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Autore: Nidham    30/01/2015    0 recensioni
Cosa succede quando perdi te stesso e ritrovarti significa affacciarsi su di un mondo che non avresti mai voluto conoscere? In una Parigi a metà tra il reale e il fantastico, Alexandra si farà strada verso verità impensate, attraverso incontri affascinanti e terribili, nemici pericolosi e amici impareggiabili, fino a decidere se varcare l'ultimo cancello e accettare un destino da cui sembra non esserci scampo.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ad ogni buon conto, incontrare Xavier non è un progetto che possa realizzare seduta stante, mentre, in questo momento, non devo sprecare l'occasione di ficcanasare nel luogo dove tutti i guai che mi stanno tormentando hanno trovato origine, o almeno compimento; essendo l'edificio sotto sequestro, potrebbe essere la mia unica possibilità di scoprire o ricordare qualcosa. Inoltre il capitano è dannatamente percettivo e farmi vedere meditabonda e perplessa non è la strategia migliore per evitare domande inopportune.

“Le uniche immagini dei quadri di Emile che ci restano” continua il discorso, fingendo di non aver notato la mai temporanea distrazione, “sono quelle stampate sui pochi volantini pubblicitari della mostra che abbia trovato nei locali qui intorno.”

Faccio un passo verso di lui, pesante, ma determinato. Jas si sente ancora costretta a scortarmi, ma avverto il suo tremore e non mi rassicura, anzi, mi costringe a deglutire con forza per soffocare il groppo di acidità che mi brucia la gola e mi impedisce di mantenere salda la voce, mentre chiedo dove mi abbiano trovata, in quell'inferno.

“Lì” indica Renaud col suo fedele taccuino, senza smettere di fissarmi con intensità. “Proprio in quel punto.”

Mi ero già voltata verso la porta, certa che fosse il luogo più ovvio in cui l'esplosione, senza uccidermi, mi avesse scagliata, ma sono costretta ancora una volta a sgranare gli occhi, paralizzata dall'assurdità di quello che mi si vorrebbe dare a intendere: il cerchio chiaro, quasi perfetto, sperso nello strato fumoso del pavimento, dove dovrei supporre che le fiamme non fossero arrivate, è completamente circondato dalle sagome stilizzate di corpi meno fortunati del mio ed è nel punto più distante dall'uscita che riesca a immaginare.

“La deflagrazione è stata violentissima e tutto è bruciato in pochi istanti” continua, passeggiando intorno a me, come uno squalo che punta la preda. “I pompieri sono arrivati velocemente, ma le fiamme, incredibilmente, si stavano già estinguendo da sole, lasciando solo il tanfo della carne e delle tele carbonizzate, un paesaggio degno di un girone infernale e lei, ferma, in piedi, in questo punto, senza niente che potesse ripararla dalla furia del fuoco, ma comunque quasi illesa.”

Vorrei poter dire qualcosa, non necessariamente di utile o intelligente, solo qualcosa per rompere il filo di pensieri che mi si affastella tra le tempie, rischiando di farle esplodere; ho la nausea e la vista è sfuocata, spero non per qualcosa di patetico come delle lacrime.

“Emile era sdraiato al suo fianco” insiste, studiando da vicino ogni mia espressione, anche se non saprei dire cosa possa ricavarne, perché non so onestamente quali possano essere. “E' la figura alla sua destra, col braccio teso. Il quadro misterioso era alle vostre spalle.”

Seguo inebetita ogni gesto della sua mano e mi odio quando mi accorgo di essermi istintivamente avvicinata al luogo del mio mancato incontro con l'aldilà e di aver allungato le dita fino a sfiorare quella superficie fredda e irregolare, incredibilmente intonsa in mezzo al disastro.

