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Autore: EsterElle    07/02/2015    1 recensioni
C’era una volta una ragazza e il suo segreto.
C’era una volta l’Irlanda e tutta la magia del mondo ferma in un punto.
C’era un villaggio, un ragazzo e i suoi colori, alla ricerca di ciò che è bello.
Ed allora fu incontro e scontro, vita e rinunce, magia e colori; semplicemente Caris e Will, alla ricerca di sé, dell’altro, della strada giusta per loro.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caris dei Desideri



 
Capitolo 1


 
No, sono sicuro, non ho mai sentito tanto freddo in vita mia.
E allora che diavolo ci faccio qui, nel cuore della notte, al centro esatto dei venti che spazzano queste colline?
Spero arrivi presto.
Mi troverà gelato, completamente.
Che non debbano subire lo stesso mio destino i colori e i pennelli, per favore.
La taverna a Galway, il fuoco nella sala comune, la folla, la stanza del sottotetto; non mi sono mai sembrati tanto desiderabili.
Caris Doherty, tutto questo per te!
Lei troverà il modo di portare un po’ di caldo, Will, tranquillizzati. Ci riuscirà per forza.
Spero non la veda nessuno, al villaggio: sarebbe la fine di tutto.
Quando arriverà, credo le farò un ritratto, l’ennesimo; chissà quando tornerò da queste parti.
Non prima dell’estate, questo è certo.
Mi mancherà.
Ma ora la odio; dove si sarà cacciata?
Giuro, non mi sento più le mani; non la perdonerò se perdo l’uso delle mani.
Ho anche fame, maledizione.
Che notte.
Il cielo è coperto, non riesco a scorgere nemmeno il profilo delle querce. Il villaggio, ovviamente, non l’ho mai visto. Non voglio avvicinarmi, non da quando ho scoperto il suo segreto, anni fa.
Quanto era piccola, a quel tempo, la mia Caris!
Non è mai stata puntuale, questo è certo.
Andiamo, ti vuoi muovere?
E se l’avessero davvero scoperta ad attraversare il confine? Magari la stanno interrogando proprio ora!
Dovrei andarmene.
Ma come, la lascio sola ad affrontare i suoi genitori, il Capo villaggio, la condanna sociale?
Ti prego, fa che vada tutto bene, fa che possa essere presto qui al mio fianco.
Perché vedere un’amica deve essere tanto difficile?
Perché lei è speciale come nessun’altra, Will, idiota.
Non è stato semplice abituarsi a tutto questo, lo ammetto. Non è stato semplice crederle; a dirla tutta, sono fuggito via dopo la sua confessione. Non mi vergogno e me ne pento quanto basta. In fondo, sono tornato, ancora e ancora. In fondo, sono qui, oggi.
A differenza sua invece, che continua a tardare!
Già, dovremmo trovare un modo più semplice di comunicare.
Ho controllato, poco fa, per ingannare l’attesa: il cofanetto è proprio al suo posto, al limitare del bosco, vuoto. Il locandiere non ha fatto domande nemmeno questa volta, per fortuna; ogni mia lettera  che giunge  alla taverna va seppellita qui, nella cassetta, lui lo sa bene. E sa anche a che indirizzo inviare la lettera che ogni settimana il cofanetto contiene. È geniale, lo so; eppure io e Caris non ci siamo mai capiti molto in quanto ad orari.
Fa freddo, sto gelando per davvero; ma sono troppo contento di rivederla!
Quanto è passato dall’ultima volta?
Vediamo, ricordo la tela, si. I colori dell’autunno alle spalle, le querce tinte d’arancio e rosso e lei, il suo viso rosato e i capelli color del fuoco, improbabile come sempre mentre pasticciava con certe strane erbe. Era davvero un bel lavoro, quello; facile da vendere, è andato via al primo paesotto in cui mi sono fermato.
Chissà, una di queste volte dipingerò qualcosa solo per me.
Un ricordo di lei, dell’Irlanda, del villaggio.
Del suo segreto.
No, ho giurato di custodirlo come fosse mio e lo farò.
Che ore si saranno fatte?
