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Autore: Ashirogi    02/02/2015    0 recensioni
Un viaggio nella paranoia di uno scrittore in erba. Cosa succede quando la realtà si confonde con la finzione, quando l'autore si confonde con il personaggio, quando si rimane invischiati nella tela della propria trama?
è il mio primo vero racconto... Spero vi piaccia... Forse è un po' intrippante XD.
Recensite, vi prego, così posso valutare come continuare la storia...
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino dell'autore: Konnichiwa gentaglia-sama! Sono ancora io:l'autore! *alza le braccia aspettando l'acclamazione della folla, che non arriva* Ok... allora... Il sistema della divisione in capitoli ha funzionato, ora hanno un'aspetto legibile. Con questo vi lascio alla seconda parte, sperando che vi piaccia. Recensite! (io petulante? Ma no, vi pare?)

Arrivato a casa, Marco accese il computer e, mentre aspettava che si caricasse, andò in cucina a prepararsi un piatto di pasta riscaldato nel microonde. I suoi genitori erano partiti, e non sarebbero tornati prima di una settimana e mezzo, quindi si spogliò (faceva abbastanza caldo e l'assenza di vestiti gli dava un senso di libertà e trasgressione) e si mise nudo davanti al computer, cominciando a scrivere, mangiando distrattamente il pranzo.
Nelle prime cinque pagine aveva descritto una giornata tipica di scuola, utilizzando come modello una propria, lì Marco aveva avuto l'idea di scrivere qualcosa (che curioso, anche lui aveva avuto l'idea a scuola!). Tornò indietro fino al punto che gli interessava e cambiò la frase, con qualche aggiunta simpatica: il suo personaggio sapeva leggere nel pensiero: ecco cosa aveva pensato il SUO di personaggio. Ovviamente questo comportava che i propri pensieri erano leggibili a tutti gli altri, ma questo, all'inizio del libro, la gente non lo sapeva: quante volte guardiamo una persona e ci immaginiamo ciò che pensa? La gente non ci avrebbe fatto caso, fino a quando non sarebbe successo qualcosa di veramente strano. Si poteva fare. Marco si sistemò meglio sulla sedia, mise da parte il piatto semi-vuoto e iniziò a scrivere come se il diavolo lo pagasse.