Un fulmine mi attraversa la mente, repentino e violento, facendomi barcollare; mi rivedo in quel punto esatto, quasi osservassi il mio corpo dall'esterno, con un sorriso tirato sulle labbra perfettamente truccate e un flute di plastica vuoto stretto nel pugno, mentre studio accigliata e falsamente allegra le poche persone intente a bivaccare senza fretta tra le opere, in parte stupite, in parte shoccate dall'intensità oscura di quei lavori. Emile ha lo stesso aspetto del video: allucinato, sporco, scomposto. Probabilmente sono preoccupata che dica o faccia qualcosa di inopportuno, col suo pennello brandito come una spada e la vernice sulle dita simile a sangue coagulato, perché mi avvicino ancora di più a lui e gli sussurro qualcosa nell'orecchio, ma non riesco a impedirgli di attirare l'attenzione dei presenti, se poi era stata davvero quella la mia intenzione, quando gracchia, con insospettato entusiasmo: “Finalmente è il momento che tutti vedano” e afferra a due mani il telo sopra al quadro, tirandolo via con un unico gesto deciso. Le fiamme divampano intorno a noi, uscite dal nulla, finite nel nulla, subito incontenibili e invincibili come un'unica onda incandescente di risacca in un mare in tempesta. Avverto grida e implorazioni, in una cacofonia indistinta di terrore e morte, poi un suono deciso, prepotente, che rompe quel delirio, ma di cui non riconosco l'origine: un “no” pronunciato sottovoce, ma con tanta forza da sovrastare ogni altro rumore, compreso quello prodotto dal battito impazzito del mio cuore, e da infondermi un'improvvisa calma che mi impedisce di perdere del tutto il senno in quel delirio.

“Signorina” mi sento scuotere con gentile fermezza. “Signorina, si sente bene?”

“Alex” il richiamo preoccupato di Jas mi riporta al presente e alla ragione. “Ti prego Alex, rispondi.”

Annuisco e mi stringo la testa, quasi temessi di vederla rotolare via. Ho freddo, ma sento la pelle bollente sotto le dita, con una fastidiosa patina di sudore viscido che mi scivola sulla fronte.

“Sei pallida” la mia amica mi orbita intorno senza osare sfiorarmi e credo abbia un'aria forse più stravolta di me. “Sei rimasta immobile per almeno due minuti, sembrava quasi non respirassi neanche.”

“Ha ricordato qualcosa?” il capitano è sempre distaccato e efficiente, ma si premura di sostenermi per il gomito, passandomi una salvietta umidificata per rinfrescarmi le tempie e i polsi. “Ha l'aria di aver visto un fantasma.”

Non sono in grado di parlare, quindi Jasmine si intromette, confondendomi ancora di più i pensieri.

“Non vede che è sconvolta?” lo aggredisce, incurante delle possibili ripercussioni. “Credo sia il caso di smetterla con le sue domande.”
“Perché” ora il tono è pungente e per niente cordiale. “Ha paura che dica qualcosa di compromettente per lei, signorina Fabre?”

Mi rendo conto di ascoltare per la prima volta il suo cognome e prendo nota mentalmente di chiedere scusa a Gabriel per aver insistito tanto per conoscere il suo, quando non mi sono preoccupata minimamente di imparare quello degli altri.

“Non dica sciocchezze” si schernisce, un po' preoccupata. “Ma la sta torturando e non posso permetterglielo.”
“Sto bene” riesco a sussurrare senza inflessioni. “Ho solo avuto un capogiro.”

“Ha ricordato qualcosa?” ripete l'uomo, con maggiore urgenza. “Qualsiasi dettaglio sarà meglio che niente.”

“Potrebbe anche essere frutto della mia immaginazione, ultimamente è piuttosto fervida, ma credo di aver rivisto gli ultimi istanti dell'inaugurazione. Era tutto così tranquillo e banale, le persone si annoiavano fingendo interesse, alcune erano davvero impressionate dal talento di Emile e io sembravo preoccupata per qualcosa, forse che tutto si svolgesse nel miglior modo possibile. Poi il mio amico ha scoperto il quadro e giurerei che l'esplosione sia avvenuta in quello stesso attimo, sommergendoci tutti in un istante” provo a concentrarmi, ma è come riallacciare le fila di un sogno, ore dopo il risveglio. “Non ricordo di essermi protetta o di aver provato a fuggire, non vedevo molto intorno a me, solo ombre nel bagliore del fuoco. Gli invitati urlavano la loro agonia e io ero senza fiato, o senza volontà di usarlo.”

