Capitolo 1
Doveva correre più
rapida.
Ancora più veloce,
anche se ormai l’aria iniziava a mancarle e i polmoni e ogni altra parte del
suo corpo iniziava a dolerle. Anche se le orecchie le bruciavano come se fossero
avvolte dalle fiamme e il sangue le sgorgava sul volto e lungo il collo e il
suo odore ferroso le faceva venire la nausea.
Doveva essere più
rapida se non voleva che gli Orsi cattivi la riprendessero e le facessero
ancora più male.
Inciampò in qualcosa
–una radice, forse? - e cadde a terra sbucciandosi le mani e battendo la
testolina contro un masso. Per un momento il dolore fu accecante e alcune
lacrime le sfuggirono tra le ciglia, solcando le gote pallide. Cercò di
rimettersi in piedi –gli Orsi, c’erano gli Orsi nella foresta, doveva scappare
dagli Orsi- ma era tanto, troppo stanca e aveva perso molto sangue e cadde
nuovamente dopo pochi passi.
E poi fu tutto
nero.
Bruinen aprì gli occhi di scatto con un
gemito, quasi strozzandosi con la stessa aria che respirava. Si artigliò la
gola, boccheggiando, e cercò di inghiottire più aria possibile e di
regolarizzare il respiro. Sentì il cuore che le batteva in modo quasi doloroso
e per un momento ebbe paura che le sarebbe schizzato fuori del petto. Quando le sembrò che il peggio fosse passato
raccolse con le dita rigide e tremanti la borraccia d’acqua tenuta nella
bisaccia vicino al sacco a pelo e si versò il liquido nelle mani, sciacquandosi
il viso. Il liquido, reso freddo dall’aria pungente, la aiutò a svegliarsi del
tutto e a cancellare dalla mente i rimasugli dell’incubo appena compiuto.
Per un attimo si diede della sciocca. Non
riusciva a credere che dopo cinque anni continuava a tormentarsi con le stesse
immagini, nonostante facesse di tutto per estinguerle dalla sua memoria.
Non hai più tredici
anni, si disse, smettila di tremare e avere paura. Gli Orsi non ti possono prendere.
Si passò le dita tra le ciocche dei suoi
capelli color miele, resi umidi dal sudore, e se li scostò da davanti agli
occhi, che fino a quel momento erano appannati dalle lacrime.
Si diede nuovamente della stupida per
essersi spaventata in tal modo da un incubo dannatamente vecchio come quello.
Con un sospiro sgusciò fuori dalla tenda da
campo dentro cui aveva dormito quella notte e si stiracchiò per risvegliare le
membra intorpidite. Il vento fresco che soffiava ad Avanchnzel le pizzicava le
guance, colorandole di una leggera sfumatura rosata la pelle solitamente
castana dei Bosmer.
Una nuova folata di vento la spinse a
stringersi tra le braccia, sfregandosi con i palmi delle mani per riscaldarsi.
Alzò gli occhi verso le alti torri della vecchia città nanica e le ammirò in
silenzio. Era incredibile come quelle rovine fossero sopravvissute nonostante
tutto dopo tutti gli anni, i secoli,
che erano passati da quando gli antichi costruttori Dwemer si erano estinti.
Lei non aveva mai provato ad entrarci, di solito si accampava fuori dalle mura
quando non c’erano già gruppi di banditi, ma aveva sentito da vari
avventurieri, che si erano spinti nelle rovine alla ricerca di tesori, che le
antiche città erano rimaste esattamente uguali a come dovevano essere appena
edificate. E poi circolavano voci, da parte degli stessi avventurieri che
avevano avuto la fortuna di uscirne vivi e di poterlo raccontare, che alcuni
ingranaggi e congegni nanici continuavano a funzionare, per non parlare degli
automi che a quanto pareva continuavano a sorvegliare le stanze erette dagli
antichi padroni e ad uccidere chiunque osasse entrarvi.
Adorava ascoltare le storie di avventura
che si narravano nelle taverne, anche se a volte si trattavano di leggende e
non di fatti realmente accaduti, e a volte fantasticava di prendervene parte.
Ma non si azzardava a farlo realmente, non era una guerriera, non sapeva come combattere
e difendersi e l’unica arma di cui era riuscita ad entrare in possesso era un
vecchio pugnale arrugginito che aveva trovato frugando tra gli oggetti di un
bandito morto da qualche giorno e lasciato a marcire sul ciglio della strada.
