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Autore: Rosalie97    20/02/2015    1 recensioni
Giunsero una notte d'inverno.
Lo accusarono.
Fu fatto prigioniero.
Passarono dieci anni.
Ma lui le promise che sarebbe tornato.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Duncan | Coppie: Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale
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Song: Over the hills and far away/Band: Nightwish
 
Steso nel letto poteva udire il rumore del vento che soffiava forte contro le finestre fatte di stoffa, ora bloccata con lunghe tavolette di legno per proteggere l’interno dal freddo. L’unica luce che rischiarava la casa era quella dei due caminetti accesi. Le fiamme rosse ed arancioni erano alte e bruciavano scoppiettando e mandando aria calda verso l’esterno, verso di lui, che le fissava perduto mentre ripensava a quel che era successo due notti prima.
Il ricordo era impresso nella sua mente, come avrebbe mai potuto svanire? Duncan pensava che sarebbe rimasto lì fino al giorno in cui non fosse morto, che a giudicare dalle condizioni in cui viveva e dai guai in cui si cacciava sempre, non sarebbe giunto poi molto tardi. Doveva essere qualcosa che aveva nel sangue, ereditata da suo padre, fuggito una settimana dopo la nascita del figlio per la paura dell’impegno. Quell’uomo aveva lasciato sua madre sola ad accudirlo e crescerlo, e lo odiava per questo, odiava il fatto che fosse stato un vigliacco. Ma dopotutto, anche lui spesso fuggiva dopo aver commesso i suoi soliti disastri, quindi non poteva biasimarlo poi tanto. La mela non cade mai molto lontano dall’albero.
Sua madre aveva sempre raccontato a tutti che suo marito era morto in uno scontro, rimasto ferito lontano da casa e deceduto dopo diversi giorni di agonia febbricitante. Per questo entrambi speravano non ricomparisse mai, o sarebbe stato un problema non da poco spiegare come Xamuel avesse fatto ritorno dal regno dei morti.
Duncan sorrise al ricordo del sorriso di quella giovane donna, ancora steso a pensare. Courtney era così bella, la pelle abbronzata ed i lunghi capelli castani, che legava sempre con una pezzuola azzurra. I suoi occhi ossidiana lo lasciavano spiazzato ogni volta che lo guardava. Era sprecata con Alejandro.
In casa non si udivano rumori, a parte il pacato scoppiettio del fuoco e quello delle braci che lentamente si consumavano, rimanendo solamente cenere. Per questo, quando udì lo scalpiccio di passi scattò letteralmente in piedi. Cosa stava succedendo? Quel suono si stava avvicinando, sempre più, ed a giudicare dall’intensità del rumore doveva essere più di una persona. Duncan stava vagliando ogni sua possibile opzione quando quattro colpi secchi alla porta lo interruppero.
Cosa fare ora? Voltarsi e fuggire? E se fosse stato un agguato? Se lo avessero circondato? Cosa avrebbe detto? Che fuggiva per paura fossero venuti per derubarlo? O peggio, ucciderlo?
No, la sua unica alternativa era affrontare il destino. Dopotutto, il momento della morte giunge per tutti, viene scritto nelle stelle al momento della nascita, e noi possiamo solamente fare in modo di mantenerlo il più lontano possibile dal presente. Ma per Duncan c’era anche il fattore karma. Ne aveva combinate talmente tante per poi sfuggire alla morte che probabilmente Dio si era persino stancato di provarci ed aveva fatto entrare in gioco questa forza cosmica. Prima o poi tutti la pagano per quello che si è commesso.
Respirò lentamente, a pieni polmoni, il buon profumo di casa, quasi per farsi forza, e con il suo passo lento e cadenzato ma deciso andò alla porta. Qualcuno stava ancora bussando in modo feroce, quasi furioso. Duncan udì una voce dire: << Magari non è in casa >> ma quello che doveva stare bussando non si lasciò sfiorare dall’idea, continuando imperterrito sulla sua strada.
Devi. È come quando una freccia ti si conficca nella spalla, ricordi quante ne hai prese? Ti basta strapparla in un attimo e tutto è passato. Con questa metafora in testa, Duncan allungò la mano ed afferrò la scopa di legno intagliata da lui stesso per liberare la maniglia, che girò senza grande difficoltà. Quando aprì la porta, si trovò davanti agli occhi una scena che gli mandò dei brividi lungo la spina dorsale. Quattro uomini erano in piedi sulla soglia della casa, e lo guardavano tutti dal basso, in quanto lui stava in una posizione elevata, la sua dimora una palafitta sul lago ai confini del villaggio.
