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Autore: JSTR4    22/02/2015    0 recensioni
[L\\\'incantevole Creamy]
Quella che state per leggere è la mia terza FanFiction, scritta all'incirca nel 1991/92. E' basata sulla storia e i personaggi di due cartoni animati: L’incantevole Creamy e Kimagure Orange Road, anche se in questo caso sarebbe più preciso chiamarlo col suo titolo italiano: E' quasi magia Johnny. Infatti in questa storia uso i nomi italiani dei personaggi di Orange Road. La sigla JSTR indica le storie dedicate all'universo di Johnny, infatti io scrivo principalmente storie basate su quel cartone. In questo caso invece ho realizzato un cross-over, ovvero un incontro tra personaggi di diverse serie; perciò ho voluto classificare questa come Great Story. Dal momento che ero molto giovane quando scrissi questa FF, intitolata Schiavi Antichi, è piuttosto stupida, e non mancano alcune assurdità. A tratti, la troverete confusa, illogica, demenziale; in una parola, idiota! Però, riscrivendola al computer l'ho lasciata praticamente identica a come la ideai all'epoca, per lasciare integra la genuinità che avevo allora. Per rendere meno caotica la lettura, ho aggiunto delle note esplicative. La storia si svolge in un momento imprecisato durante le serie, prima quindi delle puntate finali di entrambe le storie. Buona lettura.
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Great Story

Quella che state per leggere è la mia terza FanFiction, scritta all'incirca nel 1991/92. E' basata sulla storia e i personaggi di due cartoni animati: L’incantevole Creamy e Kimagure Orange Road, anche se in questo caso sarebbe più preciso chiamarlo col suo titolo italiano: E' quasi magia Johnny. Quest'ultimo anime fu trasmesso per la prima volta in Italia nel 1989, e io ne fui così colpito che presi la macchina da scrivere di mio padre e iniziai a realizzare quelle che chiamai Johnny Special Story; anche se non lo sapevo, stavo scrivendo quelle che oggi vengono chiamate FanFiction. La sigla JSTR indica le storie dedicate all'universo di Johnny. Nel corso di alcuni anni, dal 1989 fino al 1994, realizzai 4 storie. Le prime due erano FF dedicate esclusivamente a E’ quasi magia Johnny, mentre in questa terza volli realizzare un cross-over, ovvero un incontro tra personaggi di diverse serie; infatti, mentre sull’intestazione delle prime due c’è scritto Johnny Special Story, su questa c’è Great Story. Non sarebbe corretto chiamarla Johnny Special Story, poiché non ci sono solo i personaggi di quel cartone. Dal momento che ero molto giovane quando scrissi questa mia terza FanFiction, intitolata SCHIAVI ANTICHI, è piuttosto stupida, e non mancano alcune assurdità. A tratti, la troverete confusa, illogica, demenziale; in una parola, idiota! Però, riscrivendola al computer l'ho lasciata praticamente identica a come la ideai all'epoca, per lasciare integra la genuinità che avevo allora. Per lo stesso motivo non ho cambiato i nomi dei personaggi, lasciandoli in italiano, esattamente come feci allora. Per rendere meno caotica la lettura, ho aggiunto delle note esplicative. La storia si svolge in un momento imprecisato durante le serie, prima quindi delle puntate finali di entrambe le storie. Buona lettura.

