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Autore: Flawless_hunter    13/02/2015    5 recensioni
Fangirls e Fanboys hanno trovato il modo di entrare nei loro libri preferiti e instaurare lì un loro dominio, il Fandom. A dieci anni dalla fine dalla Rivolta di Panem, i Fans costringono i protagonisti delle loro saghe preferite (Hunger Games, Divergent, Shadowhunters, Harry Potter, etc..) a prendere parte ad un'ultima edizione degli Hunger Games: i Fandom Games.
Chi vincerà? Stavolta per Katniss e Peeta non sarà una passeggiata vincere contro semidei, nephilim, re, regine, maghi e quant'altro
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Spoiler!
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Note dell’autore: Un altro capitolo? Così presto? Ebbene sì. Volevo stupirvi con effetti speciali. Nonostante pochissimi di voi abbiano recensito l’ultimo capitolo (grazie a Scorpion550, best_alex e la mia The_shipper_number1 per le recensioni) ho deciso di cercare di andare avanti, adesso che posso.
Godetevi lo spettacolo *risata sadica*
Hunter
 
La luce grigia dell’alba iniziò a rischiarare il cielo.
Le dita di Hermione erano aggrappate alla bacchetta come se fosse un’ancora di salvezza per evitare di essere portata alla deriva dalle correnti del dolore.
La morte di Harry le aveva causato un dolore tale che le era sembrato che una ferita gli avesse squarciato il petto e che il cuore fosse fuggito da quella nuova apertura.
Si era addormentata scossa dai singhiozzi e, quando Sennar l’aveva svegliata per farsi dare il cambio, le sue guancie erano rigate da minuscoli granelli di sale: ciò che rimaneva delle lacrime che l’avevano accompagnata nel mondo onirico.
Da quando aveva montato la guardia si era imposta di non piangere e ci era riuscita, ma ciò che non era riuscita a fare era stato lenire il dolore che la attanagliava.
Amava Ron, con tutto il suo cuore, ma Harry era stato per lei un fratello, così come lei era stata, per lui, una sorella.
Poco distante da lei, sul bordo opposto del cerchio protettivo, Sennar si mosse, mugulò e aprì gli occhi.
Quando guardò la ragazza i tendini sul collo si tesero e qualche scintilla luminosa guizzò intorno alle sue dita, ma poi, ricordandosi che erano alleati, si rilassò e si lasciò cadere nuovamente con la testa appoggiata allo zaino.
Nessuno dei due disse nulla, limitandosi a dividere una pagnotta, ormai dura, e fissare chi la radura, chi il cielo.
-Mi ha salvato la vita- disse la ragazza dopo un po’, con voce rotta e incrinata.
Il mago dai capelli rossi non seppe cosa rispondere; a dire il vero non sapeva neppure, con certezza, se Hermione stesse parlando con lui, o avesse semplicemente  espresso un pensiero a voce alta.
-La Ghiandaia mirava me, e io lui mi ha fatto scudo col suo corpo. Mi ha salvato dalla morte quando io, ormai, mi ero arresa. Mi ha dato la possibilità di tornare a casa-.
Sennar rimase in silenzio.
Capiva cosa si provava, il desiderio di togliersi quel peso dalle spalle, dal cuore.
La lasciò parlare.
Hermione alzò la testa, verso il cielo terso e gridò –Mi dispiace, Ginny. Mi dispiace. Non era questo che volevo. Mi dispiace-.
Sennar si alzò, e mosse qualche passo incerto verso di lei.
Le si inginocchiò accanto e la abbracciò timidamente, finchè non si cambiò.
 
***
 
Annabeth aprì gli occhi per trovarsi la faccia di Percy a circa dieci centimetri dalla sua.
Cacciò un urlo.
Ora, Percy era un bel ragazzo, per carità, con quegli occhi verde mare e i capelli neri, ma ritrovarselo a distanza così ravvicinata appena sveglia… beh, sarebbe potuto essere anche Eros in persona.
-Percy! Ma che stai facendo?- esclamò la ragazza, mettendosi a sedere.
Il ragazzo inclinò la testa da un lato.
-Devo dirti due cose. La prima: quando dormi sbavi anche tu. Non tanto, ma lo fai!-.
Le labbra di Annabeth si incresparono in un sorriso.
-La seconda, Testa d’Alghe?- chiese lei, tirandogli un lieve pugno sulla spalla.
-La seconda…- disse il ragazzo, ora più serio –E’ che potrei conoscere qualcuno che può aiutarci-.
 
