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Autore: With H    03/02/2015    1 recensioni
Hazel, italiana di origine, californiana di nascita, studia a Boston e torna nella sua città natale alla ricerca di sogni e di amore.
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La vibrazione del cellulare che segnalava l’arrivo di un altro messaggio interruppe ancora una volta la musica in riproduzione casuale, proprio mentre stava cantando la sua parte preferita.
Si ammonì di non leggere il messaggio mentre un sorriso si allargava sulla sua faccia; continuò invece a fissare la valigia aperta sul divano letto e con le cose messe alla rinfusa all’interno, ma il disordine non si limitava solo al bagaglio, la camera sembrava aver appena superato - male - un uragano: un’anta dell’armadio era aperta mostrando gli scaffali semivuoti, dal cassetto della biancheria usciva il lembo di un reggiseno color pesca di cui lei non ricordava l’esistenza e sulla scrivania erano ammassati libri a casaccio tra cui spiccavano i titoli di alcuni testi di Amministrazione e Commercio Musicale mischiati con Emma di Jane Austen. 
Avrebbe dovuto preparare la valigia il giorno prima almeno, ma aveva dato l’ultimo esame del semestre e poi la sera era andata a festeggiare con gli amici ed aveva fatto l’alba. In quel momento aveva un mal di testa dovuto alla notte in bianco e ai cicchetti di troppo che aveva bevuto e doveva sbrigarsi a fare la valigia, sistemare e pulire la sua camera e poi correre in aeroporto. 
Sbuffò alzandosi i capelli e fermandoli dietro la nuca con una matita come faceva spesso e poi iniziò a sistemare i vestiti buttati alla rinfusa nella valigia rendendosi conto che comunque non avrebbe potuto fare molto di meglio. 
Angie, la sua coinquilina nonché collega a quasi tutti i corsi che frequentava, ogni tanto si affacciava nella sua camera e rideva; in effetti doveva essere una scena quasi comica vista dall’esterno, con la camera che lentamente tornava in ordine e lei che nel frattempo sistemava a ritmo di musica. Arrivò un altro messaggio.
— Ancora Mark? — domandò alzando un sopracciglio, gesto che esprimeva tutta la sua disapprovazione — Non ti dirò quello che penso in questo momento, Hel. 
Ridacchiò — Non ce n’è bisogno, lo si legge benissimo sulla tua faccia. E comunque no, non è lui. — ribadì sorridendo.
Angie prese il suo cellulare dalla scrivania e lesse i messaggi — Larry! — esclamò entusiasta — Molto meglio... Anche se la conversazione subito precedente a questa è con Mark. — alzò gli occhi al cielo — Hazel, la tua vita sentimentale ultimamente mi sembra un telefilm melenso per adolescenti. 
— Sei esagerata... — mormorò senza però esserne troppo convinta — Comunque che dicono i ragazzi?
— Per “i ragazzi” intendi Larry e i suoi amici con cui hai una conversazione stupida di gruppo? 
— Esatto.
— Dovreste parlare da soli. 
— Angie... Me l’hai già detto mille volte. — ribadì mentre cercava di far entrare a forza la piastra per capelli nella valigia ormai pienissima. 
— Ti prendono in giro, come al solito. Stanno convincendo Lawrence a venirti a prendere all’aeroporto, sarebbe una cosa proprio carina. 
Hazel avrebbe sorriso, ma riuscì a trattenersi. Ne avevano già parlato e non voleva che andassero in aeroporto a prenderla, una proposta del genere le era arrivata anche da Mark ed aveva rifiutato anche la sua; c’era un’unica persona che avrebbe voluto vedere in aeroporto, suo padre. Come le ripeteva Angie, aveva tutta l’estate per incasinarsi la vita ed ormai era certa che non sarebbe stata una vacanza tranquilla.
Angie comunque posò il cellulare e l’aiutò a chiudere la valigia e a fare un’ultima spazzata nella sua camera mentre Hazel si faceva una doccia veloce e si preparava per andare via.
