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Autore: Mannu    08/02/2015    0 recensioni
C'è chi butta via qualsiasi cosa senza starci a pensare nemmeno un minuto; c'è chi non riesce a buttare via nemmeno uno spillo. Ma c'è anche chi butta via una stazione spaziale! Quando la discarica si chiama Giove bisogna assicurarsi di aver preso davvero tutto prima di staccare la corrente e andarsene... La prima avventura solitaria (e involontaria) di Spyro con un ospite davvero inatteso.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ferraglia spaziale'
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Cinque secondi per Spyro
5.

Era al caldo nell'abitacolo della cimice quando successe. Aveva lasciato Morgan alla console col compito di continuare a trasmettere col radar e si era appena riscaldato un po' quando il sedile di pilotaggio si mosse sotto di lui. Era Jenny's Folly che aveva ondeggiato sensibilmente. Era la terza volta che la vecchia piattaforma si faceva sentire, ma per la prima volta s'era udito un colpo di quella potenza seguito da una palese oscillazione di tutta l'installazione.
Deve essersi staccato un pezzo tutto d'un tratto, si disse pensando alla tensione cui le strutture erano sottoposte a causa della gravità gioviana. Assicuratosi che ci fosse ancora atmosfera nel corridoio del molo, corse da Morgan. Forse lui ne sapeva di più. Lo trovò che si precipitava fuori della sala di osservazione dalla cui porta aperta usciva un gelo formidabile.
- Che cosa è successo?
- Direi che siamo stati colpiti ma non ho capito né dove, né da cosa.
- A me è sembrato che si sia staccato un pezzo. La console?
- Funziona tutto... quel poco che vedo da lì, almeno – Morgan si precipitò giù dalla rampa nell'hangar, diretto ai pannelli di controllo dei portelloni a tenuta stagna. Se ci fosse stata una perdita di atmosfera da lì se ne sarebbe accorto. Si voltò a fargli un cenno, il pollice alzato. Tutto bene per il momento. Se il sistema di controllo ambientale dell'hangar avesse rilevato una consistente perdita di atmosfera avrebbe tentato di isolare l'ambiente chiudendo le paratie. Meglio essere altrove in quel momento. Morgan era giunto a circa metà della rampa quando il suo blaterare a proposito di una decompressione fu interrotto dal frastuono di un clacson. In molti punti dell'hangar si accesero lampeggiatori gialli.
- Decompressione! - esclamò lui, precipitandosi verso il vicino portello stagno. Non appena Morgan ebbe attraversato la soglia, calò con rapidità e decisione la mano sul pulsante a fungo che comandava la chiusura di emergenza. I due battenti si incontrarono con un tonfo che pose fine al rantolo sofferente dei motori e i cilindri idraulici, ben visibili, si tesero come muscoli d'acciaio garantendo la tenuta stagna del portellone.
- Ma che decompressione! - lo aggredì subito, sventolando la mano con le tozze dita serrate a carciofo.
- Sentiamo cos'hai da ridire, stavolta! - lo aggredì. Non ne poteva più.
- Jenny's Folly è stata progettata almeno trent'anni fa... ai tempi si usava ancora segnalare il funzionamento della camera d'equilibrio con un segnale sonoro, oltre che uno visivo. Questo perché trent'anni fa le camere d'equilibrio non erano affidabili come quelle attuali, genio!
A quel punto non aveva più importanza se Morgan aveva ragione oppure no. Si voltò verso la serratura cercando di capire se al di là del portellone stagno chiuso in emergenza ci fosse ancora aria da respirare o no.
- Che cosa cerchi di fare, ora? - lo incalzò Morgan.
- Cerco di capire cosa sta succedendo. Se ci fosse una telecamera...
- Non la trovi certo lì, la telecamera... come te lo devo dire che questo posto è vecchio?
Tornarono alla console e da lì cercarono di collegarsi al sistema delle telecamere a circuito chiuso. Erano certi che ce n'erano in abbondanza: le vedeva anche lì, intorno a loro. Per qualche ragione incomprensibile non le avevano smontate e portate via. Per il pirata panciuto erano troppo in alto, ma per chi aveva smontato apparecchiature, mobili, pareti divisorie e tutto il resto, non lo erano di certo. Pensando che una telecamera è pur sempre un oggetto di qualche utilità si avvicinò a una di esse, incuriosito. Si accorse subito di qualcosa di sbagliato. Aguzzò la vista e poi tese una mano. Ci arrivava quel tanto che bastò a togliere un po' di polvere con la punta delle dita.
- Lascia perdere le telecamere, è fatica sprecata.
- Perché? - volle sapere quello, sorpreso.
- Questo posto è vecchio, no? I cavi sono coassiali.
Sul viso di Morgan apparve un'espressione indecifrabile, a metà fra lo sgomento e lo sconforto. Doveva essere l'effetto che gli faceva non riuscire ad avere l'ultima parola dopo essersi visto ritorte contro le sue stesse battute. La telecamera, e presumibilmente tutte le altre a bordo della piattaforma, erano ancora analogiche e molto probabilmente del tutto indipendenti dal sistema informatico di bordo.
- Che taccagni incompetenti... tutto questo tempo con telecamere analogiche... - si alzò in piedi, abbandonando la console.
- Vado a vedere. Magari sono i miei soci.
Gli tenne dietro, temendo che fosse davvero così. Era il momento della resa dei conti: era molto probabile che fossero i complici del panciuto saccheggiatore di stazioni abbandonate. Non gli piaceva ammetterlo, ma erano la sua sola speranza di uscire da quel guaio e, ora che quella possibilità sembrava d'un tratto divenire concreta, non gli sembrava più così disdicevole salire a bordo di una nave di criminali. Se fosse riuscito a salirci, ovviamente.
Col cuore accelerato osservò il movimento dei cilindri idraulici che bloccavano la porta, in grado di esercitare qualche quintale di pressione ciascuno nei pochissimi centimetri della loro corsa. Poi fu la volta dei motori che animavano le due semiporte, della loro sofferenza meccanica dovuta alla prolungata assenza di manutenzione. Quando l'apertura fu completa cercò di gettare uno sguardo dentro l'hangar alla ricerca di cambiamenti, di pericolo. Non ne trovò. Seguì Morgan che si dirigeva verso la rampa alla sinistra, per scendere nell'hangar. Quando lui si bloccò di colpo andò a sbattere contro la sua schiena. Fu allora che si rese conto di quanto era grande l'innesto cibernetico che quello si portava attaccato alla spina dorsale. Aveva ragione Miki: suo malgrado, quel breve contatto con la protesi di quel pancione lo disturbò.
E quasi non si accorse della tuta. Stava lì, in cima alla rampa. Era una vecchia tuta leggera, arancione e bianca, sporca e consumata, con le giunture a soffietto e la visiera riflettente. Aveva la pulsantiera sul petto e un ingombrante zaino di supporto vitale appeso alla schiena. Un modello piuttosto datato: perfino il casco presentava pericolosi segni di usura, visibili a occhio nudo. Mentre la osservava cercando di trovare un indizio qualsiasi, il grosso guanto con la punta delle dita rigide per i rinforzi salì alla pulsantiera e toccò un tasto. Dopo diversi secondi la visiera scattò e si aprì.
Un viso scurissimo, il bianco degli occhi che spiccava. Un sorriso abbagliante si distese lentamente. Zarha.
- Che due bei maschioni, come sono fortunata. Venite con me?
   
 
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