Jasmine si avvicina per abbracciarmi, ma di nuovo si ferma, a pochi centimetri da me che adesso sono in piedi nel centro esatto di quel cerchio risparmiato dalla morte e ricordo un altro dettaglio che non credevo di aver notato: una risata selvaggia, folle e insidiosa, inconcepibile da immaginare in una bocca umana, ma quasi sicuramente maschile, spersa nel crepitare delle fiamme e intensa nei rumori assordanti che avrebbero dovuto sovrastarla.

“Sembra proprio la scena che hanno visto i primi soccorritori e che nessuno ha ancora saputo spiegarsi. Tra l'altro il calore intorno a lei avrebbe dovuto essere così intenso e il fumo talmente denso da farla quantomeno svenire.”

“Perché sono stata portata al Rotschild?” chiedo dopo un silenzio pesante, ebbro di frustrazione, dubbi e preoccupazioni, mentre mi sposto da quello strano punto e fingo di ispezionare le pareti, quasi ci fossero ancora i quadri attaccati. “Non è certo l'ospedale più comodo da raggiungere da qui.”

“Me lo sono chiesto” il capitano non si meraviglia della domanda, per quanto sia ampiamente meravigliato dalla mancata risposta che è costretto a darmi. “Mi hanno comunicato che era l'unico con letti disponibili. Ho controllato e non era vero. Evidentemente, qualcuno abbastanza potente da poter manovrare a certi livelli la voleva lì, il perché o il chi forse saprebbe dircelo lei con maggior precisione, se ricordasse qualcosa.”

Non dovrei cedere alla rabbia e non dovrei mostrarmi violenta o irritabile, ma tutto questo non sembra sia ben compreso dal mio pugno che, senza alcun preavviso, sfreccia a cozzare pesantemente contro la parete, rovinando un pezzo di intonaco, irrimediabilmente corroso dall'incendio, oltre che da diversi anni di scarsa manutenzione.

Questa stanza doveva avere una spetto lugubre e pericolante già prima dell'incidente, ma forse affittarla costava poco, o forse credevo che fosse in linea con l'atmosfera tetra delle opere che avrebbero dovuto esservi esposte.

“Cerchi di non farsi male signorina” si preoccupa il capitano, prima di notare che il braccio, fino ad allora tenuto il più possibile fermo e coperto dalla giacca, si è mosso un po' troppo velocemente per lo stato di ferite che mostrava solo il giorno prima e che avrei dovuto quantomeno urlare come un'ossessa se mi fossi azzardata a compiere una bravata simile con la pelle coperta di bruciature. “Anche se mi sembra stia molto bene, tutto sommato.”

Mi do mentalmente dell'idiota, sia per non aver confessato subito una verità tanto facilmente scopribile, come avessi qualcosa da nascondere, sia per non aver mantenuto la mia bugia per il gusto di compiere un gesto stupido ed infantile. Adesso non resta altro da fare che evitare di arrossire o sembrare mortificata, mentre tento di non far apparire sospetta la mia mancata denuncia del miracolo.

Di nuovo, le mie buone intenzioni si scontrano con la pratica. Forse sono stupida, o magari l'aspetto rassicurante e cordialmente severo di Renaud mi ha condizionata, fatto sta che inizio a parlare proprio con la frase che meno dovrei dire.

“Mi dispiace capitano” ecco, adesso suono colpevole anche alle mie orecchie. “Non volevo tenerla all'oscuro di qualcosa.”

“Da quando sa di essere perfettamente sana?” e la domanda allude a ben più che a delle banali bruciature.

Anche Jas mi guarda esterrefatta e un po' offesa, ma è il minore dei miei problemi.

“Non sono perfettamente sana” ribatto piccata, per nascondere la preoccupazione. “Purtroppo la mia amnesia non è un'invenzione dei medici, come le ustioni al braccio. Ieri sera ho tolto il bendaggio per vedere se ci fosse bisogno di qualche medicazione e ho scoperto la bella sorpresa.”