— Scrivimi, ok? Tutti i giorni.
Hazel sorrise stringendo a sé la sua amica — Anche tu... E l’invito è ancora valido, mi farebbe davvero piacere se venissi a Redlands. — la guardò negli occhi — Come faccio a non mettermi nei guai senza di te? 
Angie le sfilò la matita dai capelli che le ricaddero morbidi sulle spalle e la guardò dolcemente, come una sorella maggiore — Tu non ti metterai nei guai perché io te lo impedirò, anche a distanza. Sarò da te a fine agosto, te lo prometto. Tu fai la brava.
Il taxi l’aspettava già sotto casa, lasciare quel piccolo appartamento che avevano affittato insieme era doloroso, lasciare Angie che era stata la sua seconda famiglia per tutti quei mesi, era anche peggio. Quando quasi tre anni prima si era trasferita a Boston per studiare, era stato difficile ed adattarsi all’interno del campus le era sembrato quasi impossibile; i corsi però erano molto più interessanti delle aspettative, aveva fatto amicizia quasi subito ed avere un gruppo aveva molto migliorato la vita in quella fredda città del Massachusetts. Poi era arrivata Angie, più grande di lei di un anno, amica perfetta e studentessa modello e, alla fine del primo anno, avevano deciso di lasciare i dormitori caotici per prendersi una piccola casa poco distante dalla Berklee e allora le cose erano andate molto meglio; nel frattempo si era abituata a vivere a tremila miglia di distanza da casa, da sola senza sua madre che si occupasse di lei come aveva sempre fatto prima che iniziasse l’università e la vita a Boston non era per niente male. Ormai quella era diventata la sua casa, la sua città, la sua vita era lì e sarebbe stata più che decisa a non tornare in California anche dopo la laurea se non avesse avuto ancora legami con Redlands. I suoi legami avevano due nomi in particolare, nomi di ragazzi. Mark e Lawrence. 
Erano entrati nella sua vita in momenti diversi e soprattutto quando lei aveva già lasciato Redlands decisa a non farvi più ritorno.
Con Mark era una storia complicata. I loro amici in comune avevano più volte cercato di farli incontrare quando ancora erano al liceo, convinti che i loro gusti e le loro passioni così simili avrebbero fatto scattare la scintilla tra di loro. Ma, involontariamente, non erano mai riusciti ad uscire contemporaneamente con gli altri per gli impegni prima di uno e poi dell’altra.
Nessuno dei due comunque aveva pensato di cercare l’altro in quel periodo.
Quando era partita per Boston aveva aperto un blog che aveva collezionato parecchi lettori e, quasi un anno dopo la sua partenza, aveva trovato un messaggio privato da parte di un ragazzo di Redlands che le aveva fatto i complimenti per il blog e per come scriveva. Da allora avevano iniziato a scriversi regolarmente fino a scoprire di essere la persona che i loro amici in comune volevano presentare all’altro, sembrava uno strano scherzo del destino dato che quando lei era ad Redlands non si erano mai conosciuti, però parlando con lui si era resa conto che avevano davvero molto in comune, inoltre parlare con lui era bello e stimolante e lui sapeva come rendere meno forte la distanza iniziando a farsi sentire tutti i giorni, continuamente, anche solo per darle il buongiorno. Mark, tra i due, era quello che si era dimostrato più interessato sin dall’inizio, anche se era fidanzato da un paio d’anni con una ragazza di Bakersfield; invece era dovuto passare più di un anno prima che Hazel si rendesse conto che provava qualcosa di più di un semplice affetto per lui. Si erano visti solo poche volte quando lei era tornata ad Redlands e solo dopo che lui fosse tornato single, ma tra loro era subito scoppiata la passione. Ed era stato un continuo cercarsi a vicenda e poi sparire che durava ormai da due anni. 
