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Autore: Elizabeth_Keats    07/12/2008    11 recensioni
**ULTIMO CAPITOLO POSTATO** "Insomma, non ero come Bella, come Esme o Rosalie o perfino come Jacob: non avevo idea di cosa fosse l'istinto paterno. E la sola idea di dovermi mettere a fare il padre premuroso, bè, mi terrorizzava a morte.[...] Mi sentivo irrimediabilmente, sconsideratamente inadeguato e terrorizzato. Insomma, come si fa il padre? Da dove dovevo cominciare? Esisteva forse un manuale a riguardo?" Sicuramente i molti accaniti lettori di BREAKING DAWN avranno notato che, per varie cause dovute alla trama probabilmente, la figura di Edward visto sotto la nuova luce di padre ha lasciato parecchio a desiderare. E per ovviare a questa mancanza (anche se di certo non mi metto al livello della Meyer) ho pensato a questa ff che descriva vari momenti della nuova vita del nostro vampiro, non senza qualche inconveniente, ovviamente! Spero che vi piaccia e, come al solito, che recensiate in molti!
Genere: Commedia, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Daddy Eddy

 

Lunedì pomeriggio. Casa Cullen. All’esterno un fine pioggerellina contribuiva ad allargare ancor di più le pozzanghere che invadevano Forks: normale. Temperatura atmosferica 15°C: normale. Atmosfera tranquilla e silenziosa: normale. Io, Edward Cullen, in casa da solo: …strano. No, aspettate, non sono stato abbastanza preciso; non ero proprio in casa solo soletto, ma era come se lo fossi. Il solito clima pacato che soleva caratterizzare quella che chiamavo “casa dolce casa” era più statico del solito e quel silenzio di tomba mi tappava le orecchie come dei batuffoli di cotone. Infine l’assoluta assenza del ben che minimo movimento d’aria mi dava ai nervi. Carlisle, Esme, Alice e Jasper si erano allontanati  qualche giorno per una lunga e rigenerante battuta di caccia, dopo il digiuno causato dai recenti avvenimenti: probabilmente a quell’ora avevano già superato il confine canadese. Anche Rosalie ed Emmett si sentivano stressati e, come avevano detto, avevano bisogno di una “pausa”: l’isola Esme era di certo il luogo ideale per passare un paio di settimane di tranquillità lontano dalle preoccupazioni quotidiane (e poi, detto tra noi, c’era ancora un buon pezzo di testiera intatto…). La mia Bella, invece, mi aveva informato proprio quella mattina, mettendomi davanti al fatto compiuto, che si sarebbe trattenuta qualche giorno a casa di Charlie, per aiutare Sue a traslocare da loro (finalmente il buon vecchio capo della polizia si era deciso a chiudere col passato e col capitolo Reneè per ricominciare daccapo!). E, naturalmente, ci sarebbe stato anche Jacob ad aiutarli… e la cosa m’innervosiva. Ok, ok, dopo tutto l’aiuto che lui e il suo branco aveva dato alla mia famiglia, devo ammetterlo, Jacob stava iniziando a piacermi; anche se non avevo ancora digerito del tutto la faccenda dell’imprinting con Renesmee: ma è meglio un lupo mannaro grande e forte che un drogato martoriato da piercing per la propria figlia, no? Vabbè, fatto sta che dopo tutto quel tempo di contesa con lui per Bella mi ci voleva ancora un po’ per abituarmi all’idea che non costituisse più un pericolo di tal sorta. Forse sarei potuto andare io ad aiutare Bella coi traslochi: mah…

Come dicevo, non ero del tutto solo. Avevo davanti la prospettiva di passare tre intense giornate con uno dei miei due più grandi amori e, al tempo stesso, la mia maggiore preoccupazione: mia figlia. Insomma, non ero come Bella, come Esme o Rosalie o perfino come Jacob: non avevo idea di cosa fosse l’istinto paterno. E la sola idea di dover mettermi a fare il padre premuroso, bè, mi terrorizzava a morte. L’avevo detto a Bella, implorandola di non lasciarmi solo su una zattera in mezzo all’oceano. Ma lei l’aveva presa subito a ridere (ovviamente) e, uscendo di casa, aveva borbottato qualcosa del tipo che ognuno aveva un suo “padre interiore”, la sua parte più affettuosa, e che dovevo solo scoprirla. Inoltre, secondo lei, stare qualche giorno tete-à-tete con Nessie mi avrebbe giovato più di quanto credessi. Ok, amo pazzamente mia figlia, adoro il suo visetto dolce, i suoi boccoli bronzei e i suoi occhioni color cioccolato: venero  ogni cosa di lei. Non avrei mai creduto che una cosa del genere potesse mai diventare realtà e soprattutto che quella cosa potesse essere mia figlia, ma… Mi sentivo irrimediabilmente, sconsideratamente inadeguato e terrorizzato. Insomma, come si fa il padre? Da dove dovevo cominciare? Esisteva forse un manuale a riguardo?

