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Autore: suni    05/12/2008    15 recensioni
Col tempo, dopo il suo ritorno a Konoha, ha imparato di nuovo a lasciarsi andare a qualche sporadico gesto di discreta tenerezza con Naruto, ma quella posizione culinaria è rimasta invariata: la dolcezza non fa per lui e i dolciumi gli fanno schifo, è la sua affermazione risoluta. Eppure, quando gli capita o gli è capitato di pensarci, gli risulta sempre leggermente strano che proprio nessuno si sia mai reso conto che quand’era piccolo i dolci li mangiava, eccome.
E infatti non è così.
[Legata a Konoha, mattina]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Konoha, mattina' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mikoto lo adorava

Dunque.

Grazie mille per l’accoglienza calorosa a “Modalità padre-figlio”. A questo giro torniamo a concentrarci sui nostri due fanciulli, sul passato e sui…dolci.

Sappiamo che Sasuke ha un problemino di insofferenza con i dolciumi. Io ho provato a domandarmi per quale ragione. Naruto, invece, ha deciso di affrontare il problema di petto.

 

Una precisazione, per rispondere alla domanda di Anna Mellory: dopo una lunga ricerca e dibattendomi tra informazioni contraddittorie, ho chiesto delucidazioni direttamente a un’esperta del campo e mi è stato assicurato che la parola è “nukekin”, con la n. forse vanno bene entrambe le versioni, ma anche su wikipedia questa è quella accreditata, e nel manga l’ho visto scritto così di recente, rileggendo vecchi capitoli.

 

Questa storia è di nuovo tutta colpa di Ciaraz, che mi ha imposto il titolo e dunque il tema. Prendetevela con lei, anche se non avete idea di chi sia.

 

E’ tutto. Buona lettura.

suni

 

 

______________________________

 

 

 

 

 

 

Si ricorda che Mikoto lo adorava.

Itachi era un ragazzino eccezionale, uno shinobi straordinario e una persona con la testa sulle spalle – tutto questo molto prima di diventare il nukekin, il mostro – ma lui era il piccolino della famiglia e lei non poteva fare a meno di avere un debole per gli occhioni grandi e il nasetto all’aria del suo secondogenito.

Sasuke era quello che le somigliava di più: il taglio degli occhi, la linea del viso, le pelle così chiara da sembrare quasi bianca e un certo modo discreto di sorridere con una punta di malizia, anche se a quell’età non si poteva davvero parlare di vera malizia, quanto piuttosto di una confusa e inconsapevole intuizione della propria irresistibilità. Mikoto non poteva fare a meno di scoppiare a ridere di cuore ogni volta che lui si avvicinava a Itachi con quella sua aria contrita da consumato attore, gli occhi ancora più larghi e lucenti del solito, chiedendogli di giocare o di passare del tempo con lui. Itachi, se non aveva un impegno d’importanza capitale, si rivelava del tutto incapace di resistere e qualche volta era lei stessa a dover far notare che il ragazzo doveva studiare. Mikoto supponeva – qualche volta l’ha detto, ridacchiando - che se soltanto il fratellino gliel’avesse chiesto con quell’espressione adorante Itachi si sarebbe tranquillamente buttato anche giù da un ponte. E rideva dei suoi bellissimi figli.

Non poteva sapere. Rideva.

Sasuke ricorda soprattutto la sua risata e la sua smorfia di finta severità, col mento all’aria e la fronte vagamente corrugata. Di suo padre conserva la memoria della serietà e della fierezza, sua madre è un sorriso e il suono cristallino di un ridere allegro.

Qualche volta, d’inverno, Sasuke rientrava in casa infreddolito, con i capelli umidi e i piedini gelati: Mikoto gli sorrideva con la sua tenerezza sconfinata, lo avvolgeva in un suo vecchio kimono caldo e lo sistemava sulla sedia in cucina. Mentre lei rigovernava e preparava la cena Sasuke mangiava i soffici biscottini con la cannella e il cioccolato della madre e sorbiva un tè ai frutti di bosco pestati da lei, in cui Mikoto metteva tanto zucchero per stemperare un po’ il gusto selvatico. Era dolce e forte, proprio come la sua mamma.

