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Autore: Mary P_Stark    20/02/2015    4 recensioni
Sheridan O'Connell è una figlia ribelle e selvaggia della campagna irlandese, fuggita a soli diciotto anni per raggiungere Dublino con il suo ragazzo. Dopo una vita travagliata è infine diventata fotoreporter per il National Geografic, sempre in giro per il mondo, ma sempre lontano da casa. Casa che la richiamerà a sé a causa delle cagionevoli condizioni di salute del padre. E lì, tra quelle lande dell'ovest Irlanda, immersa in ricordi dolce amari, Sheridan ritrova luoghi a lei cari, come il faro in cui si rifugiava sempre per rifuggire le ire dei genitori.
Il suo sancta santorum, però, ora è di proprietà di uno scorbutico guardiano, Ronan O'Sea, che le darà del filo da torcere, prima di permetterle di riavvicinarsi a ciò che le è caro.
La loro convivenza forzata in un luogo comune, però, sgrosserà i caratteri riottosi di entrambi, permettendo a una luce nuova di farsi largo nelle loro vite tribolate.
E darà il via a una serie di eventi che mai, Sheridan, si sarebbe aspettata. Perché un oscuro mistero si cela dietro gli occhi color acquamarina di Ronan.
Starà a lei scoprire quale. - 1° RACCONTO "SAGA DEI FOMORIANI"
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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14.
 
 
 
 
 
Un pomeriggio di inizio dicembre, esattamente uguale agli altri che lo avevano preceduto, ero seduta nel salotto di mia madre.

Stavo rammendando una maglietta quando, all’improvviso, lei comparve con una delle mie valige in mano e l’aria risoluta stampata in viso.

Sgranai gli occhi, sbalordita da quell’entrata in scena così plateale, e poggiai la maglia sulle ginocchia.

«Che c’è? Vuoi sbattermi fuori?»

«Precisamente.»

«Come, scusa?» gracchiai, credendo di non aver sentito bene.

«Non ti voglio qui dentro a ciondolare, quando potresti essere benissimo a Dublino a lavorare. Non ho cresciuto una persona svogliata, ma una che si impegna, che vince

Il suo tono fu così autoritario che, per un momento, temetti di essere tornata al punto di partenza, con lei.

Ma quando incrociai i suoi occhi volitivi e sì, la sua speranza che uscissi dal buco nero in cui ero caduta dalla sparizione di Ronan, compresi.

Da quando Lithar era scomparsa nelle acque scure del porto, erano passati quasi due mesi, due mesi in cui non erano più giunte notizie, speranze, voci di alcun genere.

Per quanto mi fossi ripromessa di non cedere allo sconforto, ci ero comunque finita dentro e ora arrancavo, mi muovevo a stento come nella melassa.

E credere in una seppur flebile speranza, era sempre più difficile.

Vedere mia madre così determinata a scacciare i fantasmi di tale torpore, quindi, mi sorprese.

Stava cercando, a modo suo, di darmi una mano. Sapeva che il lavoro era un’àncora di salvezza per molti, e sperava che fosse così anche per me.

Mi sollevai in piedi, sgranchendomi le gambe e le braccia e, volutamente ironica, chiosai: «Di certo, non potrai dirmi che sono scappata dalla finestra, stavolta.»

«E’ sprangata» sottolineò lei, accennando un sorriso.

A quel punto sospirai e, nell’avvicinarmi a lei, le sfiorai il viso con un dito.

Non le piacevano ancora, gli abbracci, ma ogni tanto l’accarezzavo in viso.

Apprezzò il mio sforzo, e si lasciò toccare.

«Sei sicura che starai bene, qui da sola? La casa è grande, e c’è tanto da fare.»

«Farò come i nonni, e affitterò una stanza o due» mi spiegò lei, scrollando le spalle.

La fissai scettica, e non potei esimermi dal dire: «Dovrai cambiare registro, allora. Alla gente bisogna sorridere, ogni tanto.»

Mi fissò burbera, ma disse perentoria: «So come si fa.»

«Lo spero per i tuoi poveri villeggianti» ironizzai, mettendo calore nel mio dire.

«Sciocchina» disse allora lei, dandomi una pacca sul sedere prima di mollare accanto ai miei piedi la valigia vuota.

Strabuzzai gli occhi, indecisa se pregare Dio e ringraziarlo del miracolo, oppure starmene semplicemente zitta e godermi il momento.

Scelsi la seconda e, irriverente, dissi soltanto: «Quanto tempo ho?»

«Due ore. Quando Ronan tornerà, gli dirò che sei tornata al lavoro, se già non glielo dirai tu per telefono, e lui ti raggiungerà là. Ma non voglio vederti un solo giorno di più ad aspettare indolente che  torni. Lui si sta impegnando a sostenere la sorella, tu impegnati nel tuo lavoro, visto che lo sai fare bene.»

Risi debolmente, non sentendomela di metterci dello spirito ma, di buona lena, andai a casa dei nonni per fare le valige.

Sapevo che non scherzava, in quel caso, e io non volevo mettermi a discutere con lei.

Da quando Ronan era sparito, forse non ero più nemmeno in grado di farlo.

 
***

Spazzolare la lapide di mio padre era un compito che mi ero affidata da sola.

Quando andavo al cimitero con mamma, volevo farlo sempre io e, dopo le prime discussioni, lei aveva ceduto il passo.

