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Autore: Fireslot    10/02/2015    0 recensioni
Esiliato e inorridito nei confronti dell'umanità, un ubriaco Vash troverà la forza di fare un ultimo dono all'umanità?
«Sì, credo proprio che ne varrà la pena, Wolf.»
Genere: Avventura, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
I giorni passarono rapidamente, tra sessantacinque serie di flessioni ogni dì e altrettante la sera. Nelle prime due settimane, alternando ai pasti tutti i disgustosi integratori di magnesio pescati dall’emporio, i muscoli di Wolf erano stati araldi dell’agonia, tanto tesi che anche sollevare una matita gli causava tremori fino alle spalle. Dopo il primo mese, quando i bicipiti furono in grado di sopportare quella tortura, Vash lo costrinse allo stesso calvario di addominali, 8800 da consumare in una settimana. Altre due settimane furono un concerto di urla e numerazione ritmica, con calcagni appoggiati sul corpo in allenamento come unico incoraggiamento. Più Nicholas tentava di non cedere alla fatica, più il suo fisico chiedeva pietà: sebbene la sua determinazione fosse forte, i suoi muscoli non lo erano altrettanto. Almeno non ancora.
Passarono due mesi, in cui l’allievo del Tifone Umanoide non aveva toccato nemmeno una volta la pistola: i palmi delle sue mani passavano dal suolo polveroso alla nuca intrisa di sudore. Più si lasciava alle spalle mesi di esercizi sfiancanti, più si rendeva conto di come il suo corpo stesse crescendo: il volume delle sue spalle si stava allargando, il ragazzino macilento che si era presentato al cospetto di Vash the Stampede era un ricordo passato. Ora gli indumenti con cui era arrivato non gli andavano più larghi, pian piano i muscoli riempivano lo spazio vuoto. Agli occhi di un bicentenario Plant monco e peloso, un teppista di strada stava diventando un uomo.
«Guarda un po’ che bicipiti, Vash!» si pavoneggiò al bancone del saloon. «Potrei sollevare quelle stupide casse di bottiglia con un braccio solo.»
«A proposito di sollevare, dovremmo pensare a trovarti un lavoro. I soldi scarseggiano e tu non hai ancora saldato il tuo debito.»
Wolf sbuffò esageratamente per marcare il suo fastidio: «Tu stai approfittando delle mie braccia con la scusa del moncherino.»
«Al contrario, ti insegno cosa significa duro lavoro e sacrificio per perseguire i propri obbiettivi. Sai quant’è stata dura dover lottare attraversando raffiche di mitragliatrici non potendo uccidere il mio avversario? Eppure sono conosciuto come il Tifone Umanoide, il cui nome genera un fuggi-fuggi generale e che demoralizza anche il più temibile degli avversari. E sai come ho fatto? Duro lavoro e sacrificio.»
«Mi sorprende che la gente non ti conosca bene quanto me, altrimenti si farebbe un mucchio di risate nel vedere l’Ubriaco Umanoide… o preferisci la Giungla Umanoide?»
«Allora ingoiati le tue risate o te le spingo giù per l’esofago con le mie… la mia mano. Scherzi a parte, andiamo a risolvere questa questione.»
«Quale? Il pelo?»
«Sì. Guardati allo specchio, non sono il solo ad aver bisogno di una ripulita.»
Voltandosi verso la larga superficie riflettente, Wolf dovette ammettere che a stento si riconosceva lui stesso: i peli della pubertà spuntavano intermittenti e la chioma lunga, cascante oltre le sopracciglia, era caotica e indomabile come il piumaggio di un toma. (N.d.A. Il toma è una bestia da trasporto che nell’universo di Trigun sostituisce le cavalcature, è un grigio bipede gallinaceo, come i Chocobo di FinalFantasy)
Wolf seguì a grandi passi il suo maestro diretto al Chinger Motel, chiedendosi come mai non si fosse rivolto ad una sala da barba. Senza esprimere questo suo dubbio ad alta voce, accompagnò la porta con una mano e uno scampanellio avvisò la locandiera del loro ingresso.
«Buongiorno, Vash! E’ bello vedere che hai deciso di fare qualcosa, alla fine. Ciao, Wolf.»