Dopo la sua morte, Sasuke non ha più sopportato nemmeno l’idea di mangiare dolciumi. Qualcosa dentro gli ha strappato via tutta la dolcezza. Ha smesso di sorridere come sua madre, di abbracciare come era solito abbracciare Itachi – affondando la testa contro di lui e socchiudendo gli occhi, sicuro che niente potesse turbare quei momenti – e gli è rimasta soltanto l’austerità di Fugaku senza però la suo medesima calma. Ha cominciato a correre, senza riuscire a stare fermo, senza saper rallentare e inseguendo qualcosa che nemmeno capiva realmente. Tutto era brusco e affilato, perché è caduto da molto in alto frantumando il suo castello di cristallo: i cocci tagliavano e facevano male come pugnali. Non c’era davvero niente, niente di dolce.

“Non mi piacciono i dolci,” ha cominciato a dire freddamente, senza che fosse vero.

Quella frase è entrata poco alla volta a far parte del personaggio che si è costruito intorno e che poi, gradatamente e con naturalezza, è diventato lui. Col tempo, dopo il suo ritorno a Konoha, ha imparato di nuovo a lasciarsi andare a qualche sporadico gesto di discreta tenerezza con Naruto, ma quella posizione culinaria è rimasta invariata: la dolcezza non fa per lui e i dolciumi gli fanno schifo, è la sua affermazione risoluta. Eppure, quando gli capita o gli è capitato di pensarci, gli risulta sempre leggermente strano che proprio nessuno si sia mai reso conto che quand’era piccolo i dolci li mangiava, eccome.

E infatti non è così.

 

 

 

 

Cioccolato e cannella

 

“Cos’è questa puzza?”

Naruto si volta con palese indignazione sentendosi rivolgere quella domanda brusca e secca, incrocia le braccia e raddrizza fieramente la testa.

“Un pasticcio speziato al cioccolato.”

Sasuke aggrotta la fronte, lancia la giubba sulla sedia con un gesto stizzito.

“Devi usare proprio la mia cucina per preparare schifezze?” chiede freddamente, con una smorfia sprezzante.

Naruto sgrana gli occhi, fa un passo in avanti con baldanza.

“Guarda che non è una schifezza, teme!” protesta bilioso. “Ci sto lavorando da ore e, per tua informazione, è un ricetta speciale dell’Erosennin! Altamente afrodisiaca, tra l’altro, anche se la cosa più importante è che è buonissima,” continua, chinandosi a osservare il suo capolavoro nel forno.

“Non sai nemmeno cosa vuol dire afrodisiaco, dobe,” ribatte Sasuke con spregio, canzonatorio. “E poi il tuo sennin se lo sarà inventato.”

“Ehi!” lo minaccia Naruto, grave e severo, puntando il dito contro di lui. Ha la fronte aggrottata, nessuna ombra di giocosità sul viso. “Io non mi permetto certo di venirti a dire qualcosa su Itachi. Vedi di non parlare di Jiraiya tanto per dar aria alla bocca.”

Sasuke china lo sguardo con una smorfia che sta tra l’insofferenza e la noia, e che in cela in realtà la colpevolezza. Poi sbuffa tracotante e scrolla appena la testa.

“Comunque quella roba puzza,” sentenzia petulante. “Avrai sbagliato a prepararla.”

“L’unica cosa che ho sbagliato è stata non lasciarti marcire sottoterra con Orochimaru,” ribatte Naruto irritato. “Comunque quando sarà pronta la assaggiamo e vediamo se ho sbagliato,” conclude con sufficienza, dandogli le spalle mentre inizia a rassettare la cucina, accatastando tutti gli attrezzi utilizzati nel lavabo.

“Io non la assaggio, la tua schifezza,” afferma Sasuke con disgusto. “Lo sai che i dolci non mi piacciono. E poi ha un odore nauseante. Cosa ci hai messo dentro, le pillole del soldato di Sakura?” continua sbuffando, prima di raddrizzare distrattamente la cornice in cui sua madre e suo padre sorridono ignari.

“Cioccolato e cannella, più qualche ingredientuccio segreto,” sogghigna Naruto soddisfatto. “Assaggiala, ci ho messo più di tre ore,” insiste, sgranando gli occhi azzurri come un gufo.

“Me ne sbatto,” risponde sdegnosamente Sasuke, storcendo il naso. “Se c’è una cosa che mi fa veramente schifo è il cioccolato con la cannella,” precisa malevolo.

