61 Il lieto fine per una merdaccia
Nell’atollo
corallino sperduto in mezzo ai Caraibi un uomo con i capelli bianchi giaceva
inerme su un enorme sdraio, circondato da quattro baldraccone mulatte da fiera
agricola. Non si muoveva, guardava dritto davanti a sé. Respirava a malapena
dal fondo di una sguaiata camica hawaiana.
«Capo?».
Gli si avvicinò con in mano un mojito un uomo con i lineamenti orientali, una
sgargiante pettinatura bionda, occhiali da sole da 10 mila dollari e un odore
corporeo da fossa comune. «Vuoi un mojito?».
«C-c-c-cos’è
un mojito?». Domandò arrendevole il signore brizzolato, mentre la mulattona col
davanzale più grosso gli massaggiava le spalle. Pareva non gradire. Tremava
come se gli stessero facendo del male.
«Ah
Ah», rise il punkettone nipponico. «Ma almeno lo puoi cacciare il francese
dalla spiaggia?».
«Fra-fra-francese?».
«Sì,
capo, te l’ho già detto. Quel francese vestito da becchino, quello che se non
ti tratto bene finché ti riprendi mi dovrebbe in teoria sparare?». Disse
annoiato lo yakuza.
«Eh?».
«Niente.
Stai ancora rincoglionito». Sorrise. «Stai lì capo. Goditi il sole». Si
avvicinò verso di lui, e verso le mulattone dai seni giganteschi. «Juanita!».
La Venere nera che stava massaggiando l’uomo sullo sdraio si volse verso il
giapponese: «Sì?». «Andiamo a farci un giretto… Se capisci che intendo». La
bocca di rosa locale rise sguaiatamente, mentre il mafiosetto nipponico le
arpionava le natiche con le sue manacce. Le altre tre lo seguirono.
Giandomenico
Fracchia rimase così da solo, a contemplare il sole che scendeva. Pareva si
tuffasse nel mare come il suo amico Kenzo si stava tuffando a pochi metri di
distanza, fisicamente, dentro Juanita e le altre.
Il
gangster francese vigilava su di lui da distante, pensando, come tutti, che
quell’ameba spiaggiata e imbelle, incapace di proferire parola, fosse la Belva
in letargo, pronta a svegliarsi da un momento all’altro per riconquistare con i
suoi artigli quel mondo che era suo. Il conterraneo di Zidane scorgeva nei lineamenti
del possessore della camicia hawaiana una fierezza sopita ma presente, per la
quale, lui, che aveva ammazzato solo quindici uomini in tutta la sua vita,
provava un pizzico di invidia.
Il
sole scendeva, ed era bellissimo. Fracchia rimase lì. Non parlò, non fiatò, non
si mosse. Lasciò che il sole facesse il suo lavoro e lo scaldasse a dovere.
Perché anche per le merdacce, a volte, i salmi finiscono in gloria.
-
Ora è la fine.
Ringrazio chi mi ha accompagnato in
quest’avventura di due anni e mezzo (iniziata ormai dodici anni fa), che ora
volge al termine, in particolare Cinzia, la vera “madrina” di Meimi e Asuka.
Quest’avventura mi ha cambiato, in
tutto, ed è stata una modalità meravigliosa per mettere in chiaro alcune
ideuzze che ho sull’amore, sulla missione, sul rapporto coi “piani alti” del
pianerottolo della Trascendenza.
Un grazie a voi che avete letto fino
a qui. E non smettiamo di sognare. Mai. Perché allora vorrà dire che la fine,
quella vera, sarà già arrivata.