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Autore: Tween    12/02/2015    1 recensioni
Jake è un ragazzo prodigio, sa costruire qualsiasi cosa ed è un prodigioso inventore, ma la sua vita verrà vista anche da un altro punto di vista, che lo accompagnerà in miriadi di peripezie in giro per il mondo!
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Mi svegliai la mattina dopo, era una bella giornata assolata di Luglio e pensai di andare un po’ in giro, invece di rimanere come al solito in officina a fare l’asociale. Mi alzai dal letto di buon ora e scesi le scale che portavano dalle camere al piano dove si trovavano la cucina e il salone. Entrando in cucina trovai la tavola apparecchiata per fare colazione. Erano le undici e non avevo molta voglia di mangiare, quindi misi tutto ciò che si trovava sul tavolo a posto, poi presi uno dei muffin salati che mamma aveva preparato il giorno prima e lo mangiai camminando verso il salone, da dove provenivano le voci di mamma e papà.

Li vidi piegati su delle carte a studiarsele, il blocco degli appunti da navigazione di mamma andava continuamente aggiornato, e nel tempo libero si dedicavano a sistemarlo. Da quando stavano insieme papà scelse mia madre come suo navigatore. Lei si dimostrò un ottimo navigatore da subito e il loro rapporto personale rafforzò la loro unione durante le corse. Forse era anche per quello che mio padre vinse così tanto. Certo mi facevano tenerezza sempre così affiatati nella vita e nello sport. Io invece ero lì a cercare una ragazza che non si spaventasse della mia auto, purtroppo senza successo. La scuola dove andavo io era piena di opportuniste ipocrite che non mi piacevano se non fisicamente, e il mondo delle corse clandestine non è come lo si descrive nei film. Mi venne da ridere quando vidi “Fast and Furious Tokyo Drift” dove anche i peggiori dei piloti clandestini erano ricoperti da modelle giapponesi. Qui era già tanto se c’era Mara, fidanzata dell’organizzatore, una ragazza carina, ma troppo altezzosa per i miei gusti.

“Ciao!” Esordii salutando i miei genitori, che alzarono la testa, salutandomi. “Dormito bene?” mi chiese papà. Gli risposi accennando positivamente con il capo. “Papà, sistemo la Fiesta ed esco… Vado a fare quattro passi da qualche parte.” Mi salutarono entrambi e uscii dalla porta di servizio che dava sul garage. La luce filtrava dalle grosse finestre, e tutto l’ambiente era illuminato da una luce calda. Mi guardai intorno, cercando la Ford Fiesta. Ricordavo di averla lasciata su uno dei ponti. C’erano otto ponti idraulici nel garage, che era enorme, in fondo inoltre c’era un area adibita a parcheggio che avrà contenuto almeno 150 auto di tutti i tipi. Quelle che usavamo più spesso erano caricate sui ponti perché le modificavamo continuamente. Si, sia io che i miei genitori eravamo meccanici, e sapevamo tutto delle nostre auto. Papà guadagnava moltissimo insieme a mamma grazie alle vittorie nella WRC e io facevo parecchie corse in classi minori, ma portavo a casa parecchi soldi anche io, oltre alle scommesse che vincevo nelle gare clandestine, che erano la parte più consistente dei miei guadagni, decine di migliaia di euro (molliche rispetto ai milioni che guadagnava papà ma riuscivo a farci parecchie cose).

Feci scorrere gli occhi elencando mentalmente le auto: Camaro, Impreza, Zafira (si, è vergognoso, ma a mamma piace perché è spaziosa), Fiesta. “Ah, eccola!” dissi contento. Sollevai l’auto e modificai l’assetto delle sospensioni, ammorbidendole e abbassandole un po’. L’avevo lasciata in assetto da rally.

Mi rendevo conto che la mia auto da rally, con le sue aerografie e il suo numero 17 stampato sulle fiancate, non era l’auto migliore per passare inosservati, ma almeno era meno potente della mia Camaro. Appena finii di lavorare sull’assetto la lasciai scendere a terra e salii accendendo il motore. Controllai il funzionamento di tutti i sistemi dell’auto dallo schermo dell’ECU, posizionato appena sotto il cambio della macchina.

