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Autore: Beauty    30/01/2015    10 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kill the King
 
Alcuni raggi di sole avevano cominciato a filtrare attraverso le tende inamidate della sua camera da letto. Una pozza di luce prese a espandersi sul ripiano del tavolo, colpendo ciotole di rame, fasci di erbe appassite e alcune boccette di vetro. Morgana soffiò fra i denti, innervosita, e tirò indietro il mortaio in modo da ritirarsi nell’ombra, continuando poi a pestare le erbe al suo interno. I colpi della pietra appuntita che stava maneggiando contro il fondo legnoso risuonavano nella stanza e nelle orecchie della strega. Teneva le sopracciglia aggrottate, e pestava le erbe con cadenza regolare, calibrando ogni colpo. A ogni erba che maciullava, nella sua mente corrispondeva una persona, ognuna di esse che meritava di perire per mezzo delle sue mani: Ginevra, Artù, Odette, Odile e Merlino...Merlino che le aveva sottratto il veleno destinato al re...Merlino che certamente aveva capito che qualcosa non andava...Merlino che non avrebbe tardato a scoprire la verità e a denunciarli alla regina...
Poco male. Sarà impegnato tutta la mattina a causa del torneo. E prima di sera io e mio figlio ce ne saremo già andati. La Regina Cattiva ci ha promesso protezione...e quando torneremo, Mordred sarà il nuovo sovrano di Camelot.
Qualche volta le capitava di guardare indietro, di ritornare con la memoria a quando era la moglie di un semplice vassallo minore di re Uther...e si domandava come avesse fatto a ridursi così. O meglio, lo sapeva, ma all'epoca non aveva mai pensato a questa eventualità; e perché avrebbe dovuto? Non aveva mai neppure rivelato a suo marito le sue capacità da erborista...non - non solo - per paura delle punizioni contro chi praticava la stregoneria, ma perché non aveva mai pensato che quelle nozioni tramandatele da sua madre le sarebbero mai state utili in qualche modo. E che ragione avrebbe avuto d'impiegarle, d'altronde?
Era la moglie di un uomo sufficientemente benestante per mantenerla, per di più poteva vantarsi di essere una delle poche fortunate a cui i genitori avevano scelto un marito che tenesse alla sua opinione e la rispettasse come persona...chi avrebbe potuto sospettare che la sua vita sarebbe stata stravolta in quel modo, per colpa di un re ingrato?
Si era sposata a quattordici anni, a quindici aveva avuto suo figlio e a ventuno era già vedova, senza un soldo e incinta di sette mesi. Tutto ciò che aveva per campare erano il suo corpo e le sue capacità di erborista.
Che altro avrebbe potuto fare?
La cicuta nel mortaio era ormai quasi ridotta a una poltiglia verdastra, ma Morgana continuava a pestarla con furia; erano quasi le sei del mattino, e fra meno di tre ore il torneo avrebbe avuto luogo...e lei non poteva fare a meno di pensare a quante occasioni si stessero loro presentando in quegli ultimi tempi.
Forse non ci sarà veramente bisogno di partire. Se Mordred vince in capo a tre giorni sarà sposato con la mocciosa...sarà il legittimo erede al trono, e se anche Merlino dovesse aprire bocca diventerebbe un intoccabile. Lo faremo condannare al rogo, quel vecchio impiccione! E una volta tolto di mezzo Artù...
Udì la porta aprirsi cigolando alle sue spalle, ma non si voltò, né smise di pestare le erbe nel mortaio, e nemmeno lo fece quando la sentì richiudersi e un rumore di passi lenti e incerti riempì la stanza.
“Cosa ci fai qui?” chiese, sollevando lo sguardo verso la finestra.
“Il torneo è fra due ore” rispose Mordred, a voce bassa; fu sollevato dal fatto che sua madre non si fosse voltata. Non aveva chiuso occhio per tutta la notte, e specchiandosi quella mattina aveva incontrato il suo viso appuntito più pallido e smunto del solito, con profonde occhiaie a cerchiargli gli zigomi; poco ma sicuro, sua madre l'avrebbe rimproverato per non aver dormito.
“Dovresti essere nelle scuderie, a prepararti” sibilò la strega, cominciando a pestare le erbe con più veemenza. “Perché sei qui, si può sapere?”.
“Ero venuto a parlarvi di una questione”.
“Spero che sia importante”.
“Ero venuto...” Mordred avvertì uno strano nodo alla gola, ma si costrinse a continuare. “Ero venuto a parlarvi di Odile...”
“Oh, non seccarmi con quella sciocca!” ringhiò Morgana, lasciando cadere la pietra nel mortaio e girandosi finalmente a guardarlo. “Che si affoghi nel pozzo, se le va! Io ho altro a cui pensare, quindi non scocciarmi...!”
Mordred ammutolì, come un bambino appena sgridato dalla mamma e in attesa della punizione. Non aveva neanche voluto ascoltarlo, realizzò; era bastato pronunciare il nome di sua sorella perché Morgana liquidasse la faccenda come qualcosa di poco importante.
Perché Odile è poco importante, no?
Un tempo avrebbe pensato così. Avrebbe pensato così fino...al giorno prima. Anzi, fino al giorno prima non gli sarebbe mai neppure sopraggiunta l'idea di parlare di Odile con qualcuno, tantomeno con sua madre; e a che scopo, poi? Cosa c'era da dire su Odile?
Non era altro che un brutto anatroccolo, in fondo...
Ne sei proprio sicuro?
“Piuttosto...” Morgana inspirò a fondo, passandosi entrambe le mani sul volto con gli occhi chiusi.
“Piuttosto, sta' a sentire, devo parlarti di una questione...”
Lui non voleva starla a sentire.
Mordred si stupì dei propri pensieri, ma era così. In quel momento gliene importava veramente poco di tutto ciò che Morgana avrebbe potuto dirgli. E poi...perché avrebbe dovuto starla a sentire, quando lei non aveva voluto fare lo stesso con lui?
Digrignò i denti di fronte all'evidenza. Morgana pretendeva qualcosa da lui senza dargli niente in cambio; non aveva voluto ascoltarlo quando aveva cercato di dirle che...che forse c'era un motivo se Odile aveva fatto ciò che aveva fatto. Che forse loro due, tutti e due, avrebbero dovuto cambiare atteggiamento nei suoi confronti, da quel momento in avanti.
Non ti ha ascoltato, e ora pretende che tu lo faccia...
Aveva sempre fatto la stessa cosa con Odile, realizzò Mordred. Morgana aveva sempre preteso da lei rispetto senza mai darle il proprio in cambio. Aveva sottomesso Odile con la forza della paura, per diciannove anni. E Odile, il brutto anatroccolo, il cigno nero dalle ali spezzate era sempre stata troppo debole per ribellarsi.
Lei sì, ma tu no...tu sei più forte. Potresti vendicare entrambi.
Già, era vero. Odile era debole, piccola e minuta...ma lui era un uomo, un cavaliere, era alto e forte. Mordred guardò sua madre: era bassa di statura, magrolina...e non era neanche quel granché abile come fattucchiera. Cosa ci sarebbe voluto, in fondo? Lui era più forte di lei...avrebbe potuto afferrarla per le spalle, stringerle la gola, spingerla a terra...avrebbe potuto terrorizzarla, avrebbe potuto costringerla ad ascoltarlo, a chiedere perdono in ginocchio a Odile...
Sì, ma non ne hai il coraggio.
“Merlino ci ha scoperti” Mordred quasi non si era accorto che sua madre si era girata di nuovo e aveva ripreso a pestare le erbe nel mortaio; e si stupì parecchio quando si accorse che quella notizia non l'aveva sconvolto più di tanto. “Mi ha scoperta mentre portavo al re il veleno. Mi ha sequestrato la pozione, e mi ha fatto intendere che sospetta qualcosa...certamente la controllerà, quel vecchio imbecille, e se ci smaschera allora...mi stai ascoltando?!” abbaiò, voltandosi a guardare suo figlio.
“Sì” si affrettò a rispondere Mordred, riscuotendosi. “Sì, vi sto ascoltando, madre”.
“E non hai nulla da dire? C'è in gioco non solo il tuo futuro da re, ma anche la nostra vita. Ti è chiaro questo?!”
“Attendevo che terminaste di parlare...” sibilò lui, a denti stretti. Avrebbe voluto picchiarla.
“Ci sono due sole vie per uscirne” proseguì Morgana. “La prima è che tu diventi re”.
“E non avevamo stabilito che con Artù fra i piedi fosse impossibile?” sputò fuori Mordred, velenoso.
“Saremmo più vicini al trono, se tu sposassi la principessa. Vinci questo torneo e la mocciosa sarà tua moglie”.
“Che cosa?!” il cavaliere strabuzzò gli occhi. “Non la voglio quella bambina viziata come moglie!”
“Te la farai andare bene!” Morgana sbatté la pietra nel mortaio e si girò; in capo a un secondo gli fu a pochi centimetri di distanza. “Se tu la sposi, sarai il principe ereditario; Merlino non potrà fare né nulla contro di te o di me, neanche se ci accusasse con tutte le prove. Anzi, se solo si azzardasse ad aprire bocca noi lo potremmo far condannare al rogo. Se sposi la principessa, sarai il legittimo erede al trono, e Artù è praticamente già morto. Gli ho somministrato il veleno per mesi, ormai è condannato, non c'è più alcun mezzo per cui possa guarire. Tolto di mezzo lui, Ginevra non potrà niente, e sarai il re” Morgana si avvicinò ancora di più a lui. “Pensaci, Mordred” sibilò. “Sarai re senza dover ricorrere all'armata della Regina Cattiva per conquistare Camelot, e le potrai consegnare su un piatto d'argento ciò che desidera. Lei sarà orgogliosa di noi!”
“E per ottenere tutto questo io dovrei sopportare a vita quella piccola vipera?” Mordred inarcò un sopracciglio, infastidito.
“Se proprio non riesci a tollerare quest'inconveniente vorrà dire che il giorno dopo la tua incoronazione la spingeremo già dalla torre più alta del castello, e ora smettila di lamentarti!” sbuffò la strega, innervosita. “Piuttosto, smetti di perdere tempo e vai a prepararti. Devi vincere, oggi...e avrai degli avversari difficili da sconfiggere” aggrottò le sopracciglia, pensosa. “Sir Galvano, ad esempio...non so se preoccuparmi di lui, ha vinto molti tornei, è vero, ma ormai sta invecchiando...starei bene in guardia nei confronti di sir Lionel e sir Galahad...e anche di sir Lancillotto...”
“Lancillotto?”
Improvvisamente, a Mordred sembrò di rivivere un sogno. I pensieri che lo avevano tormentato per l'intera nottata tornarono a colpirlo con violenza inaudita. Rivide la maschera di sua sorella venir strappata via dal suo volto, udì di nuovo quel bel tentativo, Odile! carico di disprezzo, le risate e gli insulti gli rimbombarono nelle orecchie...e ora più che mai il giuramento che aveva fatto a se stesso acquistò ancora più significato.
E' colpa sua se Odile ha sofferto...non mia, né di nostra madre...solo sua...
Lancillotto doveva pagare per il male che aveva fatto a sua sorella.
E ci avrebbe pensato lui a riscuotere la somma.
 