Cosa più unica che rara.

Sotto la luce diafana del crepuscolo, con le nubi rigonfie sopra la mia testa, mi accucciai e sistemai meglio i fiori recisi nel vaso.

Il vento li aveva smossi.

Il primo fiocco di neve iniziò a cadere con la prima lacrima.

A cui ne seguì una seconda, e una terza.

Smisi di contarle quando la vista mi si annebbiò e, nel tergermi il viso con una mano inguantata, mormorai: «La mamma è forte, sai? Stoica fin nel midollo. Piange ogni tanto, la notte, ma va avanti.»

Sospirai e, calandomi ben bene la cuffia sul capo – il vento era gelido – proseguii nel mio monologo.

«Io non riesco a essere così. E, scusami se te lo dico, non piango solo per te. Avrei voluto parlarti di Ronan, prima di… sì, insomma, prima del tuo viaggio di sola andata…» sorrisi nel dirlo, e carezzai la foto sulla lapide. «… ma non ce n’è stato il tempo. Ero arrabbiata col mondo, con te e la mamma. Lo sono sempre stata. Arrabbiata. E non ho mai capito perché.»

Crollai a sedere a terra.

Reclinai il viso in avanti, in mezzo alle ginocchia ripiegate, e borbottai: «Ora conosco i motivi della mia rabbia, ma saperli non mi aiuta a star meglio.»

La sirena del porto avvisò l’arrivo di un fronte temporalesco violento e, nel risollevarmi a fatica da terra, mormorai: «Volevo essere diversa, unica, perché voi foste orgogliosi di me e, restando qui, non sarei mai riuscita a dimostrarvi quanto valevo. Ma ho combinato un gran casino nel mezzo, e alla fine vi ho solo delusi.»

«Sheridan…»

Sobbalzai, sorpresa che vi fosse qualcun altro, a parte me, nel cimitero.

Mi volsi, ancora ansante, e vidi Cormac in piedi a pochi passi da me, un mazzo di fiori in mano e l’aria stanca e mogia non meno della mia.

Gli sorrisi mesta e, nel vederlo poggiare i fiori accanto alla lapide di mio padre, lo ringraziai.

Restammo così per diversi minuti, in silenziosa contemplazione della tomba, prima di allontanarci al secondo squillo di una sirena nel porto.

«Non ci sono ancora notizie, vero?» mi domandò Cormac, quando ci chiudemmo alle spalle il cancello di ferro del campo santo.

Gli avevo raccontato del mio incontro con Lithar, delle sue parole cariche di fiducia e speranza, ma ormai non sapevo più dove trovare la forza per crederle ancora.

Annuii, non riuscendo a mettere a parole il  mio dolore e lui, nel battermi una mano sulla spalla, borbottò: «Se sua sorella si è spinta fino in superficie per tranquillizzarti, allora vuol dire che lei credeva fermamente in ciò che ti ha detto. Continua ad avere fede.»

«E’ difficile, soprattutto dopo due mesi senza notizie di nessuno di loro. Non sono così forte come pensavo di essere» singhiozzai, bloccando i miei passi sul marciapiede.

La neve, ora più copiosa, iniziò a viaggiare veloce, piegata dal vento stesso in sferzanti raffiche gelide.

Cormac mi accompagnò silenzioso alla mia auto e, dopo essere salito al mio fianco, attese che io proseguissi.

«Cos’ho di sbagliato?! La parvhein si è manifestata, per tutti i demoni dell’Inferno! Che altro vogliono i suoi genitori?!»

«Se Ronan ha preferito rimanere qui anche dopo la morte di Mairie, ho idea che a casa sua non si sia mai trovato bene.»

«Quel che mi fa stare peggio è che, nonostante tutto, io credo che comunque lui voglia ancora bene a entrambi i genitori… anche se non capisco come» brontolai, incredula.

«Vorrei solo che gli fosse concesso di decidere liberamente» aggiunsi, poggiando il capo sul volante per poi guardare Cormac.

Lui mi sorrise, mi diede un buffetto sulla guancia e, con un tono di voce lugubre, mi disse: «Anche Ronan usò queste stesse parole, parlando di te.»

Saperlo non mi rese felice, ma mi diede la riprova, una volta di più, di quanto avessi perso con la sua scomparsa.

«Sarà meglio se ora vai a casa, ragazza. Da quel che vedo in cielo, stanotte nevicherà di brutto, e non penso tu voglia rimanere bloccata qui.»

Scese dall’auto, salutandomi con un gesto semplice della mano e, infagottato nella sua giacca di velluto a coste, si diresse piano verso il suo pick-up.

Lanciai un ultimo sguardo al cimitero – le lapidi erano ormai bianche – e, senza alcuna voglia di tornarmene a casa, avviai il motore.

 
***

La tavolata preparata per me al The Moorings dal cugino Cornelius, mi portò quasi a piangere di commozione.

Avevano voluto partecipare praticamente tutti, in vista della mia imminente partenza.

Dai colleghi di Cormac alla signora O’Gready, ogni persona che mi aveva vista crescere era lì, quella sera.

Il locale era letteralmente ricolmo di persone, intervenute per salutarmi con la speranza che tornassi lì ogni tanto a trovarli, dopo tanti anni di assenza.