Sostengo il suo sguardo d'accusa senza battere ciglio. È la verità e nessun aria truce o minacciosa mi potrà intimidire, però capisco la sua sfiducia, me la sono meritata, e questo mi fa sentire ancora più in colpa. Il capitano sembra una brava persona e finora ha solo cercato di aiutarmi, a modo suo, mentre io ho tradito la sua fiducia; al di là dei rischi legali che questo potrebbe comportare, mi sento una pezza anche dal lato umano e non so quale delle due cose mi scocci di più. Forse la seconda.

“Ascolti, per favore” riprendo, questa volta senza tentare in alcun modo di nascondermi. “Ho sbagliato, lo riconosco, ma è stato uno shock scoprirmi illesa; mi sono fatta una marea di film mentali, arrivando a credere che la bruciatura fosse solo una scusa per drogarmi o per tenermi chiusa in ospedale. Non sapevo cosa pensare e temevo che non credesse più alla mia innocenza, così ho fatto la cosa più stupida possibile e ho ottenuto proprio quello che volevo evitare.”

Non risponde, non lascia trapelare alcun emozione che possa consolarmi o deprimermi. Segna l'informazione sul suo fido taccuino e mi volta le spalle, lasciandomi a sospirare verso la sua schiena.

Maledico mentalmente Gabriel per avermi spinto su questa strada di omertà e mi accorgo di non aver ancora parlato neanche della medicina pseudo-miracolosa che pensiamo possano avermi somministrato, ma prima di decidermi a rimediare, finalmente il capitano rompe il silenzio, sempre senza guardarmi in faccia.

“Le sue ferite erano gravi, per quanto circoscritte e non tali da farci temere per la sua vita. Non le ho constatate personalmente, ma non ho motivo per dubitare delle dichiarazioni rilasciate dai pompieri e dai medici accorsi sul posto” si interrompe bruscamente, picchiettandosi la penna sulla guancia. “A questo punto, viene da chiedersi cosa abbiano fatto per rimetterla in sesto con tale perizia e velocità.”

Ancora, sono sul punto di aprire bocca e esporgli la bizzarra teoria a cui siamo giunti, quando un bisbiglio sommesso mi distrae. Viene dalla parete dietro di me, ma non c'è nessuno lì, quindi deve trattarsi di un eco.

“Cercami Alexandra” potrei giurare di aver sentito in quel sussurro. “Trovami.”

Mi guardo intorno confusa.

“Avete sentito?” provo a chiedere, pur intuendo già la risposta e non meravigliandomi del loro diniego. Se non avessi compreso bene il mio nome, avrei giurato che fosse solo il cicaleccio della strada, ma forse mi sono immaginata tutto. Il problema è che quell'invocazione si ripete, appena più forte e scandita, per interrompersi a metà, in modo improvviso.

“Che succede?” per fortuna anche il capitano ha sentito qualcosa, stavolta, e io non sono definitivamente pazza. Però la sua preoccupazione mi sembra eccessiva, mentre si dirige a grandi falcate verso la finestra bloccata dalle sbarre e sbircia fuori stando attento a non esporsi troppo a eventuali attacchi.

“Ho solo sentito una voce” provo a rassicurarlo. “Magari qualcuno che conosco nel quartiere voleva farmi uno scherzo.”

“Non ho sentito nessuna voce” mi guarda irritato per un istante, tornando a ispezionare la strada e poi, non vedendo niente di sospetto, mettendosi a perquisire il resto della stanza a caccia di non so cosa. “Quello che mi ha messo in allarme è stato un sibilo leggerissimo. Ecco.”

Con un fazzoletto, solleva da terra, a pochi centimetri da me, una sottile scheggia di legno, simile ad una punta di cerbottana, ben affilata e lucida, lunga forse cinque o sei centimetri. La annusa attentamente e storce la bocca con disgusto, prestando ancora maggior attenzione a non pungersi.

“Qualcuno ha attentato di nuovo alla sua incolumità” sentenzia, senza preoccuparsi di essere gentile. “Per fortuna l'ha mancata.”

