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Autore: Taira Croft    02/02/2015    7 recensioni
Di solito quando si parla di un viaggio si tende a pensare allo spostamento fisico di qualcuno, eppure il viaggio è anche qualcosa di interiore ad una persona, che vuole cambiare ed uscire dalla situazione in cui è.
Il viaggio per Ania, giovane assassina, sarà purificatorio ma lascerà dietro di sé una scia di macabre verità, a cui neanche lei sarà capace di credere con tanta facilità. Scoprirà la differenza tra quel che si vuole essere e quel che si è in realtà, e dovrà infine decidere una posizione per arrivare alla meta del suo viaggio.
[MOMENTANEAMENTE SOSPESA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ania'
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Fammi concentrare
 
Ero sulla strada già da mezz’ora quando il mio cellulare squillò. In primis non ci feci caso, anche perché ero solita non prendere il telefono mentre guidavo, poi però cedetti e in un rettilineo afferrai l’oggetto in questione, accettando la chiamata prima che gli squilli terminassero.
-Pronto?...- si sentì un suono basso e muto. Infatti risposi inutilmente perché cadde la linea.
D’altro canto non potevo aspettarmi diversamente: si sa che per una ragione oscura a noi comune plebaglia i poligoni sono situati in luoghi lontano dalla città, immersi nella natura impervia e obbligatoriamente senza campo. L’unica era richiamare chi mi cercava una volta tornata a casa.
 
Così continuai a guidare fino a quando non raggiunsi una strettoia con una curva a gomito sulla destra. Quell’imbocco portava ad una strada sterrata e piena di buche con parecchie diramazioni, che portavano nei vari campi coltivati del paese. Se avessi potuto avrei fatto a meno di percorrerla ma era l’unica via per arrivare al poligono. Alla fine raggiunsi il grande spiazzale del parcheggio sulla sinistra, quasi al finire di quella stressante strada. Parcheggiai e mi diressi verso l’ingresso. Era pieno di gente e lì ritrovai un bel po’di amici ma anche di rivali nel mio sport.
 
Per primo incontrai il consigliere, nonché vice presidente della sezione a cui appartenevo. Come al solito era fuori, la sua adorata e sgualcita sciarpa blu al collo, con una sigaretta in mano e con il telefono nell’altra che litigava con i suoi personali creditori. Amava le corse di cavalli quel povero imbecille! E fosse stato solo questo nessuno avrebbe avuto a che dire, ma quel coglione ci aveva provato con tutte le atlete della sezione, compresa me che gli avevo dato un bel due di picche stampato a vita in faccia. Mi ammiccò un sorriso di saluto ed io educatamente gli risposi con un cenno della mano. Buon viso a cattiva sorte, no? Tanto non gliene facevo passare neanche una. Non appena varcai la soglia tre ragazzine sui diciassette anni si catapultarono su di me e quasi riuscirono ad atterrarmi.
-Ania, ci sei anche tu!- mi fecero le feste come se non mi vedessero da anni, quando in realtà malauguratamente mi vedevano ogni santo giorno. Ma quella era solo una maschera che ben celava la vera essenza e la spiegazione del perché quelle galline erano amiche: l’ipocrisia. Erano solite parlare bene e razzolare così male che avevano sempre bisogno di un capro espiatorio, il solito stupido imbecille che si addossava volentieri la colpa in cambio di qualche “piacere”. E guarda caso ne stavo per incontrare proprio quattro. Loro? Quattro scapestrati a cui non importava se gli altri li usano come stracci, tutti con età diversa che oscillavano dai sedici ai ventiquattro anni. Così, mentre le tre galline non mi mollavano, quelli ci raggiunsero per creare un assedio più forte alla mia resistenza e farmi così parlare.
-Beh, il presidente ha insistito così tanto ad inserirmi nelle categorie a fuoco che dovrò allenarmi se voglio scalare la vetta anche in queste discipline, no?- la mia lingua era sempre stata perfida e godevo di ciò, e loro se lo meritavano ampiamente. Erano soliti a snobbarmi per i miei scarsi punteggi, ma da quando non solo li avevo superati nelle loro stesse categorie ma ero finita alle nazionali, il fegato doveva rodere loro come se avessero ingurgitato litri di acido muriatico. Con quelle parole stavo proprio a rivangare il fatto di averli surclassati alla grande e non ribadirono con nulla, anche perché sarebbe stato poco intelligente, potevano solo arrampicarsi sugli specchi. E finalmente mi liberai di loro con così grande facilità da fargli formare un varco dove io passai.
 
