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Autore: Night Sins    04/02/2015    2 recensioni
[AU]
“Se vuoi sapere con esattezza dove si trova la tua adorata Kate, c’è solo una persona che ti può aiutare.”
Neal stava perdendo la pazienza con tutti quei giochetti. “Non eri tu quella persona?” sbottò, ma Mozzie non sembrò perdere la propria flemma.
“Ho detto che sapevo dove fare delle ricerche, ma hanno condotto a fili che solo l’Archeologo può sbrigliare.”
“Chi è questo archeologo?”
“Si chiama Peter Burke, abita nella vecchia casa ai confini della città. Nessuno sa molto altro su di lui.”
Neal lo guardò senza capire e l’uomo aggiunse: “In situazioni normali tenterei di farti desistere dall’andare da lui, ma ho visto la tua determinazione nel cercare quella ragazza.” Si rigirò il tovagliolo tra le dita. “Vai, se vuoi, ma non sfidare la sorte. Se vedi che non è aria, vieni via immediatamente. Succedono strane cose quando l’Archeologo è coinvolto.”
“Accompagnami da lui.”
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Elizabeth Burke, Kate Moreau, Mozzie-Dante Haversham, Neal Caffrey, Peter Burke
Note: AU, Lime, Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Personaggi: Neal Caffrey, Peter Burke (Neal/Kate, Peter/El, Peter/Neal)
Rating: PG
Genere: mistero, sovrannaturale
Avvertimenti: slash
Timeline/Spoiler: //
Conteggio Parole: 3600 (FDP)
Prompt: una fic il più lungo possibile per la prima prova della terza settimana del CowT
Disclaimer: "Io scherzo... forse." (cit. A.Costa) // I personaggi non sono miei, ma degli autori e di chiunque ne abbia diritto; tanto meno sono utilizzati a fini di lucro, ma solo per mero piacere personale.

 
“Cosa ti porta nella città dei morti, tesoro?”
Sally Jupiter - Watchman
 
 
Neal Caffrey aveva un compito da portare a termine e lo avrebbe fatto ad ogni costo, anche in quella cittadina sperduta dove sembrava non spuntare mai il sole. Tre giorni che era lì e tre giorni di pioggia battente e vento gelido. Era tutto grigio, freddo e umido. E puzzava di muffa – o era la sua suggestione, questa? Non importava, non si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno. Era riuscito a trovare un indizio grazie al piccoletto che aveva incontrato per strada – un incontro davvero fortuito e casuale –, aveva scoperto di essere nel luogo giusto e ora stava attendendo di venire a conoscenza dei dettagli.
Mozzie, così si faceva chiamare l’ometto basso e calvo che gli aveva riacceso la speranza – e sembrava proprio un piccolo insetto capace di infilarsi ovunque e scoprire qualsiasi cosa, sapeva anche essere pungente –, gli aveva dato appuntamento per mezzogiorno nell’unico ristorante della città. Neal chiuse l’ombrello e sgusciò all’interno godendo dell’ambiente riparato, sebbene non proprio caldo. Una ragazza dai grandi occhi castani gli si avvicinò asciugandosi le mani al grembiule legato in vita. “Posso aiutarla?”
Si guardò intorno, Mozzie non c’era, e rispose: “Sto aspettando una persona, mi ha dato appuntamento qui.”
La cameriera sorrise e gli indicò la sala. “L’accompagno a un tavolo per due. Prego.”
Quando si fu accomodato, la giovane sparì per tornare un attimo dopo con il menù. “Se intanto vuole dare un’occhiata.”
“Grazie.”
Non aveva molta fame, in realtà, e ben presto si ritrovò a fissare fuori dalla vetrata, oltre la scritta con il nome del ristorante: “Da Gina: specialità tipiche.” Pochi passanti si affrettavano a rientrare nelle loro abitazioni o ad andare a lavoro e ancora meno macchine sfrecciavano sull’asfalto, spruzzando acqua sporca ovunque. L’unico rumore era il ticchettio incessante della pioggia. Quel pensiero lo fece voltare verso l’interno; solo un altro uomo occupava la stanza, stava mangiando in silenzio, senza preoccuparsi né della solitudine né dell’acqua. Almeno un po’ di musica potevano metterla, pensò.
“Se non sapessi che è così ogni santa volta, penserei che sia l’Apocalisse.” Mozzie era apparso davanti a lui. Appoggiò il cappotto grondante sulla spalliera della sedia e vi prese posto. “Hai già ordinato?” chiese aprendo il menù. “Ti consiglio le costolette di maiale, sono la fine del mondo – se mi consenti l’espressione.”
“Non ho molto appetito.”
Moz alzò lo sguardo dall’elenco delle pietanze e fissò gli occhi in quelli dell’altro, azzurri come i suoi. “È meglio mangiare e bere in ogni occasione possibile, non sai mai a cosa devi andare incontro.”
Neal rabbrividì, quell’uomo stava rendendo tutto così lugubre. “Come se già non lo fosse abbastanza.”
“Cosa?”
“Niente. Assaggerò queste costolette.”
“Così si fa!” esclamò Mozzie e alzò un braccio per richiamare l’attenzione della cameriera.
 