Fingere che tutto andasse bene, e che la mancanza di Ronan fosse solo una cosa di breve durata, fu massacrante.

Ma lasciar trasparire il mio dolore avrebbe attirato su di me troppe domande, e più di tutto non volevo che Fynn si accorgesse di qualcosa.

Era fin troppo attento ai miei cambiamenti di umore e, se non fossi stata attenta, avrebbe fatto domande a cui non avrei potuto rispondere.

La presenza di Cormac fu basilare e, anche grazie a lui, riuscii a tirare avanti per arrivare in fondo alla serata.

Le vettovaglie si sprecarono, così come la birra, e le risate fecero da contorno a una delle feste meglio riuscite che io riuscii ricordare.

Sorrisi tutto il tempo, pur sentendomi morire dentro al pensiero di ricominciare senza Ronan.

Fynn e Donna si raccomandarono con me di non dimenticarmi di loro, e io li invitai a Dublino, promettendo che avrei fatto loro da guida.

Stessa cosa dissi ai nonni, così come a mamma, che non promise nulla, ma si limitò a sorridermi.

C’era una piccola speranza, per noi due.

Il solo fatto che ci parlassimo senza scannarci, era un risultato esaltante.

Avrei potuto ballare una giga tutta la notte, solo per questo, ma il mio ballerino non c’era più.

E non avrei trovato nessun altro, nella vita, in grado di farmi sentire come Ronan mi aveva fatto sentire in quei mesi.

L’amico burbero, l’amante solerte, … il principe immortale.

Fu con quei pensieri che prima di partire, il giorno seguente, mi ritrovai a fissare la scogliera frastagliata, la linea curva del muretto di cinta del faro e la sua torre tondeggiante.

La casa, ora, era abitata stabilmente da Cormac.

Sorprendentemente, la vita al faro sembrava piacergli e, quando avevo saputo per bocca sua che avrebbe venduto Betsy Ann, ne ero rimasta sorpresa.

Lui mi aveva spiegato che ormai, il mare, non aveva più la stessa attrattiva di prima, senza Ronan.

Forse, si sarebbe comprato una piccola barchetta per qualche giro sporadico attorno alle scogliere, ma niente di più.

Si sarebbe dedicato al faro, avrebbe sistemato le barche e i natanti come, in precedenza, aveva fatto Ronan e, nel frattempo, avrebbe pregato per un suo pronto ritorno.

Non me l’ero sentita di allontanarlo da quella speranza, perché in fondo desideravo che si avverasse non meno di lui.

Solo, mi riusciva sempre più difficile crederci.

Dopo un ultimo sguardo a quella bianca lancia stagliata verso il cielo, salii sull’auto, ben decisa a rientrare a Dublino per mettermi a lavorare.

Non aspettavo altro.

 
***

Todd ed Eithe mi accolsero con abbracci degni di un tritatutto e, per qualche momento, temetti di avere rimediato almeno due costole incrinate e un polmone perforato.

Ma quell’assalto violento mi fece bene.

Sorrisi nel rimettere piede in redazione e, quando i rumori e gli odori di quel posto mi aggredirono i sensi, seppi di avere qualche speranza di non impazzire.

Certo, non sarebbe stato facile, avrei pianto un’infinità di volte, ma ce l’avrei fatta.

Ero una guerriera, in fondo, no?

Quella sera stessa, Todd mi invitò a casa sua e, quando Lynn mi vide, mi stritolò al pari del marito e della mia amica Eithe.

In quel momento, fui certa dell’incrinatura alle costole.

Nel sedermi a tavola con loro, i gemelli accomodati su sedie identiche e coloratissime, percepii tutto il loro amore, la loro preoccupazione e il loro desiderio di essermi vicini.

«C’è poco che posso dire, a parte grazie.»

«Sai benissimo che, se vuoi stare qui da noi, non ci sono problemi. Il tuo appartamento può aspettare, cara. Aspetterai qui con noi che Ronan ritorni» mi disse Lynn, dandomi una pacca gentile sulla mano poggiata sul tavolo.

Cory e Adam strillarono, eccitati all’idea che la ‘zia Sherry’ rimanesse a dormire da loro, ma non fui del tutto certa di riuscire in un simile impegno.

Desideravo avere intorno persone che mi volevano bene ma, al tempo stesso, volevo evadere, allontanarmi, scappare da tanto amore.

Ero davvero una persona incontentabile.

Finimmo di cenare in tutta tranquillità, intervallando il cibo a brevi giochi con Cory e Adam, che si dimostrarono particolarmente bravi e ben poco capricciosi.

Forse, subodorarono che qualcosa non andava.

Erano sempre stati dei bimbi sensibili.

Con l’accompagnamento musicale di un film Disney, ci accomodammo sul divano del salotto e lì, dietro invito di Todd, bevvi un po’ di whisky con ghiaccio.

Mi servì a cadere in uno stato di dolce torpore, che sciolse un poco il dolore che mi stava lacerando il petto.

Lasciai che il mio corpo scivolasse in quella nebbia incandescente, perché bruciasse le mie ferite, cauterizzandole.

Todd non ci mise molto a recuperare un panno per me e, mentre il film proseguiva incessante sullo schermo, mi addormentai.

Non li sentii andare a dormire ma il mattino dopo, al mio risveglio, trovai un bicchiere di latte e due enormi biscotti al cioccolato sul tavolino del salotto.