La notte è buia, le luci del tramonto e dell’alba sembrano lontane.
Caris devo preoccuparmi davvero?
Caris-parla-a-vanvera dove sei?
Parlo da solo, nella mia testa, come un’idiota; sarà il freddo a generare questi pensieri incoerenti?
No, forse è solo l’ansia, la paura.
Ogni volta è un rischio, per noi; un solo passo falso e non ci sarebbe più nulla da dipingere, non ci sarebbe un’amica da ritrovare ogni volta, non ci sarebbero scherzi e giochi e pensieri da condividere.
Caris, speciale tra chi è speciale, ti prego, non metterci tanto. Ti prego, non farti aspettare ancora.
Un momento!
Forse vedo qualcosa e mi tappo la bocca con le mani per non gridare.
Lontano, in mezzo a tutto questo buio, posso scorgere una luce.
È un puntino, in verità, piccolo e chiaro, ma sembra correre veloce, correre verso di me.
Eccola, è lei!
Non mi ero accorto di trattenere il respiro, di avere le gambe in tensione, le spalle ritte.
Sta bene, sta arrivando.
La luce corre veloce su per il boschetto di querce e, più si avvicina, più illumina piccoli dettagli di lei.
Posso vedere il suo sorriso, mentre ancora non ci azzardiamo a pronunciar parola per il timore di essere scoperti. Le sue ciglia creano un’ombra sulle guance rotonde, il naso sulle labbra: ha gli occhi che ridono, questo lo vedo bene.
Faccio qualche passo nella sua direzione e spalanco le braccia. Lei ci si butta, e mi stringe forte, fiduciosa come sempre.
“Finalmente” bisbiglio al suo orecchio.
“Sono così contenta che tu sia tornato” risponde lei, tutto d’un fiato.
Qualcosa di caldo, bollente, preme sulla mia schiena.
“Che roba è?”
“Credevo saresti morto di freddo ad aspettarmi. Ho raccolto una pietra e l’ho riscaldata per te” dice quasi ridendo, forse per la mia espressione infuriata.
“Grazie al cielo!”
Stringo tra le mani quello strano dono, lasciandola libera dal mio abbraccio.
Tutta la luce del momento sparisce nella mia presa, luce incandescente, di fuoco. Il buio incombe di nuovo ed io non riesco più a vederla.
“Brilla” sento che lei sussurra.
Ecco, ora va meglio; stringe in mano un ramo di felce, raccolto nel bosco, sicuramente. È luminoso, brilla nella notte.
“Mi sorprende ogni volta, questa cosa qui” porto la mano alla testa come un’idiota.
“Sarebbe ora che ti abituassi!” ridacchia lei, afferrando la cartella ai miei piedi con naturalezza.
Scuoto la testa e mi carico in spalla lo zaino.
“Andiamo?” dice ancora Caris, già avanti, un braccio teso dietro di lei, la luce delle felce protesa verso l’oscurità del paesaggio.
Andiamo al mare, non c’è bisogno di chiedere.
Ho conosciuto Caris in uno dei miei viaggi; capitavo in Irlanda per la prima volta, avevo gli occhi pieni della meraviglia di Galway, di questo paesaggio, di questa vita. Niente avrebbe potuto affascinarmi di più, pensavo.
Mi sbagliavo, ovviamente.
Al tempo, Caris era una piccola di appena tredici anni; io, i miei primi dipinti in spalla, diciotto anni da buttare, una vita da riscrivere. Avevo da poco lasciato una casa accogliente e ricca, tutti i miei studi, mia madre, mia sorella, il dolore della perdita. Scappavo da Londra, dalla guerra, dalla morte di mio padre, dalla sua uniforme zuppa, dal suo sorriso storto. Vivevo di niente, dormivo sotto le stelle. Inseguivo il mio sogno da solo.
Bisogna perdersi per ritrovarsi.
Lei era piccola e buffa, la gonna arancio, la camicetta verde, i capelli rossi dai mille riccioli, sciolti: era persa tra queste colline, persa in tutt’altra maniera, vagava alla ricerca del suo gatto, alla ricerca del mare d’estate. Solo in seguito venni a sapere che quella era la prima volta anche per lei; la prima volta che lasciava il villaggio, la prima volta che conosceva l’Irlanda.