***
 
Tirava vento, e i lembi del suo mantello ondeggiavano colpendogli le ginocchia e gli stivali.
Stava invecchiando. Se ne rendeva conto ogni mattina, quando doveva raggiungere la cima di quella piccola altura. Non era molto elevata, anzi, si trattava di null'altro che una collinetta peraltro nemmeno troppo ripida, ma lui si sentiva cedere le gambe ogni volta che doveva percorrere quella breve salita. Anche se a pensarci bene non era mai stato facile...neppure quando aveva trent'anni ed era rimasto vedovo da pochissimo. Forse erano stati quelli i passi più difficili e stancanti da compiere.
Il vento aumentò d'intensità, e Galvano udì il suo cavallo nitrire alle sue spalle, ai piedi della collinetta. Aveva faticato ad assicurare le briglie intorno al ramo di un albero perché l'animale continuava ad agitare il muso e a pestare gli zoccoli sul terreno. Era nervoso, e sicuramente con quel vento e quel cielo scuro anche gli altri cavalli lo sarebbero stati.
Quel torneo si preannunciava molto più difficile del previsto. Specialmente per lui.
Accelerò il passo quando vide la familiare sagoma grigia e squadrata fare capolino oltre i fili d'erba, proprio sotto alla quercia secolare dov'era stata collocata, e in pochi istanti raggiunse la cima. Strinse appena le dita intorno al fascio di fiori, avvertendo le spine delle rose pungere attraverso la stoffa dei guanti, mentre rimaneva a fissare quel rettangolo di pietra grigiastro che si ergeva solitario in quel territorio sconsacrato.
Avrebbe meritato di meglio. Molto, molto di meglio…
Anche il re lo aveva detto, con un sommesso tono di scuse, non appena la cerimonia di sepoltura si era conclusa. Lucy avrebbe meritato di meglio, ma lui non era riuscito a fare altro. Re Uther avrebbe voluto seppellirla nel lembo di terra del cimitero riservato ai fuorilegge, ai ladri e agli assassini, ed era stato solo grazie all'allora principe Artù e a Merlino se così non era stato.
Una terra sconsacrata, isolata da tutto e da tutti, era qualunque cosa meno che una sepoltura dignitosa...ma almeno aveva potuto evitare che la sua Lucy giacesse insieme alla feccia di Avalon, come re Uther e - lo sapeva - chiunque altro a parte lui, Lancillotto e Artù, avrebbe voluto.
D'altronde, era pur sempre della parente di una strega che si stava parlando…
Il vento cessò per un attimo di soffiare con intensità, ma continuava comunque a fare freddo. Galvano si strinse nel mantello, e lo attraversò di sfuggita il pensiero che era strano, veramente strano che facesse così freddo in quella stagione dell'anno.
Non ci pensò ulteriormente, e si avvicinò alla tomba, inginocchiandosi a terra e cominciando a strappare alcune erbacce che sorgevano accanto alla lapide.
“Eccomi, amore mio...” Galvano sfiorò con l'indice le lettere incise nella pietra, lettere che stavano sbiadendo e che presto sarebbero scomparse. Molti l'avrebbero preso per pazzo, forse anche gli stessi cavalieri o il re, che pure sapeva tutta la verità, ma non era mai riuscito a impedirsi di parlare ogni volta con quella lapide...come se Lucy fosse ancora lì, vicino a lui, viva, e lo ascoltasse, e potesse rispondergli. “Mi dispiace se sono arrivato tardi questa mattina, ma...lo sai, è un giorno importante” sospirò, distogliendo un attimo lo sguardo.  “So di stare sbagliando. So che è contro le regole e non è un comportamento da cavaliere. Ma...è la cosa giusta da fare. Per la principessa, e per noi...” posò le rose accanto a quelle appassite, e i petali vennero mossi un poco dal vento. “Sappiamo tutti che vincerei io comunque, ma non voglio una moglie bambina, e non voglio diventare re. Tu sei l'unica moglie che ho avuto, e resterai la sola. So che non dovrei fare ciò che sto per compiere...ma tu mi hai insegnato che bisogna sempre fare la cosa giusta, e non curarsi delle conseguenze”.
Sfiorò di nuovo le lettere incise sulla lapide. Era strano ogni volta. Strano e doloroso...specialmente se ritornava indietro nel tempo con il pensiero. Quando si erano sposati, anche se era stato un matrimonio combinato e gli inizi non fossero stati dei migliori...alla fine si era innamorato di Lucy. E mai, neanche per un attimo, aveva pensato che sarebbe stata lei la prima ad andarsene.
“Il rischio è grande, me ne rendo conto...” proseguì, a bassa voce.  “Un torneo non è un gioco e…non lo è nemmeno una caduta da cavallo. Lo so che c'è pericolo, ma...non voglio che una ragazzina di sedici anni rischi anche di peggio, per colpa mia. La principessa ha sbagliato, ma non merita questa punizione. Lo sai...” sorrise amaramente, distogliendo lo sguardo dalla lapide. “Non ci avevo mai fatto caso prima d'oggi, ma...se il nostro bambino fosse vissuto, avrebbe la sua stessa età ...”
Il vento riprese a soffiare.
 
***
 
C'era tutto che non andava.
Il colore. L'odore. La temperatura né calda né tiepida ma nemmeno fredda. L'aspetto che rimandava a qualsiasi cosa tranne che a una tisana. Non voleva neanche immaginare che sapore avrebbe avuto, se si fosse azzardato a berne un sorso...
Eppure, non era abbastanza, non per far accusare Morgana di praticare la magia nera, né tantomeno per fare in modo che venisse arrestata per tentato regicidio. Non finché non si fosse assicurato che quella presunta tisana preparata con tanta dedizione dalla ex concubina di re Uther non contenesse sostanze velenose...
Merlino aggrottò le sopracciglia, e svolse una piccola pezza di stoffa grezza alla sua destra, aprendola sul tavolo del suo laboratorio nella torre, proprio in corrispondenza di una chiazza più scura sul legno. Il mago la guardò per qualche secondo, constatando ancora una volta che non era mai più riuscito a farla venire via, da quel giorno in cui il suo ultimo apprendista aveva rotto accidentalmente una bottiglia d'estratto di belladonna.
 
