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Autore: Gaia Bessie    10/02/2015    1 recensioni
Chissà di cosa sono fatti, poi, i ricordi.
Se sono stoffa leggerissima, come un velo, o nebbia o aria. O, forse, semplicemente nulla: non esiste qualcosa che valga la pena ricordare. Le memorie, le memorie. Qualcuno scrive, una sera, un diario senza inizio né fine, una singola pagina inchiostrata e accartocciata che, senso, non ne ha. Il senso è l'utopia congelata nelle parole, non nei fatti: si disperde e vola via, la notte, passando per la strada. Per le persone.
(...)Chissà cos'è poi, l'amore, se non un puntino nero-inchiostro sulla pagina bianca.
Non ha senso, non dovrebbe averne, non è una domanda e nemmeno una risposa.
Ma accade. Come le domande che ti poni, la notte, e non hanno un perché. Accade. Come la coperta piena di odori, per coprire, per coprirsi e ripararsi dietro una maschera. Accade. Senza preavvisi. Cade. Sopra la tua testa e, il dolore, lo senti tutto alla fine.
[Dolcetta/Armin, Dolcetta/Alexy, Dolcetta/Castiel, Dolcetta/Dake, Dolcetta/Nathaniel, Dolcetta/Kentin, Dolcetta/Lysandre | Sequel di "Memorie della mia puttana triste"| Leggibile indipendentemente dal prequel]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexy, Armin, Castiel, Dake (Dakota), Dolcetta
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Memorie della puttana triste'
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Non sono pazza, sono soltanto distratta. Perché, sì, avevo scritto tutte le risposte per le recensioni di "Memorie della mia puttana triste" e non le ho mai inviate. Chiamatemi stupida, prego. In ogni caso: questa storia non avrebbe dovuto esistere. 
Perché quando piazzo il finale definitivo, quello è. Dunque ho scritto, in sprazzi di coerenza massima, l'other side della storia. Mi meraviglio ogni giorno che passa, quando riesco a barare perfino con me stessa.
In ogni caso, ribadisco che questa storia è leggibile e comprensibile, più o meno, anche da chi non ha letto l'altra storia della serie.
Chiarimenti non dovrebbero essercene: il titolo è quel che è (no, non sono diventata stupida tutta in un colpo: è che Accade, Ac-cade, Cade dovrebbe essere il modo giusto di leggerla) e le citazioni stanno giù, a fine storia.
Grazie per tutte le recensioni e il sostegno che mi è arrivato. Spero di poter postare presto (tempi biblici, dice la mia beta) la long a cui sto lavorando.
- Bessie




 


Accade

 

 

Chissà di cosa sono fatti, poi, i ricordi.

Se sono stoffa leggerissima, come un velo, o nebbia o aria. O, forse, semplicemente nulla: non esiste qualcosa che valga la pena ricordare. Le memorie, le memorie. Qualcuno scrive, una sera, un diario senza inizio né fine, una singola pagina inchiostrata e accartocciata che, senso, non ne ha. Il senso è l'utopia congelata nelle parole, non nei fatti: si disperde e vola via, la notte, passando per la strada. Per le persone.

Si può scrivere qualunque cosa ma, certe persone, esistono davvero: una prostituta che batte, sui suoi tacchi rotti, ogni sera. È piccola, veramente piccola, che potrebbe essere tua sorella o la tua vicina di casa.

Se la ricordano tutti, lei, ché era universale.

Aveva i capelli blu, o rosa, o rossi, o verdi o biondi, castani e neri. E gli occhi indefiniti, di vetromare o carbone, le unghia mangiucchiate fino alla carne. Graffi, lividi, morsi: non capita spesso che le puttane abbiano un cuore ma, se capita, è la classica storia destinata a finire male. E sono soltanto altre domande.

Ricordi. E certezze.

Quando t'innamori, e disgraziatamente accade – non succede, non lo cerchi. Accade. Cade, dal cielo, e ti colpisce – fin troppe volte, silenziosamente, è sempre la certezza sbagliata. Non rimane poi molto, delle serate insonni, delle notti allucinate e sbiancate, nulla, i silenzi.

Il sentore della reminiscenza che scivola, come un odore, come una sensazione sulla pelle. E il caffè sempre finito, quando non devi dormire, quando devi soffrire per inerzia, per saturarti de abituarti alla nuova condizione: non la capisci.

Chissà cos'è poi, l'amore, se non un puntino nero-inchiostro sulla pagina bianca. Non ha senso, non dovrebbe averne, non è una domanda e nemmeno una risposa.