“Da dove vieni, questa volta, mio caro Will?” lei mi aspetta e proseguiamo spalla a spalla.
“Parigi, la Francia”.
“E com’è laggiù?”
I suoi occhi sono pieni di desiderio.
“Fantastico, Caris. Dovresti vederlo!”
“Un giorno, chissà”.
Camminiamo in silenzio per un po’: lei indossa un mantello scuro, ha i capelli coperti e la felce illumina il suo braccio e l’erba umida sotto di noi. Il sole sorge pian piano, in questo nuovo giorno speciale.
Un dubbio resta in testa, però.
“Come mai tanto ritardo, oggi? È successo qualcosa al villaggio?”
“È stato strano, in realtà. I Guardiani alla porta erano nervosi, come se percepissero qualcosa di insolito; erano tanto vigili, nessuno si è mai allontanato per lunghi minuti. Non chiedermi perché, non ne ho davvero idea. Ho dovuto fare più attenzione del solito e sono rimasta nascosta per un’infinità di tempo”.
Vedo la preoccupazione sul suo viso, forse la paura, un flash di pochi minuti.
“Tutto questo diventa sempre più pericoloso” penso ad alta voce.
Ecco, ora sorride di nuovo; lunatica, impossibile Caris!
“Ma io sono Caris Doherty, ricordi? Nessuno può fermarmi!”
Scherza e ride, finalmente libera di alzare la voce senza paura di essere scoperta.
Sei Caris Doherty, è vero; ma sei tanto piccola e tanto assurdamente fiduciosa! È impossibile non preoccuparsi per te.
“Will, facciamo una corsa? Sento il sangue che si gela nella vene”.
Le prendo una mano tra le mie e si, è davvero fredda.
“Ma non una gara. Non potresti vincere mai!”
“Ma davvero?”
“Hai le gambe corte, ricordi?” adoro provocarla.
Lei mi guarda decisa, gli occhi scuri spalancati, il viso molto al disotto della mia spalla.
“Dammi il tuo zaino, avanti” dice, perentoria.
Rido mentre assecondo la sua mente folle. Lei afferra il fardello e la cartella dei dipinti e poi mormora qualcosa di indistinto; di fatto, quelli spariscono all’istante.
“Ehi! C’è tutta la mia vita lì dentro!”
Ride forte, lei “Tranquillo, ci aspettano sulla scogliera”.
“Pronto?”
“Altrochè!”
E corriamo come matti, giù per le colline morbide e verdi dell’Irlanda, ridendo del gioco; della vita dura di tutti i giorni, della fame, della povertà non mi ricordo mai quando sono con Caris. Ritorno un po’ bambino, quel bambino che non sono mai stato.
E lei lancia un grido acuto e bello, mentre le guance le si tingono di rosso e il cappuccio scivola via dalla sua testa, liberando la chioma rossa e riccia che danza col vento, che danza intorno al suo viso.
È diventata proprio carina, la mia Caris!
Carina, ma lenta.
La supero in fretta, mi prendo anche il tempo di farle una boccaccia.
Vedo il mio zaino, in lontananza; siamo quasi arrivati!
Poi, all’improvviso i miei piedi si rifiutano di muovere un passo.
“Ma cosa…?”
Si, giuro, restano incollati al terreno, ed io cado in avanti, completamente sbilanciato.
Lei ride di un’allegria contagiosa.
“Ops” mi prende in giro, il fiatone, la mano su un fianco, quando mi raggiunge.
“Questo è barare!” mi lamento.
“Avrò pure le gambe corte, ma la magia è dalla mia parte! Non dovresti dimenticarlo tanto spesso!”
“Sei una piccola strega del male, niente di più!”.
Si lascia cadere al mio fianco con un sospiro, i capelli paurosamente spettinati, le guance rosse.
“Che fai, non arrivi al traguardo?”
“Sono troppo stanca, Will!”
Sorride con gli occhi, le labbra incantate. Come si fa a non volerle bene?
“Andiamo, ragazzina, porta qui le mie cose, allora”.