***
 
Il cibo era stato davvero squisito, ma era giunto il momento delle cose serie. “Allora?”
Il suo nuovo amico finì il vino e si pulì la bocca prima di rispondere. “Se vuoi sapere con esattezza dove si trova la tua adorata Kate, c’è solo una persona che ti può aiutare.”
Neal stava perdendo la pazienza con tutti quei giochetti. “Non eri tu quella persona?” sbottò, ma Mozzie non sembrò perdere la propria flemma.
“Ho detto che sapevo dove fare delle ricerche, ma hanno condotto a fili che solo l’Archeologo può sbrigliare.”
“Chi è questo archeologo?”
“Si chiama Peter Burke, abita nella vecchia casa ai confini della città. Nessuno sa molto altro su di lui.”
Neal lo guardò senza capire e l’uomo aggiunse: “In situazioni normali tenterei di farti desistere dall’andare da lui, ma ho visto la tua determinazione nel cercare quella ragazza.” Si rigirò il tovagliolo tra le dita. “Vai, se vuoi, ma non sfidare la sorte. Se vedi che non è aria, vieni via immediatamente. Succedono strane cose quando l’Archeologo è coinvolto.”
“Accompagnami da lui.”
 
***
 
La pioggia si era interrotta, ma in compenso il vento aveva preso a soffiare con più vigore. Lì, nel mezzo del nulla – erano a poche centinaia di metri dalla città, ma sembrava un mondo totalmente diverso – e davanti alla casa dell’Archeologo, Neal pensò quasi di poter essere spazzato via da quelle ventate. Non si fece intimorire e avanzò oltre il cancello aperto, sul sentiero di ghiaia che si sviluppava tra due file di fiorellini bassi, in modo principale belle di notte che ingannate dalle nubi erano già sbocciate a quelle prime ore del pomeriggio. Era una casa coloniale a due piani, le tavole in legno bianche contrastavano con il grigio della pietra di cui era formata la facciata del piano terra e con quello delle tegole del tetto spiovente. Davanti a quella costruzione si sentiva come se fosse tornato indietro nel tempo, all’inizio del secolo precedente. Una ventata più forte lo convinse ad avanzare celermente.
Ebbe la sensazione di non aver nemmeno sfiorato il campanello quando la porta si aprì e una giovane donna l’accolse con un sorriso. “Buona sera,” lo salutò, “chi è?”
“Ah, salve. Mi chiamo Neal Caffrey. Sono venuto qui perché mi hanno detto che l’Archeologo può aiutarmi.”
“L’Archeologo?”
Forse non sapeva che in città lo chiamavano così? “Ah... Il signor Peter Burke.”
La donna ridacchiò, fece un cenno del capo e lo invitò ad entrare. Senza dire una parola lo guidò fino ad un salottino dall’aria accogliente e intiepidita dal camino acceso, poi sparì, prima quasi che Neal se ne rendesse conto.
Non gli era stato detto di accomodarsi, per questo rimase in piedi al centro della stanza, a fissare le fiamme che danzavano nel focolare. Nonostante la prima impressione e il fuoco a breve distanza, aveva i brividi. Si chiese se non dovesse seguire il consiglio di Mozzie e lasciare subito la casa. Un lampo fuori dalla finestra lo fece sobbalzare e un riverbero di luce sulla trave del camino attirò la sua attenzione. Incorniciate da una sottile linea d’argento, varie foto facevano bella mostra di sé. In tutte c’era la ragazza che gli aveva aperto, a volte accompagnata da un uomo più grande. L’Archeologo, pensò, e si rispose che non poteva andarsene senza averlo prima incontrato.
“Elizabeth è bellissima, non è vero?” chiese una voce alle sue spalle e Neal si girò di scatto.
L’uomo delle foto si era materializzato davanti a lui. “Uh... io... sì...” Che cosa doveva dire?
“Si rilassi e, prego, si accomodi.” Burke indicò una poltrona e prese posto su quella di fronte. Attese che il suo ospite si fosse seduto e riprese. “El mi ha detto che le serve il mio aiuto.”
Giusto, Kate. Quella casa aveva un’aria così particolare che stava per fargli dimenticare il motivo per cui ci era andato in primo luogo. “Sì. In città mi hanno detto che lei può aiutarmi a... trovare una persona.”
Peter fece un cenno del capo, invitandolo a continuare.