In realtà era soprattutto Mark che spariva lasciando in lei un vuoto incolmabile, spariva perché pensava ancora alla sua ex e allo stesso tempo voleva divertirsi ma voleva anche Hazel, che però significava un’altra storia a distanza. Insomma, era la persona più indecisa che Hazel avesse conosciuto, più indeciso persino di lei.
In effetti sarebbe stato meglio sparire definitivamente, Hazel lo sapeva, ma nessuno dei due riusciva a farlo sul serio e alla fine tornavano sempre e continuavano a distruggersi.
Nel frattempo, quando era al secondo semestre del secondo anno, le era stato proposto di scrivere per un giornale online creato da dei ragazzi che studiavano economia alla Berkeley, in California. Scrivere le era sempre piaciuto, per cui si era lanciata nell’avventura del giornalismo e si era scoperta anche abbastanza brava; alcuni ragazzi del giornale l’avevano poi aggiunta su Facebook e lei aveva accettato, più per cortesia che per un reale interesse di avere tra gli amici persone che vivevano dall’altra parte del paese e che forse non avrebbe mai visto, anche se un gruppo di loro era di Redlands.
Quell’inverno, stanca dei continui e ormai sempre più frequenti periodi in cui Mark spariva, aveva deciso di non cercarlo più e, con sua sorpresa, lui aveva fatto lo stesso. Era stato il periodo più lungo in cui non avevano avuto nessun contatto; non c’era notte in cui non si era svegliata piangendo, aveva perso diversi chili perché non aveva più appetito e per un po’ sembrava un fantasma, non aveva neanche voglia di uscire con gli amici. 
Aveva anche considerato di lasciare il giornale che non le dava più le soddisfazioni di quando aveva iniziato a scrivere l’anno precedente. Poi era stata coinvolta in una conversazione di gruppo con il direttore della rivista ed alcuni suoi amici, tra loro c’era Lawrence. Non aveva mai parlato con due di loro, per cui quell’improvviso interesse le era sembrato strano ed aveva pensato che volessero prenderla in giro o licenziarla dal giornale.
Ma stava così male che nulla sarebbe stato peggio di quello che già provava per l’assenza di Mark, per cui aveva continuato a parlare con loro anche nei giorni successivi rendendosi conto che erano simpatici e che era piacevole mantenere i rapporti, anche se spesso lei era il centro delle loro battutine dato che era l’unica ragazza tra quattro maschi; era passato forse un mese quando avevano iniziato a fare delle strane allusioni riguardo lei e Larry, ma la storia con Mark le aveva fatto perdere anche quel poco di autostima che le era rimasto, per cui aveva pensato che la stessero solo prendendo in giro. Soprattutto perché Larry era abbastanza timido e non le aveva mandato molti segnali chiari, però lentamente, con la sua dolce timidezza, era riuscito a farla sorridere di nuovo. Le sembrava impossibile, ma ogni istante passato a scherzare con lui - seppure in una chat di gruppo con i suoi amici - era stato meno doloroso, come se inconsapevolmente Lawrence avesse trovato un rimedio al suo cuore infranto. Quando era tornata ad Redlands per un weekend, si erano incontrati tutti e cinque insieme e lui si era dimostrato non solo dolce, brillante e simpatico come lei aveva già notato, ma era anche molto carino ed una parte di lei pensò che poteva sul serio essere interessato.
Ad ogni modo ne aveva parlato con Angie che era diventata la sua migliore amica e confidente e lei, così come chiunque altro, adorava Larry per il modo in cui la trattava, ben lontano dai sotterfugi di Mark.
Hazel si era scoperta più volte a pensare a lui sorridendo, le piaceva. Non sapeva bene in che modo, ma sapeva che era così; non c’era quella passione che da subito aveva contraddistinto il suo rapporto con Mark, Lawrence non era il fuoco che la bruciava prima dolcemente e poi dolorosamente, ma era l’aria fresca che alleviava il dolore delle bruciature e, qualunque cosa sarebbe successa, lei lo avrebbe sempre ringraziato per questo.