“Mi dispiace molto, maestro...Aspettate, la faccio venire via in un attimo!”
“Non verrà mai più via, Tremotino”.
“Vi chiedo scusa, giuro che la prossima volta starò più attento…”
 
Chiuse gli occhi, scacciando quel ricordo dalla mente e tornando a concentrarsi sul contenuto della pezzuola. Prese una semplice fogliolina di magnolia e la portò all'altezza della tazza stracolma di...qualsiasi cosa fosse. La lasciò cadere al suo interno, fino a che non la vide galleggiare sulla superficie della...tisana.
Il torneo non durerà più di quattro o cinque ore...per quel tempo, saprò sicuramente se l'intruglio di Morgana è avvelenato o no.
Sospirò. Il torneo...o festa del macello di una povera ragazzina. Festa a cui avrebbe dovuto partecipare, giocoforza. Non ne aveva voglia, ma il destino della principessa Odette non era la sola cosa per la quale desiderava non andare...
Non si era mai fidato di Morgana. Non aveva mai neppure sospettato che praticasse la stregoneria, a dire il vero, ma di certo non si era mai fidato di lei e di suo figlio.
Eppure, gli sembrava veramente strano in quel momento che tutto ciò fosse dovuto a Morgana, che lei fosse l’unica persona coinvolta in quella storia, che avesse fatto tutto da sola.
Era un mago, e sebbene non fosse più giovane e in forze come un tempo, era ancora in grado di comprendere quando qualcosa non andava.
E c'era magia oscura, nell'aria...
 
***
 
Giusto per fare il punto della situazione: erano circa le nove meno un quarto del mattino, il torneo sarebbe iniziato alle dieci, lui doveva ancora indossare l'armatura e sellare il suo cavallo, e invece se ne stava chiuso - intrappolato - nella camera da letto della principessa, e quell'ossessivo e regolare colpire il tetto del baldacchino da parte della pallina dorata l'aveva costretto a rileggere la medesima riga per quindici volte consecutive.
Sbirciò in direzione del letto: Odette era distesa supina sul materasso e lanciava in aria la sua pallina d'oro per poi riafferrarla non appena questa, dopo aver colpito il legno, ricadeva in basso, a cadenza regolare. Se la ricordava, quella pallina: il re l'aveva regalata a sua figlia quando aveva compiuto cinque anni, e per due settimane di fila la marmocchia non aveva fatto altro che rincorrere lui e Galvano in ogni parte del castello chiedendo loro di giocare. Alzò gli occhi al cielo, tornando a concentrarsi sul suo libro e a cercare d'ignorare il ritmico tump! tump! della pallina contro il legno.
“Perché sir Galvano non mi ha mai raccontato di essere stato sposato? Di sua moglie?” chiese Odette, smettendo per un attimo di far rimbalzare la palla; si era resa conto che, con Lancillotto perennemente in silenzio e immusonito, non aveva speranze di distrarsi, ma d'altra parte se avesse continuato a pensare al torneo e a contare i minuti che la separavano da esso sarebbe impazzita.
Concentrarsi su qualcos'altro le era parsa una buona soluzione, almeno finché Galvano non fosse venuto a prenderla.
“Forse perché non è affar vostro. Ci avete mai pensato?” ironizzò Lancillotto, più infastidito che sarcastico, a dire il vero; non gli era mai piaciuto il modo di fare della principessa, fin troppo saccente e curioso in modo inopportuno - tutte così, le donne! -, ma ancor meno sopportava quando Odette s'impicciava senza rispetto di questioni che non solo non la riguardavano, ma nemmeno poteva lontanamente comprendere.
E poi, anche se non l'avrebbe mai ammesso...neanche a lui piaceva ricordare la fine che aveva fatto Lucy.
“Siamo amici!” protestò la principessa, scattando a sedere. “Cosa ci sarebbe stato di male?”
“Galvano soffre ancora molto per la perdita di sua moglie, e vi posso assicurare che non è una storia che si racconta con facilità, al di là delle circostanze!” sbottò Lancillotto, così all'improvviso che Odette trasalì. “E vi pregherei di avere il buon senso di non parlarne con lui...” bofonchiò in conclusione.
Odette aggrottò le sopracciglia e incrociò le braccia al petto, indispettita, ma non replicò. Giocherellò un poco con la gonna del suo abito: l'aveva scelto Ginevra, naturalmente, ed era rosso scarlatto, scollato e con le maniche a sbuffo. Si ritrovò a pensare che stavolta sua madre aveva veramente fatto cilecca: più che un'appartenente alla famiglia reale, somigliava a una prostituta d'alto borgo.
Poco male, pensò. Magari quegli idioti che gareggeranno oggi avranno una pessima opinione di me...
“Che ore sono?” domandò, sentendosi di nuovo agitata; l'unica cosa che desiderava in quel momento era che sir Galvano entrasse da quella porta e il piano avesse inizio.
“Non so dirvelo”.
“Ma esiste qualcosa che sapete o potete dirmi senza problemi?!”
Lancillotto non rispose, continuando a leggere. Odette prese ad agitarsi nervosamente sul posto.
“Sir Galvano non è ancora tornato?”
“Che v'importa?”
“Era per chiedere...” borbottò. “Va tutte le mattine alla tomba di sua moglie?”
“Sì”.
“Si chiamava Lucy, avete detto?”
Nessuna risposta.
“La amava molto?”
“Molto”.
“Voi la conoscevate?”
Ancora nessuna risposta.
“Che...che tipo era?” insistette la principessa.
“Ero un ragazzo, non ricordo molto...” Lancillotto girò una pagina del libro e abbassò istintivamente la voce, nel dire quella bugia.
“Voi non siete mai stato sposato, vero?” Odette inarcò un sopracciglio, dubbiosa.
“Certo che no!” rispose il cavaliere, in fretta, come se lei gli avesse appena rivolto un'offesa.
“Ehi, calmatevi, è solo che con tutti questi matrimoni volevo essere sicura che almeno qualcuno, qui, non mi nascondesse qualcosa sulla sua vita passata. Pensandoci bene, in effetti, avrei pietà della disgraziata che avesse la malaugurata idea di sposarvi...!” lo punzecchiò, ridendo sotto i baffi; sentì la tensione nel suo cuore smorzarsi un po'. “Voi non siete mai stato innamorato, dico bene? Ho indovinato, eh?”.
Con sommo sollievo di entrambi e immensa fortuna, qualcuno bussò alla porta. Lancillotto non fece in tempo ad alzare lo sguardo dalle pagine del libro che Odette era già balzata giù dal letto, precipitandosi ad aprire.
Il cavaliere ebbe quasi compassione della povera guardia reale non più che ventenne che quasi venne presa per il collo dalla principessa non appena se la ritrovò di fronte.
“Dov'è sir Galvano?” ringhiò Odette, esasperata.
“Aspettavate sir Galvano?” fece eco un incredulo Lancillotto, alzandosi dalla sedia. “Perché?”.
La guardia reale sembrava più smarrita che mai. La principessa stava per dire qualcos'altro, ma il suo volto si rilassò quando una figura più alta avvolta da un mantello nero fece capolino dietro le spalle del ragazzo.
“Sì, aspettava me...” confermò Galvano, elargendo un sorriso gentile a un perplesso Lancillotto, prima di guardare Odette. “La regina vostra madre mi ha chiesto di accompagnarvi nel cortile per assistere al torneo”.
“E non può pensarci la guardia?” s'intromise il cavaliere più giovane.
“Ordini reali”.
Galvano non attese replica, e offrì il braccio alla principessa. Odette fece un piccolo sorriso, sentendo ritornare la tensione, e si aggrappò al cavaliere come se fosse stato la sua unica salvezza da un pericolo imminente. E in effetti era proprio così.
“Puoi andare a prepararti. Io ti raggiungo più tardi...” disse Galvano a Lancillotto, prima di avviarsi in fretta lungo il corridoio in compagnia della principessa. Odette si sarebbe aspettata che il cavaliere più giovane avesse qualcosa da replicare, ma udì solo silenzio. Si aggrappò più saldamente al braccio di sir Galvano; deglutì, quindi inspirò a fondo, azzardandosi a rilasciare il fiato solo quando furono quasi a metà del corridoio.
Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li udisse, quindi parlò.
“Che cosa facciamo, adesso?” sussurrò.
 “Adesso...” Galvano abbassò la voce. “Adesso io vi accompagno nel cortile, da vostra madre. Voi mantenete la calma, sorridete e siate gentile, e godetevi il torneo”.
“Ma...”
“Attendete fino a che non resteranno quattro soli concorrenti. All'inizio della prima delle due giostre finali, dite a vostra madre che desiderate recarvi nelle scuderie per congratularvi con i nobili che hanno valorosamente perduto nel tentativo di conquistare la vostra mano...”
“Dovrei recarmi nelle scuderie?” bisbigliò Odette. “Va bene, ma mia madre vorrà certamente che una delle guardie reali mi accompagni...”
“No, se io mi faccio vivo prima di loro...” Galvano le sorrise, facendole l'occhiolino. “Sarò io a offrirmi di accompagnarvi. Il re non potrà dirmi di no, ci conosciamo da tanto tempo...”.
“D'accordo. E poi?”.
“Un passo alla volta. Vi spiegherò tutto a tempo debito. Ora, comportatevi da vera principessa e fingete di essere entusiasta che tanti uomini si sfidino per la vostra mano...
 