“Con una scheggia?” non posso fare a meno di essere incredula.

“C'è qualche sostanza sulla punta, ne percepisco l'odore, ma non riesco a capirne la natura” spiega con pazienza, come fossi una bambina.

“Ma perché qualcuno dovrebbe volermi fare del male?” poi, rettificando. “E perché dovrebbe usare i metodi degli aborigeni della giungla? Se qualcuno mi avesse voluta morta, ormai dovrei esserlo da giorni.”

“Vorrei tanto saperle rispondere, signorina” adesso sembra un po' meno arrabbiato e io gli sorrido, sinceramente felice che non mi tenga più il muso. “Così come vorrei sapere se c'è qualcos'altro che ha ritenuto necessario nascondermi.”

“Mi scusi ancora” mi trovo a sussurrare, abbassando la testa e facendolo sospirare, ma con rassegnazione più che con astio.

“Dovrò indagare sui farmaci che le hanno somministrato. Probabilmente sarà necessario che venga visitata da un medico di nostra fiducia.”

Annuisco, mentre cerco di respingere il giramento di testa, dovuto al forte odore di vernice che adesso mi infastidisce e mi attrae allo stesso tempo, facendomi pizzicare le narici.

Il capitano, intanto, sta dando istruzioni al cellulare, a voce talmente bassa che comprendo solo: controllo, analisi, protezione, ma non sono le implicazioni insite nel suo discorso a farmi sussultare.

“E' l'odore dell'ispirazione!” il grido esaltato di Emile è fin troppo chiaro nelle mie orecchie, quasi l'avessi a fianco e stesse rispondendo alla mia inespressa protesta sul fetore prodotto dalla sua vernice. Mi rendo conto che, in effetti, quest'argomento deve essere stato fonte continua di scontro, tra di noi, e che quella frase, invece di un'allucinazione, potrebbe essere un ricordo.

L'affascinante rombo di un'auto a grossa cilindrata, probabilmente una porche, a giudicare dal suono del motore, mi distrae dai più foschi pensieri. La sento curvare nella strada laterale e fermarsi vicino a questa bettola, con la voglia spasmodica di sistemarmi il trucco, stamparmi un sorriso malizioso sul volto e uscire fuori per vedere chi sia alla guida.

Per fortuna non ho bisogno di far forza sulla mi volontà, perché è il capitano stesso ad affacciarsi alla porta e a darmi la scusa per seguirlo. Parcheggiata malamente con due ruote sul marciapiede di Rue Vieuville troneggia, come avevo previsto, una splendida porche Panamera, tirata a lucido, che dovrebbe valere circa 120.000/130.000 euro. È incredibile come ricordi bene certi dettagli, quando ho scordato tutto quasi tutto il resto; d'altra parte, un auto di tale valore promette di contenere un proprietario altrettanto prezioso.

Mentre Renaud scuote la testa, indeciso se farsi avanti, trascendendo il suo ruolo, per prendersi la soddisfazione di multare un nababbo maleducato, io allungo il collo per sbirciare all'interno, frustrata dai vetri oscurati. Lo sportello del guidatore si apre e una gamba maschile, coperta da pantaloni neri di ottimo taglio, col piede calzato in scarpe di cuoio laccato dello stesso colore, fa il suo ingresso nel mio campo visivo. Jasmine si appoggia alla mia schiena per vedere meglio, dimentica della sua precedente avversione nello sfiorarmi.

La tensione è al massimo: potrebbe anche trattarsi di un vecchio decrepito che vuole darsi arie giovanili e, per quanto i soldi mi facciano gola, qualcosa mi dice che ho delle remore ad accompagnarmi a signori over 70, a meno che non siano particolarmente piacenti o particolarmente malandati e vicini alla fossa; in quel caso, forse, potrei fare un'eccezione.

“Magari è carino” mi sussurra la mia amica, ridacchiando. “L'ultimo tipo che è uscito da un bolide del genere aveva almeno due porri sul naso e pesava più di me, te e il capitano sommati assieme.”