E un biglietto.

Lo aprii insonnolita e, con le lacrime agli occhi per la commozione, vi trovai scritto all’interno i nomi di Cory e Adam con le loro scritture scoordinate e scomposte, oltre a un grande cuore rosso.

Mi detersi il viso, e dalla cucina uscì Lynn.

Indossava un grembiule bianco, e i boccoli biondi erano raccolti in una coda di cavallo.

Mi sorrise comprensiva e venne a sedersi accanto a me, sul divano.

Ingollai un po’ di latte per lavarmi la bocca e, nell’adocchiare i biscotti, le domandai: «Una parte della loro colazione?»

«Mi hanno detto loro di lasciartela, prima che Todd li portasse all’asilo. E,… Todd si è raccomandato di non andare al lavoro, o ti prenderà per i capelli e ti sbatterà fuori.»

Lo disse sorridendo divertita, e io accennai un risolino.

Sarebbe stato capace di farlo e, soprattutto, aveva la forza per farlo.

Annuii e presi un biscotto. Sapeva di burro, cioccolato e tanto amore.

Masticandolo lentamente, lasciai che le endorfine prendessero possesso del mio corpo mentre Lynn, pacata, mi
domandava di Ronan.

«Non ne so più di ieri. La sorella continua a essere grave, e lui non vuole lasciare il suo fianco. Coscientemente, lo capisco, ma…»

«… ma rimanere soli, quando si è appena riscoperto l’amore, non è mai facile per nessuno» terminò per me, stringendo la sua mano sulla mia spalla esile.

Poteva sembrare anche una bambola di porcellana, ma Lynn aveva forza da vendere.

Non solo fisica, ma soprattutto morale.

Scossi il capo, sapendo già quanto tutto quel gran scervellarsi fosse inutile.

Ronan era andato per sempre, per me. Dovevo solo convincermene.

«Riuscirò a riprendermi, davvero. E poi, non sarà in eterno» Sì, come no!, dissi poi tra me e me.

Ormai sapevo quella cantilena a memoria.

«Sei sempre stata più emotiva e dolce di quanto non volessi far credere alla gente, e ora il tuo cuore è allo scoperto» replicò Lynn, sorridendomi quieta. «Ti conosco, Sherry, e so quando dici una frottola. Non sarò tua madre, ma riconosco una bugia quando la vedo scritta sulla tua faccia.»

Le sorrisi mesta, senza dire nulla. Cosa avrei potuto raccontarle, del resto?

Al mio silenzio seguì un suo sospiro. E una stretta di mano.

«So che stai fingendo una sicurezza che non provi, e solo per non far stare in ansia anche noi, ma sappi questo, Sherry. Noi saremo sempre dalla tua parte, in ogni caso e, se un domani ti andrà di parlarmene, sai dove trovarmi.»

Annuii, poggiando il capo contro la sua spalla e Lynn, avvolgendomi con un braccio, mi cullò in silenzio, lasciando che il tepore del suo corpo lenisse il freddo che avevo dentro.

Restai lì ancora per alcune ore ma, alla fine, dovetti rimettere piede nel mio appartamento.

La mia vicina di casa mi riconsegnò le piante – rigogliose e forti – e mi fece gli auguri per la sorella di Ronan.

Durante le nostri frequenti telefonate, avevo iniziato a parlarle di lui e, quando Ronan era sparito, mi era parso giusto estendere quella bugia anche a lei.

Restammo sul pianerottolo a parlare per un po’ e, in tutto quel tempo trascorso insieme, iniziai a capire una cosa molto importante.

Quando finalmente rimisi piede in casa, vidi che tutto era stato tenuto pulito e spolverato – mi ripromisi di ringraziare Meggy, per questo – e, soprattutto, che non c’era nessuno.

Ronan non ci sarebbe stato, avrei dovuto farmene una ragione e, prima l’avessi fatto, meglio sarebbe stato per tutti.

Meggy c’era riuscita, dopo la perdita del marito tanto amato; si era risollevata innanzitutto per il figlio e, in secondo luogo, per se stessa.

Con Kieran l’avevo fatto. Forse, la necessità mi aveva spronata con maggiore forza ma, in quel momento, non riuscii a trovare alcuna soluzione al mio problema.

Sapevo solo di doverlo risolvere, o sarei morta. Lentamente, un giorno alla volta, e senza scampo alcuno.

Con o senza Ronan, dovevo riuscire a mettere un piede davanti all’altro, ancora una volta.

Solo, stavolta pensai sarebbe stato impossibile farlo. E questo mi fece paura.

Davvero paura.

 
***

Il mio primo impegno, dopo quei lunghi mesi di cambiamento, fu un viaggio che mi portò alle pendici dell’Himalaya.

L’intervista con il Dalai Lama mi tenne impegnata quasi una settimana e, mentre i ghiacci e la neve si diffondevano ogni dove, e non solo in quelle terre isolate, venne infine il Natale.

Come avevo sperato, mamma e i nonni mi raggiunsero a Dublino per festeggiare e, con orgoglio misto a timore, mostrai loro il mio appartamento.

Le piante che avevo lasciato alla vicina avevano prosperato, in mano sua e, quando mamma le vide, si complimentò con lei per il buon lavoro svolto.

Nonna e nonno apprezzarono i miei lavori di bricolage e, quando portai in tavola un pranzo di Natale degno di tale nome, tutti si complimentarono con me.