***
 
Malefica fece scorrere l'indice lungo la superficie dello specchio, e l'unghia della strega tracciò una crepa immaginaria proprio in corrispondenza del riflesso della guancia di Galvano. L'immagine scomparve, lasciandone il posto a un'altra: il cortile della reggia di Camelot, allestito in occasione del torneo, con la giostra già pronta per dare il via agli scontri; di fronte a essa, degli spalti di legno erano stati sistemati in modo da circondare l'intera arena, lasciando solo due spazi laterali per permettere l'entrata dei duellanti e dei loro destrieri. Una parte sopraelevata dei posti a sedere era sovrastata da un ampio drappo blu con ricamata una croce bianca - il simbolo della casata dei Pendragon, ricordò Malefica - in modo che fosse riparata dal sole.
Erano i posti riservati ai membri della famiglia reale.
“Allontanati dal mio specchio” la voce della Regina Cattiva arrivò dura e severa alle sue spalle; la sovrana del Regno delle Favole le aveva ceduto brevemente il suo posto di fronte allo specchio magico, per alzarsi e spazzolarsi la lunga chioma corvina, ma Malefica aveva avvertito i suoi occhi verdi che non avevano mai smesso di scrutarla. “E' prezioso, non voglio rischiare che tu me lo rovini”.
“So come trattarlo” replicò la strega, stizzita, ma ritrasse immediatamente la mano.- Mia madre ne possedeva uno a sua volta. Non lo sapevi, Grimilde?”.
La Regina Cattiva non rispose, e continuò a far scorrere i denti del pettine sulle sue ciocche corvine, lisce e morbide come la seta. Malefica rimase a guardarla fino a che non depose il pettine e si risistemò la corona sul capo; la strega notò che aveva le labbra rosse, più del solito, e come se non bastasse la vide passarsi ancora un poco di rossetto.
E' vanitosa, proprio come quella prima di lei...
“Quali novità?” s'informò la Regina Cattiva quando ebbe finito. “Hai scoperto cos'ha in mente il marito di tua sorella? Oh, perdonami...il suo vedovo” sibilò, ghignando senza farsi vedere.
“Ha detto alla marmocchia di recarsi nelle scuderie. Per il momento non so altro...” ringhiò Malefica; la Regina Cattiva sorrise sotto i baffi: parlare della compianta Lucy era sempre un ottimo mezzo per addolorare l'altra.
“E Tremotino? Lo hai visto?”
“No, di lui non c'è traccia. Ma è a Camelot, avverto la sua presenza. E se n'è accorto anche Merlino...” Malefica si alzò dalla poltrona, lasciando il posto alla sovrana che con un fluente fruscio di gonne si accomodò un attimo dopo. “E il vecchio non s'è accorto solo di quello...”
“Ti riferisci al dispettuccio di Morgana?”
“E tu un regicidio lo chiami dispettuccio?!” la strega digrignò i denti. “Cerca di essere seria! Quanto è grave?”
“Non più di tanto. Sinceramente, amica mia, dovresti rilassarti...” la Regina Cattiva alzò le sopracciglia con finto stupore. “Dico davvero, ti fa male alla pelle...”
“Che intendi dire con non più di tanto?” incalzò Malefica, ignorandola; incrociò le braccia al petto.
“Intendo dire che non è nulla a cui non possiamo far fronte. A dire il vero, non è accaduto niente che non avessi già previsto...Merlino starà invecchiando, questo te lo concedo, ma è ancora lucido. Mi aspettavo che prima o poi avrebbe scoperto Morgana, ma ci vorranno almeno sette o otto ore prima che abbia la certezza assoluta che la pozione sia un veleno. E ormai Artù ne ha ingerito troppo: morirà, qualunque cosa accada.
“Non temi che Morgana possa parlare?” insistette la strega. “A Camelot l'uso della tortura è stato bandito dalla morte di re Uther, ma di fronte a un tentato regicidio la pena di morte è più che certa. Non credi che Morgana potrebbe negoziare per la sua vita e tradire noi? Artù scenderebbe immediatamente in battaglia, e Merlino si affretterebbe a mettere al sicuro la...
“Ti ho già detto che Artù è un cadavere che cammina” tagliò corto la Regina Cattiva, innervosita. “Non gli restano che pochi mesi di vita, anche se ancora non lo sa. Quanto alla fedeltà di Morgana...è una cagna paurosa che pur di ottenere ciò che vuole non esiterebbe a spifferare tutto, questo non lo nego, ma non corriamo alcun rischio: Ginevra ha concesso a lei il permesso di lasciare Camelot dopo il torneo. Quando Merlino scoprirà la verità, lei e la sua famiglia saranno già sulla strada per il Regno delle Favole...”
La Regina Cattiva s'interruppe, e attese. Sbirciò con la coda dell'occhio alle sue spalle: Malefica era rimasta immobile, silenziosa, probabilmente stava assimilando la notizia; d'un tratto, la vite stringere i pugni e prendere a camminare avanti e indietro per la stanza, come se fosse sconvolta.
Di nuovo, la Regina Cattiva sorrise.
“Qualcosa non va, amica mia?”
“Oh, no!” esclamò Malefica, con un sorriso sardonico e la voce carica di sarcasmo. “Sono solo estasiata all'idea che d'ora in avanti avremo quella donnaccia e la sua prole sempre intorno...!”
“Ti hanno mai detto che l'ironia è il rifugio delle menti deboli?” rispose la sovrana, tranquillamente. “E comunque, fino a prova contraria, questo è il mio castello. Posso ospitare chi voglio. Senza contare che dovresti imparare a fare buon viso a cattivo gioco, specialmente di fronte al futuro re di Camelot...”
“Hai promesso Camelot a Mordred?” gridò Malefica, esterrefatta.
“Beh, dopo la dolorosa dipartita di Artù e il nuovo ordine che io stabilirò dopo aver riportato indietro i fratelli Grimm, occorrerà qualcuno che si occupi di quel regno, non credi?” la Regina Cattiva la guardò di sottecchi, ghignando. “O forse speravi di stabilirti là quando avrai...”
“Trovo semplicemente incredibile che tu abbia promesso il trono di Camelot a un ragazzino privo di spina dorsale...!” sibilò la strega.
“Dovresti avere più fiducia, cara”.
“Avrei quasi preferito che fosse sua sorella a sedere sul trono...”
“Chi? Il cignetto nero?” la sovrana si volta, stupita. “Andiamo, non sarai seria! Molto probabilmente sarà lei a venire giustiziata la posto della madre, non credo la rivedremo più...”
Malefica non disse nulla; inspirò a fondo, cominciando a dare un significato a ogni parola. S'irrigidì.
“Morgana ha intenzione di lasciarla indietro?” soffiò.
“Ha chiesto il permesso solo per sé e per Mordred, quindi immagino di sì. Ti dispiace, forse?”
 “Stavo solo...” Malefica esitò. “Stavo solo pensando che avrebbe potuto avere delle doti...”
 “Stai scherzando, vero?”
No, non stava scherzando. Era più seria che mai, ma questo Grimilde non poteva capirlo: era troppo presa dalla Pietra, dalle chiavi, da Tremotino, e dall'uccidere la Salvatrice. C'erano troppe cose a cui doveva pensare, era improbabile che avesse prestato la minima attenzione al cigno nero.
Un vero peccato…
“Mettiti comoda, Malefica. Lo spettacolo sta per cominciare”.
 
