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Autore: EclipseOfHeart    08/02/2015    8 recensioni
Gibbs è fermo, solido anche nella preoccupazione e alterna lo sguardo alla stanza di fronte a sé e alla figura seduta di lato a lui, che ha stretto così tanto il bicchiere di caffè tra le mani da frantumarlo sotto la sua morsa, sporcandosi le mani e il pavimento – e Gibbs non saprebbe dire se per la rabbia o per la disperazione.
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Ziva si alza e si appoggia al vetro della stanza, strizza gli occhi per vedere meglio attraverso le tendine – ha perso il conto perfino lei di quante volte l’abbia già fatto – per osservare i monitor e il regolare suono di quell’odiosa macchinetta e stringe i pugni, chiudendo gli occhi e facendo quello che ha visto fare tante volte a sua madre, quando suo padre partiva per chissà quale missione: pregare.

Spero di avervi incuriosito e spero che la storia vi piaccia. Buona lettura.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anthony DiNozzo, Un po' tutti, Ziva David
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where did you think to go (without me)?

 

 

 

Mcgee non può far altro che stringerla tra le braccia, conscio che non riuscirà ad infonderle la tranquillità che le serve e che tanto invoca in quei singhiozzi sommessi; la abbraccia più forte che può, forse in cerca di un sostegno anche lui, perché non sa come deve reagire e non sa come aiutare Abby – e non sa come aiutare se stesso.

La scienziata alterna momenti di sfogo ad altri dove tenta di analizzare la situazione analiticamente, come sempre ha fatto, e che inevitabilmente la conducono nuovamente alle lacrime – perché quando la scienza è impotente, Abby sente che potrebbe davvero crollare.

Gibbs è fermo, solido anche nella preoccupazione e alterna lo sguardo alla stanza di fronte a sé e alla figura seduta di lato a lui, che ha stretto così tanto il bicchiere di caffè tra le mani da frantumarlo sotto la sua morsa, sporcandosi le mani e il pavimento – e Gibbs non saprebbe dire se per la rabbia o per la disperazione.

Le poggia una mano sulla spalla, stringendola per comunicarle la sua presenza, ma ottiene solo un debole sguardo, pieno di cieco dolore e un unico interrogativo – perché – che rimbomba in quegli occhi castani.

Ziva si alza e si appoggia al vetro della stanza, strizza gli occhi per vedere meglio attraverso le tendine – ha perso il conto perfino lei di quante volte l’abbia già fatto – per osservare i monitor e il regolare suono di quell’odiosa macchinetta e stringe i pugni, chiudendo gli occhi e facendo quello che ha visto fare tante volte a sua madre, quando suo padre partiva per chissà quale missione: pregare.

 

Little Darling, do you go to bed at night
Prayin' that tomorrow everything will be alright

 

Tra le mille cose che l’Agente Molto Speciale Anthony DiNozzo sapeva fare c’era sicuramente l’incredibile capacità di sopportare un elevato livello di dolore; uno stoico atteggiamento, degno di una persona di resistenza così forte e che era davvero invidiabile da tutti: ovviamente, come per tutti gli uomini di quel temperamento, c’era qualcosa che sfuggiva a quel principio e Ziva, mentre lo osservava cambiare colore e poi tornare pallido, alla vista di quell’ago che l’infermiera brandiva con così tanta compiacenza, non poté che dedurre che quei piccoli pezzi di metallo fossero il suo grande punto debole.

Non che non lo sapesse già, ma vederlo effettivamente così tanto impaurito le provocò un’irrefrenabile voglia di prenderlo in giro.

«Tony. Suvvia,» osservò infatti, accavallando lentamente le gambe nella poltroncina di fronte al suo letto. «è solo un prelievo.»

L’agente non poté far altro che inghiottire la sarcastica risposta già giuntagli sulla punta della lingua perché, con suo sommo dispiacere, Ziva aveva ragione e quello era solo un prelievo. Eppure quell’ago…

L’infermiera approfittò subito del momento di distrazione di Tony e provvide subito a bucargli il braccio, centrando abilmente la vena.

«Se fosse rimasto fermo, avremmo fatto questo prelievo molto più velocemente.» osservò lei, con un riso fin troppo languido per essere effettivamente di rimprovero.

«Non mi sono mai piaciute le cose veloci.» rispose Tony, con quel tipico suo sorriso a metà tra lo spaesato e il lascivo, che aveva l’incredibile effetto di affascinare qualsiasi donna a cui lo stesse rivolgendo e far roteare gli occhi di Ziva perché Tony non sarebbe mai cambiato.