Sulla porta incontrai forse le sole due persone che si salvavano lì, nel bel mezzo del degrado sociale, il presidente della sezione e il direttore della sezione a fuoco. A volte mi domandavo perché continuavo a frequentare quel posto, ma poi mi ricordavo cosa significasse per me sparare. No, non era puro impulso di colpire qualcosa per sbriciolarla e di conseguenza la manifestazione del mio tormento interiore, come facevano tutti gli altri. Per quello c’erano i manichini da prendere a calci e pugni. Per me era pura adrenalina che a dispetto di tutto e di tutti rilassava. Sentivo chiaramente il colpo che procedeva spedito lungo la canna e prolungava la sua corsa fino a quando non forava con un unico suono acuto il bersaglio per poi disintegrarsi contro la parete di cemento armato. La concentrazione, il respiro e il controllo dei miei muscoli mi rendevano ogni volta più consapevole di me stessa e delle mie capacità. Per me impugnare un qualcosa che era il mio proiettarsi oltre l’aria e gli ostacoli della vita mi faceva sentire più consapevole di me.
In ogni caso i due si avvicinarono per salutarmi cordialmente e farmi le congratulazioni dell’ultima gara in cui battei il mio record. Quei due erano soliti essere premurosi e attenti con tutti coloro che li circondavano.
-Buongiorno, Presidente. Buongiorno, Direttore.-
-Buongiorno, Ania. Scusa se ti abbiamo addossato di nuovo le aspettative dell’intera sezione ma sai che è difficile trovare fondi e nessuno crede più in questo sport. Le poche persone che continuano a praticarlo non lo prendono sul serio né tantomeno promuovono lo sport. Tu sei la sola speranza per far tornare a galla la baracca!- mi disse il direttore frustrato dalla situazione attuale.
-Farò del mio meglio per portare a casa il bottino delle gare.- di rimando i due uomini mi sorrisero ringraziandomi.
Così mi allontanai da loro e li lasciai discutere sulle strategie economiche per far risollevare quell’istituzione più antica di qualunque altra nella regione che risaliva ai primi anni dell’unificazione d’Italia. Come si poteva lasciar morire così un ente di tale importanza?
 
Mi recai, allora, da quel segretario troppo appiccicoso e approfittatore per i gusti di molti.
-Ciao Sandro. Mi dai una 7.65, per favore? Dovrei allenarmi.- quello alzò lo sguardo e il suo sorriso divenne a trentadue denti.
-Guarda chi si vede, la piccola Ania!- odiavo gli appellativi che mi affibbiava –I tuoi come stanno? Tutto a posto? Ho sentito che tuo fratello è stato preso nell’Esercito. Non tornerà per almeno tre anni, vero? Mi dispiace.- in quel momento due cose si contrapponevano: il pensiero che avrebbe potuto usare altre parole se solo avesse voluto e il pensiero, più allettante in quel momento, di poterlo prendere a pugni in faccia perché aveva usato quelle parole e perché non vedevo ancora davanti a me la 7.65 che avevo chiesto.
Lo guardai incazzata e lui capì che lo ero davvero, così si allontanò in armeria per prendere ciò che avevo chiesto per poi tornare da me. Tutti lo sapevano: lui rischiava il posto lì a causa della sua nulla facenza e del suo carattere troppo egoista ed impiccione. Afferrai l’arma con proiettili annessi e mi incamminai verso la pedana di tiro oltre i vetri anti-proiettili, ma prima di andarmene mi avvisò che c’era un nuovo istruttore di tiro e che io ero stata assegnata alle sue cure; mi chiese anche di essere gentile con lui. Ero rinomata per non essere gentile all’impronta.
 