***
 
Sta per cominciare.
Ginevra trattenne il fiato, stringendo i braccioli della sua sedia sopra lo spalto mentre il suono delle trombe annunciava l’inizio del torneo. Guardò suo marito.
“Dov’è Odette?” sussurrò.
“Ho dato ordine di andare a prenderla”.
Quasi a confermare la veridicità di quell’affermazione, due guardie si posero sull’attenti, ritraendo le lance in modo da permettere il passaggio della principessa. La regina non le tolse gli occhi di dosso neppure quando Odette si fu seduta alla destra di Artù, mentre suo padre non la degnò di uno sguardo.
“Avresti potuto almeno raccoglierti i capelli” sibilò Ginevra, puntando lo sguardo sull’arena di fronte a sé. “Sembri una mendicante”.
In un’altra situazione non avrebbe tardato a replicare seccamente, ma quello non era proprio il momento di mettersi a litigare con sua madre, perciò se ne stette zitta. Odette maledisse il corsetto che le impediva di respirare troppo a fondo, e cercò di tenere a freno l’istinto di cominciare a scalpitare come una cavalla imbizzarrita per la tensione. Raccolse i capelli in una coda e se li gettò dietro le spalle, sperando che Ginevra perlomeno apprezzasse la buona volontà, ma lei neppure la vide.
Odette cercò di fare dei piccoli e rapidi respiri per calmare il battito accelerato del suo cuore, e guardò a sua volta l’arena. L’araldo aveva appena fatto il suo ingresso, e ora era in piedi al centro della giostra.
“In onore di Sua Maestà il Re Artù Pendragon e di Sua Maestà la Regina, si dia inizio alla giostra!” annunciò con voce squillante, a malapena coperta dal rullo dei tamburi. “Come stabilito dall’editto emesso dalle Loro Maestà, il vincitore del torneo riceverà in premio la lancia d’oro e la mano di Sua Altezza Reale la Principessa Odette”.
Così è questo che sono diventata: un premio.
Odette avvertì il cuore saltarle fino alla gola, ma cercò di non dare a vedere la sua tensione. Sperò con tutto il cuore che il piano di sir Galvano funzionasse.
“Ecco a voi i due primi contendenti: il Granduca Wulfric Ebeneezer di Norbert, della Contea di Weasley e Percy Wettlesback, Conte di Nickenbourg”.
Appoggiò il dorso allo schienale della sedia, prendendo un lungo respiro.
Sarebbe stata la giornata più lunga della sua vita.
 
***
 
Merlino era seduto appena a più a sinistra del re. Anche se la distanza rispetto alla pedana sopraelevata riservata alla famiglia reale era notevole, riusciva comunque a scorgere la sua sagoma da lontano, sempre con quel cappuccio nero tirato fin sul capo. Gli parve che la sua barba fosse molto più bianca da quando l’aveva visto l’ultima volta, sedici anni prima, e non se ne stupì.
Anche i più potenti invecchiano, dopotutto.
Ciò che lo sorprendeva maggiormente era che Merlino si fosse abbassato a un’azione così deplorevole come l’assistere a una giostra. In tutto il tempo in cui era stato suo apprendista non gli aveva mai permesso di partecipare a un torneo: sosteneva fermamente che non fossero questioni che si addicevano a un giovane mago.
E scommetteva neppure a un più maturo stregone.
Ghignò, mentre i due primi contendenti imbracciavano le lance e spronavano i loro destrieri.
Cominciò a canticchiare sottovoce.
Chissà chi lo sa, il mio nome qual sarà. Lo so soltanto io che Tremotino è il nome mio…”
 
***
 
Il vecchio e tre volte vedovo Granduca venne sbalzato giù da cavallo dal più giovane Conte.
Lancillotto si concesse solo qualche secondo in più di tempo per vedere lo scudiero che aiutava il suo anziano padrone a rialzarsi e i servitori che raccattavano quel che restava della sua armatura, ma tornò all’interno delle scuderie ancor prima che l’araldo annunciasse i prossimi contendenti.
Non sarebbe stato il suo turno prima di altri quattro giri di giostra, ma preferiva tenersi pronto in anticipo. L’elmo era appeso a un chiodo piantato nel legno del recinto del suo cavallo, e contro a esso erano anche appoggiati la lancia e la spada. Lancillotto finì d’indossare l’armatura, assicurandosi di non lasciare nessun lembo di carne scoperto, specialmente la gola. Da ragazzo aveva assistito a una giostra in cui un cavaliere giovane e inesperto era stato trafitto al collo da una lancia, ed era mortodissanguato nell’arena; da allora era sempre stato bene attento a indossare l’armatura in modo che niente rimanesse esposto alle armi avversarie.
Vide che il suo cavallo era nervoso, e provò ad accarezzargli il collo per calmarlo. Si chiese se gli animali potessero avvertire il nervosismo degli uomini.
“Attendete fino a che non resteranno quattro soli concorrenti. All'inizio della prima delle due giostre finali, dite a vostra madre che desiderate recarvi nelle scuderie per congratularvi con i nobili che hanno valorosamente perduto nel tentativo di conquistare la vostra mano...”
Non era convinto. Per niente. Qualsiasi cosa stesse complottando Galvano a sua insaputa, beh, era certamente scorretta, dal momento che non aveva neppure voluto che…
Qualcuno lo afferrò con violenza per una spalla, e prima che potesse rendersene conto Lancillotto si ritrovò sbattuto contro il recinto. Il cavallo nitrì, spaventato.
“Non ti vergogni?!”
Il cavaliere fece una smorfia di dolore, sentendosi la spalla dolente e il respiro mozzato. Non gli servì mettere a fuoco l’immagine di fronte a sé: aveva già compreso dalla voce di chi si trattasse.
“Rispondimi! Non ti vergogni per quello che hai fatto?!”
“No, non me ne vergogno!” ringhiò in risposta, cercando di liberarsi dalla presa, ma Mordred lo teneva stretto alla gola come se volesse ucciderlo. “Ti riferisci a tua sorella, vero? Io non ho niente da rimproverarmi, è lei che ha voluto fare la stupida e si è cercata guai!” Lancillotto accompagnò le ultime parole con uno spintone in grado di far allontanare l’altro cavaliere, ma questi non smise di guardarlo in cagnesco. “E toglimi le mani di dosso!” ululò. “Stai scaricando su di me colpe che sono solo di Odile, niente di più!”
“E’ colpa tua!” continuò imperterrito Mordred. “E’ solo colpa tua se Odile è diventata lo zimbello di Camelot! E’ colpa tua se mia madre per punirla l’ha tenuta segregata per tre giorni senza pane né acqua!”
“E tu allora perché non l’hai liberata?”
Quella domanda retorica fu solo in grado di farlo infuriare ancora di più. Mordred tornò all’attacco, afferrando un lembo della cotta di maglia di Lancillotto e strattonandolo con violenza. Avvicinò il volto a quello dell’altro cavaliere.
“Lei ti amava…!” sibilò. “Sapevi che era innamorata di te da quand’era bambina, e che cos’hai fatto?! L’hai umiliata di fronte a tutti, ora per colpa tua nessuno vorrà più sposarla, nessuno vorrà avere a che fare con lei…”
“Non avrebbe dovuto fare ciò che ha fatto! E allontananti da me!” Lancillotto lo spinse via una seconda volta. “Odile si è rovinata da sola, e lo sai! E non sarebbe successo se non fosse stato per causa tua e di tua madre!”
“Sei una bestia!” gridò Mordred. “Una bestia senza cuore!”.
Lancillotto non rispose, rimanendo immobile a guardarlo negli occhi. Mordred spostò un lembo del mantello con rabbia, girando i tacchi e allontanandosi, ma non prima di avergli lanciato un ultimo sguardo di sfida.
“La risolviamo nell’arena”.
 