<< Cosa volete? >> chiese non essendo troppo brusco ma nemmeno troppo gentile. Aveva imparato a mostrarsi infastidito ma non arrabbiato, alle forze dell’ordine. Non dovevi far credere loro di essere troppo gentile, o ti trattavano come una pezza da piedi, ma nemmeno troppo strafottente, oppure abusavano ancora maggiormente del loro potere per fartela pagare. Si doveva essere neutri, per non far capire nulla di sé, come se si avesse indosso una maschera.
<< Siete voi il signor Duncan Wood? >> domandò uno dei quattro. Indossavano la tipica divisa blu delle forze dell’ordine, una striscia bianca di stoffa attorno al braccio destro, un fucile imbracciato e una cintura rossa contornata di proiettili. In testa avevano tutti il tipico elmetto a punta di ferro battuto, nel quale era inciso il volto del conte che governava tutti i villaggi nel raggio di venti kilometri da lì.
<< Dipende da chi lo chiede >> Duncan liberò la presa che stava facendo sulla maniglia e portò le braccia al petto, dove le incrociò. Assunse un’espressione corrucciata. Sperava di stare facendo un buon lavoro con la sua interpretazione.
<< Siamo qui per conto dello sceriffo. Voi avete commesso un crimine imperdonabile, risalente a due notti fa. >>
Oh no. Fu come un pugno nello stomaco. Alejandro aveva scoperto della sua scappatella con sua moglie? Courtney doveva avergli rivelato tutto, anche se il pensiero non lo convinceva molto. Quella donna era testarda e non aveva paura di nulla, difficile che si facesse mettere in testa i piedi da un uomo, anche se fosse stato Alejandro.
<< Dove si trovava due notti fa? >> domandò un altro dei quattro uomini.
<< Che crimine? >> replicò. Sapeva di non dover rispondere alla domanda. Era una trappola per dargli una finta via di fuga e farlo sperare, in modo da farlo inciampare sui suoi stessi piedi. Qualunque fosse stata la risposta, loro l’avrebbero rigirata in modo da farsela piacere.
<< È stato commesso un furto. Una donna è rimasta ferita ed ora è distesa sul letto di morte. Non si crede ce la farà. >> Improvvisamente, il suo cuore si alleggerì. Allora Alejandro non aveva scoperto tutto e non aveva mandato quegli uomini a fargliela pagare! Era molto vendicativo, Duncan lo sapeva bene, e se avesse scoperto cosa aveva fatto, il modo in cui l’avrebbe ripagato sarebbe stato sfamarlo con il piombo.
<< Non ho commesso io quel crimine >> disse.
Il più vicino dei quattro, quello che aveva bussato, inarco un sopracciglio. << Ha un alibi? >>
<< Io… >> Duncan iniziò a parlare, ma si bloccò subito. Certo che ce l’aveva un alibi, aveva Courtney. Ma non poteva dire la verità, non tanto per paura di Alejandro o per rispetto nei confronti di lei, ma perché il marito della donna che amava e con cui aveva passato la notte era il suo migliore amico. Lo era da sempre, da tutta la vita. Avevano combattuto a lungo fianco a fianco, combinando pasticci dovunque andavano, facendo innamorare di sé giovani donzelle per divertirsi con loro e svignarsela prima di essere invischiati in un matrimonio… Si erano arricchiti depredando gente a caso durante il loro lungo viaggio, ed ora lui aveva speso ogni centesimo che gli era rimasto, avendo già mandato la gran parte del suo bottino alla madre.
Era una questione di principio morale. Per quanto Alejandro fosse un completo idiota, per quanto tradisse la moglie andando con tutte le ragazze del villaggio, non poteva dirgli la verità, e cioè che amava Courtney.
<< La vostra pistola è stata trovata, signor Wood. Corrisponde all’arma dell’aggressione e della rapina. >> Duncan udì quelle parole ma fu come se fossero state pronunciate a chilometri di distanza. I suoi occhi erano vacui, fissavano i quattro uomini senza vederli realmente, come fossero stati trasparenti. << Siete in arresto >> concluse quello che aveva parlato. Dopodiché, gli inviati della legge avanzarono verso di lui, lo attorniarono e gli misero le manette attorno ai polsi.
