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Autore: Adeia Di Elferas    07/02/2015    14 recensioni
Cesare arriva in Egitto per recuperare Pompeo, un tempo alleato ed amico, ora traditore in fuga. Quello che trova, una volta giunto alla corte di Tolomeo XIII, però, è tutto fuorché ciò che avrebbe voluto. L'ira ed il desiderio di vendetta lo fanno propendere per una risoluzione drastica della situazione. Tuttavia un incontro inaspettato con la sorellastra di Tolomeo porterà Cesare a cambiare i suoi piani in modo radicale, trascinandolo in scelte che spesso lo costringeranno a rimettere in dubbio alcune delle sue certezze. [Avvertenza: pur essendo basato su personaggi realmente esistiti e fatti storici accertati, il racconto è ovviamente stato romanzato, per rendere la lettura più gradevole e la vicenda più interessante]
Genere: Drammatico, Erotico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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~~L'aria era calda ed irrespirabile, pregna di odori e spezie, tanto carica d'umidità che a Cesare sembrava di respirare acqua e sudore.
 Si passò con lentezza una mano sulla fronte madida, quando arrivarono in vista del palazzo. Non li capiva, quegli Egiziani. Avevano una terra fatta di sabbia, costruzioni enormi e colorate, ricchezze di ogni tipo, eppure erano così strani, così ossessionati dall'idea della morte... Era come se tutto quello che costruivano non fosse altro che un modo per arrivare prima nell'aldilà.
 Forse era lui a non essere abbastanza timorato degli Dei, forse erano loro ad avere ragione. Anche se gente che idolatrava un Dio con la testa di sciacallo non poteva essere molto normale...
 Il palanchino che lo portava ebbe un piccolo tremore. Cesare non se ne curò. La sua tunica era talmente bagnata da restare attaccata alla pelle, dandogli la sgradevole impressione di essere appena uscito dalle terme.
 Il clima impietoso gli fece tornare in mente un pomeriggio d'estate di tanti anni prima, a Roma. Sua figlia Giulia stava giocando con una serva e di quando in quando lo chiamava per fargli vedere quanto era brava.
 Lui non aveva molto tempo, per sua figlia, non ne aveva mai avuto. L'aveva amata, tanto, più di qualunque altra persona avesse mai amato. Eppure se l'era lasciata scivolare via. Quando avrebbe potuto stare con lei e conoscerla meglio, la sua mente era sempre impeganata e più di una volta aveva dovuto assentarsi per troppo, troppo tempo. Si diceva che ci sarebbero stati anni interi, per godersi la compagnia della figlia.
 Si diceva che, una volta sistemata la cosa pubblica, avrebbe avuto modo di passare momenti di gioia con tutto ciò che gli restava della sua vera famiglia.
 E invece non era stato così.
 Quando le aveva fatto sposare Pompeo sembrava che la vera felicità fosse a portata di mano. Si ricordava ancora l'orgoglio che gli aveva quasi fatto esplodere il petto, quando aveva saputo che a breve sarebbe nato suo nipote.
 Poi la tragedia, tutta di un colpo. Giulia e il piccolo erano morti entrambi, al momento del parto e a lui non era rimasto altro se non la propria disperazione e la ragion di stato.
 Pompeo, lui avrebbe avuto le carte in regola per essere la sua nuova famiglia, e invece l'aveva tradito. Da alleato a traditore.
 Eppure Cesare su questo era sempre stato molto chiaro. Più di una volta, quando erano più giovani, gli aveva detto, davanti a un bicchiere di vino: “La fedeltà è una cosa sacra, fratello mio. La si dà a una persona e basta. A uno stato e basta. A un'idea e basta. La tua fedeltà, riponila bene. O a me, o niente. Ricordatelo: o a me, o niente.”
 Pompeo aveva avuto la memoria corta.
 “Siamo arrivati, Cesare.” disse una voce fuori dal palanchino. Cesare tentò di asciugarsi con la mano la testa quasi pelata e deglutì un paio di volte, mentre scendeva dal suo mezzo di trasporto.
 Il caldo quasi lo soffocò e si chiese quando mai in Egitto facesse veramente freddo. Ricordava la Gallia e il gelo che lo prendeva al mattino presto, quando le gambe sembravano fatte di ghiaccio e la mente lavorava a rilento.