Il mare è ancora scuro davanti ai nostri occhi, l’odore di salsedine è pungente.
Quando ho conosciuto Caris per la prima volta, quando pensavo fosse una persona normale, persa come tante altre, siamo venuti qui, al mare.
Lei ama questo posto.
I nostri respiri pesanti riempiono l’aria, i visi congestionati.
“Su, da brava, asciugati amica erba” mormora lei.
Sotto di noi, la brina della notte scompare, i nostri vestiti tornano asciutti.
Guardiamo il sole sorgere pian piano, tingere di rosso e arancio le onde del mare poco distante. I colori sono fantastici, colori che non sarò mai in grado di dipingere; non senza un piccolo aiuto.
Frugo nello zaino e lei se ne accorge.
“Oh, Will, di nuovo?”
“È troppo bello, troppo. Devo assolutamente averlo” rispondo, porgendole un barattolo vuoto.
Lei lo tiene tra le mani, osservando il cielo davanti a noi.
Vedo le sue labbra muoversi, guidate dalla magia del momento; è un sussurro che non riesco a sentire.
“Ecco fatto” dice e mi porge il barattolo pieno del colore del cielo.
Fantastico!
Lei butta indietro la testa e si sdraia sull’erba; le braccia piegate in alto, il mare di fuoco dei suoi capelli contro il verde dell’erba, la luce viola e arancio dell’alba.
“Caris, non ti muovere” mi ritrovo a sussurrare.
“Sissignore!” scherza lei.
Sa cosa sta per succedere; tela e pennelli, monto il cavalletto, inizio a pasticciare coi colori.
“Sai una cosa, Will?” chiede, gli occhi chiusi.
“Mmm?”
“Non ti ho mai visto dipingere il paesaggio qui intorno”.
“Già” ho le mani macchiate d’inchiostro, ma non mi interessa.
“Nel senso, ci sono sempre io in mezzo ai tuoi dipinti. Non ti da fastidio, vero?”.
“Per niente”.
Lei è la magia dei miei lavori migliori.
“Ti secca  se parlo un po’? Posso anche dormire se vuoi”.
Ci impiego qualche minuto di troppo a rispondere, me ne rendo conto.
“No, affatto. Raccontami come vanno le cose giù al villaggio”.
“Non male, in realtà. Ormai sembra che i miei genitori abbiano del tutto superato il trauma di avere una figlia come me”.
Sbuffo, mentre tratteggio i contorni sfumati di ciò che mi circonda.
“Non sto scherzando, davvero! È stato un colpo per loro avere la certezza che non sarei mai diventata Guardiana. Per di più, mio fratello sembra essere la rivelazione dell’anno; nessuno è bravo, bello e giusto come lui. Un Guardiano nato, insomma!”.
I Guardiani, che idiozia.
Il villaggio, Skin Deep, è una spaventosa macchina sociale, stando a quello che Caris racconta.
“Quindi, sono finita alle costole del vecchio Gerald” conclude lei, aprendo un solo occhio per guardarmi.
La matita scivola via dalla mia presa.
Il vecchio Gerald?
“Caris, intendi il pazzo del villaggio?”
“Esattamente”.
Vedo che sta trattenendo una risata; ma come le viene in mente?
“Andiamo, non puoi dire sul serio. Qualche mese fa eri terrorizzata da lui!”
“Adesso non più; è l’unico come me, ha molto da insegnarmi. E poi, non è vero che è pazzo”.
Spalanco gli occhi, estremamente scettico.
“Si, è così! Ha avuto una vita difficile, abbiamo un fardello pesante da portare noi Maghi dei Desideri”.
“Se lo dici tu. Ti trovi bene, quindi?”
“Mi piace perdermi tra i suoi diari, nelle sue memorie. È un grande insegnamento, per me”.
“Caris, mi servirebbe un po’ d’acqua”.
Frugo nello zaino alla ricerca della ciotola giusta; quando gliela porgo, però, lei ha un sorriso esasperato sul viso.
“Will, quante volte dovrò ripetertelo ancora?” ridacchia.
“Cosa? Sei tu quella che fa magie, no?”