“Si chiama Kate Moreau.” Neal estrasse dalla tasca del soprabito la foto sgualcita di una giovane donna, i lunghi capelli scuri e gli occhi azzurri risaltavano a confronto con la pelle chiara e lo sfondo bianco sporco di un vecchio edificio, e la porse all’uomo.
L’Archeologo la prese e la studiò un lungo istante, poi scosse la testa. “Non lo so...”
“La prego!” Neal si mise in ginocchio davanti a lui. “Sono disposto a fare qualsiasi cosa, pagare qualsiasi cifra necessaria se...”
Neal si interruppe quando l’altro alzò una mano. “Non è una questione di soldi.”
“Allora cosa?”
Peter Burke guardò fuori, la pioggia aveva ripreso a scendere copiosa. “È tardi. Resti a cena con noi, abbiamo anche una stanza per gli ospiti, e domattina ne riparleremo.”
Neal era allibito, gli sembrava tutto assurdo, e poi cos’era quella storia della cena? “Ho finito di pranzare poco fa, non possono essere nemmeno le tre!”
L’uomo tornò a guardarlo, indulgente come un adulto di fronte alle sciocchezze di un bambino, e indicò con la testa l’orologio a pendolo posto accanto al camino mentre con un sorriso inespressivo diceva: “Sono le sette e trenta.”
Neal fissò le lancette, sbalordito, e si pentì di non essere solito indossare orologi. Aveva notato il pendolo entrando, impossibile non farlo data la sua bellezza, ma non aveva prestato attenzione a che ora segnasse.
“Le va bene?” chiese il padrone di casa.
“Sì, certo.”
Che cosa poteva fare? Rifiutare sarebbe stato scortese e se questo Peter Burke poteva davvero aiutarlo a ritrovare Kate, beh, non poteva permettersi di indispettirlo.
 
***
 
La cena era stata squisita, e Peter ed Elizabeth si erano rivelati degli ospiti cordiali e astuti. Neal era bravo con le parole e riusciva a manipolare le discussioni verso l’argomento che più gli premeva, ma Peter non gliene aveva mai dato l’occasione, era sembrato capace di leggergli nel pensiero ed evadere le sue domande con una naturalezza sorprendente.
“Lei non è di queste parti.”
Non era una domanda quella che Peter gli aveva posto mentre tornavano ad accomodarsi in salotto, eppure sembrava in attesa di una risposta. Neal disse la verità.
“No, non lo sono. Non conoscevo nemmeno questa cittadina prima di venirci.”
“E ci è venuto solo per ritrovare quella ragazza?”
“Sì.”
“Deve tenerci molto.”
“È così.”
L’Archeologo rimase in silenzio e fissò sua moglie, entrata per portare un vassoio su cui erano posti due bicchieri e una bottiglia di liquore. Lei posò il tutto sul tavolino basso in mezzo a loro e, sempre senza dire niente, uscì di nuovo. Peter gli sorrise e indicò davanti a sé. “Vuole?”
“Preferirei di no, grazie.”
Voleva avere la mente lucida e parlare con sicurezza. Peter annuì e versò da bere solo in un bicchiere; fissò il contenuto ambrato e se lo portò alle labbra prima di tornare a guardare il suo ospite.
“Quindi è stato mandato da me.”
Per un attimo Neal aveva creduto di vedere qualcosa di strano nei suoi occhi, ma la sensazione era subito sparita. Annuì lentamente.
“Non voglio che si faccia illusioni,” continuò Peter, “non sono un mago, non vedo nelle sfere di cristallo e non faccio apparire le persone.”
Neal deglutì, nervoso. “Non pensavo a niente del genere.”
“Bene. Ottimo.” L’Archeologo finì il proprio drink e si alzò. “L’accompagno nella sua stanza e, come le ho detto prima, domattina parleremo per bene.”
Peter si spostava velocemente per la casa e Neal dovette accelerare il passo per stargli dietro. Fu guidato fino ad una stanza al primo piano; aveva cercato di fare attenzione ai dettagli intorno a sé, ma anche se la casa era ben definita dove posava lo sguardo, ogni volta che tentava di riportare alla mente quello che aveva visto anche solo un attimo prima nei corridoi e per le scale, sembrava che una nebbia trasparente rendesse tutti i contorni vaghi e nebulosi. “E non ho bevuto,” sussurrò sedendosi sul bordo del letto.
Il piumone era soffice e non appena si infilò sotto le lenzuola profumate, Neal si addormentò.
 