Quando pensava che ormai Mark sarebbe stato solo un ricordo, lui si era fatto risentire distruggendo velocemente quello che Larry era riuscito a fare nel giro di vari mesi. Avrebbe voluto essere fredda e diffidente e, per una settimana ci era riuscita, ma Mark riusciva a farla sorridere in un modo diverso da chiunque altro e la conosceva così bene da sapere esattamente come prenderla, per cui Hazel non era riuscita a restargli indifferente come avrebbe voluto e alla fine aveva ripreso a sentirlo regolarmente. 
Angie aveva ragione, la sua vita in quel momento era più incasinata di quella di una protagonista di un telefilm a caso per adolescenti. 
Arrivò all’aeroporto e stranamente non impiegò molto prima di imbarcarsi, come al solito aveva preso un volo low cost, ma essendo una studentessa universitaria che si pagava da vivere lavorando part-time in un negozio di musica, non poteva permettersi altro. Almeno era vicino al finestrino, anche se era sull’ala. 
Ad un paio d’ore dal decollo, dopo aver quasi finito il libro della saga che aveva iniziato a leggere, si addormentò. Il volo sarebbe durato circa sette ore, ma per il fuso orario, ne avrebbe recuperate tre all’arrivo, perciò aveva tutto il tempo per dormire un po’ e riprendersi dalla notte in bianco appena passata. 
Fu un sonno agitato, comunque. Quella sarebbe stata una lunga estate visto che aveva finito gli esami prima della fine della sessione ed era tornata a casa con tre settimane d’anticipo rispetto a molti suoi colleghi, Hazel però non riusciva ad immaginare come si sarebbe svolta.
All’aeroporto di San Bernardino aspettò più di mezz’ora per recuperare la valigia, immaginava suo padre al bar a prendere un caffè ristretto che inevitabilmente avrebbe criticato e finalmente si sentì un po’ più rilassata. Comunque sarebbe andata, era a casa.
Nella contea di San Bernardino c’era bel tempo, molto più rispetto a Boston che, sebbene calda, in quei giorni aveva avuto il cielo sempre coperto; doveva ammettere che il clima dello Stato in cui era cresciuta, era impagabile, in Massachusetts aveva affrontato due inverni rigidi e svariate nevicate a cui, una ragazza della California, si sarebbe abituata difficilmente.
— Allora, come va? — le chiese suo padre mentre guidava. 
Sentiva tutti i giorni i suoi genitori - sua madre anche più di una volta al giorno -, ma poter parlare con lui da vicino era una liberazione. Aveva sempre avuto un rapporto molto confidenziale con suo padre, erano identici per molti aspetti, due spiriti liberi e nessuno riusciva a capirla meglio di lui; certo, non gli parlava dei suoi intrecci sentimentali perché, da bravo genitore italiano, era molto geloso della sua unica figlia, però lui conosceva tutti i suoi problemi e spesso l’aveva aiutata a risolverli.
— Dovresti farti un gruppo di amici qui per l’estate. — convenne — Hai chiuso i rapporti con quasi tutti i tuoi compagni del liceo e non vorrei che passassi un’altra estate a startene per conto tuo...
Hazel sorrise — A me piace starmene per conto mio... Chissà da chi ho preso. — lo punzecchiò — Cercherò di fare il possibile. Comunque a Boston ho degli amici.
— Amici che studiano musica come te, lo so. Ma qui non puoi comporre un pezzo ed aspettarti di condividerlo con qualcuno che ne capisca sul serio qualcosa.
Chiuse gli occhi per un attimo cercando di liberarsi della sgradevole sensazione di oppressione. Mark era un musicista, cantava e soprattutto scriveva canzoni, molto meglio di lei e lui avrebbe capito i suoi discorsi sulla musica pur non studiando alla Berklee College of Music. 
Scosse la testa decisa a non pensare a lui.
— Lo so. — ammise infine — Ma la musica è una parte di me e se a qualcun altro non sta bene...