Il ragazzo accennò un saluto con il capo, mentre la benevola voce del maestro riempì l’atrio: «Buongiorno a te, Rose! Devo ammettere che ricordarsi quello che avviene la notte prima è una bella sensazione.»
Risate.
«Senti, mia cara, dovrei chiederti un favore. Maneggi ancora le forbici con quella grazia tanto nota a Inapril City?»
«Ah, non provocarmi, mascalzone!» s’indispettì la corpulenta locandiera, ammonendo lo svergognato monco con un dito oscillante, «Non taglio barba e capelli da una vita ma puoi star certo che dovrai pagarmi molto bene!»
«Suvvia, Rose, non potresti chiudere un occhio per stavolta? O devo proprio dimenticarmi le buone maniere e rinfacciarti il favore che ti feci qualche mesetto fa?»
«Brutto serpente approfittatore dalla lingua lunga! Non sei affatto un paladino del popolo, sei un gran bell’imbroglione!»
«Va bene, mi arrendo.» asserì il barbuto, lasciando trapelare un “Canaglia!” tra i denti in modo che tutti i presenti sentissero.
«Tu mi paghi venti doppidollari. Nicholas, per te lo faccio gratis, sei un così caro ragazzo. Aspettatemi qui, vado a prendere il necessario.»
La corpulenta rosa svanì tra le tende del retrobottega e, una volta fuori pericolo, Vash squadrò il suo succube apprendista. Rispondendo accigliato alla silenziosa imposizione, Wolf porse all’unica mano callosa due biglietti verdi, trasformando il volto burbero del maestro in un sorriso beota, perfettamente in tempo con lo scostamento della quinta e l’entrata in scena di Rose nel ruolo di acconciatrice.
Lasciando accomodare gli ospiti e avvolgendo il voluminoso giovane petto di Nicholas in un lungo panno, la locandiera distese sul volto del ragazzo della vellutata schiuma bianca per la rasatura. Vash le sussurrò all’orecchio il da farsi e, nell’arco di mezz’ora di guizzanti sforbiciate e ruvide sferzate di rasoio, Nicholas Denis divenne un vero damerino: un fluente casco di pece delineava l’ordinata crescita curvilinea dei capelli e due stupende e rettangolari basette incorniciavano il volto fino all’angolo della mascella. Wolf aveva ripreso le fattezze di un ragazzo; lui stesso lo ammise e ne rimase stupito, osservando l’immagine che Rose gli offriva reggendo uno specchio.
«Caspita.» balbettò, «Sono davvero irriconoscibile.»
«Quasi non sembri più un teppista.» lo canzonò Vash, «Ora va’ per strada e conquistale tutte.»
Tra le risate squillanti di Rose, il giovanotto inarcò le sopracciglia perplesso.
«Dovremo lavorare sulla tua vista periferica, Nicholas. Perché solo un fesso come te non si è accorto di tutte le fantastiche fanciulle che ti guardavano allibite e pervase d’amore al bancone del saloon.»
Con questa nota ironica, Stampede riuscì a strappare il primo sorriso spontaneo sul volto dell’apprendista, che senza farselo ripetere due volte si precipitò fuori dal motel per dedicarsi alla caccia.
«Cos’è quel sorriso piacevole che hai stampato in volto?» lo punzecchiò Rose quando Wolf fu lontano.
Ma lui non rispose, la sua mente era immersa nei ricordi di molti anni fa: nel deserto, un uomo, la sua croce e la sua posa teatrale lo avevano atteso come se il loro incontro fosse stato scolpito sulla roccia irremovibile del destino. Era stato un prete, una guida, un compagno, a tratti bizzarro ma sicuramente il miglior amico che un Plant potesse desiderare in duecento anni e mezzo. Nella sua memoria, le prime parole che si scambiarono erano rimaste intagliate come un messaggio di amore sulla corteccia di un albero: “Era ora! Finalmente ti vedo sorridere anche con il cuore.” All’orecchio di Rose aveva chiesto di modellare la chioma del ragazzo a immagine e somiglianza del più altruista prete mercenario che quel pianeta desertico e inospitale avesse mai visto. D’altronde anche la somiglianza del nome lo aveva convinto a tenere Nicholas con lui. Wolf non era ancora pronto al fardello che avrebbe dovuto portare, a cosa davvero il Tifone Umanoide stesse preparando per lui. Aveva ragione, l’apprendista, nell’affermare che avrebbe ricevuto un’eredità cospicua: però non quella di un pericoloso individuo temuto da tutti ma quella di un uomo che aveva diretto ogni sua azione verso il bene del prossimo.