***
 
Non era riuscita a concentrarsi su niente, quella mattina.
Aveva continuato a strofinare il medesimo punto del pavimento con lo straccio fino a che il ragazzo delle verdure non le era passato accanto colpendole la testa con uno schiaffo, riportandola così alla realtà. Non era nemmeno riuscita a trattenersi dal piangere a ogni risatina o commento sottovoce che aveva udito al suo passaggio, ed erano state molte.
Aveva la testa che scoppiava e gli occhi arrossati, e sentiva che avrebbe potuto dormire per giorni.
Avrebbe anche potuto richiudere gli occhi per non riaprirli mai più.
Ora era seduta in camera sua, al buio, su quel lettino duro e stretto che a malapena la faceva riposare di notte, inzuppando il fazzoletto e il grembiule di lacrime.
Fuori il torneo proseguiva da un’ora circa, ma lei non aveva prestato la benché minima attenzione. Fu solo quando udì i nomi dei prossimi contendenti che si riprese.
“Il Barone Adolf von Rubens contro sir Lancillotto dal Lago” annunciò l’araldo in lontananza.
Odile nascose il volto fra le mani, piangendo più forte.
 
***
 
Con il trascorrere delle ore e delle giostre, Odette si era un poco rilassata. Certo, il pensiero del piano di sir Galvano era ancora fisso, ma perlomeno adesso riusciva a fingere di essere rilassata. Suo padre aveva seguito con interesse lo svolgersi del torneo, e la principessa aveva fatto molta attenzione alle sue reazioni: era riuscita a decifrare ogni volta l’espressione di Artù per comprendere quando fosse contrariato o felice di una vittoria o dell’altra. Il re era visibilmente sollevato quando uno dei gareggianti che riteneva troppo vecchio, inetto o semplicemente non adatto a sua figlia veniva buttato giù da cavallo dal suo avversario; Odette notò che, in effetti, erano state ben poche le volte in cui il suo volto era stato solcato dalla delusione per l’eliminazione di un candidato.
Le era venuto da pensare che, in fondo, almeno lui non volesse veramente darla in sposa al primo sconosciuto che avesse vinto uno stupido torneo; ma d’altra parte, Artù era sempre stato tutto tranne che succube di sua moglie. Odette era più che certa che Ginevra fosse quella ad avercela di più, con lei, e quella che desiderasse maggiormente una punizione esemplare nei suoi confronti; ma sua madre avrebbe lasciato perdere, se il re le avesse imposto un divieto. E invece, anche se non era entusiasta all’idea di darla in moglie, a quanto pareva anche Artù si era convinto che quella fosse l’unica soluzione per domare la sua figlioletta ribelle.
Non appena Odette era giunta a queste conclusioni, aveva abbandonato per sempre ogni speranza che i suoi genitori cambiassero idea all’ultimo secondo, e i suoi pensieri erano immediatamente volati a Merlino: il mago era sempre stato gentile con lei, tollerante anche quando aveva tirato troppo la corda. Si era chiesta se avesse almeno provato a fare qualcosa per dissuadere i sovrani dal quel folle proposito ma, anche se così era stato, la sua perorazione doveva essersi rivelata vana.
Non le restava che sir Galvano.
I momenti in cui era lui a duellare erano anche gli unici in cui non si curava di perdere la sua studiata compostezza e s’irrigidiva visibilmente, sentendo il cuore battere a mille. Non le aveva spiegato nei dettagli in cosa consistesse il suo piano, ma Odette sentiva come per istinto che, perché questo andasse in porto, Galvano avrebbe dovuto vincere. O almeno arrivare fino alle giostre finali.
Sensazione che venne confermata anche dallo svolgimento del torneo mano mano che questo progrediva.
Assistette al duello fra sir Lancillotto e il Barone von Rubens, e fu ben felice quando quest’ultimo venne buttato giù da cavallo. Poi fu il turno di altre giostre, e altre ancora, fino a che non fu chiaro che erano in tre a contendersi la lancia d’oro – o lei stessa e il conseguente trono di Camelot.
Sir Galvano combatteva come un leone. Odette studiava a fondo ogni sua mossa, ogni sua espressione prima che montasse a cavallo e partisse lancia in resta contro il suo avversario. Il cavaliere non era più molto giovane, ma era almeno dieci volte più esperto di tutti gli altri contendenti.
E il modo in cui combatteva lasciava intendere che avesse tutta l’intenzione di vincere, che dovesse vincere.
Galvano fu spietato. Non si curò mai di non spronare troppo il destriero, o di non affondare la lancia con troppa violenza. Era chiaro che non gli bastasse che fosse ben puntata in direzione dell’avversario: doveva essere certo di colpirlo, di farlo cadere da quel maledetto cavallo ed assicurarsi la posizione successiva. Non ci andò piano neppure con sir Lionel, che pure era il più giovane e il più inesperto di tutti i cavalieri: lo disarcionò con facilità, borbottando appena qualche parola di scuse quando scese da cavallo per aiutarlo a rialzarsi.
Odette tirava un sospiro di sollievo ogni volta che lui vinceva, e lo seguiva con lo sguardo fino a che non scompariva oltre i cancelli delle scuderie. E se per caso incrociava sir Lancillotto, stava bene attento a non guardarlo negli occhi.
Dopo la sconfitta del Barone, per Lancillotto la strada era stata completamente in discesa: gli erano capitati inizialmente un marchesino di neanche quindici anni e un giovane nobile che aveva sbaragliato senza difficoltà; gli avversari successivi erano stati ben più temibili, in particolare un certo Rufus di Villadoca che brandiva una lancia estremamente appuntita. Lancillotto lo aveva disarcionato senza problemi, ma la lancia era scattata in alto forandogli l’elmo e graffiandogli un lembo di pelle proprio sotto lo zigomo destro. Quando si era tolto l’elmo per ringraziare la folla esultante, Odette aveva visto che sanguinava, e che il sangue aveva una stranissima tonalità rosso scuro…
Lancillotto si aggiudicava una posizione dietro l’altra in modo apparentemente così rapido e facile che Odette cominciava a temere il momento in cui si sarebbe, giocoforza, scontrato con sir Galvano. Ma c’era una cosa che la preoccupava ancora di più.
Un terzo pretendente aveva dimostrato di non essere da meno rispetto a entrambi i suoi amici: si trattava di sir Mordred.
Odette temeva forse più lui di qualunque altra cosa, e non solo per l’eventualità che vincesse e diventasse suo marito. C’era qualcosa di strano che lo spingeva ad andare avanti, e non era solo l’ambizione o l’interesse nel premio.
Mordred combatteva con furia cieca, come se da quello fosse dipesa la sua stessa vita. Il suo primo avversario era stato sir Tristano, che non aveva avuto difficoltà a sbaragliare; da quel momento, era stata tutta una lotta all’ultimo sangue pur di vincere. Mordred affondava la lancia con furia, spesso non curandosi nemmeno di assicurarsi che l’avversario stesse bene dopo la caduta, e un paio di volte si dimenticò perfino di ringraziare il pubblico dopo la vittoria. E, quando si sfilava l’elmo, Odette poteva vedere una strana smorfia sul suo volto affilato: rabbia mista ad amarezza, una stana mescolanza di furia, rancore e determinazione.
La spaventava.
Nessuno dei tre aveva ancora avuto occasione di scontrarsi con gli altri due.
Questo almeno fino alle cinque del pomeriggio quando l’araldo rientrò in campo per annunciare i prossimi contendenti.
“Sir Lancillotto dal Lago contro sir Mordred!”
 
***
 
“Sir Lancillotto dal Lago contro sir Mordred!”
Morgana udì la voce dell’araldo risuonare ovattata attraverso le pareti della sua stanza privata, ma non si voltò neppure a guardare oltre la finestra. Aveva seguito il torneo per tutto il giorno con l’angoscia che Mordred perdesse, e rallegrandosi ogni volta che vinceva. Si era convinta che suo figlio si fosse finalmente deciso a smettere di fare i capricci e avesse compreso quanto fosse importante per loro che lui sposasse la principessa.
Ma non si sentiva ancora tranquilla.
Prese uno straccio fra le mani e prese un mestolo di legno, immergendolo nella grande pentola che aveva posto a bollire sul fuoco. Afferrò una scodella posata sul tavolo e vi versò dentro il contenuto del mestolo: acqua calda in cui aveva sciolto le erbe appena pestate nel mortaio. La rimise dove l’aveva trovata, svolgendo una pezzuola ed estraendo da essa una fogliolina d’oleandro: l’effetto del veleno si sarebbe annullato al contatto con le erbe, ma ne avrebbe comportato un altro.
Anche se suo figlio era sulla buona strada per vincere, non poteva permettersi di abbassare la guardia o smettere di considerare ogni eventualità. Estrasse dalla pezzuola l’ultimo ingrediente: un piccolo pezzo del mantello di sir Lancillotto, tagliato ad arte per evitare che lui se ne accorgesse. Era grande solo pochi centimetri, ma più che sufficiente.
Giusto per non correre rischi…, si disse, lasciandolo cadere all’interno dell’infuso.
La pozione era pronta.
 
