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Autore: Sincro    22/02/2015    0 recensioni
Una storia ambientata in Francia in un imprecisato periodo temporale.
Personaggi custodi di un destino scritto per loro da un'entità celata da una maschera.
Questo destino sarà loro gabbia o salvezza? Chi mai si spingerebbe in qualcosa del genere e perché?
Genere: Horror, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3 - Sala operatoria
Presente

 
Un susseguirsi di luci al neon accecarono le dilatate e sensibili pupille dell’uomo semi cosciente dagli occhi socchiusi e dal respiro corto. Madido era il viso e il petto. Riuscì a scorgere tante voci intorno a lui. Il battito era sempre più lento. Il cuore si sforzava sempre più di pompare quel sangue necessario alla vita.
Sentì della mani sollevarlo di peso per poggiarlo dalla barella ad un tavolo leggermente più alto e duro. Gli occhi erano quasi aperti ma le uniche cose che riuscì a vedere erano solo ombre e figure per nulla nitide. Quelle tante voci rimbombavano nella sua testa. Desiderava silenzio ma dalla bocca non riusciva ad emettere nessun suono.
(Cosa mi è successo? Dove sono?)
Domande che a fatica riusciva a porsi. Era stanco. Sentiva, via via, le forze abbandonarlo sempre più. Provò a chiudere gli occhi nella disperata ricerca di un po' di pace ma il tutto venne interrotto da un pizzico di un ago all'altezza del polso. Un dolore pian piano iniziò a diffondersi come un fuoco in tutto il braccio, gli avevano iniettato qualcosa. Per, dopo aver superato la spalla, diramarsi tra collo e petto. Sentì il suo corpo tremar leggermente. Il suo braccio era steso e rovente per l’effetto di quel qualcosa iniettatogli. Chinò leggermente lo sguardo verso la sua mano e la scoprì con vene pulsanti e gonfie come non mai.
L'arrivo di quel qualcosa al cuore lo fece rinvigorire, adrenalina pensò l’uomo. Ma l'adrenalina non provoca quel terribile dolore. L'adrenalina non si inietta nelle vene del polso. Uno spasmo. Un altro ed un altro ancora scuotono il suo corpo. Aveva gli occhi ancora offuscati da una sorta di sipario in verde plastica. Ammiccò le palpebre per un numero di volte capaci a schiarirgli la vista.
La sala era vuota. Era solo in quella sala che prima era gremita di gente sconosciuta e logorroica. Notò che aveva polsi, caviglie e torace ancorati ad un tavolo operatorio con stuoie di cuoio molto consumate. Lungo tutto il petto aveva alcuni elettrodi che proseguivano a decorargli anche le costole e le gambe. Sui lati del letto notò ben due flebo che si separavano per poi unirsi in due tubicini. La soluzione di quelle flebo aveva un colore strano, tendente al nero.
Entrò una persona in sala. Lui tenta di parlare ma dalla sua gola non esce alcun suono.
«Inutile tentar di parlare, non puoi.» - disse un uomo dalla enorme stazza.
Dopo questa frase l'uomo si avvicinò ad un banchetto pieno di flaconcini vuoti ed alcuni monitor per poi uscire da dove era entrato.
(Non posso parlare? Cosa mi hanno fatto? Maledizione!)
Portò la lingua fuori dalle labbra per assaporar un amaro gusto di sangue. Era assetato. Provò ancora ad emettere suoni ma tutto fu vano. La forza di opporsi a quelle morse che opprimevano e bloccavano il suo corpo non c'era. Si abbandonò, chiuse gli occhi e cercò di restar calmo.
La sala si oscura improvvisamente. Avvertì una sorta di ronzio seguito dallo spalancarsi di quella porta da cui era entrato con la barella. Sentì la stretta di quelle stuoie in cuoio allentarsi per poi svanire. Prima il petto e i polsi e infine le caviglie.