Nessuno sollevò l’argomento ‘Ronan’, e io fui loro grata.

Lui era a Mag Mell e, con tutta probabilità, vi sarebbe rimasto per i prossimi sessant’anni, giusto il tempo di farmi passare a miglior vita.

Non c’era nient’altro da dire.

Certo, per lui non sarebbero trascorsi sul serio, visto che era una creatura plurimillenaria, ma io avrei contato i giorni e le ore che mi avrebbero visto separata da lui.

Ci eravamo aiutati vicendevolmente ad aprire una nuova pagina nelle nostre vite, e questo non avrei mai potuto dimenticarlo.

Solo, lui avrebbe continuato a vivere per tante altre migliaia di anni, dimenticandomi una volta che il dolore per la mia perdita fosse scemato.

Io, al contrario, non avrei potuto fare la stessa cosa. Il tempo speso per cancellarlo dal mio cuore, non sarebbe mai stato sufficiente.

Ero sicura che non esistesse, sulla faccia della terra, un altro Ronan per me.

Quindi, sarei vissuta con il rimpianto di non averlo accanto a me, fino a che il mio cuore non si sarebbe fermato.

Nella giornata di Santo Stefano, ci incontrammo con Lynn e Todd e, per la prima volta, potei presentare loro la mia famiglia.

Mamma si dimostrò stranamente calorosa con i gemelli e, quando anche il nonno e la nonna li ebbero conosciuti, stravidero per loro.

Fu un bel momento, e stemperò per un attimo il dolore continuo che provavo.

Il punch che Lynn mi passò, mentre i gemelli erano impegnati a mostrare a mamma i loro ultimi disegni, seppe di lancia di salvataggio e coperte calde.

Dandomi di gomito, osservò i figli e mia madre e, piano, mi domandò: «Come va? Fate progressi?»

«Non ha sbranato nessuno, quindi direi che è un successo» ironizzai, bevendo la bevanda arancione. La trovai speziata al punto giusto.

Lynn mi sorrise benevola e ironica al tempo stesso, e replicò: «Mi è sembrata una donna molto educata. Un po’ rigida, ma non cattiva.»

Annuii, addolcendo il mio sguardo quando mamma carezzò il capo di Cory.

«No, non è mai stata cattiva. Solo, non ci siamo mai trovate sulla stessa lunghezza d’onda. Volevo qualcosa che loro non avrebbero mai capito, e l’avrei voluto solo per essere capita da loro. Un bel guazzabuglio, ti pare?»

«Essere perfetti agli occhi dei genitori non è un male. Come, e se, questo possa avvenire, è tutt’altro affare. Eravate su due piani differenti di realtà.»

«Già.»

«Ora, uno dei due piani paralleli si è piegato, e state per cozzare l’una contro l’altra… ma in senso buono» mi sorrise Lynn, finendo il suo punch.

«Tu e le tue Teorie delle Stringhe. Non iniziare a parlare per enigmi, Lynn, o giuro che scapperò a gambe levate!» risi mio malgrado, e lei assentì compiaciuta.

«Se servirà a farti sorridere, parlerò anche di buchi dimensionali, quasar, singolarità e orizzonte degli eventi. Ti subisserò di così tanti dati, tesoro, che non vorrai aver mai messo piede qui.»

«Benedetti fisici quantistici. Sempre a parlare di cose astruse» brontolai, pur sorridendole con affetto.

«Andiamo, stellina a neutroni. Se non mangi qualcosa, esploderai per il nervosismo. Prova uno di quei dolcetti alle noci. Sono sicura che ti piaceranno e, forse, riuscirai a mettere su almeno un etto.»

«E non sia mai che tu non tenti di farmi ingrassare un po’, vero?» ironizzai, seguendola al tavolo dei rinfreschi.

Lei mi lanciò uno sguardo sicuro da sopra una spalla e, nel passarmi il dolcetto, dichiarò: «Non mi darò mai per vinta, Sherry. E non dovresti farlo neppure tu.»

Ingollai il dolcetto e, mentre il sapore ricco delle noci si diffondeva nella mia bocca, assentii.

Forse non avrei più rivisto Ronan, ma non avrei permesso loro di uccidermi dentro.

Presto o tardi, sarei stata nuovamente Sheridan.

Forse.

 
***

Il Capodanno venne, cancellando quell’anno così denso di avvenimenti, di morte, dolore e speranza.

Quando abbracciai quel nuovo inizio, sperai di poterlo far fruttare in qualche modo.

Festeggiare assieme alla famiglia e agli amici aiutò un po’ ma, quando giunse il mio compleanno, il sei gennaio, non trovai nulla per cui festeggiare.

Todd si presentò in ufficio con una torta monumentale, ed Eithe mi sommerse di regali e attenzioni.

Io desiderai soltanto andarmene, e un attimo dopo mi sentii un mostro per aver anche solo pensato una cosa del genere.

Forse, avvedendosi del mio crescente stato di inquietudine, Todd arrivò al punto di programmare per me una serie di viaggi in giro per l’Irlanda, cosa che io accettai al volo.

Ma fu nel mese di maggio che mi fece un vero e proprio regalo, con la R maiuscola.

Lo ringraziai con un bacio, quando mi propose di partire per San Francisco.