Uscii dal garage e passai per il cancello andando verso il raccordo. Avevo deciso che sarei andato al mare, alla spiaggia sotto scuola. Si in effetti non andavo a scuola a Roma, mio padre mi iscrisse al liceo scientifico di Anzio, dato che un matematico, che era il suo professore di fisica gliene aveva parlato molto bene ultimamente. Non era un peso per me, tanto ero abituato a svegliarmi presto, e un’oretta in macchina era quello che ci voleva per svegliarmi prima di andare a scuola. La cosa che mi dava fastidio era dover fingere di arrivare con l’autobus per non farmi fare domande sul fatto che guidavo la mia Camaro, ma fortunatamente avrei potuto smettere presto, raggiunta la maggiore età. Presi la Nettunense, era la strada più diretta per arrivare ad Anzio e non mi andava di sprecare quella bella giornata di sole. Era già mezzogiorno. Arrivai al centro della città, e presi la via Ardeatina, passando per la rotatoria che univa le due strade. Arrivai al grosso parcheggio che precedeva la scuola e parcheggiai la mia auto. Scesi dall’auto prendendo un asciugamano dal bagagliaio e chiusi le portiere a chiave, lasciando quell’auto, tutta nera, a infuocarsi sotto il sole di mezzogiorno. Feci quattro passi per raggiungere le scalette che scendevano la parete verticale della scogliera, portando sulla spiaggia.

Stesi il telo sulla sabbia e mi misi a sedere su di esso, godendomi la vista del sole e gli schiamazzi della gente che frequentava la spiaggia libera, o almeno quel fazzoletto che era rimasto tra gli stabilimenti balneari. Improvvisamente sentii una voce da dietro di me dire “Guarda un po’ chi si vede!”

Conoscevo quella voce, era Serena, una delle mie compagne di classe. Mi voltai e c’erano 4 o 5 persone: Martina con il suo ragazzo Giovanni, Flavio, Serena e Kim. “C’è il mio biondo preferito!” proseguì Serena. Notai la faccia di disapprovazione di Flavio (biondo anche lui), che inseguiva Serena da anni, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederle di uscire. Martina e Giovanni quasi non mi avevano visto, erano troppo concentrati a fare gli innamorati e Kim come al solito era silenziosissima. “Ehm… Ciao a tutti!” risposi un po’ imbarazzato, non pensavo di incontrarli, insomma, chi vorrebbe andare al mare sotto la propria scuola? A quanto pare loro volevano. Serena mi squadrò da capo a piedi. Portavo tutto l’abbigliamento firmato di mio padre, che era sponsorizzato da DC Shoes. Cappellino e maglietta con la scritta “Santi” e il numero 17. Fortunatamente avevamo lo stesso numero in corsa, motivo di non pochi conflitti, ma potevo portare i “suoi” vestiti senza problemi. “Sei al mare, non pensi che dovresti spogliarti?” mi disse con disinvoltura. Serena non era certo una ragazza timida, anzi quello che voleva se lo prendeva e sapevo bene che lei voleva vedermi a torso nudo. Sorrisi nel vedere che Flavio era molto infastidito da come si comportava Serena e mi sorpresi nel vedere che Kim era diventata rossa. Di Martina e Giovanni non ne parlo proprio, erano tornati a pomiciare sul loro asciugamano. “Non penso proprio, mi spoglierò quando sarà il momento di tuffarmi, per ora sto bene così” le risposi a tono, avevo caldo, ma per rispetto di Flavio (e anche di Kim a quanto pare) non mi sarei tolto quella maglietta tanto facilmente. Ma purtroppo la ragazza non si perse d’animo e si sedette accanto a me dicendo “Non me ne vado finche non ti spogli”. Naturalmente non capiva che non mi sarei spogliato, quindi mi alzai e dissi “Allora mi muovo io, ciao!” muovendo qualche passo verso le scalette “Tieni il telo, non m’importa” proseguii alzando la mano destra in segno di saluto.