 
Lo condussero attraverso quella fredda notte d’inverno nella quale la neve ancora non era scesa a coprire tutto con un velo, tenendolo per i polsi, chiusi tra le manette. Duncan camminava svogliato, sembrando una marionetta priva di vita. Non tentò di fuggire, non tentò di liberarsi, non tentò in qualche modo di spiegare la sua innocenza. Sarebbe stato tutto vano. Quegli uomini avevano deciso che il colpevole era lui, e quindi doveva pagare per il crimine di qualcun altro. Solo lo sceriffo o lo stesso conte avrebbero potuto liberarlo, ma non credeva che l’alto uomo dall’aspetto minaccioso che stava a capo delle forze dell’ordine o che il magrolino e sadico conte dalla nera chioma fluente l’avrebbero aiutato. Non gli avrebbero mai nemmeno creduto!
Lì le cose andavano così. Eri solo un cittadino, un plebeo, e se un nobile o un poliziotto dicevano “sei colpevole”, tu di fatto eri colpevole. Persino con un alibi sarebbe stato difficile uscire da quella situazione, ed ora meno che mai, quando già aveva mostrato loro di non possederne uno.
Avrebbe rovinato la vita a Courtney.
Era meglio restare in silenzio.
Le gambe gli dolevano, i muscoli protestanti per lo sforzo immane che gli stavano facendo fare. Quanto accidenti mancava per giungere alla stazione di polizia?
Alzò lo sguardo e quasi il cuore gli saltò in gola. Oh no, si era sbagliato. Non l’avrebbero condotto alla stazione, lui non aveva avuto scampo sin dall’inizio!
Si trovavano al porto, dove parecchie navi erano attraccate. Ce n’era una molto grande che gli ricordava quella di un suo amico pirata, che non vedeva in circolazione da parecchio tempo. Lì davanti c’era un uomo, lo sceriffo, ed al seguito aveva parecchi uomini vestiti in divisa, che attendevano solamente un suo segnale per fare fuoco su Duncan. E sinceramente, per lui sarebbe stato meglio. Quei poliziotti non erano venuti da lui per accusarlo e sentire il suo alibi, no, erano venuti per arrestarlo. Tutti erano già convinti fosse stato lui, e qualunque cosa avesse detto non sarebbe stata ascoltata. Lo sceriffo doveva essere sicuro della sua colpevolezza, e di sicuro non ci era voluto molto prima che si fossero convinti anche tutti gli altri.
<< Signor Duncan Wood >> disse l’uomo alto con un sorrisetto quando lo fecero fermare dinanzi a lui.
Duncan, come ritornato in vita, piegò il capo all’indietro, in modo da guardarlo negli occhi. Lo sceriffo aveva una scura pelle abbronzata dal sole, un doppio mento troppo marcato e due piccoli occhietti neri pieni di malignità. La parte bassa del suo volto era ricoperta di una leggera barba, e sopra le labbra aveva dei baffi non troppo spessi, ai quali aveva abbinato un pizzetto.
Il sorriso che aveva dipinto sul viso aveva un che di inquietante. Avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene a chiunque. Solitamente, Il Tritacarne, chiamato così per la l’elevato numero di criminali che aveva sbattuto dietro le sbarre, era un uomo cattivo e propenso al sadismo. Come il conte Christopher adorava veder soffrire il prossimo. Il che era strano, dato il lavoro che svolgeva. Sarebbe stato più adatto come killer seriale.
<< Sceriffo >> disse Duncan.
<< E così ci risiamo. Pensavo avessi messo finalmente la testa apposto, e invece ti vedo qui di nuovo. Quando imparerai che i crimini non vanno commessi? >>
Duncan ridacchiò tra sé. << Sai che non sono stato io. Non ucciderei mai un’innocente. Non rischierei nemmeno di ferire, qualcuno che non ha colpe. Sai che sono un uomo buono anch’io, sotto tutta la mia codardia e la mia fame di ricchezza. Ho smesso da tempo di abbandonarmi alle scorribande. E tu lo sai. >>
Lo sceriffo, chiamato anche Chef, rise alzando il mento e facendo allontanare lo sguardo in direzione del villaggio. << Io so solo che hai commesso quel crimine >> quando riportò gli occhi su di lui il suo sorriso si spense, << e per questo la pagherai. >> Il silenzio era pesante. << Sei accusato di aver ferito gravemente una donna, e se morirà verrai incriminato per omicidio, oltre che per furto. Finalmente ti ho beccato, ragazzo >> gli fece l’occhiolino. << Portatelo su con il resto della feccia >> disse poi facendo un cenno del capo, e gli uomini che lo trattenevano lo condussero verso la tavola di legno sospesa nel vuoto. Lo fecero salire, tenendogli puntate addosso le pistole e lasciandogli le mani legate.
