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Autore: past_zonk    15/02/2015    1 recensioni
{Aurikku! ~ }
Son passati tre anni da quando Auron è scomparso, ma nel cuore della ragazza c'è ancora traccia di lui. Ogni notte uno strano sogno le fa visita, fino a quando uno strano accaduto la catapulterà in un'avventura inaspettata.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rikku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'As you were Humbert.'
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Image and video hosting by TinyPic  ...Ahem. Sono tornata! Due anni, circa, I know, I know. Ahem. Mi spiace, okay?
 Sono terribile, lo so, ma il fatto che io stia continuando questa fanfic e non la miriade di altre che ho in sospeso è già un qualcosa di positivo, no? No?
 Okay, okay. Forse non è il massimo del positivo.
 Sono soddisfatta di questo capitolo? Non proprio, come al solito, però ho idee in mente, ed ho per ora intenzione di continuare questa fic.
 Grazie a tutti coloro che recensiscono e a Miky che per ora si sarà probabilmente annoiata a morte dei miei anni di hiatus. Sono peggio della produzione di BBC Sherlock. Perdono.
 Buona lettura, though!
Silvia.




Capitolo nove - Il bosco
 

 

Ormai Macalania li aveva inghiottiti, ecco la sensazione che ebbe.
E non era mica come il bosco in rovina della sua epoca, no! I ghiacci erano translucidi, dalle forme più bislacche e meravigliose; ogni lato – e ne erano molti – rifletteva un po’ del volto della giovane albhed, ovunque guardasse. Non aveva mai visto il bosco così vivo in tutta la sua vita. Rampicanti dal colore blu più profondo si intricavano ovunque, lungo le cortecce violastre, e nell’aria piccoli fiocchi di neve e pulviscolo volavano quasi fossero fate o esseri dotati di volontà. Il terreno sembrava argentato, e Rikku poteva giurare che se si fosse abbassata a prenderne una manciata, avrebbe avuto lo stesso odore delle foglie di salice, e forse, chissà, avrebbe perso la sua lucentezza stellare, una volta prelevato da quella terra magica.

Macalania le dava sempre quest’impressione: come se tutto potesse accadere, ogni magia o sogno potessero realizzarsi, le infondeva una profonda sensazione di pace, di una pace silenziosa, e di una speranza che però era fin troppo effimera, che portava con sé la consapevolezza che sarebbe durata ben poco, ché una volta messo piede fuori da quel bosco magico, tutto avrebbe perso valore, i suoi sogni sfioriti, e le sue speranze vane.
Rikku aveva imparato col tempo che la magia andava spesso di pari passo con la malinconia.
I suoi occhi verdi viaggiavano e si immergevano in quella vista bellissima e commovente: addirittura si riempirono di lacrime che quasi immaginava cristallizzarsi attorno alle sue iridi.
Chiuse gli occhi per un momento e si beò del silenzio, prima che arrivassero gli altri; del respiro tenue che la foresta aveva, il fruscìo di ogni pianta lucente, il ronzio elegante delle lucciole, il riverbero brillante emesso dai cristalli. Poi, esattamente in tema con questa composizione, si aggiunse al pentagramma una voce dai toni bassi.
“Bellissimo”
Rikku non aprì bocca. Si girò, ed annuì ad Auron, guardandolo negli occhi. Forse, o forse no, il bosco le avrebbe mostrato cosa si nascondeva in quelle iridi di brace.
Cosa si celava dietro i suoi comportamenti. Cavalleria? Pena? Senso di protezione, solitudine? Cosa?
Il bosco non glielo mostrò. Probabilmente, con Auron il guerriero, la magia non era abbastanza.
(...)
Poi i lunioli ondeggiarono, perfettamente in tono con il tutto, ed uno persino le sfiorò i capelli. Attraverso il riflesso di mille colori, Rikku vide Auron guardarla, deglutire e distogliere lo sguardo.
Forse il bosco le stava veramente mostrando cosa aveva dentro quell’Auron.

 

Belgemine si divise dal gruppo con profondi inchini e le solite riverenze. Braska ed Auron la salutarono riguardevolmente, mentre lei e Jecht alzarono a malapena una mano a mo’ di addio, troppo impegnati a cercare di compilare un inventario degli oggetti che si portavano dietro.
Rikku sorrise malandrina all’omaccione, felice di avere proprio lui come partner di crimini.