— Divorzi e fai la fine mia e di tua madre. — scherzò — Potresti andare a Los Angeles a cantare qualcosa, comunque.
In quel momento il suo stomaco si serrò definitivamente, non aveva mai scritto qualcosa che la convincesse sul serio e cantare in pubblico era una delle poche cose che riuscivano sul serio a terrorizzarla. L’aveva fatto, naturalmente, suo padre era un musicista e sin da piccola l’aveva fatta esibire in più occasioni, ma crescendo era diventato molto più difficile salire su un palco, a meno che non avesse bevuto Vodka prima. Angie, in materia di alcol, era abbastanza preparata: le ripeteva sempre di bere salendo per gradazione alcolica perché così non si sarebbe ubriacata e sapeva benissimo quali abbinamenti fare per ubriacarsi leggermente senza però stare male; a Hazel non piaceva molto bere, aveva iniziato ad accettare il sapore della birra solo di recente, senza però andarci particolarmente dietro, i superalcolici la facevano star male solo sentendone l’odore, ma a volte si concedeva qualche cocktail fruttato in cui il sapore della frutta rendeva migliore quello dell’alcol. Perciò non si era mai ubriacata, tranne una volta. Era successo quell’inverno, nel pieno del periodo più buio, quando ancora non aveva iniziato a sentire Lawrence; era stata una settimana abbastanza difficile, era stata bocciata ad un esame per la prima volta e Mark le mancava come il clima californiano nel freddo di Boston. Alla fine Angie l’aveva quasi costretta ad uscire portandola in uno dei locali che frequentavano più spesso, si era occupata di prendere da bere partendo dai cicchetti il cui contenuto era ad Hazel ignaro. Dopo il terzo cicchetto ed una birra - sequenza scelta volutamente dalla sua amica perché non seguiva una gradazione alcolica adeguata -, Hazel si era dimenticata quasi di tutto, aveva iniziato a girarle piacevolmente la testa ed aveva persino riso a qualche battuta di un suo amico. Poi era partita la serata “microfono aperto” e, di sua spontanea volontà, era salita sul palco e si era esibita prima con una canzone da musical di Broadway, per poi cantare “It’s All Coming Back To Me Now” di Celine Dion. Ovviamente non ricordava niente di quella serata, ma i suoi amici le giurarono che era stata un successo e, il video caricato in rete dall’account del locale, aveva ottenuto un numero considerevole di visualizzazioni che le facevano presupporre che loro avessero ragione. Ad ogni modo non aveva mai avuto il coraggio di riguardare quel video e non era più successo che cantasse in pubblico.
Gli eccessi non facevano per lei e neanche il mal di testa post sbornia. 
— Non suono così bene da potermi accompagnare da sola. — rispose — E i miei pezzi sono tutti incompleti. Angie ed io siamo decise a lavorare nell’ambito manageriale.
In realtà non era del tutto vero. Angie aveva scelto molti corsi di Educazione Musicale e Musicoterapia, suonava il pianoforte da anni e le sarebbe piaciuto insegnare musica; Hazel invece era arrivata al college con l’idea di sfondare come cantautrice, ma si era resa conto che non metteva l’impegno adeguato nello studio di qualsiasi strumento avesse provato e i suoi testi non erano granché, lo sapeva e se n’era fatta una ragione, per questo aveva scelto la strada dell’amministrazione e del commercio nell’ambito musicale e magari un giorno sarebbe anche riuscita a scrivere una canzone adeguata per una star della Disney di turno.
— Sai quante persone ci sono a Los Angeles che sarebbero ben felici di suonare mentre canti? Sono sicuro che saresti una brava manager, ma canti anche abbastanza bene e almeno ogni tanto potresti farlo. 
Hazel sorrise sporgendosi sul sedile per scompigliargli i capelli — D’accordo, ci penserò. A patto che tu mi accompagni e suoni con me. 