Sandro Lunghini
                                         
SCHIAVI ANTICHI

Renato, appoggiato il bicchiere sul bancone, si mise ad osservare Tinetta che sciacquava i piatti. Sfruttando il bicchiere vuoto come una lente, diresse i raggi del sole che entravano da una finestra sul volto della ragazza, cercando di centrarle gli occhi. Con un bicchiere l’effetto non era dei migliori, ma bastava ad infastidirla. Tinetta, sbuffando, gli disse: “Andiamo, Renato, falla finita. Possibile che tu sia così stupido?”. Senza che Renato avesse il tempo di replicare nulla, dall’ingresso si catapultarono dentro Michael e Carlo. Andarono a sedersi ai due lati di Renato. Vedendoli affaticati, Sabrina chiese: “Ehi, avete un fiatone.. cos’è successo?”. Michael, con la mano, le fece segno di aspettare. “Volete qualcosa da bere?” chiese Tinetta. Carlo annuì, indicando il rubinetto. Tinetta allora portò loro dei bicchieri d’acqua. Quando si fu ripreso, Michael disse: “Uff, che corsa. Beh, ragazzi, statemi a sentire” “Perché così di fretta?” chiese Renato: “E’ successo qualcosa?” “Si” rispose prontamente Carlo: “Abbiamo organizzato la gita del secolo”. Sabrina incrociò le dita pensando: -Accidenti, speriamo bene-. “E sarebbe?” volle sapere Tinetta. “Sarebbe una scampagnata” esordì Michael entusiasta: “Per questo week-end” “Dopodomani? Ma non è un po’ presto?” domandò Renato. “Oh, non preoccupatevi” li rassicurò Carlo: “Non è un posto lontano. Appena fuori città”. Gli altri rimasero in silenzio per un po’, perplessi. Poi Sabrina chiese: “Chi verrebbe?” “Beh, noi due ci siamo” disse Michael: “Se volete anche voi tre, e poi vorremmo chiederlo a Johnny ed alle sue sorelle” “Allora?” li esortò Carlo: “Che ne dite?”. Tinetta disse: “Beh, per me va bene”. Sabrina e Renato acconsentirono. “D’accordo” si rallegrò Michael: “Ora non resta che chiederlo a Johnny” “Alt!” esclamò Sabrina, sorridendo: “Tra poco sarà qui. Non c’è bisogno che vi precipitiate a casa sua” “Bene” sospirò Carlo: “Così ci riposeremo i piedi”. Rimasero a chiacchierare tutti insieme, finché pochi minuti dopo non arrivò Johnny. Entusiasti, Michael e Carlo esposero anche a lui il loro progetto. Johnny, pregando in cuor suo che tutto si svolgesse per il meglio (quando c’erano di mezzo quei due scalmanati non si poteva essere mai tranquilli) accettò di buon grado, anche a nome delle sue sorelle, poiché sapeva che ne sarebbero state molto contente.

A causa del baccano che facevano i due gatti, Yu si svegliò ben prima che suonasse la sua sveglia. Visto che ormai il sole era alto, decise anche di alzarsi. Posi afferrò Nega per il collo per bloccarlo e gli disse: “Fermo, una buona volta”. Poi, rivolta a Yu, le chiese: “Ti abbiamo svegliata?” “Si” rispose lei: “Ma non preoccuparti. Tanto dovevo alzarmi, prima o poi” “D’accordo” disse Nega, e i gattini ripresero a bisticciare. Mentre si stava vestendo, Yu sentì giungere dalla strada una voce che conosceva bene; le disse qualcosa che non capì, e allora Yu si affacciò alla finestra chiedendo: “Mi hai detto qualcosa, Toshio?” “Si” rispose il ragazzo. Poi si avvide della presenza di Midori e lo salutò: “Salve, Midori” “Ciao” rispose lui, ed aggiunse: “Eravamo venuti per chiederti una cosa” “Ditemi” “Beh” cominciò Toshio: “Volevamo sapere se hai qualche impegno per domani”. Yu ci pensò su per qualche istante: lei non aveva impegni, e Creamy, essendo domenica, non doveva lavorare. Anche i cantanti si riposano, ogni tanto! Così Yu rispose: “No, non ho nessun impegno, perché?” “Veniamo adesso dalla Partenon Production” spiegò Toshio: “Kidokoro ci ha chiesto se domani avremmo fatto volentieri una scampagnata assieme a loro” “Loro chi?” “Beh: lui, Jingle e Duenote. E noi due avremmo accettato. Tu che ne dici?” “Wow!” esclamò Yu: “Una gita come quella volta che ci ritrovammo tutti sull’albero?”. Midori, al ricordo di quell’avventura, cadde pesantemente a terra, stampandosi sull’asfalto. Poi mormorò: “Non ricordatemelo, per favore”. Il volto di Toshio fu attraversato da un’ombra fuggevole, di cui gli altri due non si accorsero. I suoi ricordi su quell’episodio erano sempre molto nebulosi. Gli sembrava di avere un buco nella memoria, ed era sicuro di aver dimenticato qualcosa di importante riguardante quell’avventura*. Comunque, decise che non era questo il momento di rimuginarci sopra, e rispose a Yu: “Più o meno. Però stavolta andiamo in un posto molto vicino. Appena fuori città”. Dopo aver detto questo, Toshio pensò: -E speriamo bene-. Poi Midori disse: “Allora, Yu, che te ne pare?” “Dico che è grandioso!” gridò Yu: “Aspettatemi, scendo subito” e scomparve, rientrando, alla vista dei suoi amici. Midori, appena Yu non lo poté più vedere, saltò in collo a Toshio dicendo: “Che bello! Yu verrà con noi. Cosa dovrò dire? Cosa dovrò fare?” “Per prima cosa scendi, che mi stai schiacciando” protestò Toshio. Midori, rialzandosi, vide di aver praticamente spiaccicato il suo amico sulla strada. -Cominciamo bene- pensò Toshio. E non aveva torto nel preoccuparsi. 