Jecht scrutò il foglio fra le sue mani, poi fece finta di depennare qualcosa dalla lista “Bigotta dalle trecce bizzoche: andata!”
Rikku fece segno all’altro di battere il cinque, e quasi finì a gambe  in su per la forza con cui l’uomo le aveva quasi disintegrato la mano.
“Ancora devi raccontarmi per bene di ieri notte,” aggiunse poi, Jecht.
“Ieri notte cosa?” esordì improvvisamente la voce di...Auron. Rikku rimase gelata al suo posto, un sorriso nervoso stampato in faccia. Dannato Auron. Così silenzioso.
Dannato felino yevonita.
Rikku guardò Jecht sorridendo il più omicida dei suoi sorrisi “Già, Jecht. Ieri notte cosa?”
L'uomo si grattò la nuca proprio come suo figlio “Dannatissimi idioti!” ruggì, prima di alzarsi e camminare verso Braska, evitando completamente la domanda.
Auron lo seguì con il suo sguardo freddo, fin quando non sparì in ricognizione fra i rami della foresta. Poi si voltò a guardare Rikku.
“A cosa pensi?” chiese, casualmente.
Auron...discussione disimpegnata? Interesse per quello che le passava per la mente? Cosa stava accadendo? Lo guardò ad occhi strabuzzati per un po’. Quando il guerriero sbuffò irritato e fece per allontanarsi, Rikku lo seguì correndo, girandogli attorno con un passo due volte più veloce del suo (ovviamente, Rikku era una scimmietta davvero veloce!) “Auron, Auron aspetta!”
Il ragazzo continuò a camminare, il volto una maschera impassibile fra i cristalli iridescenti. I suoi capelli erano ancora sciolti, lunghi sulle spalle. Rikku gli si parò davanti “Stop!” sorrise intenerita.
“Sto pensando a questo bosco, sono davvero felice di essere fuori dalla Piana dei Lampi”
Auron annuì, silenzioso, ma la sua precedente curiosità non sembrava soddisfatta.
“...e mi chiedevo cosa fosse successo ieri notte.” aggiunse l’albhed.
Auron rivolse lo sguardo al cielo perennemente trapuntato di stelle, anche astri diurni, sparsi nell’aere. “Non ricordi?”
Rikku sorrise al terreno lunare “Sì, ricordo. Mi chiedevo perché fosse successo.” Sentì lo sguardo del guerriero su di lei.
“Non lo so” fu la risposta secca del monaco. Nel suo sguardo Rikku poteva scorgere una certa insicurezza.
Auron deglutì, e le passò avanti, raggiungendo Braska e Jecht, pronti alla traversata del bosco.
Rikku sospirò pesantemente. Tutto si prospettava più difficile di quanto pensasse.

 

Due vespe e una chimera stavano minacciando la loro formazione d'attacco. Erano tutti in scarsità di energia, a causa degli insistenti mostri che popolavano l'intero bosco e che da ore ormai li stavano braccando. Jecht ruggiva di irritazione ad ogni colpo a vuoto verso le enormi vespe volanti (dov'era Wakka e il suo pallone dove serviva?!), Auron stava cercando di decimare da solo l'imponente chimera, e Rikku, Rikku stava curando la squadra, data la mancanza di energia magica di Braska.
Auron sferrò un ultimo forte colpo alla chimera, che cadde a terra in un esplosione di lunioli.

