinistro
nello
stomaco, per chiudere la serie con una ginocchiata sul volto e un
calcio
rotante sul petto che fece fare un volo di qualche metro al ragazzo.
Questi
cadde come un sacco di patate con un gran tonfo, e alzando una nuvola
di
polvere. Restò qualche istante a terra, mentre la dea lo
guardava soddisfatta.
Ma come se niente fosse Edge si alzò, battendo le mani sugli
abiti impolverati.
-Non avrei mai detto che le nuvole fossero così impolverate.
– osservò sarcastico. Con calma esemplare si tolse
il mantello e il cappuccio,
e li gettò a terra.
-Riprovaci. – disse ad Atena inclinando il capo prima da un
lato e poi dall’altro. Questa, leggermente infastidita dai
modi non curanti del
suo avversario, attaccò con insolita cattiveria.
Svanì nel nulla, per poi riapparire
ad una velocità impressionante di fianco ad Edge, alla sua
sinistra. Provò a
piazzare un gancio destro, ma solo quando il colpo fu assestato si rese
conto
che il suo obiettivo non c’era più.
-Perso qualcosa? – la voce di Edge le arrivò da
dietro.
Istintivamente cercò di affondare una gomitata
all’indietro con il braccio
destro, che Edge evitò, e poi avvitandosi su se stessa in
senso orario cercò di
andare a segno con una serie di colpi che il suo avversario si
limitò a
schivare girandoci intorno, fin quando non si aprì un varco
nei colpi che
l’avversaria sferrava con frequenza sempre minore. Con
tempismo perfetto bloccò
un pugno di Atena e ne approfittò per metterla sotto scacco.
-Non voglio farti del male, voglio solo che tu dica la
verità. – le disse.
-Non c’è nessuna verità da rivelare.
– rispose Atena.
Edge, spazientito aprì la guardia della Dea, per poi
colpirla con un destro violentissimo nello stomaco, facendole perdere
tutte le
forze, e annebbiandole addirittura la vista per qualche istante. Atena
si
accasciò sul braccio del suo avversario, che si
limitò a scostarsi e a
lasciarla cadere con un gran tonfo. Poi si accovacciò sulle
ginocchia e le
parlò.
-Se sei intelligente come credo, avrai capito che non puoi
sconfiggermi. E avrai anche capito che il tuo amico messaggero codardo
può
essere andato a chiamare anche tutti gli amici che hai mentre
combattevamo, ma
non servirà. E’ una questione troppo importante,
devi dire la verità.
Mentre finiva il suo discorso, Edge percepì
l’arrivo di
altre personalità rilevanti, molto probabilmente dovevano
essere i rinforzi.
Oltre al già conosciuto Ermes, vi erano altre due figure,
una molto più potente
dell’altra. I tre comparvero dopo pochi istanti, e uno di
loro, che indossava
una sfolgorante armatura d’oro con mantello e criniera
sull’elmo vermigli,
provò subito ad attaccare Edge.
-ARES, NO! - gridò Atena mentre cercava a fatica di
rialzarsi, tenendosi lo stomaco con un braccio.
Il guerriero si fermò all’istante. I due si
guardarono e si
scambiarono un cenno d’intesa. Edge, che stava tra i due,
intuì cosa stava per
succedere. Molto probabilmente avevano intenzione di attaccarlo
simultaneamente, il che avrebbe significato continuare a perder tempo e
lui non
voleva saperne. Ma qualcuno prima di lui, più saggio e
assennato, lo anticipò.
-Ora basta! - tuonò la terza figura apparsa con Ares ed
Ermes. Si trattava di un uomo grosso e muscoloso, ma piuttosto datato
con dei
lunghi e setosi capelli grigi e una folta barba sul volto del medesimo
colore:
Zeus, il padre degli dei.
-Ma padre – si voltò indispettito Ares –
ha violato l’Olimpo
e aggredito la dea Atena! Merita una punizione! – concluse
voltandosi con aria
minacciosa verso il Guardiano.
-Taci, Ares. Non saremmo in grado di dargli una lezione
neanche tra mille anni – disse con pacatezza il re degli Dei.
I due fratelli abbassarono lo sguardo, umiliati dal richiamo
del padre. Ares strinse i pugni iracondo, e dovette mordersi un labbro
sotto
all’elmo aureo per riuscire a non ribattere al padre. Ma
inaspettatamente a quel
punto fu la giovane Nilin a prendere la parola.
-Insomma, si può sapere che cosa succede? Io non ci capisco
più niente! Giravo per le strade a fare le commissioni della
mia matrigna, poi
compare questo tizio che mi dice che sono figlia di una stella, e che
tutta la
mia vita è una menzogna! Io voglio la verità!
Madre, voi me la dovete!
Esclamò la giovane, con gli occhi scarlatti che le
brillavano colmi di lacrime. Sentiva dentro una tempesta,
un’impetuosa serie di
emozioni che la sconvolgevano da dentro. Per tutta la vita si era
sempre
sentita fuori posto, come se fosse destinata a qualcosa di
più grande e stesse
sprecando la sua vita. E aveva sempre attribuito questa sensazione al
non
essere stata accolta nell’Olimpo assieme agli altri dei. Ma
non ne aveva mai
fatto una colpa ad Atena, anzi. Sentiva una sorta di immensa e
esauribile
gratitudine verso Atena. Questo l’aveva convinta che non
potevano esserci dubbi
sul fatto che lei fosse sua madre. Ma forse, in realtà, era
come se sapesse che
l’aveva salvata. Forse inconsciamente conservava un piccolo e
insignificante
frammento di memoria che influenzava ogni suo sentimento e ogni sua
decisione.
Per questo ora, tutti quei sentimenti contrastanti, necessitavano di
una
risposa secca e definitiva.