Figuriamoci se io mi mettevo a fare la mielosa col solito so tutto io, stronzo e anche volgare istruttore. Dovevo ammettere di essere un po’ saccente ma dopo quattro anni che praticavo questo sport mi potevano concedere di sapere la maggior parte delle nozioni sulle armi, anche se la mia specialità era il CO2 e non il fuoco. E così mi rassegnai al pensiero di varcare la porta tra le due zone di linee di tiro e trovare quel pelato bisbetico a cui ero stata assegnata. Ma fu sempre noto a tutti che io non brillavo certo per i pregiudizi verso gli altri, e questo era un mio difetto se tutto ciò che predicevo diveniva vero, quindi fu poi considerato un pregio. Questa volta, però, feci un buco nell’acqua grande quanto le caselle di una portaerei a battaglia navale.
L’uomo di cui poi fui felice di fare la conoscenza non era affatto male, anzi era davvero un bell’uomo. Non troppo alto, palestrato, mani possenti, postura eretta e degli splendidi, chiari e profondi occhi di un verde smeraldo che mi annichilirono per un breve ma intenso istante. Fui piacevolmente scossa dalla sensazione che quella vista mi procurava e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era affondare avidamente le mie dite tra i suoi scuri capelli ribelli e baciarlo così furiosamente da far cedere il divisorio della linea di tiro sotto il nostro peso.
Ma diamine! Dovevo riprendere il controllo su di me. Ero o non ero una dolce ragazza tutta acqua e sapone? La mia farsa doveva proseguire, anche se qualcosa mi diceva che la visione davanti a me non era da meno per quanto riguardava le sensazioni che io potevo procurare.
 
Poggiai la valigetta contenente l’arma sul banco da tiro insieme ai proiettili e alle cuffie, e solo dopo mi avvicinai a stringere la mano dell’uomo. Aveva una stretta decisa ma delicata, traspariva un carattere mite ma fermo nelle proprie decisioni.
-Piacere, Ania.-
-Piacere, Ettore.- la sua voce non seppi definirla con precisione in quel momento, ma una cosa era certa: riusciva inaspettatamente a rilassarmi. –Io sono…-
-L’istruttore!- lo precedetti fingendomi scocciata e per niente interessata a come si porgeva. In realtà, ogni suo piccolo movimento mi incuriosiva, dal gesto delle mani con cui faceva ampi movimenti nello spiegarmi l’uso corretto dell’arma allo spostamento sinuoso dei suo occhi che passavano dalla pistola che teneva in mano al mio corpo, che era letteralmente squadrato da lui.
Subito dopo la spiegazione dettagliata di come posizionarmi, mi fece sistemare nell’ultima linea di tiro, la prima delle quattro linee invisibili da dietro il vetro anti-proiettili, poiché il perimetro del poligono era più lungo di quello degli uffici da dove si osservavano i tiratori. Così mi posizionai faccia al muro con il fianco destro in direzione del bersaglio, posto a venticinque metri di distanza; gambe divaricate parallelamente al banco da tiro e mano sinistra bloccata nella cinta per un giusto mantenimento dell’equilibrio. Mi si mise dietro e mi raddrizzò le spalle nella corretta postura, per poi alzarmi il braccio destro verso l’alto scorrendo la sua mano dalla spalla al polso, fino ad avvolgere la mia mano che stringeva l’impugnatura della pistola per reggerne il peso. Le sue mani erano calde e il suo profumo aveva un odore di muschio misto a sale marino.
 