Lì, avrei dovuto occuparmi di un servizio sulle foche accampate al Pier 39, nei pressi del porto della città californiana.

Partire per il nuovo mondo mi avrebbe aiutata a staccare.

La città, caotica e fumosa, immersa nella sua nebbia pomeridiana, si rivelò essere piacevole e stancante al tempo stesso.

I suoi alti e bassi, le strade percorse dai suoi innumerevoli tram dall’aria antiquata, le sue mille e più sfaccettature, la sua miscellanea di stili e culture, tutto era affascinante ai miei occhi curiosi.

Ogni cosa contribuiva a rendere San Francisco unica nel suo genere.

Forse, sarebbe stata la città ideale dove perdersi, dove cominciare una nuova vita, dove tentare un inizio differente.

Non sapevo se Todd mi ci aveva mandato per questo o se, effettivamente, l’aveva fatto solo per il lavoro che mi accingevo a svolgere.

Avevo bisogno di distrazioni continue, per poter sopravvivere, e quello sembrava il luogo ideale.

Anche se, lo stretto contatto con l’oceano, mi provocava sempre delle strane sensazioni.

Mi avviai comunque nel distretto di Fisherman’s Wharf, dove si trovava per l’appunto il Pier 39, pronta al bagno di folla continuo e al profumo salmastro dell’aria.

Nella zona, l’impresario Warren Simmons aveva ristrutturato l’intero molo, facendo sorgere un centro commerciale e una serie di negozi a tema.

Il tutto, accompagnato dalla presenza costante e assidua di un branco di foche che, in barba alla presenza umana, si erano sistemate su un molo dismesso, facendone la loro casa.

L’attrattiva era piaciuta all’imprenditore, che aveva colto la palla al balzo, chiedendo permessi su permessi per costruire nell’area e renderla più piacevole ai turisti.

Questo aveva portato, negli anni, una marea di curiosi eco-consapevoli che, rispettosi delle foche, avevano approfittato di quell’eccezionale vicinanza per ammirare i maestosi animali.

Nessuno dava loro fastidio e, anzi, i membri dello staff del vicino acquario si occupavano della loro salute e del loro benessere.

Il luogo, così come lo avevo visto su internet, era cacofonico per voci e colori, un’autentica festa per gli occhi.

Era divertente, ricco di musica, e le persone in villeggiatura che si godevano la vita.

Tutti sembravano divertirsi piacevolmente, in quel luogo, persino coloro che erano impegnati a lavorare.

Quando giunsi lì in taxi, cercai immediatamente di farmi coinvolgere da quell’ambiente così saturo di sensazioni positive.

Zaino sulle spalle e cavalletto in una mano, entrai e uscii da diversi negozi, comprai un enorme cappello di paglia dalla tesa larga e un foulard in seta dai colori sgargianti, che misi al collo.

Sorrisi ad alcuni bambini scorrazzanti, mi feci largo tra le persone senza realmente vederle e, quando il profumo del mare ebbe ragione dei mille e più profumi del molo, rabbrividii.

Mi avrebbe perseguitato per il resto della vita, dovevo rendermene conto e accettarlo.

Sfiorai con la mano uno dei parapetti in legno, ricoperti da una leggera patina di sale, e sospirai.

Ronan sarebbe stato per sempre l’anello mancante nella mia vita e, pur con tutta la mia buona volontà, non avrei mai potuto cancellarlo dalla mente.

Dovevo accettare che lui non ci sarebbe più stato, per me, e andare avanti con quella certezza.

Come se fosse facile da accettare…

Reclinai all’indietro il capo, osservai il cielo terso – la nebbia si era diradata, in quel punto – e mi decisi a fare il mio dovere; trovare le foche da fotografare.

Mi avventurai perciò fino al molo 9, dove erano solite riunirsi e, dopo aver trovato una posizione ottimale dove sistemare la mia attrezzatura, mi misi all’opera.

Catturai delle inquadrature davvero perfette e, mentre ero lì, intervistai un po’ di turisti, oltre a parte dello staff dell’acquario che si occupava delle foche.

Mi concessi persino il lusso di un caffè macchiato e di una brioche, dopo tre ore di appostamento, e fu in quel momento che scorsi, tra la folla, una persona che non avrebbe dovuto essere lì.

Rischiai di rovesciarmi il caffè addosso, tante furono la sorpresa e la speranza provate e, quando lo vidi allontanarsi sul molo per raggiungere la spiaggia, pagai in fretta e lo seguii.

Non poteva essere lui, eppure…

Con un’andatura degna di uno schiacciasassi in movimento, mi feci largo tra la folla di turisti per raggiungere le scale che conducevano alla battigia.

Feci scorrere lo sguardo qua e là, ansiosa. I capelli mi schiaffeggiavano la faccia, al pari della tesa del cappello di paglia, mossa da un vento ben poco gentile.

Levai una mano, scostando una ciocca scura dagli occhi e, frenetica, continuai con lo studio della spiaggia, alla ricerca di lui.

Lo vidi fermo accanto a uno scoglio, la sua figura a me famigliare e cara. Dolorosamente famigliare e cara.

Corsi in fretta, terrorizzata all’idea che potesse scomparire nel nulla così come era apparso.

Inciampai sulla sabbia un’infinità di volte e, irritata, lasciai cadere lo zaino con la mia attrezzatura per avere più libertà di movimento.