L’infermiera sorrise di rimando, prendendo le attrezzature mediche e uscendo dalla stanza, agitando un po’ troppo il suo fondoschiena a detta di Ziva e troppo poco a detta di Tony.

«Quando ritorni sulla Terra avvisami, Tony.»

«Eh?» chiese lui, volgendo lo sguardo alla sua collega che lo fissava, visibilmente seccata. «Oh. Ecco… Insomma…»

«Tony.»

«Ziva.»

«Ti ricordi perché siamo in questa stanza di ospedale, vero?» chiese lei, alzandosi e camminando a passi svelti verso il letto.

«Perché mi hanno sparato

Un caso apparentemente semplice: erano a metà mattinata quando una chiamata era giunta al telefonino di Gibbs, informandolo della morte di un Tenente nella sua casa, a Georgetown. La solita routine li aveva accompagnati nell’analisi della scena del crimine, assistiti da Ducky e Palmer che aveva velocemente provveduto ad una valutazione, per quanto ovvia, della causa della morte: ferita da arma da fuoco in pieno petto.

Robert Koch, nubile e senza figli, Tenente della Marina, con doppia laurea: Chimica e Ingegneria Biomedica, già solo il nome aveva fatto rabbrividire Tony ed esaltato Mcgee ed Abby, era stato ucciso alle 6 di quel piovoso Giovedì di Novembre, tra le prime luci dell’alba.

Controllo dei tabulati telefonici, degli ultimi spostamenti della vittima e una interessante chiacchierata con la sua attuale compagna – Nora Smell – avevano dato prontamente una pista su cui indagare: l’ex fidanzato di Nora, Leonard Callwell.

Geloso, ossessivo, con precedenti di stalking e diverse mail di minacce contro il Tenente: Tony e Ziva erano andati prontamente a prenderlo per portarlo alla base.

«NCIS, apra la porta!» gridò Tony, fuori dalla sua casa.

«Mai nessuno che venga ad aprirci serenamente.» disse, sbuffando e prendendo la sua pistola. Spinse la porta con un calcio e si infilò dentro, seguito da Ziva. Quando ebbero controllato tutta la casa, realizzarono che non fosse nell’abitazione.

«Tony, c’è un capanno fuori nel giardino.» disse Ziva, indicandoglielo con lo sguardo. «Ha due entrate, meglio dividerci.» rispose lui, andando verso la prima via d’ingresso.

«NCIS, Leonard Callwell, dobbiamo parlarle!» gridò Tony, entrando nel capanno.

«Andatevene. Non ho niente da discutere con voi!»

Non fu che un attimo: Tony vide il luccichio metallico della pistola di Callwell riverberarsi a causa della luce e sparò quasi immediatamente, vedendosi l’arma puntata addosso e gli occhi quasi furiosi di quell’uomo. Nonostante la prontezza di riflessi dell’agente DiNozzo, Callwell aveva già fatto partire un colpo; fortunatamente Tony aveva una mira di gran lunga migliore per cui riuscì a prendergli la spalla, senza ucciderlo, mentre Callwell gli aveva preso di striscio un braccio, provocandogli tuttavia un taglio e la distruzione di uno dei suoi completi preferiti.

Ziva, sentiti i due spari, si era immediatamente precipitata dentro e aveva provveduto a disarmare Callwell che giaceva per terra svenuto e, dopo essersi accertata che fosse vivo, andò di corsa verso Tony che era appoggiato a una colonna e si teneva la mano premuta sulla ferita.

«Tony!» gridò, con gli occhi intrisi di sincera preoccupazione. «Fa vedere!» gli scostò la mano e aprì ancora di più il buco della camicia per poter meglio osservare il taglio e, solo quando si accertò che non fosse niente di troppo grave, respirò di sollievo, rendendosi conto di averlo trattenuto fino a quel momento.

Alzò gli occhi, incrociando quelli di Tony, che la guardava stupito e quasi sorridente.

«Sto bene, Ziva.» sussurrò, senza distogliere lo sguardo.

«Sì.» rispose lei, alzandosi e interrompendo il contatto. «Ma ora chiamo subito un’ambulanza.»

Al pronto soccorso gli avevano suturato la ferita e l’avevano dichiarato in condizioni di buona salute, se non fosse stato che la perdita di sangue forse era stata più copiosa del previsto e, mentre stava uscendo dall’ospedale, ebbe un mancamento e sarebbe probabilmente caduto se Ziva non l’avesse sostenuto prontamente.

