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Autore: Angelika_Morgenstern    09/02/2015    3 recensioni
[Canzoni]
Dal diario di Markus:
"Mio nipote Klaus ha indubbiamente preso di me, guarda sempre le montagne.
Dio mi perdoni per ciò che sto per dire ma sono quasi contento che la natura non gli abbia donato delle gambe sane.
Diversamente la storia si ripeterebbe.
Farebbe ciò che ho fatto io in passato."
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. La fine della storia
 
“Quanto smarrimento
d’improvviso dentro sé
quello che solo un uomo senza donna sa che cos’è
e allungò i suoi rami per toccarla.”
Favola – Eros Ramazzotti
 

— Ei. Ei, svegliati!
Nonostante non vedesse ancora nulla, capì: qualcuno doveva aver trovato la ragazza, agitandola tra le sue radici per svegliarla, per questo si sentiva smuovere.
Eppure... eppure... sento tanto caldo.

C'è un incendio?
Improvvisamente avvertì il mondo capovolgersi, il suo fusto era morbido e i suoi rami piegarsi e ciondolare morbidi — Ragazzo, vuoi svegliarti? Avanti!
...ragazzo?
Markus credette di sognare quando aprì gli occhi e si rese conto di guardare gli alberi da un'altra angolazione, molto più bassa rispetto ai suoi canoni.
Era steso a terra e credette di essere stato tagliato via dalle sue radici, ma non poteva essere, non avvertiva nessun dolore lancinante.
Inoltre l'avevano chiamato ragazzo.

Era confuso.

— Finalmente hai aperto gli occhi! Ce la fai ad alzarti? – domandò la voce della ragazza, sempre lei, che ora gli sorrideva preoccupata.
Avvertì il suo corpo indolenzito ed un torpore nuovo che si era impadronito delle sue membra, portandogli alla mente ricordi passati di quando si svegliava nel suo letto con la febbre e dolori ovunque.

Fece per muovere gli occhi ed invece si rese conto che il suo sguardo aveva angoli più ampi da esplorare: stava muovendo nuovamente la testa.
Le ossa del collo produssero un secco scricchiolio, abbassò il capo e poté guardarsi di nuovo il torace, non riconoscendo quel corpo da giovane uomo che aveva adesso.
Provò a puntare le braccia per alzarsi in piedi ma queste cedettero subito, facendolo cadere sui gomiti.

— Stai attento, potresti farti male!– esclamò lei, preoccupata.
Adesso Markus poteva guardarla meglio e sentì un calore sul viso: quella ragazza era davvero carina.

— Come ti chiami?– gli chiese.
Il ragazzo aprì bocca per parlare ma non uscì nessun suono, avvertendo ad un tratto la gola secca ed una sete improvvisa.

— Dai, non preoccuparti. Adesso stenditi, sembri molto stanco. Ma da dove sei sbucato, mi domando.
La ragazza aveva la strana certezza di aver trovato una persona a lei famigliare e Markus si sentiva felice: rivedeva dopo tanti anni il mondo dalla sua angolazione naturale, quella che aveva tanto rimpianto e desiderato negli ultimi tempi.
Poteva girarsi e muoversi, seppur con molta cautela visto il troppo recente recupero delle originarie funzioni vitali. Era rinato.
Non riusciva ancora a parlare ma cercò comunque di schiarirsi la voce, sforzandosi di urlare per farla uscire.
D'improvviso riuscì a produrre un flebile suono, quasi impercettibile, e la ragazza sembrò felice — Evviva, allora non sei sordomuto, puoi parlare!
Lui la guardò stupito: perché mai una persona era così contenta per questo?
Neanche sapeva che lui era quell'albero al quale aveva parlato per giorni, confidandogli a poco a poco frammenti della sua vita che gli avevano permesso di affezionarsi a lei, l'unico contatto umano dopo tanti anni, forse l'unico che aveva agognato da... da quando?
Flebilmente lui disse il suo nome e la ragazza batté le palpebre, incredula — Che cosa....? Ti chiami... Markus?
Lui annuì e lei fu scossa da un brivido, osservandolo meglio. Il suo sguardo gli stava ponendo proprio la domanda fatidica e lui annuì, indicando il posto vuoto dove risiedeva fino alla notte precedente, per poi puntare il dito sul suo petto, indicandosi.

Quella restò a bocca aperta. Non gli avrebbe mai creduto, ma effettivamente quella pianta sembrava sparita nel nulla. Non c'era nessun buco del terreno che indicasse la presenza di radici, non era venuto nessuno nella notte per segarlo via, lei stessa si era svegliata esattamente dove si era addormentata.