Rikku notò che stava combattendo per se stesso, per distarsi, per bearsi dei lineari pensieri della pura tattica. Il suo sguardo era perso sull'elsa della sua enorme spada a due mani, ed ora vagava verso le vespe assassine che Jecht cercava di colpire.
Rikku concentrò la sua energia magica e lanciò un haste su Jecht. L'uomo riuscì a colpire, velocemente, entrambi gli insetti, che caddero con un tonfo in terra, tra le urla stridenti.
"Batti cinque biondina!" Jecht sotto effetto di haste era spaventoso. Saltellava ovunque e rideva in continuazione con quella sua risata roca, batteva le palpebre tre volte al secondo e...già. Ora la stava sollevando in alto, le mani sui suoi fianchi, urlando in trionfo.
"Jecht! JECHT METTIMI A TERRA!"
"Okay okay okay okay okay okay ti lascio andare okay" all'istante Rikku si ritrovò in piedi, un leggero giramento di testa che minacciava la sua ritrovata stabilità.
"Smettila di dire okay, idiota d'un Jecht..."
"Okay"
"Unghh" un lamento risuonò improvvisamente alle spalle di Rikku.
"Auron?" Il ragazzo aveva la schiena poggiata contro un fusto vuoto, ansimava pesantemente, sguardo perso nel vuoto, una mano a stringere la spalla sinistra. "Auron sei ferito?"
Rikku corse verso di lui, osservò velocemente la sua postura. "Le vespe. Spalla?"
Nessuna risposta dal guerriero, che cercò di issarsi, ricadendo inutilmente in quella posizione accasciata. "Auron, stai fermo." Il tono di Rikku era perentorio, quasi violento.
Braska riemerse dalla radura in cui stava  da un po' cercando di richiamando le sue energie. "Cosa sta succedendo? È ferito?" L'invocatore s'alzò la veste e corse verso il suo guardiano.
"Non è niente, Lord Braska" riuscì con un certo sforzo a ruggire l'uomo. Il volto di Braska era corrucciato nella più profonda preoccupazione. Rikku stava già frugando nella sua borsa, labbra strette in una linea concentrata.
"Spogliati", disse, senza neanche alzare gli occhi a guardare il suo interlocutore.
Auron strabuzzò per un attimo gli occhi, e si rigirò a guardare il bosco, quasi facendo finta di non aver udito le parole fin troppo di comando dell'albhed.
"Mi hai sentito! oh, al diavolo!" Le mani di Rikku si diressero verso le cinghie laterali dell'armatura di Auron, sganciandole gentilmente sotto lo sguardo divertito di Jecht, e un Braska ancora seriamente preoccupato. Il colorito di Auron era più che pallido, e il suo volto era tempestato da piccole gocce di sudore freddo. Una maschera di dolore soppresso irrigidì i suoi tratti quando Rikku lo liberò dell'armatura scura.
"Braska non è ancora in condizione di curarti, ma la ferita va trattata ora. Credo ci sia del veleno...posso pulirla e passare un antidoto, se mi lasci fare"
L'Auron che conosceva lei era perfettamente capace di curarsi da solo; spesso lo aveva osservato seduto nella luce del fuoco, un lembo di garza fra i denti mentre stringeva forte i nodi attorno alle sue ferite. Si era chiesta molte volte se fosse sempre stato così autosufficiente. Probabilmente no, pensò, guardandolo ora annuire a labbra strette alla sua richiesta. Lentamente lo aiutò a sfilarsi la maglia, poi restò in silenzio ad osservare le due ferite: una poco profonda sulla spalla, ed un'altra più preoccupante sull'addome. Sentì Jecht e Braska allontanarsi. "Quando ti hanno colpito?"
"Poco dopo il colpo di Jecht. Sono cadute e hanno continuato a espellere veleno."
Rikku poggiò una mano sul petto del guardiano, spingendolo gentilmente contro il fusto dell'albero; poi gli si accucciò vicino e comincio a bagnare le garze di antidoto. Auron osservava un punto indistinto al di sopra della sua spalla, imbarazzato. Rikku era concentrata: pulì con quanta più gentilezza possibile entrambi gli squarci; sentiva sotto le sue dita i muscoli di Auron contrarsi. Cercava di non soffermarsi sui suoi addominali, o sulla cicatrice che risaltava sul suo petto. Cercò di non pensare troppo.
"Dove hai imparato?" chiese lui, occhi chiusi e il capo contro la corteccia violacea.
"Mia cugina è una maga bianca. Certe cose le impari semplicemente osservando." Rikku sorrise intenerita al pensiero di Yuna, così lontana. "Puoi alzare il braccio?"
Auron annuì e sollevò - non senza sforzo - l'arto, lasciando che Rikku gli fasciasse strettamente la spalla "finché Braska non si sarà ripreso dovrai avere a che fare con questo infortunio tradizionalmente, okay?"
"Cosa vuoi dire?"
"Non puoi combattere"
"Cosa?!" Il guardiano, che intanto aveva recuperato le forze, si era alzato in piedi e cercava con lo sguardo una via di fuga.
"Dove credi di andare?" Rikku si alzò sulle punte per sembrare un po' più...minacciosa? Mh. Cattiva idea. Non sembrava per niente impressionato. "Auron!"
"Perché ti ho anche solo dato ascolto, albhed? Sto benissimo"
Rikku alzò gli occhi al cielo "Come puoi essere così ottuso? Sei proprio sicuro che il tuo nome sia Auron? Per tutte le macchine, stà zitto e lasciati fasciare anche qui!"
Auron parve perdere tutte le forze . Ritornò pallido, e rimase lì immobile mentre Rikku - convinta che si fosse arreso - cominciò a passare la garza attorno al suo addome. Dopo un paio di minuti di silenzio l'albhed lanciò un'occhiata al ragazzo che le si parava di fronte - sembrava una statua. "Auron?"
Nessuna risposta.
Rikku fece uno stretto nodo alla fasciatura e osservò da un paio di centimetri di distanza il lavoro finito. Poi ritornò a scrutare il volto dell'altro. Conosceva quell'espressione; stava rialzando un'altissima barriera fra i due; Auron non voleva parlarle. Si sarebbe sentita ferita se solo ci fosse stato un motivo valido...o forse in questo modo la feriva ancor di più. Perché? Non capiva quest'altra persona che di sicuro non era il suo Auron. Perché la disprezzava tanto? Perché l'aveva baciata? Perché l'aveva stretta a sé mentre i tuoni scuotevano la Piana dei Lampi? Forse era stata semplice pietà. Rikku si voltò e fece per andarsene, senza aggiungere altro.
"Perché l'hai detto?" esordì con voce flebile   l'altro.
"Perché ho detto cosa?"
"Mi hai chiesto se fossi sicuro che il mio nome fosse Auron"
Rikku strabuzzò gli occhi per una frazione di secondo. L'aveva proprio detto, eh?
Ora...ora come se la sarebbe cavata?
Pensa, Rikku! Pensa! Auron. Il nome Auron. Non puoi semplicemente dirgli che conosci un altro Auron? No. Indagherebbe sulla faccenda. Cosa sai sul nome Auron...? Oh. Già.
"Significa montagna di forza, no? Non mi sembrava rispecchiasse il tuo comportamento di prima, tutto qui"
Rikku cercò di sembrare quanto più calma possibile. Per un istante il guardiano la guardò sospettoso, poi probabilmente decise di credere alle sue parole.  "Perché me lo chiedi?" ribattè poi l'albhed.
"Perché Auron è un nome pesante da portare," mormorò per poi scomparire velocemente nel bosco.