Il cappello volò via chissà dove, ma non me ne curai.

Lui si allontanò dallo scoglio, allargò le braccia e io, con uno strillo eccitato, mi gettai tra le braccia di Ronan, stringendolo così forte da farlo ansimare in risposta.

Mi tenne sollevata da terra, baciandomi il collo più e più volte, mentre le mie lacrime bagnavano il suo volto sorridente.

Quando finalmente mi rimise giù, io lo fissai in viso ed esalai sconvolta: «Ronan! Oddio, non sei solo un parto della mia immaginazione! Sei veramente qui

«Sono qui per restare con te. E sì, non sono solo frutto della tua immaginazione.»

Fu a quel punto che lo guardai meglio e, sconcertata, notai i segni del patimento sul suo viso, e le tracce di qualcosa che non seppi distinguere con precisione.

La prima cosa che mi venne in mente, furono i ricordi dei prigionieri di guerra, e di quello che la prigionia lasciava sui loro corpi, nei loro occhi.

Mi irrigidii al solo pensiero, ma preferii non mettere a parole le mie paure.

Era lì con me, e io avrei ammazzato il primo uomo pesce che fosse emerso dalle acque per strapparmelo di nuovo, se fosse successo.

Evidentemente, Ronan dovette comprendere i miei pensieri perché, mesto, mi accompagnò allo scoglio, dove mi fece sedere.

Mi accoccolai contro di lui, incredula di poter ancora sentire il suo profumo, il suo calore.

Eppure era con me, stanco e provato, ma era lì.

«Mi hanno tenuto prigioniero fino a circa due settimane fa. Stheta è riuscito a liberarmi solo dopo diversi tentativi, per questo non sono riuscito a raggiungerti prima.»

Non mi sorprese più di tanto che proprio Stheta, che me lo aveva portato via, si fosse prodigato per liberarlo.

«Dopotutto, con quello che mi fece passare quella notte, mi sembra il minimo che si sia impegnato in prima persona per liberarti» commentai, accennando un sorrisino ironico.

Mi fissò con una domanda negli occhi, e io compresi cosa mi volesse chiedere.

Ora che sapevo che, in determinati momenti e condizioni, lui poteva esternare le sue emozioni e sensazioni, non mi fu difficile capirlo.

Quando mi era successo la prima volta – parevano passati anni, da allora – non avevo compreso cosa mi fosse preso, ma ora sapevo. Ora ero consapevole di ogni cosa.

E desideravo conoscere altro, tutto quanto.

«Ci fu uno scontro verbale e fisico, e uno dei vostri soldati mi colpì alle spalle. Stheta lo schiaffeggiò con violenza, per questo, ma io intanto ero a terra, e non potei fare nulla per salvarti» gli spiegai, mettendo a parole un resoconto stringato di ciò che era successo quella notte.

Quel ricordo mi avrebbe perseguitato ancora per lungo tempo, ma potevo sopportare praticamente qualsiasi cosa, con Ronan al fianco.

Annuì turbato, ma proseguì nel racconto.

«Nostro padre Tethra non fu esattamente cordiale, al mio ritorno, e mi fece imprigionare prima ancora che potessi aprire bocca. E le segrete del palazzo reale di Mag Mell non sono proprio degli alberghi a cinque stelle.»
Gli sfiorai il viso, in corrispondenza di un taglio in via di guarigione, e fremetti.

«E ovviamente, tua madre ne fu più che lieta.»

Lui rise del mio commento, annuendo sarcastico.

«Il piano di plagiare Stheta perché mi riportasse a casa venne da lei, non da mio padre. L’artefice prima fu lei.»
Lo fissai a bocca aperta, non sapendo che dire.

Io e mia madre non saremmo mai state best friend forever, ma da lì a raggiungere i livelli di questa Muath, ce ne correva!

Un gabbiano volteggiò sopra le nostre teste, lanciando il suo triste grido nel vento.

Lo guardai rabbrividendo, sperando non fosse foriero d ulteriori guai. Ne avevo avuto a sufficienza per due vite.

«Quando sono riuscito  finalmente a  tornare a Portmagee, sono salito subito al faro, trovandovi Cormac. Mi ha spiegato del vostro piano, atto a mettere al sicuro la mia identità, perciò mi sono attenuto a mia volta a questa storia.»

Mi sorrise, sistemando una ciocca ribelle dietro un mio orecchio, prima di riprendere a parlare.

«Se avessi avuto tempo di spiegarvi, avreste potuto evitare di preoccuparvi…» cominciò col dire, estraendo dalla tasca interna del suo giubbotto un portafogli.

Ne estrasse la sua patente di guida e, ammiccando al mio indirizzo, vi passò sopra un dito e me la mostrò.

Io spalancai gli occhi, sconvolta e lui, tornando a passarvi sopra il dito, mormorò: «E’ il mio dono. Posso manipolare qualsiasi tipo di documento scritto, sia esso cartaceo o digitale. Neppure l’hacker più preparato avrebbe mai potuto trovare pecche nei miei documenti. Ma grazie per aver pensato a proteggermi.»

Deglutii a fatica e, mentre Ronan rimetteva a posto la patente, io gracchiai: «Per. La. Puttana.»

Lui ridacchiò, scrollando le spalle.

«Ho avviato subito le pratiche per vendere definitivamente terreno e faro a Cormac e, nel frattempo, mi sono recato da tua madre.»