Sonora Street era esattamente come l’aveva lasciata per le vacanze di Pasqua, solo che i prati erano più secchi vista l’alta stagione dato che, come quasi ogni estate, ci sarebbe stata una probabile emergenza siccità. Il piccolo giardino dei vicini aveva dei folti cespugli quadrati, ma Hazel ricordava che qualche anno prima avevano la fissa di potare la aiuole a forma di animali e sembrava una riproduzione mal riuscita dei cespugli di Disneyland. Era contenta che tra tutte le loro stravaganze, avessero almeno abbandonato quella; era imbarazzante far loro i complimenti per il cespuglio a forma di pecora e scoprire, in seguito ad una loro occhiataccia, che era una giraffa. 
Il giardino di sua madre invece era impeccabile come al solito e la piccola veranda era piena di vasi in fiore come al solito; aveva un pollice verde invidiabile ed Hazel si era sempre chiesta perché non avesse fatto la fioraia o qualcosa del genere, ma poi ogni volta che mangiava le tagliatelle alla bolognese al suo ristorante, ne capiva il motivo. 
Ad ogni modo sembrava che stesse aspettando una visita da Michelle Obama piuttosto che l’arrivo di sua figlia: in veranda c’era uno striscione con la scritta “Bentornata a casa!” e, in un vaso poggiato sul tavolino in vimini, c’era un mazzo di lilium e tulipani, i suoi fiori preferiti.
Scambiò un’occhiata complice con suo padre che concordava con lei sull’esagerazione di quel gesto e poi tirò le chiavi fuori dalla borsa ed aprì la porta salutandolo con la mano.
Sua madre accorse alla porta e l’avvolse in un abbraccio che quasi le tolse il respiro. Erano alte allo stesso modo, solo che sua madre era più esile, ma i suoi abbracci riuscivano a farla sentire protetta, finalmente a casa.
Passò le due ore successive a disfare la valigia sistemando i suoi vestiti in quello che per una vita era stato il suo armadio mentre sua madre era seduta sul suo letto e le chiedeva di raccontarle tutte le novità. Come se non si fossero sentite appena il pomeriggio precedente dopo il suo esame.
— Cerbiattina, c’è qualche fidanzato di cui magari non so nulla? — domandò sua madre all’improvviso.
L’aveva sempre chiamata Cerbiattina, a volte anche Bambi per via dei suoi occhi scuri e a mandorla; quando era nel pieno dell’adolescenza, le dava fastidio che sua madre usasse ancora quei nomignoli con lei, ma poi passata quella fase, aveva ripreso a trovarla una cosa molto dolce e glielo lasciava ancora fare. 
— No Julia. — rispose mostrandole la mano sinistra — Vedi? Nessun anello.
— Ti ricordi di Zoey, la tua amica del liceo? — la ricordava bene, era stata una delle sue più care amiche al liceo ed una delle poche che continuava a sentire ancora — Oggi mi ha dato l’invito al suo matrimonio e, indovina? Vuole che tu le faccia da damigella. Mi ha detto che domani te l’avrebbe detto lei, ma non ce l’avrei fatta a mantenere il segreto e poi non è un segreto, lei te lo dirà per ufficializzare la cosa.
A volte Hazel si chiedeva chi delle due fosse l’adulta, spesso era stata lei a comportarsi da tale quando Julia non sembrava riuscirci, ma non aveva mai pensato di rinfacciarglielo, era sempre stata più matura di quanto avrebbe voluto, mentre sua madre, nonostante tutto, era rimasta un’eterna ragazzina.
— Sono contenta che si sposi. — ammise Hazel con una voce piatta che faceva capire esattamente il contrario. Dopo il divorzio dei suoi genitori e la lotta che avevano fatto in tribunale, Hazel era molto diffidente nei confronti del matrimonio ed era più che mai certa che l’amore andasse oltre un banale contratto, lei non avrebbe mai voluto sposarsi — Comunque mi farebbe proprio piacere passare del tempo con Zoey, senza la mia amica Angie sarà difficile sopravvivere tutta l’estate.