***
 
“Da dove viene?”
“Manhattan.”
“E ha fatto tutto questo viaggio fino a un paesino sperduto nel nord del Maine solo per una ragazza?”
“È romantico.”
“È stupido. Sarà la sua fine.”
Dopo un lungo istante di silenzio, la donna chiese: “Non hai intenzione di aiutarlo?”
Un’altra pausa, poi l’uomo sospirò. “Non lo so.”
Dei passi, il ticchettio costante di scarpe con il tacco, si avvicinarono al letto, un dito sottile gli tracciò il contorno del viso. “Beh, capisco perché vorresti che restasse qui, è affascinante. Sexy, direi.”
La donna aveva spostato il dito sulle sue labbra, lieve, era una sensazione inebriante e sensuale, e Neal percepì il sorriso malizioso sul volto di Elizabeth. Spalancò gli occhi, la bocca dischiusa in cerca d’aria e il cuore che gli martellava nel petto. La stanza era vuota. Lasciò abituare gli occhi alla lieve luce grigia che filtrava dalle tende accostate e si osservò intorno, a destra e a sinistra nessuna traccia delle due presenze che era sicuro si trovassero lì pochi attimi prima. Scese dal letto e si avvicinò alla porta, era chiusa dall’interno come l’aveva lasciata prima di coricarsi. Era stato un sogno, allora, anche se gli era sembrato tremendamente reale.
 
Scese al piano di sotto e, in fondo alle scale, incrociò Elizabeth che usciva dalla sala da pranzo. Gli sorrise cortese e lui si sentì a disagio, in testa ancora le parole del sogno.
“Stavo per venire a chiamarti. La colazione è pronta,” lo informò.
“Grazie.”
“Mangia pure con comodo,” continuò la donna mentre lo precedeva nella stanza, “Peter è uscito presto e potrebbe non tornare prima di pranzo.”
Neal fece per aprire bocca e protestare, gli era stato promesso quantomeno un colloquio quella mattina e non riteneva fosse corretto sparire così, ma si rendeva conto che qualsiasi cosa avesse ottenuto sarebbe stata prima di tutto un favore e non era certo nella posizione di reclamare qualcosa. “Grazie,” ripeté.
La tavola era imbandita con latte, caffè, cereali, succo d’arancia, e burro e marmellata con cui accompagnare i toast presenti.
“Non sapevo cosa preferissi, così ho preparato un po’ di tutto. Serviti a tuo piacere,” lo informò ancora Elizabeth, prendendo posto a capo tavola e indicandogli la sedia accanto a lei.
Neal si mise a sedere e iniziò a versare i cereali nella tazza, ma prima di fare lo stesso con il latte si voltò a guardare la donna. “Posso farti una domanda?”
Lei sorrise e annuì. “Certo, dimmi.”
“Secondo te, Peter mi aiuterà?”
Il sorriso non sparì dalle sue labbra, ma Neal ebbe la sensazione che ci fosse dell’altro mentre posava il coltello a bordo del piattino con il burro e si voltava a guardarlo. “Mio marito è sempre disposto ad aiutare qualcuno in difficoltà, quando può farlo.”
Sembrava una frase da fine discorso e non voleva indispettirla, però non poteva lasciare perdere. “E può farlo?”
Elizabeth allungò un braccio, le dita curate sfiorarono e avvolsero le sua mentre il pollice gli accarezzava dolcemente il dorso della mano. Neal si sentì pervadere da un brivido freddo e sensuale al tempo stesso, come quello che lo aveva svegliato poco prima, e non riuscì a staccare gli occhi da quelli di lei. “Hai delle ottime possibilità di convincerlo... e altrettante di farlo desistere.”
Non capiva cosa volesse dirgli, però strinse la presa intorno alla sua; un’idea folle gli aveva attraversato la mente. “Devi aiutarmi a convincerlo. Sono disposto a fare qualsiasi cosa tu vorrai.”
La donna si fece seria. “Qualsiasi?”
“Certo.”
Con un movimento fluido Elizabeth si alzò e gli fu di fianco, e Neal dovette sollevare la testa per continuare a guardarla negli occhi. Lei si chinò lievemente, ne poteva sentire il delicato profumo speziato mentre le labbra erano così vicine che avrebbero potuto sfiorarlo se solo avessero voluto.
“Neal?”
Il ragazzo sbatté le palpebre ed Elizabeth era di nuovo al suo posto. Scosse la testa, era stata un’allucinazione?
“Tutto bene?”
“Sì... Credo di sì.”
Elizabeth lo guardò apprensiva, poi gli strinse la mano. “Devi parlarne con Peter, di tutto. Ma ora pensa a mangiare, non fa bene discutere a stomaco vuoto. E comunque, lui non è qui.”
 