“Va bene, ma non sono un’Autrice”.
“Quindi non puoi creare, giusto?” provo, titubante.
“Si, Will! Non posso generare dal nulla, non è quello il mio potere, e lo sai!”
Si, è vero, avrei dovuto ricordarmelo, me l’ha spiegato un’infinità di volte.
A Skin Deep, il villaggio più magico del mondo, esistono solo tre categorie per ingabbiare tutta la meraviglia che esiste: gli Autori, i Falsari e i Guardiani.
Caris, manco a dirlo, è stata tagliata fuori da tutte e tre; tagliata fuori dalla nascita, dal suo potere raro, che non ha cercato, non ha richiesto.
Gli Autori creano dal nulla, immaginano ciò che non c’è per poi stringerlo tra le mani, nuova creatura, nuova materia nel mondo; i Falsari sentono l’energia degli elementi tra le dita, possono leggere nella realtà e manipolarla, trasformare il ghiaccio in pioggia, un seme in fiore, il vento in bufera.
Entrambi sono struttura portante del villaggio, ne permettono il sostentamento e il benessere; la mia amica non può contribuire per davvero a questa macchina infallibile.
E come mai avrebbe fatto a possedere il potere di distruggere, di cancellare? Far svanire le cose nel nulla, separarle, lasciarle morire. No, Caris non possiede nemmeno un goccio dell’oscuro potere dei Guardiani. Guardiani del villaggio, degli uomini che lo popolano, della magia.
Caris è chiacchierona, bugiarda, confusa; è una Maga dei Desideri.
“Forse, però, posso fare qualcosa per te” mi dice, mentre si mette seduta, di punto in bianco, sistemandosi la gonna sulle ginocchia.
Vedo che strizza gli occhi, corruga la fronte, per concentrasi.
“Ti va bene l’acqua del mare?”
Annuisco, stupito; il mare è così lontano, in fondo, giù per la scogliera!
“Allora avanti, una bella manciata d’acqua salata in questa ciotola!” ordina.
La sua voce è quella della magia, ormai ho imparato a riconoscerla.
Stringe i pugni, lei, mentre attendiamo qualcosa, un qualche prodigio.
E qualcosa accade davvero; una sfera di liquida luce trasparente risale dal dirupo, lenta, viene verso di noi. Quando s’infrange nella mia ciotola, però, non è che una goccia, piccola e sporca.
“Dai, non ridere! Io ci ho provato!” si lamenta con un mezzo sorriso, buttandosi di nuovo per terra.
“Se non sai fare di meglio, me la farò bastare” dico, mentre intingo la punta del pennello, le lacrime agli occhi, le labbra ricurve.
L’acqua diventa verde, all’istante, il verde più intenso, mischiato ad un tocco di rosso.
L’unica magia di Caris sono le sue parole, mi sembra chiaro.
Lei lascia il suo segno nel mondo con un solo sussurro, con un grido di gioia, parlando e cambiando ciò che è intorno a lei. Non crea, non controlla gli elementi, non distrugge; lei avvera desideri, semplicemente.
Ci sono cose che non è in grado di fare, ci sono magie che solo lei può rendere tali.
È un dono raro, anche a Skin Deep.
“Come procede?”
“Ancora è solo un abbozzo, sii paziente!”
“Guarda, è sorto il sole, finalmente”
Tutto è fantastico qui, lontano dal mondo, lontano dagli uomini, dalle città che diventano sempre più grandi. Osservo Caris stesa sull’erba, la sua gonna celeste aperta come la corolla di un fiore, il maglione spesso, del verde più scuro, i capelli sparsi; che libertà sentire la terra sotto le dita, annusare il profumo dell’alba. È tutto fantastico qui, ed io vorrei potermi fermare, una volta per tutte.
“Will”
“Si?”
“Quando avrai finito mi porti con te?”
“Eh?”
La mia voce è spaventosamente stridula; ma che sta dicendo?          
“Intendevo in città”.
È la prima volta che me lo chiede. In questi anni lei è sempre stata felice delle nostre escursioni sulle colline fuori dal suo villaggio, non ha mai chiesto di più.
