Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club
Segui la storia  |       
Autore: BlueOneechan    08/02/2015    3 recensioni
Credevano che l’arrivo di un bambino non avrebbe influenzato i loro destini, che sarebbero restati insieme per sempre. Ma sono già passati otto anni da quando Haruka è rimasto solo col piccolo Sakura.
Il tempo passa, ma il ricordo di Rin è ancora vivo.
Così come le ferite.
[HaruRin / Sakura Nanase/ Mpreg]
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka
Note: Traduzione | Avvertimenti: Mpreg, Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avviso:
Questa storia è ispirata alle light novel High Speed! e High Speed! 2 di Koji Oji; a Free!, 
Free!Eternal Summer e al restante materiale ufficiale prodotto da Kyoto Animation.
I personaggi e l’idea originale non mi appartengono.
La seguente  fan-fiction è scritta senza scopo di lucro.

==========00000==========

 

QUANDO PIOVONO LE STELLE
CAPITOLO 1

Haruka cacciò un breve sbadiglio, socchiudendo gli occhi ancora assonnato, camminò verso la finestra della propria camera, quella che dava su una splendida vista della baia. S’affacciò col muso di fuori per sentire il fresco vento autunnale accarezzargli il viso, un brivido gli sfiorò la schiena. Osservò per un attimo il mare; anche se i giorni tornavano a farsi più freddi, l’acqua continuava a fingere di essere tranquilla. Chiuse la finestra e diede un’altra occhiata alla sveglia sul comò; mancavano ancora quindici minuti alle sette.

Con passo lieve, Haruka raggiunse il bagno, si spogliò e si buttò sotto la doccia, chiudendo gli occhi per sentire il leggero e caldo liquido scendere dalla testa per tutto il corpo. La sensazione non era paragonabile al piacere di immergersi nella vasca da bagno, gli mancavano quei giorni in cui poteva passare ore immerso nell’acqua. Ma in questi anni Haruka semplicemente non aveva abbastanza tempo –né era la priorità – di trovare uno spazio nell’arco della giornata per goderne.

Fu una doccia veloce. Si asciugò e si vestì con un completo comodo e caldo per i giorni freddi. Quando uscì nel corridoio diede uno sguardo all’orologio; erano già le sette, aveva qualcuno da svegliare. Così salì le scale ed entrò in quella che, anni prima, era stata la propria camera; schivò un paio di giocattoli sul pavimento e si avvicinò al letto, allungò la mano per scuotere il corpicino avvolto tra le lenzuola.

— Sakura, sono le sette — lo richiamò Haruka con gentilezza — È ora di alzarsi. 

Le labbra sottili di un bambino di otto anni si aprirono per cacciare uno sbadiglio, mentre le sue braccia si stiracchiavano goffamente tra le lenzuola. I capelli rossi erano arruffati sopra la fronte, coprivano per un attimo gli occhi che iniziavano ad aprirsi.

— Buongiorno, papá. — disse il bambino ancora assonnato, specchiando i suoi occhi azzurri in quelli di Haruka. Balzò in piedi dal letto, un po’ impacciato perché mezzo intorpidito, e si ritrovò con la coperta ai suoi piedi. Dalla sua nuova posizione, depositò con affetto un bacio sulla guancia di suo padre.  Lo faceva ogni qualvolta si svegliava, e Haruka non poteva evitare abbozzare un lieve sorriso sulle sue labbra.

C’era una differenza di quasi ventitré anni tra Haruka e Sakura. Il piccolo era nato in un giorno di primavera, quando i ciliegi erano nel loro pieno splendore, i giorni erano soleggiati e si avvicinava l’estate. Quelli erano stati tempi d’oro, quando viaggiava per il mondo, saliva sul podio e riceveva innumerevoli medaglie per i suoi successi nel nuoto. Furono giorni nei quali Haruka era capace di competere e sfidare, così come di incoraggiare e amare chi aveva al suo fianco. Quando Sakura nacque, por un breve periodo, il suo mondo fu perfettamente completo.