I medici avevano quindi deciso di tenerlo lì per quella notte e di fargli degli esami di routine, come da normale procedura; Leonard Callwell riposava stabile nella sua stanza, dopo che gli avevano estratto il proiettile di Tony, e Gibbs attendeva soltanto il consenso dei medici per poterlo sbattere in galera: oltre ai capi d’accusa contro Tony, Abby aveva stabilito che era stata proprio l’arma di Callwell ad uccidere il Tenente Koth.

«Il proiettile ti ha preso di striscio.» rispose Ziva.

«Eppure io ho visto il tuo sguardo preoccupato, Agente David.»

«Probabilmente perché eri in stato di shock.» replicò lei, ghignando.

«Oppure perché, semplicemente, ti eri preoccupata.»

«Se trovo il mio collega a terra, con la mano piena di sangue, è normale una lieve preoccupazione, Tony.»

Lui non rispose, limitandosi a sorriderle e a ringraziarla silenziosamente.

Ziva, nonostante minimizzasse perfino a sé stessa, non aveva mai lasciato Tony quando era al pronto soccorso e mai se ne era andata da quella stanza dove l’avevano ricoverato: fosse stato per lei sarebbe rimasta anche la notte, sorbendosi tutti i discorsi, le lamentele e le provocazioni di Tony, ma si era resa effettivamente conto che stesse bene e che, quindi, poteva tornare a casa tranquilla.

Abby e Ducky erano arrivati quasi subito la chiamata di Gibbs, che era lì con Mcgee da quando li aveva chiamati Ziva, e tutti insieme avevano augurato la pronta guarigione all’agente DiNozzo, felici che quello che avrebbe potuto essere un tragico evento fosse finito bene.

«Uno dei casi più brevi della storia.» disse Mcgee, aggiornando il collega sugli sviluppi del caso.

«Pensate che ancora non ho neanche finito di esaminare tutte le prove che mi avete portato dalla casa del Tenente! Mi mancano le tue che hai raccolto nel suo studio, Tony, e quelle del salotto di Mcgee.» disse Abby, concitata. «Beh, finirò di controllarle domani. Ormai il caso è risolto.»

«Chi ha tempo non aspetti tempo.» disse Gibbs, entrando nella stanza.

«Certo Gibbs, giusto! Infatti ho detto che me ne occuperò subito domani mattina.»

«Sì, Abs, lo so.»

Quando si fece sera inoltrata Ducky propose di far riposare Tony e, velocemente, tutti se ne andarono augurandogli la buonanotte. Ziva, con insolita lentezza, prese il cappotto e la borsa e, notando di essere casualmente rimasta l’unica nella stanza insieme a lui, si avvicinò al suo letto.

«Buonanotte Tony.» disse incrociando il suo sguardo e perdendosi sempre un po’ nei suoi occhi.

«Buonanotte Ziva. E grazie.»

Stava per stringerle la mano, che sentiva di lato alla sua, ma lei si ritrasse e sorridendo uscì dalla stanza, consapevole che sarebbe passata da lì prima di andare a lavoro.

Ziva David aveva preso due caffè e tre ciambelle al bar, cosciente che sicuramente Tony avrebbe avuto più fame del solito, e si era diretta verso la stanza dell’ospedale dove riposava il collega.

Si aspettava di vederlo in piedi, se non già vestito, ma quando arrivò Tony dormiva e una flebo era attaccata al suo braccio.

Strano.

Il giorno prima l’infermiera non aveva parlato di flebo o medicine.

Poggiò la borsa e la colazione e si diresse subito verso una delle infermiere. Sperò istintivamente che non ci fosse la bionda che il giorno prima aveva fatto il prelievo a Tony e, fortunatamente, incrociò un’infermiera più anziana che ricordava di aver visto anche ieri.

«Buongiorno. Mi scusi se la disturbo, volevo sapere come stava il paziente…»

«Anthony DiNozzo. Sì, mi ricordo di voi due. Purtroppo devo informarla che stanotte il suo fidanzato è stato poco bene, ha iniziato ad avere una forte tosse e stamattina presenta anche la febbre.»

«Non è il mio fidanzato.» si affrettò subito a chiarire lei, imbarazzata come sempre quando li scambiavano per una coppia. «Ma come mai? Ieri mi sembrava stare bene!»

«Le consiglio di parlarne con il medico. Comunque non è niente di grave: non crediamo che il colpo d’arma da fuoco sia collegato, potrebbe semplicemente aver contratto l’influenza.» le disse rassicurante l’anziana infermiera.

«Sicura che tra lei e il giovane non ci sia niente?» chiese poi facendole un malizioso occhiolino. «Ieri ho visto come la guardava.»