***
 
“Mi dispiace, non ho potuto rimandare.”
La voce dell’Archeologo lo fece sobbalzare e si voltò di scatto. Neal era rimasto in salotto a osservare fuori dalla finestra, ma non si era accorto del suo rientro. “Non- non importa.”
“Come le avevo promesso, sono disposto ad ascoltarla.” Peter indicò le poltrone e si sedettero ai posti della sera prima. “Chi è questa Kate?”
“Stavamo assieme, a New York. Poi è scomparsa...”
“Ti ha lasciato.” Di nuovo, non sembrava una domanda.
Neal boccheggiò un paio di volte, poi annuì. “Credo che possiamo dirlo così.”
“Ti ha lasciato e se ne è andata. Perché la sta cercando così insistentemente?”
“Mi ha detto ‘addio’ all’improvviso. Non l’ha fatto di sua volontà, ne sono sicuro. Devo trovarla.”
L’Archeologo chiuse gli occhi e si passò il pollice e l’indice sulle palpebre, stringendo alla base del naso. “Perché è venuto qui?”
“Mi hanno detto che lei può aiutarmi, gliel’ho detto.”
Peter aprì gli occhi e li fissò su quelli del suo ospite. “No, intendevo in questa città. Come fa a sapere che la sua Kate è qui.”
“Me lo ha detto un amico.”
“Ha un sacco di amici pieni di risorse.”
“Così sembra. Le crea qualche problema?” Neal si morse la lingua, non voleva essere così brusco, ma gli sembrava che quell’uomo si stesse solo divertendo e non avesse alcuna intenzione di aiutarlo.
Peter, invece di reagire male come temeva, sogghignò. “Non direi, no, ma dovrebbe trattare meglio le persone a cui chiede aiuto.”
Il ragazzo chinò la testa. “Mi scusi.”
“Non preoccuparti, Neal.” Un profumo legnoso e antico avvolse Neal e lui alzò la testa, trovandosi l’altro che gli sorrideva a poca distanza. “Non voglio prendermi gioco di te, va bene?”
“Beh, capisco perché vorresti che restasse qui, è affascinante. Sexy, direi.”
“Mi ha capito, Neal?”
L’Archeologo era seduto sulla poltrona e lo osservava serio. Neal sbatté un paio di volte le palpebre e annuì. “Sì, certo. Vorrei solo sapere se è disposto ad aiutarmi.”
Un lungo attimo di silenzio, Peter Burke chiuse gli occhi e prese un profondo sospiro prima di tornare ad aprirli. “Vedrò che cosa posso fare.”
L’ossigeno tornò a circolare nel corpo di Neal e lui si ritrovò a sorridere. “Grazie.”
 
***
 
“Hai deciso, quindi?”
“Non ancora... Avevi ragione, El. È affascinante averlo attorno.”
La donna ridacchiò. “Sei prevedibile, Peter Burke.”
“Non è colpa mia se capelli neri e un’aria sveglia mi fanno perdere la testa.”
“Ma te ne crogioli con piacere.”
“Non sono cose che si trovano facilmente.”
Elizabeth sospirò. “Sai dov’è quella Kate, vero?”