“Non è questo il caso, direi” le indico l'uomo distinto che sta venendo verso di noi, in giacca e cravatta eleganti, ma anonime, un po' come tutto il suo aspetto. É d'altezza media, costituzione media e ha un viso dai tratti insignificanti, ma regolari. I capelli, molto corti, hanno quella strana sfumatura castana che non si sa mai se definire bionda e che si scurisce appena un po' sui peli della barba ben curata che gli copre le guance.

Nel complesso, potrebbe essere un tipo papabile, e non avrà più di una quarantina d'anni, ma diavolo, dopo aver mangiato una crème brulée, come si fa ad accontentarsi di un budino alla vaniglia del supermercato? In realtà io non ricordo neanche se la crème brulée mi piaccia e di sicuro questo tipo ha in tasca tutta una pasticceria, come potenziale, ma l'immagine delle spalle forti e muscolose di Gabriel copre e nasconde qualsiasi pregio questo tizio possa possedere.

La cosa strana è che sembra si diriga proprio verso di noi.

“Sa che sta intralciando la circolazione?” lo aggredisce con malcelato disprezzo il capitano. “Esistono delle regole per i parcheggi, anche per le auto che, da sole, valgono quanto tutta la strada.”

“Lo so, capitano” anche la sua voce, bassa e atona, mi sembra insulsa, paragonata a quella virile e profonda di quel dannatissimo testone. “Devo solo consegnare un messaggio alla signorina De Raven.”

“A me?” non credo di averlo detto davvero, ma di certo la confusione mi si legge in faccia; a parte chiedersi chi sia questo tipo, che evidentemente neanche Jasmine conosce, ci sarebbe da scoprire come abbia fatto a sapere che mi trovavo in questo posto, in questo momento.

Per fortuna il capitano dà voce alle mie domande inespresse, ma il riccone, con superiore indifferenza, quasi senza guardarlo, risponde soltanto: “Capitano, la prego, non credo che certi dettagli siano un problema per il signor De la roche.”

Di fronte a quel nome, persino un uomo tutto d'un pezzo come Renaud ha un'esitazione e, nello stesso momento, mi rendo conto di due dettagli importanti: per prima cosa, capisco che ho davanti solo un galoppino; per seconda, comprendo che quel tale Xavier è davvero potente e abbastanza inquietante come racconta Gabriel.

Che diavolo significa che sapere dove mi trovi non è un problema per lui? Cos'è, uno stalker?

“Signorina” si rivolge a me, con molta grazia, porgendomi una busta di carta pergamena, leggermente ambrata, con il mio nome scritto sopra a mano, con grafia elegante e ricercati svolazzi.

Stupendo tutti, per prima me stessa, non gli strappo di mano quel lasciapassare per la ricchezza, ma me ne esco con l'ultima frase al mondo che avrei mai pensato di dire al portavoce di un milionario.

“Dica al suo capo che non mi piace chi manda i suoi domestici a svolgere mansioni che avrebbe dovuto compiere personalmente, in maniera ordinaria e civile.”

“Ma lei non è una persona ordinaria, per il sig. De la roche” mi risponde, continuando a porgermi la lettera, quasi fosse una statua di sale. “E il mio signore agisce solo secondo secondo i dettami consoni alla sua posizione.”

“Il denaro compra qualsiasi cosa, eh?” formulo come sdegnosa domanda, con assoluta faccia tosta, un concetto che per me dovrebbe essere vangelo.

“Non è il denaro che il sig. De la roche ama usare.”

“E allora cosa?” lo guardo facendo pesare tutto il mio scetticismo, forse perché io per prima, avessi soldi, non esiterei a servirmene.

“Il rispetto che gli è dovuto” lo dice con una dignità che rasenta la venerazione, totalmente succube della supposta superiorità morale e sociale del suo principale, come uno scudiero che parlasse del suo cavaliere, in pieno medioevo.

Tutta questa prosopopea mi ha un po' infastidito, ma, ancor di più, mi disturba il fatto di sentirmi così di fronte a quella che, in qualsiasi altro momento, avrei ritenuto un'occasione letteralmente dorata. Mi maledico per quello che sto per dire, ma non ho scelta se non andare fino in fondo, dato che le mie labbra hanno già iniziato a vomitare scemenze.