Ma accade. Come le domande che ti poni, la notte, e non hanno un perché. Accade. Come la coperta piena di odori, per coprire, per coprirsi e ripararsi dietro una maschera. Accade. Senza preavvisi. Cade. Sopra la tua testa e, il dolore, lo senti tutto alla fine.

 

 

*

 

Ci sono le costrizioni, a volte, e gli obblighi: i doveri che ti avviluppano come corone di spine, come legacci per non far passare il sangue.

Se hai ventitré anni, un padre autoritario e una madre slavata e slargata da una maternità calzata male, scappi. Corri per quanto ti è possibile, sperando in un miracolo che, puntualmente, non arriva mai: puoi tirar giù il cielo, a bestemmie, ma ne cadrà solo pioggia. E neve, e grandine. Ma, di avvertimenti, nemmeno a pagare oro.

Finisce che guidi tutta la notte, a vuoto, alla ricerca. E la trovi, sul ciglio della strada, in attesa: una prostituta.

Ha scarpe tacco venti, tutte graffiate, troppo grandi. A penzoloni quando si siede sul muretto, in un raro attimo di riposo, e la calzatura scivola sulla punta del piede.

Una bambina, dicono tutti, con convinzione. Almeno finché non se la portano a letto perché, allora, sono abbastanza bravi a cambiare idea: non te la scopi, una bambina.

E lei, dopotutto, è quel che è.

Anche sotto le unghia rosa barbie, le scarpe rubate alla mamma. Una puttana.

Ci sono favole moderne, e Nathaniel ha sempre avuto una certa fantasia editoriale, lui, che di manoscritti vorrebbe vivere, in cui il principe salva la prostituta. Sciocchezze. Le favole non sono che un barlume di bugia, dicono, in cui ti promettono lumi che non avrai mai. E lei, dalla vita, ha avuto davvero poco: ha avuto la strada, una coperta, tacchi rotti e calze a rete. Cosa puoi prometterle un lieto fine quando, di alcune persone, si dice che nascano sotto una cattiva stella.

O che, forse, una stella non l'hanno mai avuta, a priori.

È egoista credere nei sogni, o anche solo sperare, quando c'è una ragazzina che non può farlo: alta quanto una bambina, con i tacchi in mano e i piedi graffiati d'asfalto. Una piccola Lolita in fieri, una diavoletta di strada che incanta. E Nathaniel, che ha sempre avuto una palese sindrome da principe azzurro, che non fa che promettere di salvarla: dopo la prima volta, non la vedrà mai più. Se ne troverà una completamente diversa, senza tacchi, senza niente. Una principessa da salvare.

Capelli castani, chiarissimi, la prostituta sparita per strada: una porzione di asfalto, illuminata malamente, che non troverà mai più. Sparita, dimenticata.

Qual è il prezzo di un rimpianto?

Il senso di colpa, strisciante, che prende dimora fra le ossa e lì si accuccia, silenzioso. Sibila, morde e graffia continuamente. Senza tregua.

Nathaniel ci pensa, ancora, a volte: non l'ha più rivista. Non ci ha nemmeno provato.

Ed è quello, il prezzo. Come il tempo che scivola via, insieme alle opportunità, agli avvenimenti. Ai ricordi.

Le cicatrici, impresse sulla fronte, in ricordo di una corona di spine. L'ha lasciata a lei, così che adesso c'è una puttana con la fronte rossa di sangue che vaga per la città.

 

*

 

E la neve.

Quando il tempo è così triste che non piove nemmeno, ma fa talmente freddo che potrebbe staccarsi l'anima dal corpo, come protesta.

Dake, nel freddo, non ci ha mai creduto: è soggettivo, se non lo senti non ti ferisce. Puoi fare il bagno nella neve, per fortificarti, e uscirne cambiato.

L'unica cosa gelata è la morte, si dice, e lui ci crede ciecamente.

Ma, le mani della ragazza sono freddissime, ha i capelli di un viola livido, bluastro: freddo. Dietro ogni folata di vento, rabbrividisce. E lui ride, un'incisione sul volto: una cicatrice indimenticabile. Non le ha chiesto il nome. Non importa.

Alcune storie, di raccontarle, non ne vale la pena. E, sulle puttane, non si scrivono libri, o drammi: cliché, troppo facile.