-Ma perché non me lo hai detto prima?- gridò Annabeth, fuori di se dallo choc.
-Ero… preso dai giochi. Non ci ho pensato!- ribattè il figlio di Poseidone.
-Non intendevo quello. Intendevo prima prima. Quando eravamo ancora a New York.- sbottò lei, incrociando le braccia.
Gli occhi color del ferro incupiti dalla rabbia.
-Gli avevo detto…- provò a scusarsi Percy.
Annabeth alzò un dito, zittendolo.
Respirò profondamente, chiuse gli occhi e contò fino a dieci.
-Sei sicuro che potrà aiutarci? Che funzionerà?- chiese la figlia d’Athena, ora calma.
-No, ma meglio tentare e morire lo stesso che morire senza aver tentato-.
Annabeth decise che era un ragionamento logico.
-Okay, come si fa?- chiese la ragazza, spingendo una ciocca d’oro dietro l’orecchio.
Percy non lo sapeva.
Non con assoluta certezza, quantomeno.
Non ci aveva mai provato e non era sicuro che nell’Arena avrebbe funzionato.
Si guardò il palmo: era sporco e livido, ma per il resto sembrava normale.
Ma il ragazzo sapeva che c’era di più, qualcosa invisibile che lo aveva sempre accompagnato.
Il figlio di Poseidone si riempì i polmoni d’aria frizzante e pronunciò un nome: Carter.
Sul suo palmo apparve uno strano disegno azzurro luminoso, una specie di occhio.
-Ma quello è…?- chiese Annabeth senza parole.
-L’Occhio di Horus. Sì- confermò Percy, serio.
 
***
 
Il ragazzo si svegliò, madido di sudore.
Fuori era ancora buio e i rumori di Brooklyn erano attutiti dalle finestre.
L’East River brillava al riflesso della luce della luna.
Eppure c’era qualcosa di strano, qualcosa che non andava.
Poi capì cos’era: il proprio nome, che gli rimbalzava nella testa in tono urgente.
Per un attimo pensò che fosse uno dei suoi iniziati, o Sadie, che lo chiamava da dietro la porta.
Ma poi realizzò che era una voce diversa, solo nella sua mente; una voce maschile che aveva già sentito.
Si alzò dal letto per sciacquarsi la faccia e il pensiero arrivò come un fulmine a ciel sereno.
-Percy!- disse, rivolto al proprio riflesso, in bagno.
 
***
 
Will si arrampicò senza troppa fatica sull’albero.
Le mani erano coperte da graffietti superficiali, ma lui non diede grande peso alla cosa.
Kirjava si acquattò su un rametto lì vicino.
-Perché ti hanno lasciato andare?- chiese la gatta, dopo un breve silenzio.
Era stata felice di rivedere Will, soprattutto dopo che era fuggita come una codarda, ma la cosa non le tornava.
Temeva che i ragazzi li stessero seguendo, che fosse una specie di gioco sanguinario e sadico.
D’altronde, erano nell’arena: la cosa non l’avrebbe stupita così tanto.
-Non lo so- rispose il ragazzo –Ma che importanza ha? Sono libero, no?-.
Kirjava annuì, mesta, ma non ne era sicura.
William cacciò una mano nella sacca e ne estrasse due pezzetti di carne secca.
Uno lo mangiò, mentre diede l’altro a Kirjava.
La carne sembrava stargli dando nuovo vigore; sentiva il formicolio che gli correva lungo la schiena.
Dovettero passare alcuni istanti prima che si rendesse conto di quanto fosse strana, quella sensazione.
I brividi si allargarono lungo tutta la schiena e le braccia, il torso e il collo.
Iniziò a scuotersi e grattarsi.
Infilò una mano nel collo della divisa e, quando la estrasse, se la ritrovò piena di formiche rosse grandi quattro volte una formica normale.
Gridò e fece un movimento brusco, cadendo dall’albero.
Una volta a terra, nonostante la caduta gli avesse strappato il fiato dai polmoni, si rotolò furiosamente, cercando di scacciare o schiacciare le bestiacce e liberarsene.
Ma quello ebbe l’unico effetto di farle imbestialire.
Gli insetti iniziarono a mordere con le loro tenaglie affilate, e ogni morso sembrava uno spillo infilato nella carne di Will.
Il ragazzo si strappò la maglietta di dosso, gridando.
Quando si alzò per fuggire le formiche erano ormai sparute o morte, ma il suo corpo era lacero e sanguinante, e la schiena era decorata con un intricato motivo cremisi.
 
***
 
Percy se ne stava in riva al fiumiciattolo, intento ad arrostire uno dei piranha assassini che infestavano le acque del torrentello.
Doveva essere quasi mezzogiorno.
Ogni tanto lanciava fugaci occhiate ad Annabeth, ma la ragazza se ne restava in disparte, silenziosa.
Percy sapeva cosa stava pensando: era amareggiata che il piano non avesse funzionato.
Come lo era lui, del resto.
Fece una smorfia rassegnata, sfilò il bastone dal pesce e lo adagiò su una foglia larga a mo’ di piatto di fortuna.
-Il pranzo è pronto- disse, avvicinandosi alla ragazza cautamente.
-Non so se mi piace, l’idea di mangiare un pesce che potrebbe aver mangiato un essere umano- borbottò lei.
Percy fece una smorfia.
-Nemmeno a me, ma abbiamo finito le provviste e non abbiamo alternative-.
Si sedette accanto a lei e appoggiò il “piatto” tra loro.
-Per gli dei, e quello cos’è?- esclamò la figlia di Athena di punto in bianco.
Il tronco di un albero, davanti a loro, si era trasformato in una specie di vortice di sabbia.
I due semidei si alzarono, con le armi in mano.
Forse era un trucco degli strateghi.
Poi la cosa sputò due figure: un ragazzo dalla pelle scura con riccioli castani e una spada decisamente singolare e una ragazza, dai capelli biondi striati di porpora e un lungo bastone bianco in mano.
 
 
  
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