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Autore: Adeia Di Elferas    03/02/2015    3 recensioni
Da più punti di vista, con in sottofondo le parole di Gorgo che spiega la profezia dell'Oracolo, la II guerra persiana arriva al suo culmine.
Genere: Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Leonida, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie ''Ricorda chi eravamo. Ricorda perchè siamo morti.''
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~~ Le parole dell'Oracolo risuonano da monito. Una profezia. Sparta brucerà. Tutta la Grecia brucerà.

 Leonida non guardò sua moglie. Non guardò suo figlio. Non guardò più la sua Sparta. Si incamminò e cominciò a marciare alla testa dei suoi soldati, della sua guardia personale, dei più fedeli tra gli Spartani.
 Quando arrivarono alle Termopili, gli occhi di Leonida correvano febbrili verso il nemico che voleva annientarli in una sola giornata.
 L'esercito di Serse, il Dio re. Un esercito di schiavi e prezzolati mercenari. Non un muro solido, che è pronto a crollare soffocando i nemici, pur di proteggere la propria patria.
 Nei momenti di pausa, Leonida affilava la lama, controllava lo scudo e rinvigoriva i suoi soldati, i suoi fratelli, i suoi Spartani.
 I numeri non mentivano, se ne rendeva conto. Era un uomo pratico, anche se testardo conosceva il valore della superiorità numerica. Era partito da Sparta contro il volere degl Dei, ma appoggiato dalla moglie ed era tutto ciò che gli serviva.
 Avrebbero resistito fino alla fine. Cadere sul campo di fronte ad un così temibile nemico era tutto ciò che il re di Sparta potesse volere.
 Ma Sparta no, Sparta non sarebbe caduta, non sarebbe bruciata, non sarebbe morta. Leonida si immolava per la sua gente, per suo figlio, per sua moglie. Loro sarebbero vissuti e Sparta sarebbe rimasta libera.

 E il fuoco persiano ridurrà Atene in cenere. Perchè Atene è un cumulo di pietra e legno e tela e polvere. E come polvere svanirà nel vento.

 Eschilo scrutava l'ateniese con gli occhi foschi. Non poteva essere vero, non poteva e basta. Atene non poteva davvero essere in fiamme.
 “Se ne sono andati quasi tutti.” stava spiegando il ragazzo, che aveva sul volto ancora il dolore di quello che aveva visto: “Sono sfollati, ma molti se ne sono andati. Chi al riparo, chi in battaglia come me.”
 'Hanno interpretato male le parole dell'Oracolo' pensò Eschilo, corrucciandosi e poggiando una mano sulla spalla del giovane: 'Non è delle mura che parlava, ma delle navi...'
 “Bene. Là c'è Temistocle, sarà lui a dirti cosa fare e chi seguire.” spiegò ed il ragazzo annuì con forza, stringendo in mano l'elsa della spada che Eschilo gli stava porgendo.
 Era un ragazzino, quasi un bambino, pensò Eschilo, mentre lo vedeva avvicinarsi a Temistocle, eppure era pronto ad uccidere per la sua terra e per quell'effimera illusione... La libertà...

 Restano solo gli ateniesi. E il fato del mondo pende dalle loro labbra.

 Temistocle contò un'ultima volta le navi che i suoi occhi riuscivano a scrutare. Potevano farcela. Dovevano essere compatti, però, uniti sotto un'unica guida. L'unica guida sensata era la sua, quella del portavoce di Atene.
 Gli spartani sapevano fare la voce grossa, ma erano gli ateniesi quelli che avevano in mano il bastone del comando.
 Con la pietra, Temistocle prese ad affilare il taglio della spada. Un movimento ritmico, pacato, quasi religioso.
 Il sapore del mare gli inumidiva le labbra. Che sapore strano... Amaro, acre e dolce tutto insieme. Era come qualcosa di effimero eppure eterno. Era qualcosa che non era mai riuscito a spiegarsi...
 Ancora un altro colpo e poi un altro ancora... Un suono rassicurante, quello della lama che si affila piano piano...
 Quella donna... Artemisia...
 Temistocle scosse piano la testa, mentre le sue mani tenevano saldamente la spada e la pietra. Artemisia era il nemico più valido che lui avesse mai incontrato. Era la donna più valida che lui avesse mai incontrato. Chissà, in un'altra vita, forse...
 Scosse di nuovo la testa ed alzò lo sguardo verso il mare, che continuava a soffiargli sul volto il suo alito salmastro e tiepido.
 Quella stessa acqua salata si sarebbe tinta di sangue. Sangue ateniese, sangue greco, sangue persiano...
 “Anche del tuo, Artemisia. Anche del tuo...” sussurrò tra sé, riprendendo il ritmico movimento che avrebbe reso la sua lama la più affilata del mondo.

 Restano soltanto gli ateniesi e soltanto robuste navi di legno possono salvarli.

 Artemisia camminava senza sosta sul ponte della nave ammiraglia. Sembrava tutto troppo semplice.
 Quella gola, quel piccolo golfo... Sembrava una trappola. Non poteva essere una trappola, non era nello stile di Temistocle celare così male un inganno. Quell'uomo sapeva il fatto suo, sapeva mentire come pochi altri.
 E se si fosse trattata di un'elusione molto abile?
 Artemisia scosse il capo. Che uomo interessante, che era Temistocle. Un po' rozzo, doveva ammetterlo, e molto testardo. Ed era completamente fissato con la libertà, anche se poi, quando lei gliel'aveva offerta, lui aveva rifiutato... Eppure aveva qualcosa che non aveva mai trovato in nessun altro. La sua mente strategica era notevole e anche la sua forza...
 Artemisia si specchiò per caso in un pezzo di armatura di un suo marinaio. Stava sorridendo. Ma che le stava succedendo?
 Si scrollò di dosso qualla strana sensazione ed estrasse le sue spade dalle fodere: “Vediamo di cosa sono capaci, questi greci riuniti sotto un'unica inutile bandiera, la libertà...”

 Navi di legno e un'onda di marea del sangue degli eroi.

 “Ma cosa sta succedendo?!” esclamò Serse, alzandosi di scatto.
 La nebbia della battaglia e le onde coprivano in parte quello che stava accadendo, ma là, la sotto, stava succedendo l'impossibile.
 Le navi greche stavano avendo la meglio su quelle persiane. E quelle persiane...
 “Perchè la nave di Ariobigne sta andando contro a quella di Artemisia?!” ululò Serse. Nessuno dei presenti ebbe il coraggio di rispondere all'ira del Dio re.
 E quando la sconfitta fu chiara, il volto dell'uomo che aveva osato paragonarsi alle divinità aveva in sé tutta la rabbia e tutto il dolore di chi prova la più grande delle disfatte.
 “Aveva ragione mio padre.” disse infine, ordinando ai servi di togliere il suo scranno e di rimettersi in marcia: “Questi Greci vanno lasciati alla loro pochezza, alla loro ignoranza. Non meritano i nostri sforzi.”
 Eppure, prima di andarsene, il Dio re si voltò un'ultima volta a guardare le sue navi ridotte a trucioli che si inabissavano. E nei suoi occhi c'era rancora, c'era rabbia e c'era odio. Non solo per i greci, ma anche per i suoi satrapi. Per Artemisia. Per quella donna che gli aveva promesso la gloria e gli aveva consegnato la disfatta.

   
 
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