«Siamo solo colleghi.» rispose Ziva.

«Oh, anche io e mio marito eravamo solo colleghi e ora siamo sposati da 40 anni!» replicò la donna, sorridendo amabilmente.

Ziva non ebbe il tempo di rispondere che lei gli disse che doveva fare il giro delle visite e la salutò calorosamente.

Dopo aver parlato con il medico e aver ottenuto le medesime risposta, Ziva chiamò Gibbs per informarlo della situazione e del ritardo: prima di andare al lavoro, voleva parlare con Tony per capire come stesse.

Dopo circa un’ora, mentre Ziva era seduta nella sua stanza che leggeva un libro, sentì i lamenti dell’uomo e capì che si dovesse essere svegliato.

Lasciò che Tony capisse di non essere solo, cosa che avvenne dopo un quarto d’ora buono, mentre stava per l’ennesima volta sbuffando per non avere un caffè lì.

«Ziva.» disse, sorpreso di vederla e imbarazzato. «Da quanto sei lì?»

«Da un po’.» due ore, ma meglio non dirglielo.

«Ah… ecco… io al mattino parlo sempre molto perché è un utile esercizio facciale!»

«Certo Tony.» rispose lei, alzandosi e portandogli il bicchiere di caffè. «Ha detto il dottore che puoi berlo se ti va.»

«Non so davvero come ringraziarti. Non ho parole.» disse Tony, sinceramente commosso di vedere quella bibita a pochi metri dalla sua faccia – senza un buon caffè come si fa ad iniziare la giornata? -.

«Come stai?» domandò Ziva, sorseggiando la sua colazione insieme all’uomo.

«Bene. Un po’ di febbre, niente di che. Anthony DiNozzo può sopportare qualsiasi cosa.» disse abbozzando un sorriso, nonostante si sentisse tutt’altro che bene. Gli sembrava di essere stato preso ripetutamente a botte, molto peggio della sera precedente.

«Mmh.» disse lei scettica. Si sedette sul bordo del letto, sotto lo sguardo di Tony e appoggiò la mano sulla sua fronte. «Non ne hai solo un po’.»

«Un 38 non mi ucciderà.»

«Bastasse così poco ci avrei già provato.»

Parlarono per alcuni minuti, finché Ziva pensò che fosse il caso di andare al lavoro. Si alzò dal letto e lo salutò, chiedendogli di chiamarlo se avesse avuto bisogno.

«Verrai stasera?» chiese Tony, cercando di far sembrare il suo tono disinvolto.

«Forse.» rispose sorridendo, prima di andarsene. Che la risposta reale fosse “Sì” probabilmente lo sapevano bene entrambi.

A lavoro Ziva fu distratta e poco concentrata e, benché tentasse di non pensarci, una brutta sensazione l’aveva accompagnata tutta la giornata ed era certa che riguardasse Tony: aveva riprovato quel medesimo disagio quando l’amico aveva avuto quell’incidente con La Grenouille e lei, nonostante fosse all’oscuro di tutto, semplicemente aveva sentito che lui fosse in pericolo. E anche quel giorno, provava lo stesso nodo allo stomaco.

«Va Ziva, ci vediamo domani.» disse Gibbs, mezz’ora prima della fine del loro turno, sorprendendola mentre era immersa nei suoi pensieri.

Non ci fu bisogno di spiegazioni, a Gibbs mai ne erano servite, e Ziva si limitò a lanciargli un ringraziamento silenzioso, mentre prendeva la giacca e la borsa e usciva dalla basa Navale, ogni passo più veloce del precedente.

Arrivata all’ospedale, affacciò lo sguardo sulla stanza e si ritrovò disorientata nel vedere il letto vuoto e disfatto. Tuttavia, mentre una piccola sensazione di paura nasceva dentro di lei, Tony uscì dalla porta del bagno, reggendosi all’asta della flebo e procedendo a passi stentati.

Alzò lo sguardo per vedere chi fosse e Ziva osservò i suoi occhi lucidi di febbre, le guance troppo rosse e le labbra già screpolate dalla disidratazione.

Accennò un passo per aiutarlo a coricarsi, ma fu sufficiente una mano alzata a mezz’aria di Tony per farla desistere, un muto “ce la faccio da solo” che non tardò ad essere compreso.

Quando si fu disteso e coperto, Ziva si avvicinò e Tony lesse la sua domanda nei suoi occhi che saettavano dal suo viso alla flebo e ai macchinari.

«Sì, mi è salita un po’ la febbre. Ma sto bene.»