Dake le insegna a ridere, qualche volta, per vederla accendersi: non ha una bellezza glaciale, è troppo decadente e rovinata, ma è fredda, quello sì, un brivido istintivo sulla schiena. La guardi e senti il bisogno di stringerti fra le braccia, tremante. È asimmetria fredda, lei, che ti guarda come in attesa. Sembra anche spaventata, a volte.

Giorni in cui Dake l'ha guardata per capire il perché, il senso che sfugge dalle persone e diventa il particolare, quella simmetria mancata che, in fondo, piace.

E secondi in cui ha provato a parlarle e lei ha soltanto replicato in silenzi infiniti, insondabili: ma ha imparato a ridere, senza accendersi. Fiamme blu ghiaccio, viola, verdi. Ma, di rosso, nemmeno a pagarla oro. Eppure, un cuore, l'ha anche lei: ne ha troppo, per quella professione inclemente. Cuore, bocca e mani per lavorare.

Dake e la macchina slittata sulla neve, una grandissima commedia, una sera di gennaio. Non è più tornato, dalla neve, dal freddo, quello vero, quello della tomba.

Le brutte abitudini sono per sempre: accade, avrà detto dal cielo, rabbrividendo. Accade.

E getta neve giù dalle nuvole, Dake, sulla pelle di una puttana all'angolo della strada. Ha la pelle d'oca, sente freddo, ma non può muoversi. È ancora lì.

 

 

*

 

Debrah lascia casa. Il suo ragazzo. Una gatta1.

Anche se, Castiel, i gatti li ha sempre odiati: come se non avesse mai minacciato di prendere Audrey a calci, o di darla in pasto al cane, con immenso piacere. Che nome del cazzo, è il commento vigente, poi, per una gatta. Un gatto che, in tema di Audrey, farebbe un baffo a quello di “Colazione da Tiffany”.

Debrah se n'è andata e non torna più: nell'attesa che consuma gli attimi, lo sa anche Castiel. Potrebbe non rendersene conto?

Sono cose che accadono, che ti cadono addosso e ti schiacciano. Inevitabilmente.

Debrah lascia tutto, un giorno, e non torna più.

Castiel che va a puttane, letteralmente. Esce in moto, la sera, e si smarrisce in volute silenziose, insondabili. La sigaretta persa fra le dita perché qualcuno gli ha raccontato, una volta, che è così che si muore. Se si stesse riferendo al fumo, però, non è certezza: Castiel suona tutto il pomeriggio, esce per assaggiare l'asfalto. E la trova.

Ha le scarpe in mano e i piedi graffiati di sporco, i capelli tinti di un biondo-argenteo, sporco. Dove sei, ragazzina, dove sei.

A cercarla, si potrebbe passare una vita: la trovi per strada e, quella singola volta, ti segna.

In piedi, Castiel, in piedi e ferirla in mille modi. Non che lei sia in grado di emettere suoni, silenzi infiti, quando tocca qualcuno.

Castiel e i rimpianti: Debrah lascia tutto. L'inghilterra o la Germania, quello sì. Debrah in fuga per l'Europa, lontano, a cercare di fare la cantante. Da sola.

E Castiel dietro, come un cane, ad attenderla. Sciocco.

Di cosa sono fatti, i rimpianti, se non di attesa consunta e protratta.

È così che si muore. Con una canzone di sottofondo, di notte, fra le cosce di una prostituta silenziosa e sorridente. Ha lo sguardo di una bambina, il candore di una liceale nascosto dietro le ciglia sporche di mascara. È così che si muore, è bene che lo impari anche lei, la prostituta che, forse, nemmeno respira.

Debrah ha lasciato tutto. Disillusione per disillusione, meglio la maleducazione che morire così.

Accade, sembrava dire la puttana, rubandogli una sigaretta. Accade.

Come una bruciatura minuscola, sul petto, dove batte il cuore. Le ha spento la sigaretta addosso e lei non ha sentito nulla.

 

 

*

 

Accade che, un giorno, ti predi La cotta.

Quella dei diciassette anni, quella della prima volta, quella che ti drena i pensieri per farne un brodo primordiale di rimpianti, e ripensamenti. Quando, poi, sei appena tornato dalla scuola militare e, nel tuo corpo, non ci stai più, è l'agonia prolungata nel vento che ti ferisce, di notte.

Sfarfallio di lampioni a mezzanotte, passando per le strade, e l'attesa. A scuola, è tornata la tua amica d'infanzia, cotta di te da quando sei cambiato: non è vero, che l'amore non dipende dall'aspetto esteriore. È una di quelle favole che ti raccontano a cinque, sei, anni e tu ci credi incondizionatamente.