Haruka cucinava sempre la parte principale del pranzo la sera prima, così la mattina mentre suo figlio si vestiva nella propria stanza, lui finiva di preparare il bento per entrambi. Faceva parte della routine che aveva preso da quando Sakura era entrato alle elementari. Poi, facevano colazione insieme e guardavano la televisione per qualche minuto; andavano al bagno, si lavavano i denti e infine si preparavano per uscire di casa.

— Fa freddo! — esclamò Sakura una volta fuori di casa, sfregandosi le mani nel mentre smuoveva i piedi.

— Vieni, mettiti questo — disse Haruka, avvolgendo una sciarpa attorno al collo di suo figlio.  —Va meglio adesso? 

— Sí! 

Nel periodo autunnale il vento era più forte e freddo del solito, a volte dovevano chiudere gli occhi e la bocca, soprattutto quando camminavano lungo la costa. Sakura affondò il viso nella sciarpa e si attaccò ancora di più al corpo di suo padre in cerca di protezione. A mani giunte, entrambi si avviavano verso la scuola.

— Dopo la scuola andrò al club. — gli annunciò Sakura.

— In queste ultime settimane sei stato più motivato del solito. 

— È perché l’allenatore ha iniziato a dire che sono il più veloce di tutti nel club. Ma voglio essere molto più veloce, ecco perché devo continuare a nuotare — aggiunse il bambino sviando lo sguardo verso i suoi piedi, attento ai prossimi passi che doveva compiere.

— Mentre basterebbe solo che sentissi l’acqua… — commentò con  la voce in un sussurro che sfumava nel vento e lo sguardo perso verso l’orizzonte. Sakura lo guardò in silenzio, osservando come la malinconia si appropriava degli occhi di Haruka.

Le porte della scuola Elementare di Iwatobi erano già aperte e un numero imprecisato di piccoli alunni entravano di corsa nell’edificio, cercando riparo dal vento che sembrò farsi più forte in quel punto. I rami degli alberi, ormai quasi senza foglie, frusciavano tra di loro emettendo sonori scricchioli; né c’erano fiori, solo arbusti sempreverdi che mai si arrendevano al cambio delle stagioni.

Haruka cacciò un sospiro. La vista attuale della scuola, il vento e le foglie secche, gli evocavano un senso di nostalgia per i suoi giorni da studente, quando si recava la mattina insieme a Makoto e la sua maggiore preoccupazione era come evitare le insistenze di un certo bambino dai capelli rossi ossessionato dalle staffette.

Erano passati quasi vent’anni da allora. Adesso le cose erano così diverse…

— Comportati bene. Stai attento in classe e non parlare quando la maestra sta spiegando, va bene? — disse Haruka nel mentre si chinava a ordinare una ciocca rossa dalla testa di suo figlio.

— Va bene! E tu non fare tardi quando mi vieni a prendere al club questo pomeriggio, va bene? — rispose Sakura imitando suo padre, aggiustandogli l’ultimo bottone della giacca.

— D’accordo. — sorrise Haruka. Diede un paio di pacche sulla testa del bambino e poi lo vide entrare correndo a scuola insieme ai suoi compagni.

L’ora del pranzo del secondo anno delle Elementari Iwatonbi era un momento di tranquillità e divertimento; i bambini cacciavano i loro piccoli e colorati bento e li posavano sopra il banco.
Oggi era il Giorno delle Verdure, così la maestra passava per l’aula assicurandosi che tutti i pasti ne contenessero una grande quantità.

Il bento di Sakura era blu con dei delfini stampati sopra, gliel’aveva dato suo padre un po’ di tempo fa. Dentro c’era mezzo pezzo di sgombro e una gran varietà di verdure perfettamente ordinate, per il quale ricevette un complimento dalla maestra; in caso contrario, lei avrebbe telefonato con discrezione a Haruka e lo avrebbe sollecitato a comprendere il fabbisogno alimentare di cui hanno bisogno i bambini delle elementari. Questo era successo un paio di volte, quando Haruka aveva la testa da un’altra parte e si confuse nel preparare il pranzo.