Senza contare che aveva una dannatissima
paura ad entrare in città e villaggi popolate da persone vive e sicuramente se la sarebbe fatta addosso anche solo ad
attraversare la soglia di una delle antiche rovine.
Era una maledetta codarda. Lo era sempre
stata.
Strinse le mani a pugni e affondò le
unghie, corte e mangiucchiate, nelle palmi in preda a un sordo furore. Certe
volte si detestava con tutta se stessa a causa della paura che la tormentava
per qualunque cosa che la circondava
e che le impediva di godersi la sua vita e di fidarsi degli altri.
Tutta colpa degli Orsi, gli odiava. E
odiava se stessa per il terrore che dopo tutti quegli anni –cinque anni, sono passati cinque anni
maledizione, cinque anni- la
torturava.
Un rumore di passi dietro di lei la fece
sussultare e la spinse ad afferrare l’elsa del pugnale che teneva sempre legato
al suo fianco. Non sapeva né combattere né difendersi e la lama arrugginita era
probabilmente inutile, ma il solo sentirne la solidità nelle dita la faceva
sentire più forte e coraggiosa.
Sono gli Orsi, pensò per un attimo, incoerentemente, e una nuova
ondata di odio le bruciò nelle vene e fece per estrarre l’arma e avventarsi
contro il nemico.
Ma il tutto durò solo per qualche secondo e
la voce famigliare che la raggiunse dissipò il rancore che provava.
<< Va tutto bene, sorella? Ahkari
chiede se hai bisogno di comprare della merce, prima che la Carovana riparta
>> le disse Zaynabi, la Khajit dal pelo scuro che apparteneva alla
Carovana a cui si era unita per quella notte.
Si diede mentalmente della stupida per
essersi allarmata senza motivo ed essersi persa tanto nelle sue elucubrazioni
da essersi dimenticata di essere in compagnia di qualcuno.
Tutta colpa degli
Orsi, si disse distrattamente muovendo qualche
passo verso le tende che formavano l’accampamento.
Ahkari era seduta a gambe incrociate sulla
soglia della propria tenda, gli occhi felini da Khajit che saettavano attorno
alla ricerca di clienti. I suoi compagni, Dro’marash e Kharjo, erano intenti a
preparare la colazione, rimestando qualcosa nella solita pentola di rame, e a
spaccare la legna; Zaynabi la superò e iniziò a smantellare la tenda da campo
in cui Bruinen aveva dormito quella notte. Lei si avvicinò ad Ahkari, che come
sempre era abbigliata con delle vesti sfarzose e con diversi gioielli, a
dimostrare la ricchezza accumulata in tutti quei anni in cui aveva girovagato
per Skyrim.
<< Salve, Ahkari. Ti ringrazio per
avermi permesso di dormire assieme a voi questa notte >> le disse Bruinen
sorridendo timidamente.
<< Finché hai dei septim, puoi avere
tutto ciò che desideri >> rispose quella, guardandola dal basso in alto e
senza prendersi il disturbo di alzarsi.
La Bosmer si mordicchiò un labbro, annuendo
leggermente. Ovviamente sapeva che i mercanti Khajit, ma infondo quelli di
tutte le razze, facevano poco o niente senza ricevere qualcosa in cambio,
soprattutto denaro, ma avevano iniziato a convincersi che dopo tutte le volte
in cui aveva commerciato o dormito con loro, ci fosse qualcosa in più tra loro
oltre un banale scambio di soldi e servizi. Un po’ d’affetto, magari.
Dannatamente stupido da parte sua, lo
sapeva bene, ma dopo cinque anni in cui le uniche persone con cui era entrata
in contatto e aveva parlato seriamente per più di una manciata di secondi,
erano proprio i Khajit. Conosceva benissimo tutte e tre le Carovane principali,
quella di Ahkari, che si spostava sempre tra Riften e Dawnstar; quella di
Ri’saad, che si aggirava tra Whiterun e Markarth e infine quella di Ma’dran che
commerciava tra Windhelm e Solitude, quindi, conoscendo altrettanto bene anche
i percorsi che eseguivano, la domanda che fece fu altrettanto stupida.
<< Dove siete diretti adesso?