— Dovrebbe venire qui prima di fine agosto... Cosa ci fa a Boston d’estate?
— Quella è casa nostra. — constatò Hazel dolcemente — E lei non ha un buon rapporto con i suoi come ce l’ho io, nella sua situazione anche io sarei rimasta a casa. E comunque Boston non sarà il posto migliore per passare le vacanze estive, ma c’è tanto da fare anche in questo periodo... Verrà quando vuole, sa che è sempre la benvenuta.
— Io però non riesco a capire, vivi a Boston, studi in una delle più importanti università del Paese e non c’è nessun ragazzo che ti piace?
— Mamma. — protestò chiudendo il cassetto ed uscendo dalla sua camera, sua madre la seguì.
— Che c’è di male? Sei una bella ragazza e alla tua età dovresti avere mille pretendenti; il fatto che tu non ne abbia mi fa pensare solo che non me lo dici.
Sorrise, immaginando Angie che sorrideva maliziosa arricciando il naso e la guardava con complicità mentre pensava che due pretendenti in effetti li aveva. 
— Forse li ho, ma non sono interessata a nessuno al momento e, ti prego, smettila di chiedermelo continuamente.
Alla fine Julia la smise di farle domande riguardo la sua vita sentimentale a cui non avrebbe mai risposto, magari se quell’aspetto della sua vita non fosse stato così assurdo, ne avrebbe parlato con sua madre, ma in quel momento non sapeva nemmeno che cosa rispondere, neanche lei sapeva bene che cosa dire al riguardo.
La seguì al lavoro decisa a mangiare finalmente qualcosa di davvero buono e non i soliti cibi precotti che spesso comprava quando era da sola; dopo il divorzio, sua madre si era aperta un piccolo ristorante italiano qualche chilometro fuori Redlands e c’era sempre un numero incredibile di persone che aspettavano fuori in attesa di un tavolo libero. Le specialità più richieste erano soprattutto la pasta alla carbonara, la pizza e le lasagne e tutte rispecchiavano esattamente la cucina italiana al contrario di molti altri ristoranti simili che cucinavano cibo italiano preparato all’americana, cioè - come li definiva sua madre - dei disgustosi oltraggi
Spesso d’estate aveva dato una mano al ristorante, servendo soprattutto ai tavoli nei giorni di maggiore affluenza e probabilmente avrebbe passato parecchi giorni lì anche quell’estate. Non le dispiaceva comunque, c’erano sempre tante persone interessanti da osservare e spesso, seduta alla cassa, aveva fatto dei ritratti niente male dei vari clienti ignari di essere osservati. 
Osservare le persone era una delle attività che amava di più, le piaceva capirne il carattere, immaginarne la storia e poi trasformarli in disegni; Mark le ripeteva spesso che questa sua “mania” era un chiaro segno di quanto fosse psicopatica, ovviamente lo diceva scherzando, ma aveva sempre rifiutato di farsi fare un ritratto da lei sospettando che una persona così profonda sarebbe riuscita a ritrarre i suoi aspetti peggiori rendendo quel disegno una sorta di ritratto di Dorian Gray.
A sua insaputa però gli aveva fatto numerosi ritratti, a volte erano l’unico modo per sentirlo davvero vicino. 
Si rese conto che era l’ennesima volta che pensava a Mark quel giorno e scosse la testa contrariata contro se stessa; dopodiché si concesse una parmigiana di melanzane ripromettendosi che il giorno dopo sarebbe andata a correre, sapeva che non l’avrebbe mai fatto, ma almeno l’aiutava ad arginare i sensi di colpa; a volte i suoi amici a Boston l’avevano invitata a correre insieme, ma a Hazel non solo non piaceva correre, riteneva anche di non esserne nemmeno capace, per cui aveva sempre rifiutato l’offerta. 
Quando tornarono a casa, Hazel era così stanca che salì meccanicamente le scale e si abbandonò sul suo letto senza neanche svestirsi. 

   
 
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