“Allora dica al sig. De la roche che sarò felice di ricevere i suoi messaggi, non appena si degnerà di scendere dal suo trono e consegnarmeli personalmente, dimostrandomi il rispetto che mi è dovuto.”

Non ho il coraggio di distogliere lo sguardo, certa che la maschera di snobismo si sgretolerebbe sotto il peso della stupidaggine appena commessa.

L'uomo rimane immobile ancora per qualche attimo, poi, senza tradire alcun fastidio, rimette la busta nella tasca interna della giacca e china la testa in un gesto antiquato di saluto.

“Riferirò le sue parole, signorina” sentenzia, non so se come minaccia o pura informazione. “Le auguro una buona serata.”

Riesco a rispondere al suo saluto solo quando è ormai con un piede nella splendida auto del suo datore di lavoro, su cui avrei potuto sedermi presto, se non fossi stata vittima di questo raptus di assurda follia.

Richiamarlo adesso comportrebbe una pessima figura, e poi potrebbe essere una buona strategia farsi desiderare, o almeno è quello di cui cerco di convincermi.

Il capitano è palesemente infastidito, Jas letteralmente allibita, sembra un pesce che cerca di respirare fuori dalla boccia e non sono certa di non aver anch'io un'espressione del genere.

“Sapevamo che aveva avuto rapporti col sig. De la roche” Renaud mi guarda, incuriosito. “O almeno coi suoi tirapiedi. Pare che non si degni spesso di telefonare o invitare personalmente qualcuno.”

“Perché è un mafioso o perché è snob?”

“Tutte le sue attività risultano pulite” si lascia sfuggire, dimentico di parlare ad una civile, per di più implicata in una sordida storia di omicidio. “Paga anche un sacco di tasse, così è difficile indagare su di lui. Il Governo ci tiene ai suoi soldi e lui ci tiene a non darci appigli per ficcanasare nella sua vita.”

“Magari è davvero un riccone stranamente onesto” ipotizzo, per quanto i due aggettivi stonino terribilmente accoppiati.

“Forse, ma ha sempre avuto un comportamento sospetto. Troppo sfuggente e, al tempo stesso, troppo cristallino per non provocarmi un fastidioso prurito tra le scapole” si aggiusta il cappotto, quasi cercassi di grattarsi la schiena da quell'immaginario fastidio. “E poi è strano il suo improvviso coinvolgimento in questa faccenda. È risaputo che si interessi d'arte, almeno come fanno tutti i milionari che cercano un hobby, ma non si era mai avvicinato a un artista sconosciuto, quasi a volergli fare da mecenate.”

“Era quello che voleva?” in effetti tornerebbe con le mie informazioni. “Voleva finanziare il lavoro di Emile?”

“Non lo so” mi accompagna fuori dalla mostra, evidentemente decidendo che non abbiamo altro da scoprire lì dentro, o forse troppo infuriato per riflettere. “I suoi avvocati ci impediscono di interrogarlo.”

Per fortuna questa storia sembra averlo distratto dalla mia bugia e ha distratto me dall'idea che ci sia un aborigeno armato di cerbottana, appostato su qualche tetto di Parigi, con l'intento di farmi fuori, o drogarmi e rapirmi o chissà quale piano possa partorire la mente di un selvaggio.

“Credo che la terrò sotto sorveglianza” e dal suo tono, non so se lo faccia per la mia incolumità, o per evitare altre sorprese. “Inoltre le comunicherò quando un nostro medico potrà visitarla, per cercare di capire le cause della sua guarigione. A meno che non si voglia credere a un miracolo, c'è qualcosa di poco chiaro nelle cure che ha ricevuto al Rotschild.”

Non me la sento di contraddirlo.