Seppur molto scettica, non aveva elementi per sostenere il contrario.

— E dove sei stato tutto questo tempo? Ti hanno cercato tutti. – domandò, anche se ancora poco propensa a credergli. La sua razionalità la bloccava.
Lui annuì — ...so

— Come fai a saperlo? – era ancora guardinga.
— Tu...– disse solo indicandola con la testa, incapace di proferire altro verbo a causa di una tosse improvvisa.
La ragazza assunse un'espressione interrogativa — Io cosa? Io non ti ho mai visto. –
ci pensò su – Vuoi dire che tu abitavi sugli alberi e mi hai sentito? – domandò, imbarazzata. Era arrossita al pensiero che un matto che viveva sugli alberi avesse sentito spezzoni della sua vita privata.
Lui scosse la testa in segno negativo — Ero... – e indicò di nuovo lo spiazzo, ora vuoto.
Lei sbottò a ridere — Dai, non mi prendere in giro! Non potevi essere quell'albero, com'è possibile? 
Lui indicò il posto dov'era piantato poco prima e sorrise, sapendo d'avere ragione

— ...oto – disse solo e lei non poté rispondere. Le prese una mano, che lei gli strappò via per lo spavento. Markus aggrottò le sopracciglia chiare e gliela afferrò con più forza, poggiandosela sulla spalla. La ragazza, timorosa ed imbarazzata, dapprima non se ne rese conto, ma poi si accorse che la pelle di lui era dura.
A quel punto, stupita ed incredula gli prese la mano, premendo e tastando bene la pelle per saggiarne la consistenza: era calda, sì, ma ruvida come fosse corteccia, la stessa che lei aveva accarezzato durante quei giorni.
Resasi conto della situazione si alzò, allontanandosi spaventata — Mio Dio... Non è possibile, tu...tu, sei davvero lui?
Markus cercò di avvicinarsi, cercando di trascinarsi con mani tremanti, e lei si accorse di quanto era innocuo, provando una gran pena quando lui le fece capire di voler vedere sua madre e suo padre, che ormai erano morti da tempo. Il viso del ragazzo era il ritratto della tristezza, non le incuteva più timore nonostante sembrasse molto alto, ma in quel mentre la sua prestanza fisica era davvero ridotta a quella di un nascituro.
— Veramente... – fece per replicare lei alla sua richiesta, subito bloccata da lui, che la precedette —... so. Morti.

La ragazza si portò le mani alla testa, appoggiandosi contro un albero con la schiena.

Inspirò forte, espirò, incrociò le braccia al petto ed alzò il naso all'aria, guardandolo dopo quella che sembrò un'acuta riflessione — Penso che crederti sia l'unica cosa che io possa fare. Ma non dobbiamo dirlo a nessuno, va bene? Non ti crederebbero. Diremo che sei tornato e basta da non so quale posto lontano, ok?
Lui annuì e poi si guardò attorno, mormorando — ...frid. Si...
Lei si voltò di scatto e trovò il violino vicino a sé. Lo prese con delicatezza e lo depose tra le braccia di lui lentamente, quasi avesse paura che Markus non riuscisse a tenerlo.
Difatti i suoi arti tremanti crollarono a terra, ma poco dopo riuscì a portarselo al petto, seppur con difficoltà. Le sembrò una cosa buona: probabilmente stava recuperando energie.

Markus fece per mettersi seduto, cercando in qualche modo di piegare le lunghe gambe — Vuoi una mano? – domandò l'altra.
— No. 
Riuscì ad incrociare le gambe ed aprì la custodia del violino dopo averci armeggiato qualche istante, tanto che si richiuse una volta prima di riuscire a fissarla e tirare fuori lo strumento che quasi gli cadde dalle mani. Goffamente, Markus se lo pose sulla spalla, cercando di poggiarvi sopra il mento, senza riuscirvi.
— Mmm...glio... ima. – sospirò e ripeté – Prrrr... ima.

Nonostante le difficoltà, il ragazzo ridacchiò, felice della sua forma riconquistata e la ragazza rise con lui, che si voltò rendendosi conto sola ora di non sapere nulla di lei

— N... me? – la indicò e disegnò in aria un punto di domanda – Nnnn... me? ...ome? – ripeté.
— Rebecca. – rispose lei, sentendosi stupida per non aver capito subito cosa volesse. 
Markus piegò la testa di lato senza dire nulla, poi provò a tenere l'archetto senza riuscirci. Sospirò quando quello gli cadde tra l'erba, ma la sua espressione non fu certo quella di uno che avrebbe lasciato perdere.