***
 
Lancillotto odiava quel periodo della giornata: il sole era troppo forte, e se ti trovavi contro di esso non riuscivi a vedere niente. Ed era di malumore: continuava a ripensare alle parole che Galvano aveva rivolto alla principessa senza riuscire a darvi un senso, e l’aggressione di Mordred nelle scuderie lo aveva parecchio infastidito.
E adesso gli toccava duellare contro di lui.
Il taglio all’altezza dello zigomo aveva smesso di sanguinare, ma bruciava. Si chiese se quella dannata lancia non fosse stata sporca o infetta di qualche veleno: quando era stato ferito, a tratti il sangue era così rosso da sembrare nero.
Cercò di non pensarci, e indossò l’elmo, assicurandosi che la spada fosse ben salda alla vita. Montò a cavallo, e lo scudiero gli passò la lancia.
Dall’altra parte dell’arena, Mordred era già pronto in sella al suo destriero, con la visiera del suo elmo appuntito calata sugli occhi per proteggersi dal sole. Il suo cavallo era nervoso, e continuava a scalpitare battendo gli zoccoli sul terreno. Il cavaliere tirò le briglia con violenza, digrignando i denti. Tenne lo sguardo fisso su Lancillotto, dall’altra parte dell’arena, e strinse ancora di più le dita intorno all’impugnatura della lancia.
Ti spezzo il collo. Giuro su tutte le forze del Bene di questo mondo, ti faccio sputare sangue finché non implori pietà. Ti farò strisciare nella polvere fino a che non bacerai la gonna di Odile supplicandola di perdonarti.
L’araldo abbandonò l’arena, dando così ufficialmente inizio allo scontro.
Lancillotto condusse il destriero fino alla sbarra, ponendo la lancia in orizzontale e assicurandosi che il cavallo poggiasse bene sugli zoccoli a destra. Vide Mordred avvicinarsi in sella al suo cavallo da guerra nero, con addosso quell’armatura piena di spuntoni, e avvertì un brivido di freddo che subito represse.
Non è colpa mia. Odile ha sbagliato e io ho fatto solo ciò che era giusto. Finiamola con questa storia.
Mordred, da lontano, spronò il cavallo al galoppo, e Lancillotto fece lo stesso.
Dagli spalti, Odette trattenne il fiato mentre i destrieri si avvicinavano sempre di più l’uno all’altro; trattenne l’impulso di serrare gli occhi quando le lance arrivarono a pochi millimetri di distanza.
Dopodiché, tutto accadde molto velocemente.
Dal pubblico si levò un mormorio di stupore e sgomento quando sir Lancillotto affondò la punta della propria lancia nello stomaco di sir Mordred, e questi lasciò la presa intorno alle briglie del cavallo. La lancia gli sfuggì di mano e il cavaliere perse l’equilibrio, rovinando a terra.
Ginevra si portò una mano alla bocca, sconvolta non appena lo vide cadere di schiena con un gran frastuono dell’armatura e il sollevamento della polvere nell’arena. L’elmo si sfilò dal capo e rotolò a diversi metri di distanza, rendendo ben visibile la smorfia di dolore di Mordred che si reggeva lo stomaco con una mano.
“Dannazione!” imprecò Morgana, non udita, dalla sua torre.
Galvano, in piedi sulla soglia delle scuderie, trasse un sospiro di sollievo.
Lancillotto tirò le briglie del proprio cavallo in maniera che si arrestasse, e si girò a guardare Mordred, riverso a terra. Avrebbe preferito non farlo, ma le regole della cavalleria gl’imponevano di scendere ad assicurarsi che stesse bene…anche se il solo pensiero di stringergli la mano gli dava la nausea.
Si tolse l’elmo, venendo prontamente accecato dai raggi del sole pomeridiano, e smontò da cavallo.
Mordred si stava rialzando a fatica; aveva gli occhi arrossati, era sudato e i capelli erano sporchi di terra. Lanciò un grido sommesso e frustato, carico di rabbia repressa.
Lancillotto avanzò verso di lui, di malavoglia.
“Stai bene?” chiese più per convenzione che per interessamento, ma si arrestò non appena vide cos’era accaduto.
Mordred aveva sfoderato la spada.
S’irrigidì, non credendo ai proprio occhi; dovette farsene una ragione quando lo vide ghignare, con le ciocche nere che gli ricadevano disordinatamente sul volto, mentre avanzava verso di lui brandendo il gladio.
Ginevra, dagli spalti, si voltò verso suo marito.
“Ma che cosa sta facendo?” chiese, accorata. “Non può farlo”.
“Può, a dire il vero” ribatté Artù, altrettanto perplesso. “Ma non è mai accaduto prima d’ora…non è neppure un comportamento da…”
Schifoso bastardo!” strillò Odette all’improvviso, balzando in piedi e aggrappandosi alla balaustra di legno. “Lascialo stare, figlio di una sgualdrina! Metti via quella maledetta…”
“Odette!” strillò Ginevra, inviperita, alzandosi in piedi a sua volta e tirando sua figlia per una manica dell’abito. “Devi sempre farci svergognare come al solito! Rimettiti seduta, subito!”
“Principessa, calmatevi…” intervenne Merlino, facendole cenno di rimettersi a sedere. Odette ubbidì, ancora agitata, e si rivolse verso il mago.
“Può difendersi, vero?” chiese accorata. “Sir Lancillotto ha una spada, giusto?”
“Sì, può difendersi…attendiamo”.
Lancillotto, giù nell’arena, indietreggiò istintivamente di un passo.
“Cosa stai facendo, si può sapere?” ringhiò. “Non è un comportamento da cavaliere!”
“Non lo è nemmeno umiliare una ragazza di diciannove anni!”
Mordred accompagnò quell’urlo sguainando ferocemente la spada e dirigendo la lama verso Lancillotto; l’altro si scansò un attimo prima che questa la colpisse, affrettandosi ad estrarre la propria. Impugnò l’elsa saldamente, ponendosi sulla difensiva.
“E’ per Odile che stai facendo tutto questo?” ansimò, trafelato.
Mordred non rispose e tornò subito all’attacco, con furia, come se avesse voluto ucciderlo. Lancillotto schivò anche questo affondo, ma il successivo si vide costretto a pararlo, e presto l’intera arena venne riempita dal rumore del ferro delle lame che cozzavano l’una contro l’altra. Mordred attaccava a testa bassa, veloce e spietato, ed era chiaro che fosse privo di una strategia: ciò che gli interessava era solo colpire, colpire, e colpire fino a che non avesse centrato l’obiettivo. Lancillotto parava gli affondi con una rapidità impressionante, ma continuava ad arretrare, ancora incredulo di fronte a ciò che stava succedendo.
Incespicò, allentando appena la presa intorno all’elsa della spada; fu sufficiente perché Mordred riuscisse a farla volare via con un colpo secco della propria lama. Lancillotto si gettò a terra per evitare gli affondi dell’avversario; si piegò di lato per recuperare la spada, con Mordred che torreggiava sopra di lui. Riuscì a raggiungere il gladio e a sollevarlo sopra la propria testa un attimo prima che questa venisse trafitta dalla lama dell’avversario.
Lancillotto digrignò i denti, sferrando un calcio all’altezza delle ginocchia di Mordred, facendogli perdere l’equilibrio e la spada. Si rialzò con fatica, piantando una mano contro il petto del cavaliere e sollevando la spada all’altezza dei suoi occhi.
Ansimò, cercando di recuperare fiato.
“Adesso basta…” soffiò.
Mordred si agitò sotto di lui, lanciando un ululato di frustrazione.
Prontamente, da lontano giunse la voce dell’araldo.
“Il vincitore è sir Lancillotto dal Lago!”
 