— Anche oggi quel pesce! — esclamò un bambino notando ironico il pasto del rosso. Il suo nome era Aiko Aihara e dal primo anno era compagno di banco di Sakura. Litigavano tutto il tempo, a volte finendo per piangere, ma stranamente finivano sempre per cercarsi l’un l’altro.

— Sakura-chan, non ti annoi a mangiare questo tutti i giorni? — gli domandò una bambina, Sora Minami. Si era trasferita da Tokyo da alcuni mesi e la maestra aveva chiesto a Sakura di aiutarla ad ambientarsi in classe; il bambino aveva accettato con riluttanza, ma finalmente avevano finito per essere amici.

—E’ sgombro e a me piace — dichiarò Sakura accigliandosi, poi inarcò un sopracciglio e sorrise sornione —Il mio papà è il migliore nel cucinare lo sgombro. Scommetto che nessuno dei vostri papà conosce così tante ricette come il mio! 

—Il mio papà non sa cucinare — rispose Sora penseriosa.

—Nemmeno il mio. 

— Sì! Vedete? Il mio è il migliore! Lui può fare tutto! — esclamò Sakura con entusiasmo, chiudendo gli occhi e battendosi il petto con orgoglio. Al suo fianco, Aiko lo osservava con gli occhi sgranati, un segno di domanda marcava la sua espressione:

— Ma, questo è perché tu non hai la mamma, vero, Sakura-chan

Quelle parole sgonfiarono l’orgoglio di Sakurra; non lo faceva star male sentire la verità, quanto il sentirsi diverso dal resto dei suoi amici. "Sí ho la mamma, ma dorme in cielo"  furono le parole che attraversarono in silenzio la mente di Sakura. E anche se Aiko e Sora si distrassero e il tema della conversazione cambiò subito, il piccolo restò in silenzio e non volle partecipare alla chiacchierata per un bel po’.

 

Iwatobi DolphinS era rinomato per essere uno dei maggiori negozi dedicati al materiale da bricolage e giardinaggio della città. Riceveva centinaia di clienti al giorno. Molti anni fa, Haruka e i suoi amici vi si erano recati varie volte per comprare il materiale per riparare la piscina della scuola; era in quel posto dove Haruka si spogliava e cercava di entrare negli acquari, facendo innervosire Makoto e provocando le risate di Nagisa. Adesso, da cinque anni, Haruka era uno dei migliori commessi di DolphinS.

— Nanase-san, che gliene pare di questo colore? È per la cameretta dei miei nipoti — chiese una signora anziana mostrando la palette di colori che pendeva a parete.

— Le consiglio questo altro colore. Potrebbe combinarlo con quest’altro, anche.— disse Haruka, segnalando un tono bluastro.

— Ah, ma il blu è per i maschietti è uno dei bebè è una bambina. Sono gemelli, guardi — disse la donna cacciando dalla propria borsa una fotografia e mostrandola con orgoglio a Haruka. Sopra si vedevano un paio di bebè all’incirca di cinque mesi, con copertine azzurre e rosa per differenziarli.

— Siete una nonna fortunata — commentò ammirando la fotografia. Non poté evitare di abbozzare un sorriso; quell’immagine gli ricordava i tempi in quei era solito passare ore contemplando il suo bebé. Sakura era incantevole allora.

— Sono la donna più felice del mondo! — esclamò contenta la signora — Anche se sarà complicato; mio figlio e la sua fidanzata studiano all’università, così mi occuperò io dei due bambini. Non voglio che diventando genitori debbano rinunciare ai loro sogni. 

— Sarebbe un peccato… — disse in un borbottio, avvertendo un lieve sapore amaro in gola.