«Mia. Madre?» gracchiai, più che mai sorpresa.

«Non ci siamo mai presentati formalmente, e a certe cose tengo molto» mi sorrise, mettendo dell’ironia nella sua voce. «Sono rimasto lì per una buona mezza giornata, parlando di me, di te, di mia sorella e dei miei fratelli. Alla fine, mi ha domandato cosa volevo veramente da te.»

«Diretta come un pugno in faccia. Sicuro di aver parlato con lei?» esalai, sempre più scioccata. E da quando mia madre affrontava di petto un problema, invece di infiocchettarlo per bene?

Ronan rise sommessamente, assentendo. «Ha solo voluto essere certa che avessi intenzioni serie, con te. E io non ho avuto problemi a tranquillizzarla.»

Gli sorrisi, scuotendo il capo, e lo afferrai a una mano, la stessa che tempo prima si era lacerato con il martello, e che io gli avevo curato.

Non v’era più segno di quella ferita, ma io la rammentavo bene.

Rammentavo di lui ogni più piccolo respiro, ogni particolare apparentemente insignificante.

L’aria che respiravo non mi era così cara come lui.

«Quindi, siamo ufficialmente fidanzati, almeno agli occhi di mia madre?» gli domandai, trovando quella situazione del tutto paradossale.

Con una certa enfasi, e occhi che brillavano di ironia, mi disse: «Le ho chiesto la tua mano, ma tu sola puoi avere l’ultima parola. Anzi, credo si aspetti una chiamata da parte tua, per la cronaca.»

«Ti sei divertito a fare la parte del galantuomo, eh? Lo sapevi che lei avrebbe apprezzato» gli domandai, levando un sopracciglio con ironia.

«Per la verità, ci speravo. Dopotutto, lei è tua madre, fa parte della famiglia, e non voglio che ci siano screzi tra di noi» ironizzò, scrollando le spalle. «Come ben sai, sul fronte opposto non raccoglieremo niente, almeno per quel che riguarda i miei genitori.»

Scoppiai a ridere di fronte a quella speranza, e lui si unì a me in quello sfogo spontaneo.

«Ora che succederà, comunque? Torneranno a prenderti in qualche altro modo? Dovremo trasferirci sull’Himalaya, per essere sicuri che non tornino a disturbarci?»

Lo dissi con ironia, ma la mia paura era più che reale, e strisciava nelle mie viscere come un mamba pronto ad avvelenarmi dall’interno.

Lui mi sorrise in risposta e, indicando un mucchietto fumante alle sue spalle, disse: «Quella era la mia chiave d’accesso a Mag Mell.»

Fissai quello che sembrava essere un mantello, molto simile a quello che avevo scorto sulle spalle di Stheta, e borbottai: «I mantelli si ricuciono, Ronan. Non mi sembra che tu possa stare così tranquillo, e solo perché hai bruciato un capo di abbigliamento.»

Mi sorrise divertito, e scosse il capo.

«E’ la mia pelle di delfino, Sheridan. Non è un mantello qualunque. E’ legata a noi, è unica e insostituibile. In seguito, viene intessuta nei mantelli per praticità, attraverso arti magiche che non voglio stare qui a spiegarti, ma rimane pur sempre la nostra seconda entità. Anche volendo, ora posso vivere solo qui. Con te.»

Sgranai gli occhi, strabiliata, e tornai a guardare il mucchietto fumante, ormai ridotto in briciole.

Per un attimo avvertii ancora il senso di colpa, dentro di me, ma lui fugò qualsiasi mio dubbio baciandomi teneramente.

Restammo avvinghiati per un tempo infinito e, quando la sua bocca si scostò dalla mia, sussurrò: «Non sono cambiato, Sheridan… ho solo perso la mia lunga vita. Tutto il resto, è uguale a prima, e lo metto nelle tue mani. Per sempre.»

«Per sempre, principe Rhonyn.»

Scosse il capo, e replicò divertito: «Solo Ronan.»

«E’ un ‘solo’ che mi piace molto.»









Note: Siamo ormai arrivati al termine di questo primo racconto, a cui seguirà a breve il secondo, intitolato The Cross of Changes. Il personaggio che seguiremo sarà Stheta mac Lir, alle prese con la sua primogenitura, il suo desiderio di pagare il debito nei confronti del fratello Rohnyn e l'interesse verso un nuovo personaggio - Eithe - che, in questo primo racconto, è stato solo accennato.
Da questo secondo racconto, partirà il crossover con la saga "Trilogia della Luna" e, in particolare con la sua terza parte, intitolata "All'ombra dell'Eclissi". Sarò più specifica a tempo debito e, per chi non avesse seguito quella trilogia, non si preoccupi. Ho inserito all'interno del racconto sufficienti spiegazioni anche per i "non addetti ai lavori" (dopotutto, Stheta non ne sa nulla...) e, durante la narrazione, inserirò anche un prontuario con i vocaboli più usati, e su cui potreste avere qualche dubbio. 
In ogni caso, sono sempre disponibilissima a qualsiasi tipo di spiegazione ulteriore.
Ciò detto, vi saluto e vi ringrazio per la vostra fiducia, rimandando gli arrivederci all'Epilogo, che ci sarà la settimana prossima.
Per ora, grazie! 
  
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