***
 
Odette seguì con interesse il seguito di…beh, quello che sua madre certamente si sarebbe ostinata a chiamare spiacevole incidente per almeno sei mesi. Alcune guardie reali e lo scudiero di sir Mordred erano accorsi per aiutarlo a rialzarsi, ma lui aveva fatto da solo, prendendo tutti a male parole e avviandosi con furia in direzione delle scuderie. Lancillotto aveva accolto l’ovazione del pubblico senza battere ciglio, visibilmente provato, e se n’era andato senza una parola.
Era così presa da quella faccenda che quasi non si accorse che era arrivato il penultimo giro: i contendenti erano sir Lancillotto e un altro nobile. Sir Galvano si era già aggiudicato la finale.
Odette inspirò a fondo, alzandosi in piedi. Ginevra le rivolse uno sguardo di fuoco.
“Dove credi di andare?” berciò con voce acuta e stizzita. “Rimettiti a sedere”.
“Desidererei recarmi nelle scuderie…” mormorò la principessa con un filo di voce. “Sono…sono preoccupata per sir Mordred…mi è parso molto scosso, e vorrei assicurarmi che…”.
“Non sta bene che una fanciulla non sposata rimanga da sola con un uomo, e in ogni caso non credere che ti lascerei andare senza una scorta, io…”
Vostra Maestà”.
Odette avrebbe quasi gettato le braccia al collo a sir Galvano, benedicendo il suo impeccabile tempismo. Il cavaliere era in piedi sulla soglia che dava accesso agli spalti reali; sebbene fossero evidenti i segni dei duelli appena trascorsi e avesse l’armatura incrostata di terra, il suo sorriso e la sua espressione erano così rilassati da apparire naturali.
“Se le Vostre Maestà me lo concedono, sarei lieto di poter fare da scorta io stesso a Sua Altezza…”
“Galvano!” esclamò Artù, con un sorriso. “Che piacere vederti! Lascia che mi congratuli con te. Sei stato veramente valoroso, oggi”.
“Vi ringrazio, Vostra Maestà” Galvano fece un lieve inchino. “Ho dunque il vostro permesso per scortare la principessa?”
“Io veramente…” provò a protestare Ginevra.
“Ma certo, permesso accordato. Non potrei lasciarla in mani migliori”.
A Odette venne quasi da ridere di fronte al broncio deluso di sua madre, ma si costrinse a mantenere un certo contegno. Accettò il braccio che sir Galvano le offriva, e si lasciò trasportare in direzione delle scuderie.
Il cavaliere rimase in silenzio per tutto il tragitto; quando furono all’interno, si accertò che non ci fosse nessuno in giro, quindi si sfilò il mantello e lo agganciò a una trave orizzontale che reggeva il soffitto, facendo cenno alla principessa di passare oltre a esso. Quando Odette fu dietro il mantello, Galvano le allungò una cotta di maglia, un’armatura molto leggera e un elmo.
“Ecco. Ora spogliatevi. Fate in fretta”.
La principessa strabuzzò gli occhi.
“Che avete detto?” chiese, arrossendo vistosamente.
“Spogliatevi e indossate quello che vi ho dato. Fate come vi dico, alla svelta!”
Odette si sentì arrossire ancora di più, ma ubbidì. Si sfilò l’abito e quasi lacerò i nastri del corsetto, quindi passò alla biancheria intima. Sentiva le guance in fiamme, e non andò meglio neppure quando mise addosso la cotta.
“Posso sapere, di grazia, qual è il vostro piano?”
“Io sarò il prossimo duellante. Non appena vincerò il torneo, voi salite in cima alla vostra cavalla, quella che di solito utilizzate durante la caccia con i falchi. Ho già provveduto a dire all’araldo di annunciare un nuovo cavaliere sfidante. Duellerete contro di me”.
“Ma io non so duellare nella giostra!” protestò Odette, sottovoce, tirandosi su i pantaloni di tela. “Non c’è speranza che io possa vincere…e poi, a che scopo tutto questo?”
“Il torneo stabilisce che il vincitore possa disporre della vostra mano, no? Ebbene, voi sarete la vincitrice e, secondo regolamento, potrete disporre voi stessa della vostra mano come più vi aggrada. E vincerete perché…anche se non sapete duellare, io so fingere di perdere”.
Odette sentì che Galvano stava sorridendo dietro al mantello, e ridacchiò a sua volta. Riprese a vestirsi, ma non fece in tempo a indossare l’armatura che udì una voce che la fece raggelare.
Allora la tua idea era questa!”
Odette non pensò più a niente, e mise il capo fuori dalla tenda improvvisata. Vide che Galvano si era irrigidito, e ora fissava un punto di fronte a sé. Lo stesso punto in cui stava anche Lancillotto.
“Hai vinto” constatò il cavaliere più vecchio.
“E tu verrai imprigionato a vita, te ne rendi conto?” ringhiò l’altro; percorse a grandi passi la distanza che lo separava da loro due e raccolse da terra il vestito che Odette si era appena sfilata. Glielo lanciò addosso. “Voi! Rivestitevi, subito! E’ un ordine!”
“Io non prendo ordini da voi, e questi non sono affari vostri!” strillò la principessa.
“Lasciate, ci penso io…” Galvano si avvicinò a Lancillotto. “Ascolta, è meglio parlarne in privato…”
“E di cosa vuoi parlare?! Ti rendi conto di quello che stai facendo?”
“E tu ti rendi conto che questo è niente di fronte alla condanna a vita che dovrà subire questa bambina, se dovesse sposare me o te?!” Galvano mosse un passo avanti con fare minaccioso. “Io e te siamo gli unici due rimasti, Lancillotto. Tu non la sopporti, e io per quanto le voglia bene potrei essere suo padre! I sovrani non ragionano…”
“No, e nemmeno tu ragioni!”
“Che cosa vuoi fare, allora?” lo sfidò. “Denunciarmi?”
“No” Lancillotto lo guardò dritto negli occhi. “No, non ti denuncerò. Ma ti butterò giù da quel cavallo, fosse l’ultima cosa che faccio” giurò; si volse verso Odette. “E voi, fareste meglio a rimettervi quel vestito alla svelta: non avrete bisogno di cavalcare, dopo questo scontro, statene certa!”.
 
***
 
Improvvisamente, l’aria si fece gelida.
Ginerva fu percorsa da brividi di freddo, mentre il vento freddo le sferzava il collo.
Era come se qualcuno la stesse deliberatamente facendo rabbrividire, si trovò a pensare con orrore. Come se ci fosse qualcuno lì, accanto a lei, alle sue spalle, qualcuno che non era né suo marito né Merlino.
“Hai le mani sporche, Ginevra figlia del mugnaio: sarà paglia oppure oro? O forse il sangue di tua figlia?” sibilò una voce ridacchiante.
La regina represse un grido, ma balzò in piedi. Sentì la fronte imperlata di sudore e il cuore che batteva come un tamburo. Realizzò che erano trascorsi ben dieci minuti da che Odette se n’era andata, e non aveva ancora fatto ritorno.
Ignorò lo sguardo interrogativo di suo marito, e chiamò due guardie.
“Accompagnatemi nelle scuderie!”.
 
***
 
Erano le sei del pomeriggio, e il sole era alto e cocente.
E se ben ricordava, sir Lancillotto odiava il sole negli occhi.
Perfetto, pensò Tremotino. Si nascose ancora di più nell’angolo d’ombra in cui si era rifugiato all’inizio del torneo, e osservò i due ultimi duellanti. Sir Lancillotto e sir Galvano.
Proprio come vuole la leggenda…l’amico si schiererà contro l’amico…oh, che bellezza!
Lancillotto puntò la lancia, imitato dall’altro. Al segnale dell’araldo, i due spronarono i cavalli, che partirono al galoppo.
Tremotino sogghignò, volgendo lo sguardo verso il sole.
Uno dei raggi cambiò improvvisamente direzione, colpendo Lancillotto in pieno volto. Il cavaliere serrò gli occhi per il fastidio, allentando la presa della lancia in modo che si abbassasse appena.
Non troppo, mio caro…non vorrai ucciderlo, vero?
 
***
 
“Odette!”
La principessa, in cotta di maglia, si voltò inorridita non appena udì la voce di sua madre. Ginevra le fu subito addosso e le afferrò le spalle, strattonandola con forza.
“Che cosa fai ancora qui? Perché sei vestita in questo modo? Che cosa avevi in mente di fare, disgraziata?!”
“Io…” Odette cercò disperatamente qualcosa da dire, e nel panico volse lo sguardo verso la porta delle scuderie, che dava proprio sull’arena; giusto in tempo per vedere la lancia di sir Lancillotto affondare nel petto di sir Galvano.
No!
 
***
 
Era successo tutto molto in fretta.
Aveva riaperto gli occhi troppo tardi, e non aveva potuto deviare il colpo.
E adesso era lì, in piedi in mezzo all’arena mentre tutti si affannavano intorno a Galvano. Il colpo della sua lancia l’aveva disarcionato, ma non era stato come le altre volte.
Ora Galvano era disteso a terra, con gli occhi chiusi, e una pozza di sangue scuro si allargava sul campo e sulla sua casacca, all’altezza dei polmoni.
Che cos’aveva fatto?
  
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