>> chiese Bruinen, anche se sapeva esattamente qual era la risposta.
<< Riften, sorella >>
L’Elfa annuì nuovamente, riflettendo. Era
stata poche volte a Riften e per poco tempo, ma da quello che aveva visto e
saputo su quella città non le piaceva affatto. Era un posto pieno di
corruzione, dove la Gilda dei Ladri e la Famiglia Rovo Nero facevano da padroni,
raggirando e manipolando lo Jarl. Senza contare che lo stesso Jarl e la sua
famiglia parteggiavano per il famigerato Ulfric Manto della Tempesta e i suoi
ideali.
E tutti sapevano quanto Ulfric e i suoi
sostenitori odiassero gli elfi.
Un brivido la percorse e immediatamente il
suo istinto –o forse era la sua paura? -
le disse che era meglio se stava lontana da quella città, il più
possibile. La sua mente però si ribellò e le ricordò che ormai aveva quasi
finito sia i soldi che il cibo e che quindi le conveniva andare nella città più
vicina a fare il pieno; ed era Riften la città più vicina a quel momento.
L’altra sua unica scelta, al momento, era
Windhelm. Più lontana di Riften, ma più vicina di Whiterun.
Rabbrividì di orrore al solo pensiero di
mettere piede, o anche solo avvicinarsi più del necessario, al campo base dei
Manto della Tempesta, la città comandata da Ulfric.
Probabilmente non sarebbe mai uscita viva
da lì.
A malincuore si risolse a proseguire verso
Riften, a meno che non volesse morire di fame e stenti per i boschi.
Puoi sempre rubare
qualcosa dalle fattorie, tentò in un
ultimo disperato tentativo la sua paura ma lei la mise brutalmente a tacere,
rammentandosi che comunque le poche patate o zucche che fosse riuscita a
razziare non le sarebbero durate a lungo. E poi le serviva del denaro.
<< Ahkari… ti dispiace se mi unisco
alla tua Carovana fino a quando non raggiungiamo Riften? Non ho septim con cui
pagarti ma posso fare qualsiasi cosa che mi chiederai, per ripagare il debito.
Cucinare, smantellare l’accampamento… anche tagliare la legna, se necessario!
>> di sicuro Bruinen non era abbastanza forte nemmeno per sollevare
un’accetta, figurarsi spaccare ciocchi di legno, ma avrebbe fatto qualsiasi
cosa pur di non rimanere da sola e fare tutta la strada che rimaneva fino a
Riften senza un posto sicuro dove dormire e qualcuno che le guardava le spalle.
Ahkari la guardò in silenzio per alcuni
minuti, pensando a quanto le era stato proposto, e per qualche istante Bruinen
temette che avrebbe rifiutato. Ma poi la Khajit annuì leggermente.
<< Va bene sorella, Ahkari ti
permette di proseguire con la sua Carovana. Ma dovrai conciare la pelliccia
degli animali che Kharjo caccerà, per sdebitarti. Puoi farlo? >>
Bruinen assentì, felice. Non aveva mai
conciato una pelliccia ma imparava in fretta ed era sicura che sarebbe stata in
grado di farlo dopo che le avessero spiegato come si faceva.
Ci misero due giorni per raggiungere Riften
da Avanchnzel, il primo giorno avevano trovato diverse difficoltà: prima si erano
imbattuti nel fiume che sfociava nel lago sul quale si affacciava Riften e
avevano trascorso un paio d’ore a costeggiare il corso d’acqua per individuare
il ponte per poter passare sull’altra sponda, poi la notte li aveva sorpresi
nei pressi di Dente di Faldar, forte occupato dai banditi, e quindi erano stati
costretti a ritornare verso le rive del fiume e accamparsi lì. All’inizio
Ahkari si era chiesta se potessero riuscire a combattere i banditi per prendere
il controllo del forte, ma dopo una ricognizione Kharjo e Dro’marash erano
tornati scuotendo il capo e annunciando che i malviventi erano decisamente
troppi per loro, anche se si fossero avvicinati furtivamente.
Il giorno dopo, verso mezzogiorno,
arrivarono finalmente nei pressi delle stalle di Riften.
Bruinen aiutò i Khajiti ad allestire
un nuovo campo, anche se ormai non era più un suo compito, ma sapeva di star
solo perdendo tempo.