Duncan si rese conto che avrebbe potuto buttarsi. Non sarebbe riuscito a nuotare, per via delle manette che gli serravano e gli facevano male ai polsi, però la morte sarebbe stata di sicuro meglio di quello che avrebbe dovuto affrontare. Ma Courtney? Già gli faceva male il cuore nel pensare al dolore che le avrebbe provocato la notizia della sua morte. Perché, sicuro come l’Inferno, Chef sarebbe andato di persona ad avvisare Alejandro, per divertirsi nel vedere la sua sofferenza.
Sospirando, si rese conto che l’unica via era quella che gli presentavano. Così, cominciò a fare un passo dopo l’altro, per salire sulla nave che l’avrebbe condotto lontano oltre mari, montagne e colline.
 

 
Passarono dieci anni, che lui visse chiuso nella sua cella e tra le mura della prigione. Guardare il cielo attraverso le sbarre era la sua attività preferita, gli ricordava il colore della pezzuola che Courtney teneva tra i capelli. Gliene aveva mandato un pezzo, con una delle lunghe lettere piene d’amore che gli scriveva. Spesso si mostrava sempre quella cocciuta e testarda ragazza d’un tempo, anche attraverso le parole era sempre la stessa, ed anche con il passare degli anni il suo spirito combattivo, quello che lo aveva fatto innamorare, non si era dissipato.
Mentre lui era rimasto chiuso in quella cella fredda dalle pareti di pietra di una prigione costruita su un isolotto sul mare, lontano, le cose erano cambiate. E parecchio. Courtney e Alejandro si erano lasciati. Certo, secondo la legge erano ancora sposati, ma nessuno dei due voleva più fingere d’amare l’altro. Lui era fuggito via con una giovane donna che aveva conosciuto poco dopo la partenza di Duncan. Si chiamava Heather, era odiosa e sprezzante, discendente di una nobile famiglia di un luogo lontano dal loro villaggio. Courtney si era svegliata un giorno e tutto ciò che aveva trovato come segno dell’esistenza del marito era stato un biglietto in cui egli diceva che amava un’altra ed erano scappati per tornare al Paese natale di lei.
Duncan sapeva che la donna non doveva essersene rammaricata poi molto, anzi, sapeva che aveva riso nel leggere quelle frasi, ma gli faceva male pensare a come doveva essere difficile per lei crescere da sola ben due figli.
Esatto, era padre. Quasi aveva iniziato a urlare di gioia, leggendo quelle parole scritte sulla lettera che lei gli aveva mandato. Si sentiva in colpa nel pensare che come suo padre era lontano da casa mentre sua figlia e suo figlio crescevano, ma sapere di voler tornare lo rincuorava. E avrebbe fatto ritorno, sarebbe giunto di nuovo a quella casa, nella quale avrebbe vissuto con la sua famiglia, l’aveva promesso.
 

Oltre le colline e le montagne, intanto, Courtney lo attendeva con calma, felice della esistenza che viveva, con i bellissimi figli che aveva avuto con Duncan. Pregava ogni notte, guardando verso l’alto, che il momento in cui lo avrebbe visto avvicinarsi, camminando lentamente tra l’erba delle alture del villaggio, fosse vicino. Ogni notte osservava il cielo stellato, e la rincuorava pensare che fosse lo stesso che guardava Duncan.
Scriveva le lettere che gli spediva con il cuore, le riempiva del suo amore, e ogni mese attendeva il momento in cui giungeva il messaggero, che avrebbe portato quel che aveva scritto con cura sino alla prigione. Dieci anni erano passati, dieci anni nei quali erano stati costretti a restare lontani, ma presto Duncan sarebbe stato liberato, lo sapeva. La donna rimasta ferita nella rapina non era morta, era solamente priva di una gamba, e non potevano trattenerlo più di tredici anni per un furto. L’avrebbe rivisto presto, lo sapeva. Sicuro come il fiume sfocia nel mare, sarebbero stati di nuovo assieme, così lei, finalmente, si sarebbe ritrovata nuovamente tra le braccia dell’unico uomo che era stato capace di accenderle il cuore di vero amore.
  
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