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Autore: Fanny Jumping Sparrow    14/02/2015    6 recensioni
Era diventato lui il suo tramite col resto del mondo che sognava di conquistare.
Uno stuzzicante strumento che avrebbe voluto imparare a manipolare a suo piacimento.
Sapeva che era una scommessa persa in partenza.

Breve momento quotidiano immaginario del periodo in cui Beckett e Jack Sparrow lavoravano gomito a gomito nella EITC.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jack Sparrow, Lord Cutler Beckett
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Wicked as it seems



Accostò la delicata tazzina alla bocca, assaporando intensamente quella fresca e pungente miscela di spezie che solleticò la gola arida.
Col suo potere stimolante quella bevanda aromatica lo illudeva di staccarsi da quella scrivania ingombra di noiose scartoffie e monotoni registri di conto, evadere da quelle quattro mura tappezzate di scaffali e squallidi quadri ad olio, e trasportarsi anche lui in mezzo alle acque cristalline del Golfo Persico o del Mar dei Caraibi, riempiendosi lo sguardo con quel cielo limpido e luminoso, respirando a pieni polmoni il vento afoso e profumato di salsedine, riscaldandosi le ossa sotto quel sole prepotente che scuriva la pelle, rendendola di un’affascinante tonalità bronzea.
Come la sua.

Stava sul serio di nuovo considerando quanto potesse essere accattivante e virile quella carnagione baciata dai raggi dei tropici?

Annuì con imbarazzo al sorriso impertinente che gli lanciò al termine di una battuta salace cui non aveva prestato ascolto.
Jack Sparrow blaterava gesticolando con volgare enfasi per accompagnare il racconto.
E quel suo tintinnare di ciondoli e anelli lo ipnotizzava. Aveva un ascendente irresistibile e maligno che si insinuava nella carne, scuotendola dal torpore cui si era assuefatto.
O forse erano i suoi occhi che lo provocavano, furbi e melliflui, con loro peculiare taglio obliquo e quella loro profondità insondabile. Avevano qualcosa di femmineo nella loro lucentezza languida e seducente, accentuata da quel tocco esotico di bistro, incutendo un languore indecente quando si fissavano con insolenza nei propri.

Ancheggiando in tondo per la stanza, sciorinava con vivace immodestia i particolari più incredibili della sua ultima impresa oltreoceanica. Le mani talvolta si stringevano a pugno, talaltra stendevano le dita, descrivendo ghirigori in aria.
Erano ruvide, sudice e callose quelle mani, aveva attestato con ribrezzo la prima volta in cui si erano presentati.
E ora si chiedeva sconvenientemente se quel giovane avventuriero fosse così abbronzato, grezzo e robusto anche sotto i castiganti vestiti che nascondevano molto alla vista, ingannandola impunemente.
E la cosa gli rodeva il fegato, come quei disdicevoli pensieri che rivolgeva sovente alle sue labbra, dalla forma troppo morbida e sensuale anche quando si arricciavano sotto i baffi da sparviero che le incorniciavano.

Incrociò per un attimo la sua occhiata concupiscente, interrompendosi e sbattendo le palpebre.

- Vi siamo grati per i vostri encomiabili servigi, Capitan Sparrow.

Si premurò di blandirlo, facendogli cenno di riprendere il resoconto, leggendo nel frattempo i dispacci ufficiali che aveva recato con sé.
L’attesa di sue notizie era stata spasmodica, ma in verità avrebbe voluto affrettare la conclusione di quella fastidiosa manfrina. Solo che tutte le volte non riusciva a sbrigarlo in un quarto d’ora.
Era diventato lui il suo tramite col resto del mondo che sognava di conquistare.
Uno stuzzicante strumento che avrebbe voluto imparare a manipolare a suo piacimento.
Sapeva che era una scommessa persa in partenza.