Ci avrebbe sicuramente riprovato, anche a breve, secondo Rebecca.

Seguì un momento di silenzio e lui poggiò il violino a terra, per poi guardare la cittadina sotto di loro. Mosse indice e medio in aria, facendole capire di voler camminare.

— ...sa. Caaaa... ssa. ...Sa. – disse, accompagnando il gesto.
Lei mosse la testa verso di lui — Vuoi tornare... a casa? Ora?! – precisò, sconfortata dalla sua mole. Era più alto della norma e sicuramente lei non sarebbe riuscita a trasportarlo da sola.
Lui annuì, sorridendo. 

— E quindi?– domandò Klaus alla nonna.

— Beh,quindi i due scesero la montagna grazie all'aiuto di alcuni falegnami e tornarono in paese. Quando tutti videro Markus ne furono sorpresi, essendo convinti che fosse morto. Ovviamente Rebecca non volle trasferirsi con i suoi e rimase lì con lui, ebbero una bella famiglia e Markus imparò ad accontentarsi di quel che la vita gli offriva. Si batté per diverse cause a favore della natura, ma queste sono tante altre storie.
Il suono del campanello interruppe la vecchina, che dovette alzarsi per andare ad aprire e a Klaus venne un dubbio.
Prima che sua madre piombasse preoccupata come al solito nella sua cameretta,riuscì a scendere dal letto per avvicinarsi al suo violino e verificare i suoi dubbi sulla cassa dello strumento.
C'era proprio inciso quel nome: Sigfrid.
Sua nonna se ne stava appoggiata alla porta quando sua madre fece irruzione nella piccola stanza inondata di sole e lo prese in braccio, inondandogli il viso di baci, lasciando così tracce del suo tipico rossetto color ciliegia —Amore di mamma, come stai?
— Bene, nonna mi ha raccontato una bella storia! – rispose quello.
— Davvero? Che bravo bambino sei. – sua madre gli carezzò i capelli, annunciando
– Sai che mamma si è presa tutto il pomeriggio per stare insieme a te? Sei contento? Anche papà rientra prima, così stiamo tutti insieme.
— Davvero? Che bello! – esclamò il piccolo, allargando le braccia in aria e la donna lo abbracciò più forte, timorosa che qualche imprevisto potesse portarlo via.
Il bambino venne deposto di nuovo nel suo lettino e guardò la nonna con aria complice, avendo intuito la questione. La vecchina ricambiò il suo sguardo,fingendo indifferenza.
Poi guardò una delle tante foto appese fuori dalla sua camera di lei e suo nonno da giovani.
Sua nonna aveva lunghi capelli scuri, mentre suo nonno era molto alto ma simile a lui nei colori.
Nel mentre che sua madre andò in cucina, il piccolo continuò ad osservare con insistenza sua nonna, tanto che questa dovette finalmente dirgli qualcosa.
— Mantieni il segreto. – sussurrò la vecchina, portandosi un dito alla bocca e strizzando un occhio al bimbo, che annuì dandosi un'aria importante — Nonfiaterò nonna, promesso. – sentenziò, incrociando i due indici e stampandovi sopra un bacino che suggellava il giuramento.
Dalla cucina sua madre disse — Amore, vuoi venire a cucinare con mamma? 
— Sì! – esclamò felice Klaus, scendendo zoppicante dal lettino, seguito a vistadalla nonna per impedire che si facesse male.

“Capì che la felicità non è mai la metà di un infinito.
Ora era insieme luna e sole, sasso e nuvola
era insieme riso e pianto o soltanto era un uomo che cominciava a vivere.
Ora era il canto che riempiva la sua grande immensa solitudine
era quella parte vera che ogni favola d’amore
racchiude in sé per poterci credere.”
Favola – Eros Ramazzotti



 
E con ciò siamo giunti alla fine della storia. Spero vi sia piaciuta e vi abbia fatto venire un po' voglia di fare una passeggiata tra i monti ;)
Markus ha intrapreso una vita normale nonostante tutti gli sconvolgimenti che egli stesso ha causato. Come si evince dal testo, è riuscito nella sua "impresa", generando addirittura una famiglia.
Ringrazio molto _Fedra_ per il supporto e l'incoraggiamento per continuare a pubblicare non solo questa storia ma anche un'altra che molto probabilmente vedrà la luce questo stesso pomeriggio.
Buona settimana a tutti.


- A.
   
 
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