“Cerchi di stare attenta al sig. De la roche; magari vuole solo esprimerle le condoglianze per la perdita del suo amico, o forse è interessato al suo bel faccino” forse dovrei sentirmi offesa per la frase leggermente sessista, ma il suo tono è solo professionale e preoccupato, quindi soprassiedo. “Ma è strano che continui a contattarla, adesso che il pittore è morto, quindi tenga la guardia alta.”
Annuisco, sperando di potermene andare prima che inizi una qualche strana predica paterna; Jas mi fissa ancora come se avessi due teste, ma non ha perso un attimo per allontanarsi dalla mostra, o dalle forze dell'ordine, e è già a mezze scale, appoggiata al corrimano, col piede incapace di smettere di battere un ritmo nervoso.

“Farò come dice, capitano. La ringrazio” provo a congedarmi, ma mi trattiene con la mano, delicatamente e con decisione.

“C'è anche un altro uomo a cui volevo dirle di stare attenta” mi fissa con intensità e credo possa leggermi fino in fondo all'anima, per quanto cerchi di mostrarmi inoffensiva come un agnellino. “Si fa chiamare Gabriel, non usa mai il cognome di suo padre, ed è una vecchia conoscenza della gendarmeria, soprattutto per denunce per rissa e aggressione. E' stato visto bazzicare nei dintorni di casa sua, prima dell'incidente, e io credo che l'avesse anche contattata, anche se non ne ho mai avuto prove. E' implicato in una delle precedenti esplosioni, potrei quasi considerare anche lui un sopravvissuto, visto che era uscito solo pochi minuti prima della detonazione.”

“Uscito da dove?” non posso esimermi dal chiedere, anche perché la storia è leggermente diversa da come la conoscevo e i dettagli, in situazioni come questa, sono fondamentali. “Avevo capito di essere la sua unica possibile testimone.”

“Quell'uomo non era fisicamente presente al momento dell'incendio, a differenza di lei: era uscito dalla casa del fidanzato della sorella, dove si trovava con alcuni amici. Inutile dire che gli altri sono morti.”

“Crede che abbia ucciso sua sorella?” stavolta sono i a guardarlo come avesse due teste. “E perché?”

“Stiamo indagando. Per adesso, quello che credo o meno non è importante; volevo solo avvertirla di essere prudente, perché sappiamo che quel tipo ha problemi comportamentali e non riesce a resistere all'ira, quindi potrebbe essere pericoloso.”

“Magari è soltanto un giovane scapestrato” mi sento in dovere di spezzare una lancia in suo favore. “Chi ha commesso quei mattatoi , invece, è uno psicopatico seriale.”

“Un giovane scapestrato che è direttamente coinvolto in un'esplosione e che, secondo alcuni testimoni di cui non possiamo provare l'affidabilità, ha bazzicato nei dintorni delle altre.”

“Forse cercava di scoprire qualcosa” alzo le spalle, buttando lì la verità, come fosse un'ipotesi, e augurandomi che sia concretamente la verità e non una balla in cui sono caduta a piè pari.

“La gendarmeria si occupa delle indagini, non i privati cittadini” mi rimprovera severo, probabilmente per ammonirmi a non mettermi in testa strane idee. Se non fosse troppo tardi, potrebbe quasi convincermi. “Se ci saranno novità, l'aggiornerò.”

“A questo proposito” tiro fuori dalla borsa il barattolo di vernice, senza liberarlo dal sacchetto di plastica. “Ho trovato questo e credo sia stato usato da Emile, o almeno che abbia usato qualcosa di simile.”

Evito di dire come o dove l'abbia rinvenuto e incrocio le dita perché non mi faccia domande. Ovviamente era utopico sperarlo.

“Dove l'ha trovato? In casa?”

Annuisco, senza specificare in quale casa fosse; vorrei evitare mi sequestrasse le chiavi per villa Morel o si preoccupasse per la mia gita fuori programma. Se sarà necessario, lo informerò in seguito, anche se forse sto solo reiterando nel mio precedente errore.

“Farò eseguire delle analisi” continua a scrutarmi, scettico. “Forse troveremo qualche sostanza che faccia luce sulla pazzia del suo amico o sull'esplosione stessa. Adesso vada a casa, riprenda la sua vita e si guardi le spalle. Al resto ci pensiamo noi.”

 

Ed ecco cosa può partorire una mattinata di pioggia O_o
  
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