“Lo...”
La frase venne interrotta dal rumore di passi e la porta dietro alla quale era nascosto Neal venne aperta. Non che avesse avuto intenzione di spiarli, ma li aveva sentiti parlare di lui e voleva sapere qualcosa. Ora, Peter lo fissava imperturbabile.
“Pensavamo tu stessi dormendo,” disse l’uomo.
“Sì. Sono appena sceso.” Sperò che il suo cuore non rivelasse la verità.
Peter accennò un sorriso. “Come ti senti adesso? Ci hai fatto spaventare.”
Neal chiuse gli occhi ripensando a poche ore prima, quando dopo pranzo si era sentito male e aveva perso conoscenza. Peter doveva averlo portato a letto, ricordava di essere stato avvolto dallo stesso profumo di quella mattina, quello che gli faceva venire in mente di tempi lontani, e di essere stato trasportato come a mezz’aria. Ricambiò il sorriso. “Molto meglio, grazie. E scusate il disturbo.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Andiamo, vieni a farci compagnia. Stavo discutendo con El giusto di te e della tua Kate.”
Neal spalancò gli occhi. “Sa dove si trova?”
“Ho iniziato a fare delle ricerche.”
Non sapeva come mai ne fosse così sicuro, ma Neal aveva la sensazione che non stesse dicendo la verità. Strinse le labbra in una piega quasi dolorosa, vorrebbe dirgli di non prenderlo in giro, ma ancora non osava tanto. Non voleva rischiare di rovinare tutto.
“Qualcosa non va?”
“Vorrei solo avere notizie di Kate.”
“Le avrai, non preoccuparti.” Peter gli posò una mano sul basso schiena e lo guidò verso le poltrone.
Quel tocco gli provocava una strana sensazione, come se dal contatto con la mano dell’uomo gli si diffondessero fremiti per tutto il corpo; non sentiva calore, eppure sembrava che bruciasse attraverso i vestiti. Cercò di non pensare a tutto quello mentre sedeva e chiacchierava con la coppia, anche se la discussione sembrava divergere sempre dall’argomento che voleva affrontare.
 
***
 
Stavano perdendo tempo. L’Archeologo stava perdendo tempo, non sembrava davvero interessato a trovare Kate. Stava giocando, giocando con la sua vita, con la sua mente, e lui non era più vicino a trovare Kate di quanto lo fosse tre giorni prima. Elizabeth continuava a dirgli di avere pazienza e fidarsi, che suo marito sapeva quello che stava facendo e che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Perché avrebbe dovuto fidarsi, poi, non lo sapeva; l’unica cosa certa era che non poteva andare avanti così.
Quando la porta di casa si aprì, Neal si fiondò in corridoio. L’avevano lasciato lì da solo per tutto il giorno. Sarebbe potuto andarsene, ma voleva vedere dove sarebbero arrivati, voleva avere una spiegazione. Fu stupito di trovarsi davanti solo Peter.
“Sono contento di vederti ancora qui,” disse togliendosi il cappotto e appendendolo all’attaccapanni lì vicino.
“Cosa diavolo dovevo fare?” Neal allargò le braccia, incapace di nascondere la sua frustrazione questa volta.
Peter lo raggiunse, aveva un sorriso dolce  mentre gli accarezzava una guancia e ancora una volta il suo profumo gli risaliva per le narici; era un buon profumo, come quello di Elizabeth, e come il suo sembrava avvolgerlo completamente.
“Puoi fare qualsiasi cosa tu desideri, Neal, non sei un prigioniero qui,” lasciò scorrere il pollice sulle sue labbra, così lieve che se non fosse sicuro della sua presenza a poche decine di centimetri da lui, penserebbe di esserselo immaginato.
Neal sospirò, stanco anche dei loro giochetti; era giunto alla conclusione che in qualche modo stessero cercando di farlo andare fuori di testa. Lo guardò serio. “Cosa volete da me? Cosa vuoi da me?”
Il sorriso di Peter si attenuò, quasi un ghigno sghembo adesso, amaro, mentre si allontanava per poi superarlo. “Qualcosa che non puoi darmi, e anche se potessi non credo desidereresti farlo.”
“Se serve a farti decidere a dirmi dove è Kate, lo farò. Farò qualsiasi cosa tu mi chiederai.”
Una risata amara accolse quelle parole, ma almeno l’Archeologo si era fermato e lo stava guardando di nuovo. “È proprio per questo che non puoi darmela.”
Neal sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa vuol dire che proprio perché voglio fare qualsiasi cosa tu mi chiederai non posso dartela? Darti cosa?”
Peter scosse la testa. “Lascia perdere. Vieni, aiutami ad apparecchiare, El arriverà a breve con la cena.”
   
 
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