-Atena, ti prego, dille la verità. – disse pacato
Edge. La
dea si voltò verso Nilin, e riuscì finalmente a
mettersi in piedi. Poi mosse
qualche passo incerto verso la giovane, con un’espressione in
viso che valeva
più di mille parole.
-No… - sibilò la ragazza, non riuscendo
più a trattenere le
lacrime. Lentamente si lasciò scivolare sulle ginocchia,
sbigottita dalla
notizia ricevuta. Il suo sguardo restò fisso nel vuoto.
Tutta la sua vita, era
stata basata sull’inganno e sulle menzogne.
-Io.. – esordì la dea – non avevo idea
di chi fossi. Una
notte ti ho trovata, sei arrivata dal cielo e ho sentito che dovevo
salvarti.
Per proteggerti dagli altri ho dovuto mentire anche a te…
Edge sentì il cuore stretto in una morsa dolorosissima
mentre vedeva la sua stella così stravolta. Mai avrebbe
voluto arrecarle un
simile trauma. Per qualche istante si sentì tremendamente in
colpa, e in
collera con Atena per aver causato tutto. Ma tenne tutto quanto per se,
non
c’era bisogno di scenate.
-Se avete quello che vi serve, potete andarvene. – disse
Zeus con una nota di astio nella voce.
-Si… - disse sconsolato - ma non avrei voluto che le cose
andassero così…io me ne torno di sotto, confido
che mi riportiate Nilin quando
tutte le spiegazioni saranno state date – concluse infine con
un tono di voce
completamente diverso da quello usato fin ora, molto più
malinconico e
sommesso. Poi si limitò a svanire nel nulla.
Continuava a ripetersi che aveva fatto la scelta giusta, che
quel dolore era stato necessario. Per un
bene superiore. Ma nonostante tutto non riusciva a
perdonarsi per averla
fatta soffrire. Dopotutto, era questa la pesante eredità dei
guardiani delle
stelle: un destino triste come quello di pochi: passare la propria vita
ad
amare la propria protetta, senza che questa lo sappia mai. Per
l’Ordine era
severamente vietato rivelare il proprio amore ad esse, se non in punto
di morte
di uno dei due. Perché solitamente anche le stelle, presto o
tardi, si
innamorano dei propri Guardiani. Ma il loro destino infelice impedisce
loro di
amarsi e stare insieme.
Era sceso sulla spiaggia dell’isola dove aveva nascosto la
sua nave spaziale, seduto su una duna di sabbia. Ne teneva stretta un
po’ nel pugno
destro e si divertiva a farla scivolare da una mano
all’altra. Lo rilassava, lo
aiutava a scaricare la tensione.
Nel mezzo di quelle infelici riflessioni Edge si rese conto
che c’era una strana tensione nell’aria, e che
qualcosa non andava. Si alzò in
piedi, lasciando che il vento improvvisamente innalzatosi trascinasse
via la
sabbia che gli pioveva dalla mano.
-Il nostro re – esordì una voce maschile pungente
e
fastidiosa – vi manda i suoi ringraziamenti per averlo
condotto fino alla
Stella.
Il giovane inclinò la testa verso sinistra, per guardarsi
alle spalle senza voltarsi. Tre soldati in delle scintillanti armature
nere lo
osservavano sghignazzando. Sembravano membri di un esercito, dato che
indossavano tutti lo stesso tipo di corazza, composta da una serie di
placche
metalliche esagonali poste a protezione del torace, legate a degli
spallacci
parecchio sporgenti e appuntiti, schinieri e antibracci coordinati e un
elmo
che raffigurava le fauci di un drago nero aperte sulla testa. I tre,
senza
aggiungere altre parole passarono all’azione, attaccando
simultaneamente e da
tre direzioni diverse il Guardiano: dall’alto, dalla sua
destra e dalla sua
sinistra. Cercano di colpirlo con tre stili di combattimento diversi ma
con la
medesima inefficacia. Per lui infatti fu semplice parare il pugno che
arrivava
dall’alto con il palmo della mano sinistra, e i calci che
arrivavano dai due
lati rispettivamente con la mano destra per il calcio proveniente dalla
sinistra e con il ginocchio destro quello proveniente dalla destra. I
tre
restarono sorpresi dall’agilità
dell’avversario. Edge, avvitandosi su se stesso
con grande velocità e forza riuscì a scacciare i
tre avversari scagliandoli
lontano.
-Chiunque sia questo vostro re, non è stato molto
intelligente a mandarmi solo tre pedine
I suoi avversari, finiti a terra a distanza di metri, si
rialzarono storditi.
-Chi ha detto che siamo solo in tre? – disse sghignazzando
quello che aveva già parlato in precedenza, mentre attorno a
loro centinaia di
altri soldati apparivano dal nulla.
-Preparatevi a morire. – si limitò a commentare
lui mentre
lo attaccavano.
* * *
NOTE
1.
Cronos,
Padre di Zeus e dei suoi fratelli. Nella mitologia greca Cronos mangia
i suoi
figli per paura che questi diventino più forti di lui, ma
Zeus riesce a
salvarsi e a salvare i suoi fratelli.
2.
Ecate,
divinità primordiale della mit. Greca, è la dea
della profezia e dei riti
magici ed è considerata in grado di viaggiare tra il mondo
dei vivi e quello
dei morti. In questa storia è più la dea del
destino, in grado di prevedere
ogni possibile futuro.
3.
Fratello
di Atena, anch’esso divinità della guerra, ma egli
ne rappresenta il lato più
rozzo e barbarico, a differenza di Atena che rappresenta le guerre
nobili o
difensive.
4.
Fratello
di Zeus, dio dei morti e degli Inferi.
5.
Cronide, figlia di
Cronos. Epiteto di Zeus.