La luce ritorna dopo poco ma in sala non c’era più nessuno. Provò a mettersi seduto e dopo tanta fatica e svariati tentativi fallimentari riesce. Riuscì a scrutar meglio la sala. Era una sala operatoria scavata nella roccia. Riusciva a vedere i mattoni coperti da una pellicola molto spessa fissata con tanti chiodi arrugginiti. Alcune travi in legno decoravano quel soffitto molto basso e sudicio. Il pavimento, bensì, era molto curato e pulito. Tentò di alzarsi in piedi ma rischiò di scaraventarsi sul pavimento. Non aveva alcuna forza. Già il solo restar seduto gli sembrava una tortura. Uno sforzo immane. Richiuse gli occhi e si concentrò. Restò in questa posizione di recupero per alcuni minuti. Aprì improvvisamente gli occhi e si alzò in piedi. Barcollando arrivò alla parte opposta della sala, poggiandosi sul bordo del banchetto pieno di fiale e monitor.
Quel fuoco che aveva avvertito prima nascere per poi diffondersi dal suo polso stava ritornando. Sentiva la mano bruciare e pulsare. Le vene del braccio erano verdi e spesse sotto la luce bianca di quella sala. Provò a battere la mano contro il banchetto ma non risolse nulla. Non svanì il dolore ma non nacque alcun nuovo dolore. Continuò a colpire il marmo con sempre più forza. Il dolore era insopportabile. Continuò fino al cessare di quel fuoco e notò che la mano era sporca da sangue nero brillante. Al cessare di quel dolore notò un cambiamento in lui. Le gambe si erano irrigidite e sentiva una forza provenire dal suo petto per poi diffondersi a macchia d'olio in tutto il corpo.
La vista e l'udito ormai erano pienamente funzionanti. Cercò in alcuni cassetti una garza o una qualunque altra cosa per tamponare il sanguinar della sua mano. Prese della carta da un rotolo fissato alla parete e si avvicinò ad un lavello con l'intento di sciacquar via quel sangue. Asciugò tutto e si apprestò verso la porta. Si trovava in una sorta di laboratorio sotterraneo. Il pavimento in PVC percorreva tutta la base ma i muri oltre la sala operatoria erano sporchi e pieni di scaffali vuoti. Camminò per un po' fino al raggiungere un vicolo cieco sormontato da una piccola grata in ferro; molto ben tenuta rispetto al resto dello scantinato.
Dalla grata riuscì a carpire il suono melodioso di un piano e alcune voci di sottofondo tra cui quella di una bambina che cantava. Tante voci riusciva a scorgere oltre quella grata ma non restò lì ad ascoltar per timore di essere scoperto. Così distolse l'attenzione e andò alla ricerca di una via d'uscita. Quel fuoco, quel dolore, quella fitta ritornò. Sempre più intensa al punto da offuscargli la vista e farlo, lentamente, accasciare al suolo privo di sensi. Con la vista non ancora annebbiata vide molti uomini in camice bianco urlare e andar verso di lui.
 
Avvertì tanto freddo, umidità e un leggero fastidio alla base della gamba. Sarà l'alba e la rugiada di quel fogliame su cui era riposto gli penetrava nelle ossa. Sentì un affannoso e caldo respiro alla base della caviglia. Era un grosso nero cane bramoso di carne. Sentì i suoi denti affondar nella carne senza trapassarla. Cerca di scrollarselo di dosso dimenando la gamba ma tutto fu vano.
«Via bestiaccia» urlò l’uomo «vai via!»
La bestia allentò la presa e fuggì nella fitta e oscura boscaglia. Giusto il tempo di ambientarsi e si alzò in piedi. Abbottonò un lungo cappotto nero e notò che le sue tasche erano vuote; non aveva più nulla se non quel cappotto sbucato dal nulla. Acuì la vista e scorse in lontananza un piccolo complesso di casette illuminate da una fioca luce.
Decise di andar verso di esse spinto da un'attrazione quasi inspiegabile.
   
 
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