Prese un respiro profondo e cercò di
racimolare il misero coraggio che aveva, ormai sapeva di non poter rimandare
oltre e si avvicinò all' entrata.
Abbassò il capo intimidita sotto lo
sguardo delle due guardie appostate lì che la squadrarono come se fosse
spazzatura o l'ennesima barbona dall' aria, comunque, innocua.
Entrare in città dopo tanto tempo e
ritrovarsi così tante persone 'vive' attorno fu abbastanza strano e
soffocante per lei che non ne era più abituata. O forse era meglio dire che non
lo era mai stata.
Cercava di tenersi sempre a distanza
e non le fu affatto difficile rendersi invisibile. Nessuno era interessato
minimamente a lei e di questo ne era grata.
Girovagò per tutto il giorno nei
pressi del mercato osservando, con aria spesso affamata, la mercanzia e
desiderando di trovarsi la pancia piena di quelle prelibatezze.
All' improvviso un commerciante distratto
fece cadere un pezzo di pane che andò a finire in un acquitrino e Bruinen ne
seguì avidamente il percorso.
Quanto avrebbe voluto raccoglierlo,
ignorando che fosse ormai sporco. Non era schizzinosa.
Scivolò come un'ombra accanto alla
bancarella tenendo d' occhio il mercante, ma egli era impegnato a discutere con
una vecchia signora che si lamentava dei prezzi aumentati.
L' elfa si abbassò lentamente
fingendo di aggiustarsi la scarpa logora e quando fece per tirarsi su nascose
lesta la pagnotta nella sua saccoccia e si allontanò in un attimo.
Si fermò davanti a delle scale che
portavano giù fino a quello che forse doveva essere uno scolo diretto alle
fogne, a giudicare dal cattivo odore che ne saliva, ma lei non ci fece caso.
Si sedette sui gradini, pulì con un
gesto il pane e ne tirò un morso, acquetando i suoi languori.
Intanto si mise ad osservare la gente
che passeggiava per le strade.
Alcuni erano ben vestiti: i
benestanti.
Altri indossavano solo stracci: i
poveri, come lei.
Ma anche a quest' ultimi lei si
sentiva estranea.
Lei, pur sapendo di essere un Elfo
dei Boschi, non sentiva comunque di appartenere a nessuna razza.
C'erano i Nord, gli Imperiali, le
grandi lucertole, i gatti sui due piedi, gli Orchi dall' aspetto grottesco, gli
Elfi Alti e Scuri ed infine i Bretoni.
E poi c'era lei. Bruinen.
Che non aveva niente e nessuno.
Avvolte si sentiva sola, altre volte
la solitudine era la sua unica amica.
Osservò invidiosa le persone
immaginandosi di essere come loro.
Immaginò di essere l'Argoniano abile
nel produrre gioielli.
Immaginò di essere quella donna
segnata dall'età che sorrideva a tutti ed era padrona di un vecchio carretto
che vendeva della verdura e si chiese cosa la faceva diventare tanto allegra.
Immaginò di essere persino quel
vecchio barbone che se ne stava per terra con gli occhi semichiusi a chiedere
l'elemosina accanto ad una bottiglia mezza vuota d'idromele.
Lei immaginava com'era vivere le vite
altrui, nelle glorie e nelle miserie.
Ne era affascinata tanto quanto si
sentiva vuota.
Aveva passato l'intera giornata persa
nei suoi ridicoli pensieri e si accorse che stava tramontando solo quando vide
i commercianti lasciare le loro postazioni e andarsene nelle loro case con la
promessa di un pasto caldo ed un morbido giaciglio.
La giovane elfa si maledì e si alzò.
E adesso come avrebbe fatto? Aveva
previsto di procurarsi qualche moneta per comperarsi magari una zuppa e qualche
scorta per il suo vagabondaggio.
Ma non aveva che racimolato solo un
pezzo di pane che aveva già ingurgitato.
Si guardò attorno. C'era solo poca
gente ancora in giro per le strade.
Erano rare le volte in cui aveva
necessitato di borseggiare qualcuno, anche se con un discreto successo, ma era
troppo codarda per farlo.
E se l'avessero scoperta? Persino
l'idea di finire in gattabuia le allettava, ma il pensiero che potesse finire
nelle mani degli Orsi le procurava una serie di brividi lungo la schiena, ma se
li scrollò via. Non era il momento di sragionare.