 Allargò le spalle e si sforzò di assumere una posa decisa e marziale. Mentre faceva uno ad uno gli immensi gradini del palazzo si chiese cosa mai volessero fargli vedere di così importante. Erano stati vaghi, i messaggeri, troppo.
 Strinse il morso, mentre una guardia egiziana gli faceva strada lungo un corridoio altissimo. In terra c'era piccoli cumuli di quella che pareva polvere. La sabbia era tanto fine che si infilava dappertutto... Era una cosa insopportabile. Non vedeva l'ora di recuperare Pompeo e tornarsene a Roma.
 Quando arrivò nella sala in cui doveva tenersi l'incontro, Cesare cominciò ad agitarsi. Aveva lo stomaco vuoto e non gli piaceva essere in mezzo a tanti potenziali nemici.
 Le parole di Tolomeo erano sempre state pacate e gentili – o almeno, così erano state riferite – ma il più grande dei traditori di solito si cela proprio dietro alle lusinghe. Così come aveva fatto Pompeo...
 “Cesare.” una voce da ragazzino che Cesare non conosceva aveva echeggiato nel salone, facendolo girare alla ricerca della persona che l'aveva emessa.
 “Tolomeo.” rispose il romano, quando vide l'egiziano entrare a passi lenti, seguito da quello che poteva essere un eunuco.
 “Ti presento il mio fidato consigliere, Potino.” disse Tolomeo, voltando il lungo naso verso quello che era di certo un eunuco. Doveva esserlo. Cesare non ne aveva visti molti, ma sapeva riconoscere il viso paffuto e la fisionomia del corpo. E soprattutto uno strano luccichio negli occhi. Era qualcosa di impalpabile che faceva capire subito la verità.
 “Cosa vuoi, Tolomeo?” chiese Cesare, cercando di non mostrare la sua agitazione. “Voglio solo dimostrarti la mia amicizia.” disse a voce bassa l'egiziano, parlando un latino appena comprensibile: “Voglio farti capire che la nostra fedeltà è rivolta a te e a te soltanto.” 'A me o niente' pensò Cesare, con rammarico crescente al ricordo di Pompeo che era stato suo amico e suo genero.
 “E cosa avete per me, per dimostrare questa vostra grande amicizia?” domandò Cesare, inarcando un sopracciglio: “Oro? Pietre preziose? Credete che sia così semplice comprare la mia benevolenza?”
 Tolomeo fece allora un gesto ampio con un braccio e disse in fretta qualcosa a Potino che Cesare non capì.
 L'eunuco annuì compiaciuto e richiamò a voce alta un servo che entrò nel salone portando una specie di cesta.
 Cesare sentì il sudore scivolare sulle tempie e sulle guance, ma non voleva asciugarlo. Finse di non esserne infastidito e riprese: “Cosa può esserci in una cesta così piccola? Davvero qualcosa che dimostra la tua fedeltà?”
 Tolomeo sorrise: “Giudica tu stesso, Cesare.”
 Così, non senza una brevissima esitazione, Cesare si avvicinò alla cesta, che era ancora tenuta alta dal servo. Sollevò con cautela il telo bianco e azzurro di lino che celava il contenuto. Per un brevissimo istante temette che dalla cesta sarebbe balzato fuori un serpente velenoso che l'avrebbe ucciso sul colpo. Ma non fu così.
 Aveva visto molte teste mozzate, nell'arco della sua vita. Alcune le aveva recise egli stesso in battaglia. Eppure quello che vide lo fece indietreggiare.
 Sconvolto, strabuzzò gli occhi e poi cercò lo sguardo di Tolomeo e di Potino, come ad accertarsi che fosse tutto vero.
 “Visto, Cesare? La nostra fedeltà è rivolta a te e a te soltanto.” disse Tolomeo e battè le mani. A questo suo gesto, un altro schiavo portò a Cesare un piccolo pacchetto di stoffa.
 Agendo in automatico, senza davvero capire che quello che stava accadendo era la realtà e non un brutto incubo, Cesare prese il paccheto tra le mani e lo aprì.
 Era un anello con sigillo. Cesare lo passò tra le dita, lasciando cadere il panno. Lo osservò con attenzione, rifiutandosi in un primo tempo di riconoscerlo. Eppure conosceva quel leone che teneva tra le zampe una spada. Lo conosceva così bene...
 Non riuscì a trattenersi. Le lacrime cominciarono a rigargli le guance, mescolandosi con il sudore, creando rigagnoli e poi fiumi.