Con un sospiro di sconforto scesi gli ultimi scalini con un passo fluido e mi ritrovai nel salotto illuminato debolmente dalla luce che filtrava grigiastra tra le nubi. Nessun vampiro si aggirava, a differenza del solito, tra quelle pareti immacolate. Ma un rumore ritmico, un debole ticchettio simile a quello di un orologio, proveniva dal divano e, mentre mi avvicinavo, un dolce odore mi solleticò l’olfatto scendendo a raschiarmi la gola. Una piccola testa, grande si e no come il palmo della mia mano, ricoperta da riccioli color bronzo, si poteva intravedere al di là dello schienale del divano. Renesmee sembrava troppo presa dai suoi giocattoli per accorgersi della mia volatile presenza. Nella mano destra reggeva una piccola bambola di pezza dai capelli dorati che le aveva regalato Alice e nell’altra un peluche a forma di lupo (un caso?). Mi avvicinai ancora di più, fino a poter quasi sfiorare il bordo del divano: il mio piccolo angelo. Era così bella quando giocava serena; assomigliava quasi a una qualsiasi di quelle bambine umane, anche se lei del tutto umana non lo era. E di certo non sarei stato io ad interrompere quel suo spensierato momento di gioco. Con un solo movimento fulmineo, che mi costò si e no un millesimo di secondo, mi accomodai sul divano dalla parte opposta rispetto a dove stava giocando mia figlia. E con svogliatezza e il telecomando tenuto mollemente in mano iniziai un’oziosa operazione di zapping. Incappai in un paio di partite di baseball, in una di quelle soap-opera lagnose che piacciono tanto a Rosalie, gli ultimi aggiornamenti del telegiornale e il meteo (che naturalmente prevedeva pioggia). Dopo un quarto d’ora conclusi che non c’era nulla di interessante e che quella giornata sarebbe stata una delle più noiose della mia lunga esistenza.

Poi ad un certo punto mi colpì una strana sensazione: un fastidiosissimo prurito dietro la nuca e l’opprimente sensazione di essere osservato. Mi voltai con cautela ed incrociai un paio di profondi occhi color cioccolato. Nessie aveva lasciato da parte i suoi giocattoli per concentrare tutta la sua attenzione su di me e la sua espressione apparentemente vuota ed enigmatica sembrava volermi chieder qualcosa.

«Che c’è, Nessie?» chiesi con tono controllato e in un certo senso timoroso.

Cosa pretendeva che facessi adesso?

Ma lei si limitò a scuotere il capo, abbassare lo sguardo sulla bambola per poi ritornare a fissarmi. Sembrava indecisa, come se stesse valutando le possibilità di riuscita delle sue intenzioni.

«Ti va di giocare?» domandò in un sussurro, quasi arrossendo, e ancora un volta mi sembrò una qualsiasi bambina umana.

Rimasi per un attimo senza fiato: mia figlia mi chiedeva di giocare… con lei? A un padre sarebbe sembrata la cosa più normale del mondo, ma… dove si è mai visto un vampiro giocare con le bambole? Dovevo avere un’espressione parecchio strabiliata visto che Renesme prese la sua bambola e me la sventolò davanti agli occhi, come se stesse parlando con un ritardato mentale.

«Giocare, papà!» esclamò.

Papà. Come un flash improvviso mi ritornarono in mente le parole di Bella: “vedrai che sarai più che capace di fare il papà, ne sono sicura. E vedrai che ti divertirai anche!”.

«Sì, tesoro…» dissi con tono vacuo.

Nessie mi guardò in attesa che prendessi in mano il peluche e iniziassi a interpretare qualche buffo personaggio. Doveva essere la cosa più semplice del mondo, ma mi ero come bloccato e non sapevo più da che parte prendere, da dove cominciare. Poi mi venne un’idea.

«Vieni, Nessie, papà conosce un gioco molto più bello».




Come già detto, anche se dall'introduzione (forse un po' troppo lunga) non sembra, questa storia sarà una raccolta di one-shot, quindi una specie di album fotografico di Edward e Renesmee. Infatti, visto che la mia ispirazione va e viene come pare a lei e che, una volta iniziata una storia, mi stufo subito della trama e la lascio incompiuta (ebbene sì sono alla ricerca della trama perfetta che mi coinvolga al 101%), ho deciso di optare per una serie di piccole scenette anche divertenti, invece che per una storia vera propria. Recensite, ve ne prego davvero,  HO TANTO BISOGNO DI RECENSIONI  per valutare e migliorare il mio stile. E dopotutto non vi costa niente cliccare qua in basso e scrivere due righe (anche solo per dire: "ma che schifo!"). Quindi vede un po' di far muovere quelle dita sulla vostra tastiera!
A presto (spero)!
  
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