«Lo so.» rispose lei, accennando un sorriso di rassicurazione che si spense prima ancora di sortire il suo effetto.

«Allora, che avete fatto oggi al lavoro?»

Ziva si sedette nella sedia di lato al suo letto ed iniziò a raccontare la loro giornata lavorativa, stranamente senza troppe tragedie. Cercò, goffamente, di trovare qualche aneddoto divertente da narrare per distrarlo – perché Tony non stava bene. – ma si sentì stupida nel non riuscirci, conscia che sicuramente lui avrebbe ideato metodi sicuramente migliori: per quanto non l’avrebbe mai ammesso la creatività di Tony era qualcosa che sfuggiva infinitamente dalle sue dita, qualcosa che mai avrebbe potuto apprendere, ma soltanto ricevere.

Dopo circa mezz’ora, venne il medico a controllarlo e, dopo la visita, tranquillizzò Ziva, confermandogli che si trattasse solo di influenza e che in pochi giorni sarebbe stato come nuovo.

E Ziva voleva crederci, ci aveva provato fino all’ultimo: mentre informava gli altri e li rassicurava, ascoltava Tony che tentava di essere il più normale possibile e mentre prendeva la sua borsa, pronta per andarsene a casa dopo che Tony si era praticamente addormentato durante uno dei suoi lunghi monologhi su un non precisato film.

Ma, uscendo dalla stanza, Ziva sentì quella sensazione più forte che mai e rigirandosi ad osservare Tony, poggiando una mano sulla superficie vetrata e sospirando contro se stessa, comprese che l’unica cosa da poter fare era riaprire quella porta, sedersi nella poltroncina vicino al tavolino e cercare invano di dormire – perché Tony non stava bene.

Verso le cinque del mattino, Ziva dormiva in quel sonno “Mossad” che le permetteva di riposarsi e, nel frattempo, non perdere di vista la realtà che la circondava. Quando iniziò ad albeggiare, avvenne quello che lei aveva così bene presagito.

Sentì dei violenti colpi di tosse e, in pochi attimi, Tony che stava avendo una violenta crisi respiratoria.

«Tony!» gridò, avvicinandosi a lui e vedendolo annaspare alla ricerca dell’aria. Le sue urla attirarono subito il personale ospedaliero che provvide subito a fornirgli l’ossigeno, tramite intubazione, e a sedarlo.

Fu chiamato il medico e, dopo la visita, non ci fu bisogno di parole quando lui alzò gli occhi su di lei, intrisi di colpa e dispiacere.

«Cos’ha?»

«Non lo so.»

Ziva sentì le gambe cederle, forse mai come in quel momento.

«Lo scopra, allora.» gli rispose nel tono più minaccioso possibile, gelandolo con lo sguardo.

Dopo che si fu allontanato, si lasciò sedere sulla sedia vicino al letto di Tony e lo osservò, consapevole che doveva avvisare gli altri, che doveva fare qualcosa e che non doveva badare alla sua preoccupazione perché era Tony quello in pericolo: però, quando lo sentì agitarsi nel sonno, non poté impedirsi di poggiare il palmo della sua mano sul pugno chiuso di lui, che stringeva il lenzuolo, sperando per chissà quale impossibile ragione che avrebbe potuto aiutarlo a calmarsi.

Dopo qualche secondo, tuttavia, la sua mano si rilassò sul serio e si distese sul letto, mentre il suo respiro tornava quasi regolare; Ziva sapeva che era soltanto perché il momento di crisi era passato, ma, nonostante ciò, la propria mano strinse la sua ancora più forte.

Alle 8 del mattino, lasciò la stanza e decise di prendere una boccata d’aria e chiamare Gibbs per informarlo; mentre scendeva nell’ingresso e stava per comporre il suo numero, lo vide entrare dalla porta principale, tenendo in mano tre caffè: uno per lui, uno per Tony e uno per lei; ovviamente Gibbs semplicemente sapeva che l’avrebbe trovata lì.

Quello che non si aspettava fu la sua espressione stordita, confusa e preoccupata.

Si avvicinò lentamente, chiedendo con gli occhi ciò che era così ovvio.

«Non sanno cos’ha.» rispose Ziva, stupendosi del tono incrinato della sua voce e della difficoltà di dire quella frase ad alta voce.

Gibbs le poggiò una mano sulla spalla, guardandola intensamente: «Lo capiranno.»

Mcgee, Ducky, Palmer ed Abby raggiunsero i due nella prima mattinata, appena saputa la notizia del peggioramento di Tony: Ducky aveva subito parlato con i dottori, guardato le analisi e le condizioni di DiNozzo e fu proprio la sua espressione spaesata e preoccupata a gettare tutti nel più completo sconforto.