Volta le spalle a Naruto e marcia fuori dalla cucina rapido, la testa alta e l’andatura bellicosa. Finge d’ignorare l’insulto mormorato a mezza voce da Naruto e si rintana nella sua stanza, immergendosi nella lettura di uno spesso tomo che Sakura gli ha passato in mattinata, sotto la luce ben direzionata della sua lampada da tavolo. L’unico modo che ha per riuscire a leggere per più di una decina di minuti è far cadere la luce sulle pagine perfettamente perpendicolare, così da evitare ombreggiature sulle lettere stampate. Ogni tanto però la vista gli si annebbia completamente, come per un improvviso strabismo, e si ferma per qualche minuto a rilassare le cornee.

È in una di quelle pause forzate che si rende conto del leggero languore che lo ha assalito. Stiracchiandosi con indolenza stabilisce di fare una tappa in cucina e non si stupisce di trovarvi ancora Naruto, che da qualche mese ha preso l’abitudine di stanziare per mezze giornate intere a casa sua indipendentemente dal fatto che lui lo degni o meno della propria attenzione. Disgraziatamente Sasuke ha anche perso la benché minima voglia di dispiacersene, anzi. Scendere le scale e trovare il suo “amato” che cazzeggia in casa sua, colorato e vivace, è stranamente rilassante.

Naruto sta affettando il suo dolce, ancora caldo e fumante. Sasuke quasi si sorprende di quanto forte profumi, arriccia il naso per abitudine e per esibire il fastidio.

“Sicuro che non ne vuoi?” lo apostrofa Naruto, sventolando la paletta per servire.

“Mi sta venendo da vomitare solo a sentire l’odore,” replica Sasuke gelido, spalancando l’anta della dispensa. “Ma non c’è nient’altro da mangiare?” esclama stizzito.

Naruto si stringe innocentemente nelle spalle.

“E’ casa tua,” commenta con espressione offesa. “Arrangiati.”

“Sono sicuro che c’era del riso. E delle carote, e…” inizia Sasuke sussiegoso, frugando in mezzo a qualche resto mezzo muffito.

“Sì, beh, li avremo finiti,” lo interrompe Naruto, affondando il cucchiaio in una fetta di pasticcio senza nemmeno toglierla dalla teglia. Se lo porta alle labbra ed emette un mugolio soddisfatto. “E’ buognisshimo!” esclama entusiasta, masticando con vigore.

Sasuke fa una smorfia di puro schifo, lappando come se avesse ingoiato qualcosa di molto amaro.

“Crepa,” esclama Naruto noncurante, riprendendo a mangiare. “Digiuna pure, teme.”

“Piuttosto che mangiare la tua merda, volentieri,” risponde Sasuke altero.

Questa volta il sonoro “vaffanculo” di pura rabbia e il cucchiaio che rimbalza contro la sua nuca mentre si allontana sono impossibili da ignorare.

Come la fame, del resto. Col passare dei minuti il suo stomaco comincia a dare sonori segni di protesta, tanto che alla fin fine chiude il libro con un sospiro rassegnato. Scende di nuovo al piano di sotto col proposito di uscire a comprarsi almeno del ramen ed è così che trova la cucina completamente deserta e silenziosa: Naruto doveva essere davvero offeso se è andato via senza nemmeno salutare. Ha lasciato tutte le luci accese e il suo dolce è rimasto in mezzo al tavolo parzialmente mangiato.

Sasuke lancia discretamente un paio di sguardi intorno, fuori dalla porta, assicurandosi che non ci sia traccia di Naruto: diamine, poteva almeno evitare di sprecare elettricità. Poi si avvicina al suo pasticcio, annusandolo nuovamente.

Non ha affatto un cattivo odore: ha più o meno lo stesso profumo dei biscotti che faceva sua madre e forse è quello, e non lo schifo, a fargli chiudere lo stomaco come se stesse per vomitare. Ma è sicuro che, dopo tanto tempo che non mangia dolci, non gli potrebbe piacere.

Lo punzecchia con un dito, con l’espressione seria e scientifica che aveva sempre Kabuto quando tagliuzzava qualcuno di quei poveri diavoli di prigionieri. Ha una consistenza morbida, sprofonda sotto il suo polpastrello e un angolo di crema resta attaccato alla sua pelle. Sasuke guarda quasi stupito il dito bianco su cui contrasta il nero del cacao, poi è quasi un riflesso condizionato: lo porta alle labbra e lo succhia. Quindi sgrana gli occhi.