Marco si alzò dalla sedia strofinandosi il viso: si era addormentato davanti al computer. Il citofono suonò un'altra volta. “Arrivo! Arrivo!” Si gettò al volo i vestiti addosso e si precipitò a rispondere “Si?” “devo consegnare un pacco per Fideli, può aprirmi?” “Si, prego, piano terra”. Si pulì in fretta la faccia Ti sei addormentato nel piatto, e andò in bagno aprendo l'acqua nella doccia. Quindi aprì la porta “Andrea Fideli?” “Il figlio” “Può mettere una firma qui per piacere?” “Nessun problema.” indugiò un momento a leggere il foglio che gli porgeva sbrigati, che ho ancora un botto di consegne da fare Marco sorrise al pensiero e firmò Che ti ridi, coglione! Fu lì che Marco si preoccupò un momento. Lui non era il tipo da parole volgari. Si, Giulio lo indisponeva abbastanza da fargli pensare peste e corna, ma di norma non avrebbe mai usato “coglione”, piuttosto avrebbe pensato “scemo”. Prese il pacco sovrappensiero e richiuse la porta... Ti stai facendo suggestionare dalla storia che hai pensato, finisce che quello che entra in paranoia sei tu. Sorrise nuovamente e andò in cucina a lavare i piatti, lasciando il pacco vicino all'ingresso.
Il giorno dopo aveva altre pagine già scritte sullo schermo. Era stato quasi tutta la notte sveglio (quando i genitori non c'erano calava la maschera del bravo ragazzo), a bere a piccoli sorsi un liquore del padre mentre scriveva o cercava racconti e trailer come fonte d'ispirazione. Quest'opera lo stava prendendo seriamente, forse sarebbe stata la prima che sarebbe riuscito a finire, dopo le tante opere incomplete che ancora conservava sullo schermo del desktop. Si vestì, facendosi una doccia veloce e bevendo al volo un bicchiere di latte, per poi fiondarsi a scuola, sperando con tutto se stesso che la professoressa non interrogasse.
Nonostante l'aria del bravo ragazzo, Marco odiava il mondo. Non un odio intellettuale, verso una generica “umanità”, ma odiava vivamente ogni singolo uomo o ragazzo che incontrava per strada. Certo non giudicava prima di conoscere, ma sapeva che, al 90% o di più, non gli sarebbero andati simpatici, non lo avrebbero compreso e avrebbero cercato di imporre le proprie idee, quindi li odiava. Non lo esternava, mantenendo la maschera del santerellino per prima cosa perché voleva vivere una vita serena lontano dagli ospedali e poi perché sapeva che sarebbe stato inutile: non avrebbero capito neanche il suo odio. In tutto questo odio generale Franca era diversa e per questo Marco aveva paura ad avvicinarla, temeva che, se la avesse conosciuta meglio, ne sarebbe rimasto deluso. Combatteva tra il desiderio di averla (e non solo carnalmente, si sarebbe volentieri accontentato di un rapporto platonico), e quello di idealizzarla, rimanendone lontano per la vita. Non sapeva odiarla e non voleva amarla. Quel giorno, però, Giulio e chi altri sennò? Si era seduto al suo posto, per poter chiacchierare con qualche suo amico, lasciando a Franca il posto accanto a Marco, che aggiunse questo alla lista dei motivi per sodomizzare e uccidere “l'amico”.
“Ciao” “Ciao”
Uhmm... Che conversazione intelligente
“Hai fatto i compiti per oggi?” “ad essere sincero... no”
E dieci punti per il ragazzo imbranato
“Almeno oggi non interroga” “Già”
Meriteresti l'oscar per la miglior conversazione
“Hai una penna” “no, mi spiace, solo rosse”
E dagli la tua, deficiente!
“Ma se vuoi puoi usare la mia!” “no, grazie non serve, uso la matita”
Dio, sembri un ragazzino delle elementari, tira fuori le palle!
“No, sul serio, usa la mia, scrivo io con la rossa” “Se insisti...”
Oh, almeno l'hai fatta sorridere
L'imbarazzante conversazione a tre (Franca, Marco e i suoi pensieri), continuò fino a che non entrò la prof, quindi fu interrotta fino all'intervallo, quando Marco corse fuori e si chiuse in bagno, martellandosi la testa con i pungi Coglione! Coglione! Coglione! Ah, sì, non solo Giulio gli tirava fuori il peggio di se, ma anche se stesso! Che ti salta in mente, ti ci siedi accanto e non dici una parola? Vai a vedere che pensa che tu sia gay! Non era certo il momento per queste cose, doveva pensare un modo per iniziare una discussione seria. Non ci pensare troppo, vai e siediti, ciò che dirai dirai. Ok, un respirone, svuota la mente e andiamo!
Marco passò l'ora successiva ad odiare intensamente e silenziosamente Giulio, che aveva ripreso il suo posto.
“Allora ce l'hai il grano” sentiti, pari un gangster di un film da quattro soldi “Si, erano dieci euro, giusto?” “Se vuoi mettere di più, gli dico che lo hai fatto” così magari te la da. Marco cercò di ignorare quel pensiero “le dico, te lo ripeto ogni volta: se è femminile le...” “...do una bella botta” ma ti senti quanto sei volgare e fuori luogo? “Quello che vuoi” rispose distrattamente “E dai, te la sei presa? Ti stavo ascoltando: le dirò che sei stato tu, ok così?” Marco si costrinse a sorridere “Tanto non ne metto di più lo stesso” “Che tirchio!”. Ora doveva uscire prima che “Marco!” D'istinto lanciò un occhiata di aiuto a Giulio (solo perché era la persona più vicina), ma non c'era niente da fare. “Elisa!” la scimmiottò con garbo “mi hai aspettato anche oggi! Vedi che sei innamorato di me anche se non lo ammetti?” “Elisa, lo sai che per me sei solo una...” uhmm... bocca mia stai zitta... “...amica” “Sisi, ma prima o poi ti faccio cambiare idea, vedrai: sei il mio ragazzo ideale, e amor ca nulladdato andar perdona” Marco quasi svenne nel sentire Dante storpiato in quella maniera ma almeno sai leggere? “Carina vero? L'ha detto una persona famosa, significa che se io ti amo tu poi devi riamarmi!” che bell'esegesi, e dove l'hai letta: Baci Perugina? “Vieni a prenderti un pezzo di pizza con me?” Beh, almeno avrebbe ucciso qualche “Amico” di sua conoscenza con una buona dose di invidia, potentissimo veleno “Ma perché no? Tanto abbiamo un quarto d'ora...”
Il bar della scuola era qualcosa di impraticabile durante la ricreazione, ma Marco aveva imparato due o tre trucchetti per saltare la fila, e in breve si trovò di fronte al bancone, in prima fila, la destra tesa a porgere i soldi come se stesse cercando di toccare un santo, pur di farsi servire prima degli altri. Quindi sgusciò all'indietro con i due pezzi di pizza in mano, e poi passò un po' di tempo a palare di niente con Elisa, mangiucchiando la pizza e osservando gli altri nel giardino. Terminato il quarto d'ora tornarono in classe e Marco si accorse di aver fatto centro. Dal posto accanto al suo Giulio lo guardava come un cane bastonato. “Scusa Marco” gli chiese imbarazzato “Ma non avevi detto che non ti piaceva”, Marco ghignò sadico “Già, ma così ho avuto l'occasione di parlare male di qualcuno di mia conoscenza” Giulio impallidì “No, ti prego dimmi che non lo hai fatto. Sono due anni che ci provo!” “E chi lo sa” “Marco non prendermi per il culo, ti prego. Dimmi che non lo hai fatto!” Quanto avrebbe desiderato tenerlo sulle spine ancora per un bel po', per poi mentirgli e farlo sprofondare nella disperazione! “Ma no, ti pare. Ti sto solo stuzzicando” “Oh, sia ringraziato il cielo! Domani ho deciso di parlargli” E dagli con i pronomi! “Oh, scusa... Parlarle” Non c'è che dire, Marco fu sorpreso davvero.
Casa, scuola, casa, scuola... Quanto può essere monotona la vita di un giovane asociale? Per questo che Marco aveva sviluppato un'enorme fantasia, capace di creare mondi dove lui era il padrone, il dio, e poteva fare tutto ciò che desiderava, senza limitazioni di sorta: ogni giorno una vita diversa. Per questo motivo, forse, Marco aveva deciso di dare ai personaggi della storia i nomi delle persone che gli erano vicine: il protagonista era Marco, l'amico Giulio, la ragazza Franca e la rompiballe Elisa. Tutti i nomi erano uguali, ora pensava che probabilmente avrebbe dovuto cambiarli, se avesse voluto provare a pubblicare il lavoro ma tanto c'è ancora tempo: hai a mala pena finito il primo capitolo. Aveva ragione, ma quello che sarebbe successo gli avrebbe fatto cambiare idea molto presto.

 

   
 
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