Accade un giorno che, girando, la trovi. È una cosina minuscola, né bella né brutta, ma con degli occhi che sembrano poterti mettere a nudo, non soltanto metaforicamente. Capelli secchi di tintura, unghia mangiucchiate. La bocca dalle labbra arrossate, spaccate dal freddo.

Movimenti meccanici, con le articolazioni lucide di abitudine: sulle ginocchia, distesa, le gambe. Sempre e comunque.

In qualche modo, le somiglia.

Cose strane, pensa Kentin che, a guardarla, la trova troppo simile a Candy. Troppo. Cose che, di solito, non succedono mai.

Lei, alle sue spalle, trema come una foglia dietro le sue calze smagliate. Fa quasi tenerezza. Sui tacchi rotti, camminando, inciampa. Cade.

Kentin sorride.

Accade.

 

 

*

 

Si è regine a qualunque età2, in qualunque condizione.

Rosalya, ai suoi tempi, era regina per diritto di nascita: perché si poteva correre per il diametro della terra ma, una come lei, non la trovavi.

Lysandre lo sa, nelle sue foto nascoste in macchina. Ed è per questo che, alla fine, lei era di Leigh.

Perché la vita ti prende enormemente per il culo, finché può.

Le principesse, nella vita reale, muoiono sempre da giovani: perché, di rimpianti, è intessuta l'esistenza stessa – e, si dice, finché morte non ci separi.

Vagando nel mare di repliche, di prostitute, l'ha trovata. Diversissima, troppo smagrita e stanca per essere Rosalya.

Troppo pocco regina, si dice, perché non esistono, al mondo, due persone identiche. Sarebbe sciocco crederci. I contentini, le repliche.

La prostituta in macchina, al suo posto, con la foto di Rosalya davanti. Sciocco.

Senza nome, in silenzio. Chi è lei, sembra domandare, davanti alle foto, sparse ovunque. E lui, ride, ride senza parole.

Rosalya. Il silenzio che crepa i vetri. Adesso non c'è più3.

Finchè morte non vi separi, si dice. Finché non accade qualcosa e, allora, c'è qualcosa che ti cade in testa, uccidendoti.

Routine: le persone muoiono ogni giorno.

 

 

*

 

Alexy e Armin, ancora, la ricordano.

Non l'hanno mai dimenticata, non potrebbero.

Anche se, l'amore, non l'hanno mai compreso, è qualcosa di più chiaro dell'oblio. Non ci sono spiegazioni – le cose accadono perché accadono, cadono, accadono – e succede, a volte, senza preavvisi. Che le scopri, le persone come lei. Anche se sembra impossibile.

La trovi sul ciglio della strada, una sera, che batte sui suoi tacchi rotti. Fragile come un tratto di matita, che potresti spezzarla anche soltanto abbracciandola.

Il sogno di uno scrittore, sostiene Alexy che, le memorie della sua puttana triste le ha scritte e dimenticate.

La cerca ancora.

Forse sulla strada, forse nascosta: una bambina, una ragazza con i capelli sporchi di tintura, unghia mangiucchiate e occhi fatto di vetro.

E cercarla, cercarla. Che si possa squarciare il velo perché, di comprenderla, non ci sono speranze: come l'amore, o la morte. Senti solo il dolore, alla fine.

Se davvero c'è altro, poi, è incertezza.

Potrebbero vederla, un giorno, ancora: con una corona di spine, e sottoterra nel gelo assoluto, con una sigaretta bruciata sulle dita, innamorata del nulla, una regina.

Non tornerà mai: adesso lo sanno, entrambi, che le attese sono stupide. Inutili.

È ancora finito, il caffé, quando passano per strada. È pieno di fantasmi.

Alexy ha un manoscritto nel cassetto, un'altra reminiscenza, ma non lo fa leggere a nessuno.

Memorie della mia puttana triste, si chiama.

Ed è finita così perché, Alexy ed Armin, il dolore l'hanno sentito. Mentre cadeva, accadeva, tutto alla fine.


 


1 "Paola lascia casa, il suo ragazzo, una gatta. L'Inghilterra o la Germania, quello sì. (...) Disillusione per disillusione, meglio la maleducazione che una canna di pistola alla tempia" - Baustelle (L'orizzonte degli eventi)
2 "Si è regine a qualunque età" - Stefano Benni (Pantera)
3 "Si chiamava Rosalya, adesso non c'è più" dal prequel.
   
 
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