Sarei voluto tornare alla macchina, ma quando mi avvicinai al parcheggio con la mano in tasca per prendere le chiavi sentii la voce di Serena urlare “Jake! Aspettami!” Fermai la mano in cerca delle chiavi e mi voltai: vidi Serena corrermi incontro, seguita da Flavio che le correva dietro e da Kim, che manteneva un passo normale, sempre avvolta dal suo misterioso silenzio… Mi perdevo tante volte a immaginare cosa potesse pensare quella ragazza, ma poi mi riprendevo e ricominciavo a pensare a bielle e pistoni. Serena mi si attaccò al braccio e mi trascinò con se: “Tu ora farai il bagno con noi!” disse strascinandomi verso la spiaggia. Avrei potuto porre resistenza, ma non ne avevo voglia… La bassa pressione mi uccideva d’estate e riuscivo ad essere completamente cosciente solo di notte.

C’è da dire che fui fortunato che nessuno dei tre avesse notato la mia variopinta auto, che ormai si trovava a pochi metri da dove fui preso e portato via. “Ho incontrato poliziotti più delicati di te” dissi ridendo a Serena. Il poliziotto che mi arrestò il giorno prima era molto più delicato nel trascinarmi via.

Arrivato al mio asciugamano dissi “Va bene, lasciami, vengo vengo!” anche perché cominciavo a sospettare che mi avrebbe buttato in acqua senza nemmeno avermi fatto spogliare, e fare il bagno con i jeans non è piacevole. Mi poggiai sul telo e tirai fuori dalla tasca le chiavi della Fiesta. Dato che non avevano sistemi elettronici potei infilarle in una tasca del costume. Mi tolsi il cappello, lasciando libero il mio ciuffo biondo e a seguire sfilai via la maglietta, mostrando i muscoli scolpitissimi del mio petto. Facevo parecchio allenamento in palestra, quindi avevo un buon fisico, nonostante avessi solo 17 anni. Notai gli occhi di Serena illuminarsi e la faccia di Kim arrossire sempre di più. Dopo essermi spogliato scattai verso l’acqua e mi infilai subito con tutto il corpo a mollo in modo che uscisse solo la testa. Gli altri mi seguirono più lentamente. Mentre eravamo in acqua Serena cercava continuamente di avvicinarsi a me e io la spingevo verso Flavio. Mi faceva arrabbiare perché faceva lo scocciato ma non riusciva a chiederle di uscire, speravo che con tutte le volte che gliel’avevo lanciata addosso si convincesse. Kim, che era arrivata dopo si limitò a prendersi come al solito una valanga d’acqua durante la battaglia di schizzi. Quando uscimmo dall’acqua saranno state le due di pomeriggio, al che io mi congedai dai miei compagni dicendo di dover andare a mangiare. Mentre salutavo lanciai un’occhiata a Flavio, come per incitarlo a invitare Serena a pranzo, ma lui mi salutò e restò in silenzio, cominciando a scappare dalla ragazza che aveva cominciato ad inseguirlo per divertimento appena dopo che mossi il primo passo sulle scalette dopo essermi asciugato e rivestito.

Riuscii a raggiungere la mia auto, che avevo tanto desiderato prendere per scappare via in quell’ora che avevo passato lì in spiaggia. Salii poggiando il telo da mare insabbiato nel bagagliaio e accesi il motore. Feci manovra per uscire dal parcheggio, ma sulla strettoia che fungeva da uscita trovai Kim, in mezzo alla strada. Le inchiodai davanti sebbene stessi andando molto lento, non volevo investirla. Lei mi guardò con uno sguardo interrogativo. Scesi dall’auto e le andai incontro, non sapevo minimamente cosa dire, ma quando arrivai abbastanza vicino da sentirla lei mi disse con una voce flebile “Posso salire?”

Non avevo mai sentito la sua voce, come nessuno dei miei compagni di classe, ma non mi soffermai molto sulla sua voce e risposi “Certo, salta su!” con la voce leggermente imbarazzata… Non mi aspettavo di trovarla lì e di certo non volevo che sapesse, beh, dell’auto… Ma la lasciai salire lo stesso. Lei si accomodò sul sedile passeggero silenziosamente, mentre io riaccendevo il motore dell’auto e uscivo dal parcheggio.