«Che malattia ha Duck?»

«Non lo so, Jethro. Non riusciamo a capire. I suoi polmoni stanno già iniziando a cedere, anche a causa dell’episodio di peste che ha avuto qualche anno fa, ma sta avvenendo tutto troppo in fretta per qualsiasi delle malattie che mi vengono in mente!»

«Ci deve essere qualcosa che possiamo fare.»

«Noi niente, in realtà. Più analisi e più esami è quello che faranno loro.»

Nel pomeriggio la situazione era rimasta stazionaria e Gibbs invitò Mcgee, Abby, Ducky e Palmer a tornare all’NCIS, consapevoli che non avrebbero potuto essere di nessun aiuto lì.

Non ci provò nemmeno a dirlo a Ziva, conscio che non l’avrebbe mai convinta anche se gli avesse assicurato che sarebbe rimasto lì tutto il tempo.

Dopo le prime proteste, Ducky convinse gli altri a seguire l’ordine di Gibbs: almeno, svolgendo il loro lavoro, avrebbero potuto essere effettivamente di aiuto a qualcuno. Dopo i saluti, Ziva tornò nella stanza e si sedette nuovamente al fianco di Tony, prendendogli la mano.

«Ziva…» sussurrò Tony, in un dormiveglia confuso, dove non capiva se Ziva fosse lì con lui o la stesse semplicemente sognando.

«Tony. Sono qui.» gli rispose, rafforzando la presa.

«Credo… di stare sognando.»

«Non stai sognando.»

«Ma sarebbe un bel sogno… dato che ci sei tu.» rispose lui, prima di ripiombare nell’incoscienza.

«Oh Tony.» disse Ziva, sentendo gli occhi lucidi e un peso nel cuore che si faceva sempre più grande. «Stai tranquillo, Tony. Andrà tutto bene.»

Entrare nel laboratorio di Abby Sciuto, quel pomeriggio di Novembre, avrebbe probabilmente fatto stranire chiunque la conoscesse bene, dato che la musica era spenta ed Abby trafficava tra le prove, con gli occhi lucidi e tentando di non pensare a Tony.

Stava finendo di esaminare le ultime prove del Tenente, dato che ormai le mancavano soltanto le carte e le prove raccolte nello studio.

Aveva appena preso una busta, contenente almeno 50 lettere, e stava per aprirla quando Ducky e Palmer entrarono nel laboratorio, cercando di far passare in qualche modo quelle ore.

«Ehi.»

«Ehi, Abby. Che cosa analizzi?» chiese Jimmy, avvicinandosi a lei e sbirciando il contenuto della busta.

Immediatamente notò che sopra tutte le buste era segnata una scritta, come una dedica, che recitava in tutte lo stesso nome “Edwards Ivins”. Dopo qualche secondo, lo sguardo di Jimmy si raggelò.

«Abby, ferma. Dottor Mallard, non le dice niente il nome “Edwards Ivins”?»

Sia Ducky che Abby ci misero pochi secondi a realizzare e la scienziata lasciò immediatamente quella busta, fortunatamente non ancora aperta e sigillata.

«Presto Abby, dobbiamo subito eseguire dei test! Se non è troppo tardi, possiamo ancora salvarlo.» gridò Ducky, iniziando le procedure con Abby.

Dopo mezz’ora di analisi, finalmente i dubbi si concretizzarono e il dottor Mallard telefonò subito per informarli della loro scoperta.

«Gibbs!»

«Ducky, che succede?»

«È antrace! Presto, devi comunicarlo ai dottori! Abbiamo trovato nelle prove che stava per analizzare Abby, nella casa del Tenente Koth, una cinquantina di buste tutte pregne di spore di antrace! Tony deve averle inalate mentre stava catalogando le prove nello studio!»

Lo sguardo allarmato di Gibbs fu sufficiente per Ziva.

 

 

Gibbs si avvicina nuovamente a Ziva.

«Non morirà, hai capito?»

«Come fai ad esserne certo? I dottori hanno detto che, anche avendo già iniziato la cura, potrebbe già essere tardi

«Lo so. Non morirà.» ripete lui, con la voce piena di quella stessa certezza che sentiva quando Tony aveva preso la peste sette anni fa.

Dopo la scoperta di Abby, Mcgee si era attivato per scavare nel passato del Tenente e aveva scoperto che, con la facilità garantitagli dalla sua doppia laurea, aveva progettato un attacco bio-terroristico contro l’America, seguendo i consigli e le istruzioni del suo mentore, Edwards Ivins, noto bio terrorista che dopo l’attacco del 2001 aveva mandato molte lettere contenente spore di antrace trattate per essere mortali ed infettive.