Li sente bruciare leggermente quando il cioccolato e la cannella esplodono contro suo palato, inondandogli le papille gustative: lui si sedeva lì, sulla sedia che c’è accanto alle sue gambe, e Mikoto stava là, accanto al lavabo, a mettere in infusione il tè.

È buonissimo, quel dannato pasticcio.

Afferra il cucchiaio tirando leggermente su di naso, compunto, e lo infila nel dolce. Dirà al dobe che l’ha buttato via per causa dell’odore e che se non vuole vedere sprecate le sue cose schifose ha solo da fare attenzione a dove le lascia. Porta alle labbra un primo boccone sostanzioso e quando il cacao e le spezie si amalgamano sulla sua lingua si siede di schianto, afferra la teglia e se la porta verso il petto quasi infilandoci la testa direttamente dentro come un cane. Si mette a mangiare come se digiunasse da giorni e fosse stato nutrito a pane e acqua nei sei mesi precedenti, mugugnando di soddisfazione. Più che servirsi zappa nel contenitore, staccando brani di pasticcio che sembrano scodelle intere.

“Cosa cavolo stai facendo, teme?”

Il braccio di Sasuke si blocca a mezz’aria, la bocca resta spalancata e l’enorme pezzo di pasticcio molle tremola, in equilibrio precario sul cucchiaio. Il genio rimane perfettamente immobile in seguito a quella domanda accusatoria, senza nemmeno osare voltare lo sguardo verso la porta della stanza, da cui proveniva la voce di Naruto. La situazione è così palese che qualunque tentativo di negare sarebbe completamente ridicolo e ancor più umiliante.

“Ho fame,” biascica controvoglia.

“Credevo ti facesse schifo il solo odore,” osserva Naruto beffardo. “Da come stai mangiando si direbbe che tu sia stato tenuto a stecchetto dalla nascita.”

E poi lo vede arrossire, e scoppia a ridere.

Gli va vicino senza smettere di sghignazzare, ammaliato dal baffo di cioccolato che gli adorna la guancia e da quello più piccolo sul naso. Sasuke ha le labbra completamente marroni e le mani sporche, come un bambino. La sua espressione contrita e risentita non fa che confermare l’impressione e quando si piega a rubare il boccone dal cucchiaio Naruto vorrebbe piuttosto mangiarsi lui, e si abbandona contro la sua schiena circondandolo in un abbraccio.

“Allora, teme,” sogghigna trionfale, “come la mettiamo con questa caduta d’immagine?”

“Idiota,” bofonchia Sasuke con sommo imbarazzo. “Ma non te n’eri andato?” esclama ostile.

Naruto tuffa il viso tra i suoi capelli, ridendo perfidamente.

“Ho nascosto tutta la roba da mangiare. C’erano davvero del riso, delle carote e persino qualche porzione di tagliatelle di soia. Ero sicuro che la fame ti avrebbe fatto capitolare,” rivela soddisfatto, prima di scorrere le labbra sulla sua guancia lavando via il cioccolato con la punta della lingua.

Sente Sasuke irrigidirsi tra le sue braccia, vede la sua espressione farsi truce.

“Mi stai dicendo che era un trappola?” chiede gelido.

Naruto annuisce soavemente accomodandosi a cavalcioni sulle sue gambe e prima che l’improperio che Sasuke ha già negli occhi gli fuoriesca dalle labbra le lambisce, mordendole piano.

“Buonissimo,” mormora beato.

Sasuke, indignato, aggrotta la fronte dopo appena un paio di secondi di intontimento.

“Crederai mica di intortarmi così, dobe?” ringhia, irato, mentre Naruto sembra ponderare sul quesito. “Adesso ti spacco…”

Naruto affonda un dito nel dolce e poi lo passa sul suo collo, come se niente fosse, quindi si china a succhiarlo e lecca via, lentamente, il cioccolato. Sasuke si zittisce all’istante, trattenendo il fiato. Deglutisce pesantemente piegando involontariamente la testa indietro.