“Perché proprio ora?”
“Ormai ho quindici anni, Will!”
“Si, lo vedo bene!”
Lei fa una piccola smorfia nella mia direzione.
“Ho quindici anni e non conosco nulla del mondo. Non so niente, al di fuori di quello che ci insegnano al villaggio. Non ho mai fatto spese al mercato, non ho mai indossato un vestito che non fosse cucito da mia nonna o da me. Non ho mai studiato nulla se non la mia magia, di ogni mia amica conosco i nonni e i parenti fino alla terza generazione. Tutta la mia vita ruota intorno ad un villaggio minuscolo! Se non fosse per te non avrei mai mangiato cioccolata, mai visto il tramonto tra queste colline, mai visto il mare. La mia è una vita ristretta, rinchiusa; ora, voglio vedere e conoscere più cose che posso! Ora che ne ho la possibilità”
“Va bene, va bene, rallenta!”
Mi vien quasi da ridere, ma non c’è niente di spiritoso nelle parole della mia più cara amica.
“Scusa” mormora lei, chinando leggermente la testa.
“È che, per la prima volta, ho paura. Paura di rimanere incastrata, paura di vivere tutta la mia vita al villaggio, come mia madre, mia nonna e tutta la mia famiglia”.
“Non sarà così, per te, vedrai” provo a rassicurarla.
In realtà, non sono poi così ottimista.
“Tu hai già trasgredito alle regole una volta, ed oggi sei qui. Caris, sei libera di scegliere, tutti noi siamo liberi di scegliere la vita che preferiamo”.
“A quale prezzo, Will?”
Alto, amica mia, molto alto.
Credo che lei possa leggere la risposta nei miei occhi; le ho raccontato la mia storia, una volta.
Sono anni che non vedo mia madre e ancora non posso dimenticare i suoi occhi, sgranati e sofferenti, mentre mi allontanavo dalla porta di casa, su per il grande viale alberato. È rimasta alla finestra finché io sono riuscito a vederla; una volta sparita dalla mia vista, è sparita anche dalla mia vita.
Qualche mese fa le ho scritto una lettera. Lei non può rispondermi; non mi fermo mai più di qualche giorno nello stesso posto.
“E va bene, Caris, se davvero ci tieni, ti accompagnerò in città” mormoro.
La scelta deve essere sua; le ferite mie, dei suoi genitori, degli uomini del villaggio non possono essere tutto il suo futuro.
Il suo sorriso è bello e prova ad illuminare gli occhi tristi.
“Sei il migliore, Will!”
“Ora basta con le smancerie, va bene? Resta ferma un momento”.
Il suo viso è piacevolmente colorito, adesso; le guance sono rosate, gli occhi brillano più del normale. Voglio catturare tutto questo, la felicità del momento, la gioia che può dare una semplice promessa.
Non sono un genio, non diventerò l’artista migliore del mio tempo, questo lo so. Eppure non c’è altro modo in cui vorrei trascorrere la mia vita; fuori da ogni gabbia sociale, nell’anonimato più completo.
Una volta ero William Stoker, giovane rampollo di una famiglia di abili giuristi; ora sono solo Will, che viaggia e cammina senza meta, inseguendo quella bellezza che ancora esiste da qualche parte.
In quest’angolo d’Irlanda la bellezza è lei, la mia amica Caris; morbida come le colline dolci, caparbia come la terra dura e nera, magica e luminosa come i tramonti sul mare.
Se non fossi andato via non avrei mai scoperto la magia dell’universo.
“Ti voglio bene, piccola Caris”.






Note
Mi prendo un piccolo spazio per salutare chiunque si arrivato qui, alla fine di questo primo capitolo! Grazie per aver letto!! :)
Questo è l'inizio di una storia breve, nata un po' per caso ma alla quale, pian piano, mi sono affezionata! Dovrebbe contare solo quattro capitoli (sto iniziando a scrivere in questi giorni l'ultimo!!) che spero possano piacere!
Se qualcuno ha voglia di farmi sapere cosa ne pensa, lo aspetto felice nelle recensioni!!
A presto,
EsterElle




 
  
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