 Le spalle del romano erano scosse da tremiti e nessuno dei presenti sapeva come reagire ad un simile spettacolo.
 Cesare pianse ancora a lungo, stringendo in pugno l'anello che era stato di Pompeo. Si avvicinò di nuovo alla testa mozzata ed imbalsamata e finalmente riuscì a distinguere con chiarezza quel viso amico che era stato per lui così caro...
 Cercò di parlare, ma la voce gli si spense in gola. Il dolore cominciava ad unirsi alla rabbia.
 Le sue dita ormai dolevano, per la forza che ci stava mettendo nello stringere quel leone inciso nel metallo. Quel fastidio pungente gli ridiede lucidità.
 In un secondo solo capì quello che avrebbe fatto. Si rivolse ai pochi soldati che lo seguivano e fece segno di prendere la cesta contente la testa di suo genero.
 “Chi ha avuto l'idea di decapitare Gneo Pompeo?” chiese, con la voce ancora incerta.
 Tolomeo, che ora dimostrava appieno i suoi tredici anni, malgrado la veste sontuosa e i gioielli regali, sopraffatto da un panico improvviso, esclamò: “Potino! Il mio consigliere! È stato lui!” agitandosi tutto ed indicando l'eunuco come se avesse paura che la sua sola vicinanza fosse un pericolo mortale.
 Cesare si avvicinò allora a Potino, su cui il panico aveva invece un effetto paralizzante. Lo schiaffeggiò in pieno volto, più di una volta e poi gridò: “Che venga arrestato! Ha ucciso un cittadino romano senza avere il consenso di Cesare! Che venga condannato a morte!”
 I suoi soldati si affrettarono a prenderlo in custodia con la forza, mentre Cesare si rivolgeva a Tolomeo: “Che il corpo di Pompeo mi venga consegnato al più presto, affinché io possa far celebrare un degno funerale! Un cittadino romano non può essere ucciso in questo modo!”
 Tolomeo era finalmente senza parole. Guardava Cesare senza vederlo, tremando.
 “Comunicherò al più presto una data. Dobbiamo urgentemente parlare dell'amministrazione dell'Egitto.” fece Cesare, stando a pochi centimetri da Tolomeo: “Troppe cose non vanno, da quando Tolomeo XIII è sul trono.”
 
 Quella sera, rimasto solo, Cesare guardò la testa imbalsamata di Pompeo. Come avevano fatto ad arrivare a quel punto? Com'era potuto accadere?
 Si schiacciò gli occhi con i palmi delle mani. Non voleva più piangere. Quello che era stato era stato e l'Egitto avrebbe pagato. Tolomeo e le sue sorelle si sarebbero pentiti di quell'affronto. Li avrebbe uccisi uno per uno e sul trono d'Egitto sarebbe salito un romano.
 Con delicatezza, Cesare coprì di nuovo la testa dell'amico con il panno di lino. Quando avrebbe avuto anche il corpo, allora avrebbe consegnato tutto a Cornelia e lei avrebbe riportato il povero Pompeo in patria, come era giusto.
 Con un ultimo gemito di tristezza e dolore, Cesare appoggiò la cesta accanto allo scrittoio. 'Perchè, Pompeo, perchè mi hai tradito?' chiese, nei suoi pensieri. L'immagine di Pompeo, com'era stato da giovane, gli apparve nella mente.
 Avevano passato assieme giornate così entusiasmanti, avevano vissuto uno accanto all'altro le loro primavere ed avevano condiviso le gioie e le pene dell'essere uomini di stato. E poi tutto si era perso ed ora Cesare si sentiva finito.
 La sua prima moglie, l'unica donna che avesse amato sinceramente come un marito deve amare una moglie, era morta. Sua figlia Giulia, la sua preziosissima figlia, era morta. Ed ora anche Pompeo, il fratello, l'amico, l'alleato, il genero, era morto.
 Non avrebbe mai più trovato un momento di pace. Si era costruito una gabbia dorata, si era immolato per la gloria di Roma. La sua vita non gli apparteneva più. Non ci sarebbero mai più state giornate e notti di gioia e di calore, per lui. Mai più.
 Si sedette sullo sgabello dello scrittoio e si prese la testa tra le mani. 'Oh, Pompeo... Perchè, perchè mi hai dovuto tradire?' si chiese ancora, senza trovare risposta.
 
 
   
 
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