Feci partire l’auto, non molto velocemente, non avevo voglia di terrorizzarla e mi diressi verso il centro di Anzio. “Quindi l’avevi vista…” le dissi per intavolare un discorso. Avevo un passeggero e non sapevo dove volesse andare, non potevo certo rimanere in silenzio, anche se immaginavo che lei lo avrebbe fatto. Come potevo aspettarmi la sua risposta fu un misero “Si.” Kim era troppo silenziosa per i miei gusti e di certo la situazione non si sarebbe mossa oltre in questo modo.

“Dove ti porto?” le chiesi gentilmente. “A casa…” rispose lei, aggiungendo con un flebile sospiro l’indirizzo di casa sua. Non era lontano, quindi quella situazione assurda sarebbe finita presto. Tutto il resto della discussione fu incentrata sull’auto: le chiesi se le piaceva e lei rispose di si. Arrivammo velocemente davanti a casa sua. Lei era ancora in costume: era una bella ragazza, era oggettivo, e piaceva a buona parte della classe, ma a me non aveva mai fatto granché effetto, essendo così silenziosa. Ma in quel momento ero più interessato nella casa, un villino non lontano dal centro città: doveva essere una casa comoda per una piccola famigliola. Lei scese dall’auto, silenziosa com’era salita, ma poi fece una cosa che mi sorprese parecchio, chiudendo la portiera dell’auto si poggiò al finestrino aperto e mi chiese “Ci sarai domani?”

Non sapevo cosa rispondere, lei desiderava che io ci fossi il giorno dopo, ma non avrei sopportato Serena per un'altra giornata. “Verrò quando convincerai Flavio a chiedere a Serena di uscire.” le risposi “Il mio numero ce l’hai, avvisami.” Lei si staccò dal finestrino e io alzando la mano in segno di saluto mossi l’auto lontano da lei, tornando verso casa.

Quella non è stata l’unica sorpresa della giornata. Tornai di corsa a casa, stavolta evitando la polizia e in poco meno di venti minuti avevo di nuovo oltrepassato il cancello di casa. Andai ad aprire la porta del garage per caricare l’auto sul ponte ma quando la porta si alzò vidi la mia tuta. La mia tuta: la tuta ipertecnologica che avevo costruito con tanta fatica. Quel mucchio di ferro e gomma che si trovava sotto il sedile della mia auto. Indistruttibile, piena di armi e di strumenti tecnologici e composta da un esoscheletro di mia invenzione che potenziava del 700% le capacità fisiche. Mio padre non avrebbe mai resistito alla tentazione, lo sapevo. Lasciai l’auto lì dov’era e scesi, mi diressi verso la tuta e presi il casco con le mani, guardando attraverso la visiera arancione a specchio. Sollevai il casco e vidi la testa di mio padre. “Papà! Non riuscivi a tenere le mani a posto eh?” mio padre mi guardava con gli occhi affascinati “Jake! Questa tuta è fantastica! Come ti è venuto in mente di costruire una cosa del genere?” abbassai gli occhi. “U… Un videogioco.” In effetti l’idea di costruirla mi venne in mente dopo aver giocato a Crysis 2, mi ero innamorato della nanotuta di quel gioco. Mio padre sembrava affascinato da quella tuta, ma probabilmente era più affascinato dalle mie capacità che dalla tuta in sé. “Ora toglitela però… E’ tarata sul mio sistema biologico, potresti distruggerla.” Mio padre capì subito l’importanza di ciò che avevo detto e si tolse la tuta immediatamente. “Bel lavoro Jake, ora capisco perché stavi sempre chiuso in camera… “

Era stata una giornata abbastanza folle, quindi dopo aver parlato un po’ con mio padre del funzionamento, delle specifiche e dei dettagli tecnici della tuta mi chiusi in camera a guardare un film. Scesi per cena e continuai a chiacchierare della tuta con papà, che mi costrinse a promettergli di farne una anche per lui. 

   
 
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