 

Il giorno dopo le ferite di Auron erano state curate e Jecht s'era fermato a cacciare le farfalle. Ovviamente. Perché aveva anche solo pensato che non sarebbe accaduto? Era talmente ovvio. Potrebbe essere un cattivo presagio non farlo! - aveva giustificato. Braska aveva deciso di assecondarlo. Erano mesi che viaggiava al suo fianco, combattendo per lui, proteggendolo, mettendo la sua vita a repentaglio. E Jecht, dopotutto, non era legato - almeno non quando si erano conosciuti - a lui da nessun legame di amicizia o fedeltà, come Auron. Si era semplicemente offerto come guardiano, ignaro del vero significato che quel ruolo portava con sé. Braska, e Rikku glielo leggeva negli occhi, aveva pensato che fosse semplicemente giusto permettergli quello svago infantile.
Auron stava osservando l'abitante della foresta che aveva spiegato loro la sfida del bosco; la stessa creatura che - con quasi le stesse parole - avrebbe illustrato a Tidus lo stesso gioco, dieci lunghi anni dopo. Quella volta Auron aveva sbuffato. Ora invece era curioso, sul limite della diffidenza, ma affascinato. Rikku osservava i suoi tratti tanto giovani, tanto corrucciati e concentrati, e sentì un'ondata di tenerezza colpirla. Poi lui alzò il volto a guardarla, e per un attimo rimasero semplicemente così. Rapiti. In silenzio.

 

La ragazza era appollaiata sgraziatamente su un ramo iridescente. Lo stava osservando, lo sentiva; già immaginava quelle iridi verde foglia scrutarlo, pensando di non essere vista. Era divertente, quell'albhed. Credeva di essere silenziosa, credeva di riuscire a nascondere qualsiasi cosa le passasse per la mente; ed invece Auron la guardava e le leggeva il volto come un libro conosciuto attentamente. Vedeva come lo guardava con quegli occhi così poco convenzionali, con il fantasma di qualcuno sulla punta della lingua.
Gli aveva chiesto perché l'avesse baciata. Perché mai quando lei aveva urlato il suo nome nel sonno lui era corso con tutte le sue energie a stringerla a sé. Lui non aveva saputo rispondere, ed era stato sincero.