Anche se erano già passati otto anni, i ricordi restavano dolorosamente vividi. Quella telefonata mentre gareggiava in Europa, quando ascoltò attonito come con voce tremante gli annunciava tra le lacrime che le cose avevano raggiunto il limite e che il bambino sarebbe stato accudito da Makoto e Gou finché Haruka non sarebbe ritornato a Tokyo. Nonostante cercò di risolvere il problema, nessuno dei suoi sforzi funzionò. Trascorse due anni vivendo nella capitale, sopravvivendo con l’aiuto economico dei suoi genitori mentre accudiva Sakura, mentre, frustrato, cercava di andare avanti con la sua carriera di nuotatore. Ma ogni sforzo fu inutile. Haruka si ritirò e tornò a Iwatobi con suo figlio tra le braccia, il cuore spezzato e i sogni infranti.

Ora Haruka continuava da DolphinS, con lo stesso lavoro che aveva ottenuto appena tornato a Iwatobi. Gli c’era voluto un po’ di tempo per abituarsi all’idea di passare dalle competizioni internazionali a un lavoro ripetitivo in una piccola città, ma si era visto costretto a farlo per il bene di suo figlio. Non era affatto pentito di quel sacrificio, tutto il contrario, la sua felicità dipendeva assolutamente dal benessere di Sakura.

— E mi dica, Nanase-san,avete un figlio, vero? — domandò l’anziana.

— Sí, ne ho uno, piccolo. È il mio bene più prezioso . 

Le lezioni di nuoto di Sakura si tenevano due volte a settimana, ma Goro Sasabe, il proprietario del club di nuoto, gli permise di andare quando voleva. Haruka non aveva dato divieti a suo figlio, gli permetteva di andare a nuotare sempre bastava che non percorresse da solo il tragitto dalla scuola al club, alla fine dei conti, Sakura aveva solo otto anni e, secondo Haruka, era ancora molto piccolo per camminare da solo per le strade. Ma per fortuna di Sakura, Aiko abitava molto vicino al club, così dopo la scuola era abituato ad appoggiarsi alla madre del suo amico per accompagnarli alla piscina.

Sakura era molto socievole ed estroverso. Parlava durante tutto il cammino verso il club e continuava durante le lezioni di nuoto. Chiudeva la bocca solo quando entrava in acqua e passava da un estremo all’altro della piscina, ma quando risaliva in superficie ricominciava a parlare, vantandosi della sua velocità e insistendo con chi dei suoi compagni volesse sfidarlo.

— Sei proprio uguale a tua madre, Sakura! — Goro rideva divertito, in piedi su un lato della piscina; anche se era abbastanza vecchio, continuava a seguire attivamente la formazione dei suoi piccoli nuotatori.

Dopo le parole dell’allenatore, Sakura storse appena la bocca e poi non disse altro.
Aveva provato centinaia di volte con Goro di parlargli di sua madre, ma l’uomo finiva sempre per evitare, sviando la conversazione, lasciando il piccolo pieno di domande. L’unica risposta di Goro era  "se vuoi sapere di tua madre, devi chiederlo a tuo padre",  lasciando Sakura ardere di irritazione.

Quando le lezioni di nuoto finirono, Sakura guardava impaziente l’ingresso del club. Camminava da un lato all’altro, parlava coi bambini che incontrava al suo passaggio e osservava i portachiavi di animali marini appesi alla scrivania della reception. Di queste possedeva la collezione completa dopo aver insistito tanto con Goro per averli, che stremato, accettò; il suo preferito era un delfino rosa che portava sempre attaccato allo zaino.

—Papá! — gridò con entusiasmo quando vide Haruka avvicinarsi in direzione delle porte di vetro. Si lanciò tra le braccia di suo padre non appena lo vide attraversare la soglia della reception.

— Mi dispiace, Sakura. Ho tardato di alcuni minuti. — si scusò Haruka prendendo in braccio il figlio.

— Non importa. — il bambino mosse la testa da un lato all’altro con un enorme sorriso, allungando le braccio attorno al collo del padre in attesa del prossimo movimento che già conosceva a memoria: Haruka si girava verso la parete, dove erano appesi tutti i ritratti dei membri passati e attuali del club, dava una rapida occhiata alle foto, e poi avrebbero lasciato il club. Si trattava di una routine che Haruka eseguiva ogni volta che entrava lì dentro e anche stavolta non fece eccezione.