“Io mi stavo incazzando,” gli ricorda, compreso, mentre Naruto ripete il gesto dall’altro lato, un po’ più in basso.

“Dopo,” lo liquida il jinchuuriki sottovoce, annuendo. Si spalma un po’ di pasticcio sul collo, proprio nell’incavo sotto il pomo di Adamo; Sasuke si china in avanti e lo assapora, strappandogli un leggerissimo gemito che ha il duplice effetto di infiammare entrambi. Naruto strattona la propria maglia per levarsela e Sasuke caccia la mano nella tortiera e poi gliela fa scorrere sul petto, piega la testa su di lui mentre scivolano verso il pavimento.

 

 

Nella teglia, abbandonata accanto al letto, non c’è più l’ombra di pasticcio. In compenso ve n’è qualche traccia sulle lenzuola aggrovigliate intorno alle loro gambe.

I due shinobi hanno ancora il fiato corto. Sasuke è allungato sul materasso con espressione assorta, Naruto gli sta rannicchiato contro con un sorriso compiaciuto. Lanciando un’occhiata a quella sua faccia da schiaffi il genio sbuffa rumorosamente, rigido.

“Come mai questa sceneggiata?” chiede brusco.

Naruto sbuffa pazientemente, tamburellando le dita sul suo torace.

“Perché ero sicuro che cacciavi balle,” esclama diretto, tamburellando dispettoso le dita sul suo fianco. “Questa storia dell’odiare i dolci, voglio dire.”

Sasuke solleva un sopracciglio, scettico. La sua espressione astiosa cozza con il leggero movimento ripetuto delle sue dita sul braccio del jinchuuriki, che si guarda bene dal farlo notare.

“Da che ci conosciamo ho sempre detto che non mi piacciono,” osserva il genio, sicuro.

“No,” ribatte immediatamente Naruto, ricevendo in risposta un’occhiata cinica, condiscendente.

“No?” ripete Sasuke sarcastico.

Naruto ridacchia, sfregando la testa prima nel cuscino e poi contro la spalla di Sasuke.

“Il primo giorno all’accademia,” inizia, attirandosi uno sguardo segretamente attento del genio, “avevi una scatola per la merenda, con dei biscotti dentro. Cioccolato e cannella, me lo ricordo perché io non avevo nulla e morivo di fame e i tuoi biscotti avevano un odore buonissimo,” racconta, sorridendo assorto. “Quando li hai tirati fuori ne hai annusato uno e hai fatto una faccia veramente contenta.”

Sasuke fissa silenziosamente il soffitto. Non risponde, riflette intensamente cercando di ricordarsi quel preciso momento che sembra essere rimasto impresso così nitidamente nella memoria di Naruto ma che lui non rammenta. Il viso di Mikoto fa capolino nei suoi pensieri ma lui lo allontana morbidamente.

“Come fai a ricordartene?” chiede perplesso, fingendo di trovarlo oltremodo patetico.

Naruto accomoda meglio la testa nell’incavo del suo collo. Ha il respiro che sa ancora di cioccolato e sospira in modo quasi malinconico.

“Non ti ho mai più visto con quell’espressione estasiata, dopo,” ammette, schietto e lontanamente triste. “Ieri me ne sono ricordato quando ho ritrovato quella ricetta in mezzo a dei vecchi appunti di Jiraiya.”

Sasuke riflette per qualche istante in silenzio. Poi la sua espressione si fa risoluta, quasi solenne.

“Non mi piacciono i dolci,” annuncia maestoso.

Naruto sbuffa, punzecchiando il suo collo.

“Ti sei appena fatto fuori un chilo di torta,” commenta divertito.

“Tu prova a dirlo a qualcuno e non vedrai l’alba del tuo ventiduesimo compleanno,” ringhia Sasuke minaccioso, strappandogli un risolino. Poi si gira sul fianco con un lieve gemito, affondando il viso nel cuscino. “Sto per vomitare,” annuncia drammaticamente, biascicando contro la federa.

“Oh, non ricominciare con…” protesta Naruto, schiaffeggiandogli la spalla nuda.

“Dico sul serio,” sbotta Sasuke con voce fievole. “Credo di aver fatto indigestione. Mi fa male lo stomaco. Non mangerò mai più dolci in vita mia.”

Naruto scoppia a ridere di gusto, impietoso.

 

 

 

 

 

 

   
 
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