Il Tenente le teneva chiuse in cassaforte, evitando di toccarle o annusarle, ma Tony questo non aveva potuto saperlo e, nel prenderle, benché avesse i guanti aveva inalato le spore per via aerea.

«Non ci resta che aspettare.» aveva infine detto Ducky, sedendosi insieme a Jimmy, vicino a Mcgee ed Abby.

A notte inoltrata, Mcgee riesce a convincere Abby ad andare a casa a riposare un po’, prima di tornare il mattino dopo e Palmer riesce a fare lo stesso con Ducky.

«Jethro, dovresti riposare anche tu. E anche Ziva. Da quante ore non dorme?»

«Non lo so. Io mi riposerò qui comunque.» gli risponde, indicando una delle tante sedie presenti in sala d’attesa.

«Ci vediamo più tardi.»

Ducky lancia uno sguardo di saluto a Ziva che, dopo essere rimasta nella sala con gli altri, aveva deciso di tornare nuovamente nella stanza di Tony, sedendosi vicino a lui.

Afferra nuovamente la sua mano, poggiando la testa sul lenzuolo e respirando profondamente: sa benissimo che Tony sta morendo e che quello che gli dicono gli altri è solo una bugia, non vuole illudersi con false speranze.

Ma quando alza lo sguardo e incontra il viso di Tony ogni suo ragionamento si scontra con il volere del suo cuore, quello che sta praticamente implorando Tony di non morire.

«Forza Tony… tu non puoi lasciare l’NCIS. Cosa direbbe Gibbs? Ed Abby? Non puoi farle questo! E Mcgee, Ducky? Non te ne puoi semplicemente andare… non puoi abbandonarci… non puoi…» Ziva fissa il viso di Tony e alza lentamente una mano, toccandogli lievemente il viso, come una carezza silenziosa. «… abbandonarmi.»

È un sussurro così flebile che anche da sveglio Tony probabilmente non l’avrebbe udito, ma abbatte definitivamente i muri di Ziva che si lascia andare ad un pianto silenzioso, sfogando tutta l’ansia e la preoccupazione di quelle ore.

Tutta la notte e il giorno seguente passano stazionari, senza miglioramenti e senza peggioramenti, segnale molto positivo a detta dei dottori.

Ziva, insieme a Gibbs, rimane in ospedale per tutto il giorno, salvo una breve visita a casa per cambiarsi e farsi una doccia veloce.

Quando giunge la sera, Gibbs tenta di convincerla, ma lei si dimostra testarda e irremovibile.

«Va’ a casa! Sei qui dentro da due giorni e non dormi da tre! Resterò io qui, ti chiamerò per qualsiasi cosa.»

«No.»

«Ziva…»

«Non puoi ordinarmelo qui, Gibbs.»

«Vado a prendere dei caffè.» conclude lui, sospirando e sapendo benissimo che quella sarebbe stata la risposta definitiva.

 

Non sa esattamente quando si addormenta, ma alla fine la stanchezza prende il sopravvento e Ziva, durante la notte, si appoggia al letto e, pur tentando di resistere, chiude inevitabilmente gli occhi.

Ci sono le prime luci dell’alba che invadono la stanza, penetrando le finestre, quando Tony si sveglia.

Lentamente, sentendo che gli costa un enorme sforzo fisico, focalizza l’attenzione su dove si trovi e su come si senta, incerto sulla prima e sicuro di essere morto per la seconda. Gli ci vogliono parecchi secondi prima di sentire la sua mano come bloccata e circondata da un calore estraneo, ma piacevole. Sposta piano lo sguardo finché i suoi occhi si posano sulla figura addormentata di Ziva, sulla sua mano che stringe la propria e, potrebbe quasi giurarlo, sulle sue guance dove ci sono dei residui di lacrime.

È questo dettaglio a far concretizzare l’idea che stia sognando o delirando, ma decide di non pensarci e di godersi solo quel calore, sprofondando nuovamente nel sonno osservando la figura di Ziva, esattamente come quando ha aperto gli occhi.

 

 

È mezzogiorno quando, infine, Tony riesce a svegliarsi davvero e a chiamare il suo nome. L’urlo di risposta di Ziva gli risuona fin dentro le tempie, neanche l’avessero preso a martellate, ma la sua espressione di sollievo è qualcosa che difficilmente dimenticherà.