Sakura aveva notato questo strano comportamento già da tempo, era come se Haruka si assicurasse che le fotografie stessero in ordine, che nessuna soverchiasse o mancasse. Aveva domandato a suo padre cos’era che cercava tanto, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. E quando Sakura si prese il disturbo di osservare una per una tutte le fotografie, non aveva scoperto nulla che richiamasse la sua attenzione; c’erano solo ritratti di gente sconosciuta, e quelle che richiamarono la sua attenzione erano una di Haruka insieme a Makoto, Nagisa e Rei al campionato nazionale studentesco, e un paio di Haruka con medaglie internazionali.

Durante la strada verso casa, il vento aumentava, spingendo con forza dietro le schiene, mentre l’aria si faceva sempre più fredda.

Haruka aveva aggiustato la sciarpa di Sakura, ma lui non la smetteva di lamentarsi per il freddo; protestava perché le sue orecchie erano gelate e perché si sarebbe preso un raffreddore, era sul punto di iniziare a piangere esclamando che non poteva nuotare mai più. Haruka sospirò rassegnato e storse la bocca di lato; Sakura era così esagerato e melodrammatico, che Goro aveva ragione quando diceva che era uguale a una certa persona.

— Cambiati e mettiti a letto. — gli ordinò Haruka una volta arrivati a casa.

— No, prima devo fare un bagno —disse il piccolo lasciando il suo zaino in un angolo.

— Per caso non hai detto che ti sentivi di avere il raffreddore? Va’ in camera tua. Ti porterò del latte caldo — concluse Haruka con fermezza mentre si avviava verso la cucina. Poi ridacchiò appena sentì i passi di suoi figlio mentre saliva le scale. Sakura era troppo impulsivo.

Il piccolo entrò nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Era infastidito perché non poteva farsi un bagno, ma era anche convinto che un piccolo raffreddore avrebbe potuto porre fine alla sua carriera di nuotatore. Si tolse i vestiti subito e indossò il suo pigiama coi disegnini; si chinò sotto il letto per raccogliere un quaderno e una matita che conservava lì, poi si mise tra le comode e calde lenzuole del suo letto.

Il quaderno che Sakura teneva tra le mani era logorato dall’uso. Sulla copertina c’erano degli adesivi di bollicine e stelle e nel mezzo una grande luna con un delfino rosa accanto. Era come se avesse ricreato un cielo connesso col mare.

Aprì il quaderno e andò avanti tra le pagine fino all’ultima scritta. Posizionò correttamente la matita blu tra le sue piccole dita, cominciando a sporcare il foglio con la sua scrittura infantile.

— Ciao, mamma — sussurrò Sakura. Le parole che pronunciava erano le stesse che scriveva sul quaderno —  A scuola mi comporto bene. Ho fatto tutti i compiti. La maestra non mi ha sgridato per aver parlato in classe — Fermò la mano per un attimo, dubbioso. Sapeva usare l’hiragana, ma faceva errori di ortografia e aveva problemi nello scrivere frasi complesse — Mi hanno detto un’altra volta che non tengo la mamma. É stato Aiko-chan, ma non mi importa. Lui non sa che parlo tutti i giorni con la mia mamma. 

Sakura si fermò un’altra volta. Volse lo sguardo verso l’esterno e osservò dalla finestra il buio della notte che stava per iniziare. Il silenzio della casa amplificava il suono del vento che colpiva la finestra. Le stelle poco a poco sparivano tra le nubi che attraversavano il cielo.

Pare faccia freddo lassù — disse Sakura in un sussurro cacciando un sospiro, poi scrisse sul quaderno — Non ci sono più stelle. Se hai paura, vieni a dormire da me. Papá e io ci prenderemo cura di te. Ti voglio bene, mamma.