-Il modo più corretto per ottenere un buon punteggio è l’ascendente.- si riferiva alla modalità di arrivo sul bersaglio, mentre mi bisbigliava con voce flebile nell’orecchio ciò che dovevo fare, quali muscoli dovevo contrarre e quali rilassare. E nel frattempo annullava la distanza tra noi due. Lui era una testa più alto di me ma questo non gli impedì di adagiarsi al mio corpo.
-Lo sai che se fai così non riesco a concentrarmi, vero?- ero chiaramente retorica ma volevo sottolineare che sarebbe stato meglio se si fosse staccato da me. Evidentemente non ne aveva alcuna intenzione perché allacciò il suo braccio intorno alla mia vita stringendomi a sé.
-Fammi concentrare!- chiesi gentilmente ma fu come se non avessi aperto bocca perché lui non mi ascoltò.
-Scommettiamo che fai centro se continuo?- la sua voce era così sensuale che mi abbandonai al gioco da lui iniziato senza replica alcuna. Il tutto si stava facendo eccitante, e per quanto non era mia educazione lasciarmi andare al primo capitato, lui aveva qualcosa che mi spingeva ad andare avanti e così decisi di stuzzicarlo.
-Se ci riesco, cosa ci giochiamo?- chiesi con una voce che risultava da cattiva ragazza e ciò favorì il mio intento. Sentii il suo membro gonfiarsi contro il mio gluteo sinistro e lui abbassò il viso nell’incavo tra il mio collo e la mia spalla sorridendo tra i miei capelli.
-Una cena!- disse trionfante, lasciandomi il braccio che reggeva la pistola nel vuoto e infilandomi una mano sotto la maglietta accarezzandomi il ventre. Sorrisi e rialzai lentamente l’arma e con più concentrazione che potevo la immobilizzai perché mirino e tacca fossero allineati perfettamente alla base del nero, così ché nel movimento del contraccolpo il proiettile sarebbe andato a conficcarsi esattamente nel centro del bersaglio. Ma la mia concentrazione scemò nel momento in cui Ettore cominciò a stuzzicarmi premendo sul ventre i polpastrelli delle dita e a giocare con il naso nei miei capelli. Si fermò poi sull’orecchio e cominciò a mordicchiarlo piacevolmente, provocando in me delle scariche di energia. Quella pressione che stava esercitando sul mio lobo mi mandava in visibilio, il mio braccio cominciò a tremare convulsamente e la presa sull’arma diventò sempre più scivolosa. Fino a quando non scese sul collo dandomi lievi, lenti e agognanti piccoli baci che mi procurarono una sensazione ancora più forte e più eccitante delle precedenti; aggiungendo poi la paura che qualcuno potesse entrare dalla porta e coglierci in flagrante, rendeva il tutto più bollente.
Mi strinse una morsa interna allo stomaco che mi diede la forza necessaria a rinsavire, la presa sulla pistola si stabilì, sembravo una statua, ed i suoi dolci baci mi aiutarono nell’apnea. Così misi a fuoco la visuale del mio occhio destro e cominciai a portarla oltre mirino e tacca, oltre l’aria, dritta sul bersaglio. Mi stabilizzai e in un moto quasi spontaneo premetti il grilletto. La pistola oscillò leggermente verso l’alto di qualche millimetro impercettibile, se non al mio polso, e ritornò in asse.
 
Buttai fuori l’aria e ne presi altra avidamente, poggiai veloce l’arma sul banco, mi girai ed afferrai il ragazzo dal colletto della camicia per poi sbatterlo con violenza contro il muro e prima che potesse replicare sistemai una gamba tra le sue.
Ero divertita nel leggere quell’improvvisa anche se istantanea nota di paura che aleggiava nei suoi occhi verdi, ma ero ancora più eccitata da lui. E così gli stampai un bacio forte e prepotente sulle sue labbra morbide e dolci come il miele. Ma non ci potevamo fermare di certo ora! Lui capovolse la situazione in un moto improvviso, adesso ero io al muro ed il bacio da cui non ci staccammo mai si evolse in qualcosa di ancor più frenetico e pretenzioso per le nostre lingue. Ed era ancora più eccitante sentire il suo ventre che premeva vogliosamente contro il mio. Oh, se tutto lo era!
 
Eppure dovevo farmi valere. Lo spinsi via, lui ci rimase male e sbigottito allo stesso tempo; tentò nuovamente un avvicinamento ma lo bloccai. Allora presi il suo mento tra le mie dita e gli voltai il viso verso il bersaglio.
-Ti devo una cena!- dissi sensuale a bassa voce, girandomi e andandomene via, lasciandolo solo lì a fissare sorridente e divertito il bersaglio e poi me.




Grazie mille a IlaMyPerson per il meraviglioso banner di questo capitolo!



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