Diede un'occhiata al barbone ormai
assopito e alle sue misere monete. Di sicuro sarebbe stata una preda facile ma
non se la sentiva di privargli di quel poco avere.
Poco distante da lui c'era una bella
donna che indossava un'armatura pesante e che conversava con un uomo ben
vestito.
Le sarebbe bastato passare di lì come
un'ombra e sfilarle quell' invitante sacchettino, ma la sola vista dello
spadone sulla schiena di lei fece desistere Bruinen dal solo provarci ad
avvicinarsi.
Sospirò e lasciò perdere.
Fu allora che lo vide. Un uomo che
aveva superato la cinquantina che si apprestava a riempire un barile con del
pesce avanzato dalla vendita giornaliera.
Sorrise. Lui sarebbe stato perfetto.
Aspettò che si allontanasse di
qualche metro e appena lo vide sparire in un vicolo si mise a seguirlo.
Per un paio di volte la sua preda
incrociò qualcuno a cui rivolse un sorriso ed un saluto. E subito lei si faceva
piccola piccola per non farsi vedere.
Alla fine arrivò davanti a quella che
doveva essere la sua abitazione. Estrasse le chiavi e la ragazza le sentì
girare nella toppa.
In quel momento gli cadde un
pacchetto.
All' inizio aspettò che egli rincasasse
per poi appropriarsi dell'oggetto, ma poi ci ripensò e lesta si avvicinò alle
spalle dell'uomo.
<< Mi s-scusi, signore?
>> fece balbettante l’elfa facendo sobbalzare dallo spavento l'altro, che
non si aspettava la presenza di Bruinen dietro di lui.
<< Si? Posso esseri utile?
>> fece egli squadrandola con aria gentile ed educata.
<< Q-questo è suo... >>
disse porgendogli il pacchettino dalla forma triangolare, distogliendo lo sguardo
a disagio.
All'inizio parve confuso poi i suoi
occhi si illuminarono.
<< Oh, che sbadato che sono. Se
mi fossi presentato senza questo mia moglie mi avrebbe scuoiato di sicuro.
>> ridacchiò allegro.
Bruinen trasalì e lui se ne accorse.
<< Guarda che scherzo, eh...
>> precisò divertito e continuò. << Ti ringrazio, bella fanciulla.
>> Poi portò una mano alla cintola ed estrasse una monetina che ficcò
nella mano di Bruinen. << Ecco a te. Comprati pure una nocciola candita,
te la sei meritata. >>
Ella balbettò un grazie e fece per
andarsene.
<< Aspetta! >>
L'esclamazione alle sue spalle la
bloccò di colpo. Che se ne fosse accorto? Pensò nel panico cercando di
ricordarsi dove si trovava l'uscita più vicina.
<< Non sei di queste parti,
vero? >>
La domanda la prese in contropiede ma
la fece sospirare di sollievo e gli rispose di no.
<< Beh, cara, spero tu sia solo
di passaggio. Questo posto non fa per te, ci sono persone poco raccomandabili e
sarebbe un vero peccato se tu ne incontrassi qualcuno. >> le spiegò
preoccupato.
<< M-me ne vado d-domani.
>> lo disse talmente piano che si stupì se l'avesse sentita.
Ma non ascoltò ciò che le rispose
perché si allontanò di fretta col cuore che batteva frenetico.
Dopo che fu sicura di essere da sola,
si appoggiò contro il muro di una casa e sorrise alle stelle tirando fuori il
sacchetto delle monete di Bolli.
<< Hai guadagnato un bel
gruzzolo, eh? O meglio dire rubato. >>
Una voce bassa e cavernosa sbucata
dal nulla la fece trasalire.
La sua antica paura le fece
immaginare che quella voce appartenesse a un Orso. Sentì le gambe molli, che
avrebbero ceduto da un momento all'altro e gli angoli degli occhi divennero
lucidi.
Un grido acuto si fece strada nella
sua gola, ma proprio mentre stava per aprir bocca una mano lesta saettò nel
buio della strada e gliela tappò.
Il sacchetto gonfio di monete, che
fino a quel momento stava stringendo convulsamente, cadde con un tonfo facendo
sparpagliare decine di cerchietti dorati che tintinnarono ovunque.
<< Sei proprio in un bel
guaio... ragazza! >>