I dottori, dopo aver eseguito altre analisi e confrontato i valori, sono soddisfatti di poter comunicare a Tony che, pur dovendo fare una terapia riabilitativa, non si trova più in pericolo di vita.

Date le condizioni dei polmoni di Tony e il loro non tempestivo intervento, qualcuno parla perfino di “miracolo clinico”; Ziva lo osserva dalla vetrata e ricorda tutte le preghiere che ha detto, che gli altri hanno detto ma dentro di sé sa che i miracoli non c’entrano niente: Anthony DiNozzo, semplicemente, non può essere ammazzato così facilmente.

Uno sguardo fiero di Gibbs basta per Tony ad esprimere tutto quello che il suo capo sta provando, l’abbraccio di Abby è sufficiente a fargli mancare nuovamente il respiro e le espressioni felici di Mcgee e Ducky dicono tutto quello che ha bisogno di sentire.

«Il direttore Vance ti manda i suoi saluti.» dice Mcgee.

«È stato qui stamattina.» replica prontamente Gibbs, conoscendo bene l’affetto reale che Leon ha iniziato ormai a provare verso di loro.

Uno per uno, tutti salutano Tony e tornano verso le loro case, felici di potersi coricare con l’animo sollevato e contenti di riavere presto tra loro l’Agente Molto Speciale Anthony DiNozzo.

È, ovviamente, Ziva l’ultima ad essere rimasta con lui.

Mentre stanno parlando del più e del meno, nonostante le difficoltà che Tony ha ancora nel respirare, tutto d’un tratto il suo viso si fa serio e fissa Ziva, scacciando l’insistente voglia di accarezzarla.

«Grazie.»

Dovrebbe ringraziarla per fin troppe cose: per essergli rimasto sempre accanto, perché Tony l’ha sempre avvertita vicino a sé, anche nell’incoscienza; per non avergli permesso di lasciarsi andare, perché in tutti i suoi sogni o dormiveglia c’era sempre Ziva a rassicurarlo, minacciandolo di ucciderlo se si fosse permesso a morire.

«Non ho fatto niente.»

«Non puoi neanche capire quanto ti sbagli.»

«Spero che tu non avessi davvero creduto di andartene.» dice lei, tentando di smorzare la tensione, quella che sempre si crea quando Tony la fissa in quel modo.

«L’unico posto dove voglio stare è qui.» risponde lui, poggiando la mano su quella di Ziva, esprimendo ben più di quanto le parole dicano.

Ziva stringe la sua mano e reprime il desiderio di abbracciarlo – perché ora Tony sta bene.

Mentre sta per uscire dalla stanza – Tony ha insistito che andasse a dormire perché ormai si è totalmente ripreso -, Ziva finalmente oltrepassa quella porta senza sentire più quel peso allo stomaco.

«Buonanotte.»

«A domani, Ziva.»

Lei sorride, nascondendo gli occhi leggermente lucidi, perché domani non è più soltanto una speranza a cui aggrapparsi, ma una certezza di cui gioire.

«A domani, Tony.»

 

 

 

 

 

 

 

Fine.

Non so mai come iniziare le note di una storia, benché abbia sempre qualcosa da dire! Dunque, intanto questa è la prima storia che scrivo su Tony e Ziva (prevedo la prima di una lunga serie u.u) e nasce dalla richiesta di una mia amica, che voleva leggere un momento in cui Tony stava molto male (come nell’episodio della Seconda stagione) ma con Ziva al suo fianco: siamo idealmente nella 10° stagione come linea temporale.

Giustamente dopo la peste polmonare, perché non mandargli l’antrace? XD che, riguardando casualmente l’episodio, ho scoperto che è proprio la prima cosa a cui pensava Tony!

Precisazioni sui nomi che ho usato: Robert Koch fu lo scopritore del batterio dell’antrace nel 1877, ho voluto utilizzare il suo nome per collegarlo alla storia; Bruce Edwards Ivins si è reso davvero colpevole di attacchi bio-terroristici, sfruttando l’antrace, come ho detto nella fic. Gli altri due – Nora e Leonard – sono presi puramente a caso.

La storia è volutamente scritta utilizzando due tempi verbali: l’inizio e la fine al presente, con in mezzo il racconto al passato.

Infine, il verso che divide la storia è preso dalla bellissima canzone “Point Blank” di Bruce Springsteen.

Finite le mie (inutili) divulgazioni, spero tanto che la storia vi sia piaciuta e spero che vorrete farmi sapere la vostra opinione con una recensione *_*

Ne sarei davvero felice!

Un bacio,

 

 

 

EclipseOfHeart

 

   
 
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