La tazza di squisito the indiano che aveva ordinato alla sua domestica di preparargli stava freddandosi, perdendo il suo corposo aroma.
Era rimasta desolatamente intatta, ignorata e rifiutata dal suo eccentrico ospite. Proprio come lui.
Cutler Beckett si ritrovò a guardare il proprio vacuo riflesso in quel placido liquido paglierino.
Vi annegava spesso quand’era sovrappensiero, e a volte, sorseggiandolo nella solitudine del suo angusto ufficio, avrebbe voluto che potesse risucchiarlo davvero altrove.
Era un’esistenza dedita unicamente al dovere e agli oneri la sua.
Ci si era consacrato anima e corpo a quel lavoro, accantonando tutto il resto, svaghi, desideri, affetti.
Concentrarsi a tutti i costi a costruirsi un’immagine irreprensibile significava mantenere una condotta morigerata. Per quello occorreva starsene al riparo dalle tentazioni, o, qualora si presentassero, evitarle nella maniera più assoluta.

La lusinga peggiore di qualunque altra in quel momento gli si muoveva ambiguamente davanti.
Odorava insopportabilmente di alcol, sudore e sale, di una vita dissoluta vissuta senza limiti, che lui non avrebbe mai potuto emulare.
Né madre natura né il fato dopotutto erano stati molto generosi con lui: debole e sgraziato nel fisico, artificioso e schivo nei modi, non suscitava alcuna attrazione nel sesso opposto, e il suo essere eccessivamente rigido e razionale nel pensiero gli procurava più antipatie che apprezzamenti perfino tra i parenti più prossimi.

Se c’era qualcosa di cui andava fiero e per la quale nessuno osava criticarlo mai, era la sua scaltrezza e la sua impeccabilità nel gestire gli affari, senza condizionamenti di sorta, riuscendo a mascherare anche le più ardite speculazioni finanziarie in ammirevoli successi che avevano fruttato grandi profitti alle casse del consorzio tanto quanto alle sue tasche, permettendogli una rapida scalata sociale.
Era un talento che tutti gli invidiavano, quello per la simulazione. L’aveva coltivato sin da bambino, per non permettere agli altri di calpestarlo. Era sopravvissuto a dissesti familiari grazie a quella sua capacità di eclissare la tristezza e il dolore dietro una facciata inappuntabile, fatta di compostezza e affidabilità.
Lavorava presso la Compagnia delle Indie Orientali da oltre un paio di lustri oramai, eppure di quei luoghi di cui dibatteva di continuo non conosceva altro che tratte commerciali e tariffe di imbarco, in aggiunta ai nomi dei più ricchi e spregiudicati trafficanti con i quali negoziava la compravendita di costose merci, tanto gradite al palato e al gusto del vecchio polveroso continente.

Non c'erano gioie né distrazioni nella sua ossequiosa routine, prima che irrompesse a sconvolgerla lui.
E Cutler Beckett si accaniva a compatirsi in quel torbido rimescolamento di sensazioni che innescava la sua stravagante presenza.
Quel Jack Sparrow era uno spirito libero, glielo suggeriva ogni dettaglio del suo atteggiarsi e discorrere che non poteva imbrigliarlo, eppure si ostinava a tollerare le sue insubordinazioni, pur di non perderlo.
Era qualcosa che collideva con la logica che aveva sempre perseguito.
Un’ossessione frustrante e distruttiva.



Salve gente :)
Questo proprio è il tipico caso di storia che si scrive da sola e in brevissimo tempo, senza la piena consapevolezza dell'autrice ^^
Mi sono riservata questa giornata perché volevo raccontare una forma di sentimento un po' diversa dal solito, ed ho scelto anche una "coppia" anticonvenzionale, ovvero Cutler Beckett e Jack Sparrow.
Il loro rapporto è parecchio controverso, sicuramente poteva essere ulteriormente approfondito, però volevo soffermarmi sull'aspetto dell'infatuazione che il frigido Lord prova nei confronti dello sfrontato pirata.
Una storiella senza pretese, composta perché in astinenza dal fandom ahaha.
Grazie comunque a chi vorrà spendere qualche minuto per leggerla e commentarla.
ps: il titolo l'ho ripreso da una canzone di Keith Richards ^.^



   
 
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