Se avessi avuto una risposta gliel'avresti rivelata? Probabilmente no.
Non sapeva cosa gli stesse accadendo. L'idea della morte imminente di Braska lo faceva sentire perso, e poi c'erano i suoi occhi: gli occhi di Rikku pieni di speranza.
L'aveva odiata davvero? Sì. Ma non per le sue radici. L'aveva odiata perché fin dal primo sguardo, sulla riva del Fluvilunio, aveva sentito qualcosa di imprescindibile attrarlo a lei. Come fosse una sirena e lui un marinaio perso; come se non potesse trovare più pace. E aveva cominciato ad odiarla sul serio, perché prendeva il suo orgoglio e ci giocava come un gatto giocava con un gomitolo di lana, arrotolandolo e srotolandolo attorno alle sue dita affusolate. L'aveva odiata per i suoi sorrisi, che non meritava, e per le lacrime che lui aveva causato; quando i suoi occhi si erano gonfiati irrimediabilmente ed era scappata via. L'aveva odiata perché lo ascoltava e dava più peso alle sue parole che a quelle di chiunque altro. Per i suoi capelli color del grano, e per il modo in cui riusciva ad essere una bambina a Spira. Lei ballava circondata da morte, al suono di una band scapestrata, e flirtava con chiunque nelle taverne dove si fermavano, e lo odiava perché lui semplicemente voleva intrappolarla.
L'aveva odiata per il modo in cui Braska la guardava. Perché gli stava dando speranza, lo stava distraendo da un pellegrinaggio di morte, gli stava facendo assaporare troppa vita prima di doverla abbandonare. Aveva sperato per così tanto che Braska cambiasse idea, ed ora si sentiva impotente.
Due mesi e sette giorni che viaggiava con la sua risata cristallina e le sue battute orribili. Due mesi che la osservava dormire e pensava a tutta la speranza che avrebbe voluto rubarle.
Tutto quell'essere "Rikku" che avrebbe voluto avere per se stesso.

 

Con la coda dell'occhio, Rikku vide Auron avvicinarsi all'abitante della foresta. Avrebbe voluto sapere cosa si sarebbero detti, ma restò a riposare fra i rami lisci e curvati, cullata dalle risate di Braska ai goffi tentativi di Jecht, e il respiro del bosco.


Auron scrutò attentamente la creatura che gli si parava davanti: un umanoide dal volto da uccello multicolore, un copricapo di piume (trovò il contrasto bizzarro), e un'arma fra le mani. Le parole di Rikku risuonarono nella sua mente:
Gli abitanti della foresta sono una minoranza che abita il Bosco di Macalania. La maggior parte degli abitanti del bosco sono suonatori, suonano uno strumento, oppure lavorano nella pozza dei ricordi, quella dalla quale si ottengono le filmosfere, hai presente? Sono gli unici che possono lavorare con l’acqua di quella pozza, che è così pura da divenire nociva per chiunque abbia dei rimpianti o dei brutti ricordi. Loro nuotano tranquillamente in quell’acqua e non sono assaliti da nessuna cattiva sensazione.
Auron rimane in silenzio per un po', lasciando che l'essere lo scrutasse attentamente.
"Non sfidi il bosco, giovane uomo?"
Auron guardò per un attimo alle sue spalle, "Ci pensa già il mio compagno. E poi non m'interessa sfidare le forze di questo luogo"
"Ritieni forse inutile un tale gioco?" L'abitante del bosco pizzicò le corde della sua arpa, pensieroso; Auron rimase in silenzio. "Giovane uomo, battersi con se stessi e il proprio destino non è mai inutile. Una sfida tanto infantile come la caccia alle farfalle potrà sembrarti vana, ma non è altro che lo specchio di sfide maggiori." Gli occhi scuri dell'essere vagarono verso la figura di Braska, seduto elegantemente nella piccola radura "Il tuo amico muore, lo vedi?"
Un altro colpo di unghie scosse le corde tese. "E nel tuo cuore hai deciso di non prendere nessuna strada. Davanti a te ve ne sono ben due! Quando giungerà il momento e le porte di Zanarkand vi accoglieranno per la vostra traversata, allora dovrai decidere da che parte stare. Da un lato..." e alzò il becco ad indicare Braska "La morte. Ma dall'altro, seppur flebile ancora, la speranza" i suoi occhi saggi erano ora sulla figura dormiente di Rikku.
Auron seguì lo sguardo dell'abitante del bosco, annuì lentamente, gli occhi persi fra i tratti rilassati dell'albhed.
Quando si voltò di nuovo verso l'altro, quello era scomparso, lasciando dietro di sé nient'altro se non una nota sospesa a mezz'aria e un fil di vento.












 
   
 
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