La matita di lato, il quaderno chiuso, un dolce sorriso e un tenero bacio posato sulla copertina del quaderno.

Haruka entrò di proposito dopo aver assistito alla scena da fuori la cameretta, attraverso lo spiraglio dato dalla porta socchiusa. Abbozzò un sorriso che dedicò a suo figlio e entrò per avvicinarsi a dargli un bicchiere di latte caldo appena fatto.

— Stavo parlando con mamma — gli disse Sakura mettendo da parte il quaderno — Le ho detto di scendere a dormire con me. Le nuvole stanno coprendo la luce delle stelle, in più fa freddo e potrebbe prendersi il raffreddore. —

— I fantasmi non prendono il raffreddore, Sakura — dichiarò Haruka con tono scherzoso, sedendosi sul letto accanto al figlio—. E mamma non era affatto debole, infatti, quasi mai prendeva un raffreddore. Non aveva nemmeno paura del buio. —

— Davvero? Mamma è forte e coraggiosa, è perfetta! — esclamò  Sakura spalancando gli occhi meravigliato — Scommetto che era anche molto bella. —

—Sì, lo era — rispose Haruka serafico.

—E che altro? Dimmi di più sulla mamma. Tu non mi racconti nulla e io voglio sapere tutto. 

— Nuotava. —

— Questo lo so! Che altro? —

— Piangeva per tutto, come te. 

— Ah?! Io non sono un frignone! —

— Oggi hai quasi pianto per un raffreddore. — ricordò Haruka con uno sguardo un po’ beffardo. Sakura si accigliò infastidito —Era uno scherzo Saku. Non prendertela —Si chinò verso suo figlio lasciandogli un lieve bacio sulla fronte —Vado a farmi un bagno. Faccio subito così ti aiuterò coi compiti. —

"I fantasmi non prendono il raffreddore" si ripeté Haruka in mente mentre lasciava la stanza del figlio. Si odiò per continuare ad alimentare una bugia. "Forte e coraggiosa, eh?" si domandò in silenzio con rabbia crescente.

Quando entrò nella propria camera, aprì l’ultimo cassetto dell'armadio dove custodiva dei documenti importanti che a Sakura era assolutamente proibito guardare. Lì, tra tante cose, Haruka custodiva una fotografia; era rovinata dalle tante volte che l’aveva accartocciata con rabbia, gettata via, e tornato a raccoglierla. Era una foto di Sakura, quando aveva due mesi, avvolto in una copertina rosa , stretto tra le forti braccia di sua madre, quel ragazzo dallo sguardo triste scomparso otto anni fa .

— Non ti perdonerò mai, Rin. —

Haruka appallottolò la foto un’altra volta con rabbia e la lanciò contro il muro. Anche se voleva nasconderlo, la ferita nel suo cuore, era ancora aperta.

==========00000==========

 

A metri d’altezza sopra la capitale, un aereo cacciava le ruote per iniziare l’atterraggio. Il viaggio da Sídney era lungo e anche se i passeggeri erano stanchi, la realtà era chetutti erano molto ansiosi di mettere piede sul suolo giapponese. Tutti tranne un uomo che sentiva un turbine di ricordi tormentargli la testa. Non voleva scendere dall'aereo, in più si era pentito del viaggio, ma ormai era troppo tardi e non poteva più tornare indietro. Doveva accettare che adesso si trovava in Giappone e distava solo poche ore da Tokyo, la città dove pensava vivessero Haruka e il bambino che aveva abbandonato. Così si tranquillizzò quando l’aereo atterrò, perché era sicuro che a Iwatobi non si sarebbe imbattuto in nessuno dei suoi ricordi…

Almeno era quello che Rin si sforzava di credere. Ma lui non sapeva che, nel comprare quel biglietto aereo, si era aggiudicato anche un modo per tornare al suo passato e a tutte le cose ancora irrisolte.

Continua…

 

Note dell’autrice: Questa storia aspetta le vostre recensioni! Grazie mille per aver letto!

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club / Vai alla pagina dell'autore: BlueOneechan