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Autore: Quintessence    09/02/2015    7 recensioni
Kaolinite lo capisce meglio di chiunque. Non cerca di estirpare quella parte di me, se ne prende cura.
Storia classificata PRIMA al contest "A qualcuno piace... Cattivo!" di Aleyiah
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Hotaru/Ottavia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Terza serie
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Non ho bisogno di introduzioni per una storia così breve. Penso che comprendere sia semplice, visto il tema.  Scritta per il concorso "A qualcuno piace... Cattivo!" Sul forum di EFP, da Aleiyah. Buona lettura.

Kaolinite lo capisce meglio di chiunque. Meglio di Chibiusa, meglio perfino di mio padre. Da bambina, subito dopo la morte di mia madre, infilavo costantemente le dita dentro alle prese dell’elettricità, e cercavo di capire se il dolore avesse un suo colore particolare. Così, un giorno, Kaolinite estrasse dal nulla un catalogo di colori Pantone, e si sedette accanto a me per sfogliarlo per oltre un’ora, fino ad arrivare alla pagina dei blu. Ecco, quello, dissi io, quello lì, e puntai il dito su un ceruleo spento. Oh, tesoro, replicò lei, quello non è il dolore. È solo una macchia di colore, non sarà mai pari a tutto il dolore che hai nel cuore.

A volte, sento l’urgenza di nuotare nel lago con le tasche piene di pietre, e poi ricordo mia madre, il modo in cui indossava il dolore come un maglione troppo stretto, qualcosa che una nonna regalerebbe a una nipotina strana senza nemmeno conoscerne la taglia. Perciò tolgo le pietre dalle tasche, e le lascio a fare muschio sulla sua tomba.

Ci sono giorni in cui è più forte. Ci sono giorni in cui non riesco a controllarlo. Non so come comincia, di solito con un tremito, un battito di troppo, a volte un pensiero sbagliato, voglio uccidere, voglio fare male. Ci sono giorni in cui non ho idea di come controllarlo. 

E non c’è nessuno che lo capisca, nessuno che lo capisca davvero. 

Sì, mio padre forse può arrivare a comprendere in parte, in qualche maniera, ma… non gli importa realmente di quella parte di me. Credo che Kaolinite sia l’unica che la vede davvero, è lei che apre quella parte di me, che la fa sbocciare attraverso questo cumulo di ossa, e di sangue, e di… qualsiasi cosa io sia. Forse metallo. 

C’è qualcosa che pulsa. È come una malattia. Un cancro. Credo che si sia trattato di una cellula malata che ha cominciato a sviluppare metastasi che si allungano ancora dappertutto, dentro il mio corpo. Sul mio cervello, sul mio cuore, dovunque. Sono sicura che si tratti di una malattia, sono sicura; una malattia che nessuno desidera curare, che probabilmente nemmeno io voglio curare, non voglio curarlo, non mi interessa, è una parte di me. Chibiusa, Usagi, Haruka, Michiru, Setsuna, tutte loro vivono questa parte come se fosse pericolosa. E lo è, che cosa dico, anche io l’ho definita un cancro prima… Ma è anche di più.

È come se fosse un mio arto. Kaolinite è l’unica che lo comprende davvero, è l’unica che quando mi guarda e vede ciò che sono non ha paura. L’unica che se ne prende davvero cura. Che la coltiva. Che l’accarezza dolcemente, come una madre farebbe col suo bambino. Ne solletica i punti più sensibili. La tocca, la controlla, a volte ho l’impressione che voglia perfino sapere quanto grande è diventata.

Lei fa le domande giuste, fa le domande giuste. Com’è andata oggi, hai visto Chibiusa, ti piace Chibiusa? –Chibiusa mi piace, davvero, voglio bene a Chibiusa, ma Chibiusa è in grado di suscitarmi crisi come nessun altro. Forse è gelosia, io non lo so, almeno non di preciso, non so spiegarlo; lei è dolce, è carina, è intelligente, è tutte quelle cose che io non sarò mai.

Io sono brutta, e cupa, non sono allegra, non riesco a trovare niente dentro di me che sia anche solo vagamente amabile, come invece è amabile Chibiusa. Quando le sono vicina le crisi sono più frequenti, più intense, vorrei stringerle le mani alla gola, vorrei vedere quella piccola faccia diventare rossa, e poi viola, e poi vederle gli occhi schizzarle dalle orbite con tutto il bianco, con tutto il sangue, succhiarle via la vita.

Mi rendo conto che non ha senso, mi rendo conto che non ha senso, non ha senso, oh, Dio, che cosa sto diventando, che cosa mi sta facendo? È sempre lei, sempre Kaolinite, è sempre colpa sua. Tutte le volte che viene, tutte le volte che è vicina a me, tutte le volte che mi fa una domanda io voglio essere quello che non sono. Divento quello che non sono. È come se stringesse in mano il mio cuore pulsante e ne decidesse l’andamento. Quando deve battere più veloce, quando invece deve rallentare…

A volte mi sento esplodere, mi prendo la testa fra le mani e fatico a respirare, e poi all’improvviso, so.

Lo so, so come calmarlo, è facile, è facile, è facile, è facile, un tocco, un tocco e sparisce tutto basta non toccare il metallo, basta non toccare il metallo ecco, senti, questa non è la mia voce è la sua voce è la voce di Kaolinite e poi diventa la voce di qualcun altro diventa una voce cattiva diventa una voce che non riesco a cacciare via.

Voglio estirparmi. Estirpare la mia esistenza. E se non fossi troppo codarda, chiederei aiuto, ma ho paura. Quando ho una crisi sono terrorizzata; devo respirare forte, fare pensieri colorati o temo che non riuscirei a recuperare il controllo del mio corpo, a non strangolare le persone che mi sono vicine. A non diventare quel mostro che oramai sento lentamente sfociare, fuori dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi. Il mostro che presto diventerò.

Nessuno lo comprende, che è parte di me? 

Non possono desiderare di ucciderla, ucciderebbero anche me.

Vogliono davvero uccidermi? E io? Io, che cosa voglio? Voglio davvero uccidermi?

Kaolinite dice sempre la stessa cosa, quando mi porta il latte, prima di dormire. Dice sempre le stesse parole. Parole dure. Parole che forse avrebbe dovuto dire mia madre, dice devi ricordarti chi sei, o la tua vita non avrà mai senso.

Ieri ha detto una cosa diversa, però. Quando l’ho fermata per chiederle del mio male, per chiederle cosa avrei dovuto fare se un giorno avessi scoperto che la mia malattia era una mia colpa, ha detto non c’è nessun male che non può essere estirpato.

E forse ha ragione, forse è ora di cercare di estrarre la cosa che ho dentro. Forse è ora di abbandonare questo corpo, di distruggere la Hotaru senza senso. Forse è ora di controllare se il mio sangue è rosso o nero. 

Sì, è il momento di controllare, sì, sì, sì, devo controllare, devo sapere, devo sapere, Kaolinite ha ragione, ha ragione, e… Oh, Dio, ecco. Succede sempre. Mi convince sempre.

Ma devo controllare, devo controllare, e se fosse diventato nero? Se fosse davvero dentro di me? Se potessi estirparlo, se potessi smettere di essere debole, oh!

Voglio un coltello.

   
 
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