Mentre senza rendersene conto una calda lacrima si perdeva nei peli ispidi della barba, sentì la mano grassoccia di Rose afferrarlo dal suo disperso ricordo e riportarlo alla realtà. Annuì alla donna e si preparò a rivedere il suo viso smarrito.
***
 
Passò quasi un’ora, Wolf si era appollaiato nel saloon solitario con un boccale di birra, in barba al barista che continuava a diffidare (giustamente) della sua maggiore età. Era perso nell’autocommiserazione, perché non trovava il coraggio di spingersi qualche metro più in là verso il tavolo con le più belle fanciulle della città. Si sentì ridicolo, proprio lui che aveva sfidato con sfrontatezza il Tifone Umanoide, rischiando di ritornare a casa bucherellato. Quando avvertì l’alcol infondergli calore e coraggio, prese un bel respiro e si alzò in piedi deciso a fare la sua mossa. Però la coda dell’occhio cadde accidentalmente sulla porta del Chinger Motel: stagliato sull’atrio, l’alto maestro sfoggiava una scura capigliatura nera dritta verso il cielo, come dure setole di una spazzola. Pochi ciuffi cadenti ricadevano sul suo viso, così gioviale e privo di segni di vecchiaia che non dimostravano nemmeno uno dei suoi 253 anni. Gli occhi smeraldo raggiunsero l’allievo oltre la finestra del saloon e convinsero gli stivali a raggiungerlo.
Faccia a faccia, Vash ebbe una sensazione di dejà vu, guardando le iridi castane del ragazzo.
«Caspita.» esclamò sorpreso Wolf, «La gente potrebbe pensare che sono io quello più vecchio.»
«Nossignore, tu hai proprio lo sguardo di un teppista. Vedo che la missione non si è conclusa con successo.» rimbeccò Vash, indicando con il pollice il tavolo ormai vuoto alle sue spalle.
«Non sono affari tuoi, vecchio.»
«Invece sì, zucca vuota. Ti faccio una semplice domanda: se fossi andato a presentarti, dove sarebbero le ragazze?»
Ancora una volta, le sopracciglia inarcate squadrarono il Plant perplesse: «E’ una domanda a trabocchetto o mi stai prendendo in giro?»
«Affatto, rispondi. Anche se la risposta ti sembrerà ovvia.»
«Beh, credo sarebbero ancora sedute al tavolo a parlare con me.»
«Bene. Hai inteso cosa sto cercando di dire?»
Una pausa nel dialogo diede il tempo a Wolf di pensare alla risposta, che fu: «Che se avessi agito sarebbero rimaste?»
«Questa è una cosa ovvia. Però tentennare sul successo della tua azione è tempo che sprechi. Il succo della questione è “agisci”. Vuoi salvare delle persone importanti? Vuoi vincere un duello? Vuoi addestrarti per diventare il più forte? Se davvero è così, perdere tempo a pensare non ti servirà a niente, devi agire al momento opportuno. Io ti renderò tanto forte da non doverti preoccupare delle conseguenze delle tue azioni ma se non agirai quando servirà e perderai le tue occasioni, questi due mesi insieme e i prossimi che ti attendono saranno tempo sprecato. Agisci.»
Sulle spalle di Wolf ricadde come un macigno granitico la consapevolezza delle vere abilità del suo maestro: si rese conto che esiliarsi in un luogo per sostenere infinite sessioni di allenamento non avrebbe mai potuto istruirlo su come perseguire il suo obbiettivo. Vash glielo stava facendo capire a chiare lettere: il vero addestramento non è segregazione, è la vita l’unica universale maestra.
   
 
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