* «…. riguardante quell’avventura». L’avventura in questione è quella dell’episodio 9, intitolato “Una fata di mezza estate”. Toshio ha un ruolo importante in quella storia, ma la sua memoria viene cancellata da un incantesimo.
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Quando si vide passare davanti sua figlia lanciata a quella velocità, il padre di Yu non poté fare a meno di pensare: -Ma cos’ho messo al mondo, una bambina o un aereo a reazione?-. La corsa di Yu si concluse duramente contro la porta d’ingresso, che sua madre aveva prontamente chiuso prima che lei avesse il tempo di schizzare fuori. “Beh?” disse: “Dove credi di andare senza questo?” e porse a sua figlia un cestino con il pranzo. “Grazie mamma” “Alt” disse Candida afferrando sua figlia prima che si catapultasse fuori: “Non hai nemmeno salutato i tuoi genitori” “Ops, scusate” fece Yu sorridendo, poi tornò indietro a dare un bacio a suo padre, fece lo stesso con la madre e uscì. Fuori stavano aspettando tutti lei. Toshio la salutò e l’accompagnò al furgone dicendo: “Muoviamoci, dai, oggi ci divertiremo un sacco” “Ci sono già tutti?” “Certo”. Salirono sul furgone. Yu disse un salve rivolto a tutti. Jingle e Duenote la salutarono. Kidokoro, che era alla guida, chiese: “Allora, ragazzi, siamo pronti?” “Certo” rispose Toshio. “Allora si parte, gente!”. Accese il motore, ingranò la prima e partì a razzo, dicendo: “Coraggio, sarà un viaggio di neanche un quarto d’ora*” “Perché ci ammazziamo subito?” chiese Jingle, titubante**. “Che posto è quello dove andiamo?” chiese Yu. “Oh” rispose Toshio: “E’ la vecchia casa dei coloni” “Wow” si entusiasmò Yu: “Non ci sono mai stata. Però mi hanno detto che è un luogo incantevole” “Già” confermò Toshio. “Incantevole, ragazzi?” intervenne Kidokoro: “Oh, certo, la collinetta su cui sorge la vecchia casa coloniale è un vero paradiso. Ma la casa in sé ha un aspetto fatiscente e sinistro, reso ancora più pauroso dalle storie che si raccontano su quell’abitazione”. Yu saltò in piedi e disse: “Vada avanti, signor Kidokoro” “Volete che continui?” chiese lui rivolto al gruppo. Yu e Toshio risposero all’unisono: “Certo”. Midori non era molto convinto, ma disse: “Va bene”. Jingle invece aveva già preso a tremare. Duenote gli disse: “Andiamo, Jingle, possibile che tu debba spaventarti in questo modo? Sai bene anche tu che queste storie assurde le conosce tutte Kidokoro. Questa poi è una storia vecchia, che mi raccontavano anche quando ero bambina” “La conosci anche tu, Duenote?” “Si” rispose lei. “Allora,” disse Kidokoro: “ti dispiacerebbe raccontarla al posto mio? Vorrei concentrarmi sulla guida” “Beh,” disse Duenote: “se ai ragazzi non dispiace” “No di certo” rispose Yu: “Racconta, Duenote” “Oh, non c’è molto da dire, in ogni caso. E’ una storia molto semplice” e cominciò a raccontare. “Dunque,” iniziò Duenote: “secondo quello che hanno sempre raccontato a me, la storia comincia dopo la seconda guerra mondiale. Si racconta che una famiglia americana, i Thorthon, avendo vissuto per più di sei anni su un’isoletta al largo delle coste giapponesi, causa un naufragio, venne tratta in salvo pochi mesi dopo la fine della guerra da un peschereccio. Immaginatevi cosa successe loro quando si scoprì che erano americani. Loro non conoscevano l’odio che esisteva tra questi paesi, e così furono giustiziati senza troppi complimenti, e senza troppo scalpore. L’esecuzione avvenne in quella vecchia casa, lontano da occhi indiscreti. Già allora l’abitazione aveva una brutta fama, ma dopo quell’episodio è facile immaginare come nacquero certe superstizioni. Inoltre da allora viene chiamata ‘casa coloniale’, in quanto gli americani sono conosciuti anche, genericamente, come coloni. E ovviamente si racconta che gli spiriti dei membri di quella famiglia vaghino senza sosta tra le pareti della casa” “La solita storia, insomma” commentò Toshio. “Non proprio” disse Kidokoro: “Duenote dimentica il particolare più agghiacciante” “E cioè?” “Beh, il fatto è che, nelle notti di luna piena, si odono i singhiozzi del terzo figlio dei Thorthon, James, che era un bambino di soli quattro anni” “Ehi!” esclamò Yu: “Ma stasera c’è luna piena. O sbaglio?” “Non sbagli” disse Duenote. Midori, a sentire queste parole, era praticamente ammutolito di fifa. Anche Jingle era alquanto nervoso, finché, inaspettatamente, non saltò al collo di Kidokoro a gli disse: “Un momento, manager dei miei stivali. Io avevo organizzato questa gita per la settimana scorsa. Sei tu che mi hai convinto a rimandarla ad oggi. Tu sapevi che stasera ci sarebbe stata la luna piena, vero?” “Beh, certo” rispose Kidokoro: “Ho pensato che per i ragazzi sarebbe stato molto più stimolante il mio racconto, e si sarebbero divertiti di più” “Ma davvero?” disse Jingle, e cominciò a stringere le mani attorno al collo di Kidokoro. “Cosa co.. combini” balbettò Kidokoro: “Ci fa.. farai u.. usci.. re di….”. E infatti il furgone prese a sbandare, almeno fino a quando Duenote non afferrò Jingle e gli bloccò le braccia, aiutata da Midori, che sedeva proprio dietro di lei, e che tenne fermo lo sbuffante Jingle, dicendogli: “Andiamo, signor Pentagramma, non faccia così. Neanche io amo questo tipo di storie, ma non è il caso di rischiare di farci ammazzare” “Ti licenzio” diceva Jingle: “Ti rovino, ti anniento, ti….” “Stai un po’ zitto” gli disse Duenote: “e goditi lo spettacolo della collina. Non vedi, siamo arrivati” ed erano arrivati. Kidokoro svoltò a sinistra in una strada sterrata e la collina si presentò a tutti loro.

* «…. un viaggio di neanche un quarto d’ora». Io vivo in una relativamente piccola città (che quando scrissi questo racconto era ancora più piccola), dove gli spostamenti sono rapidi e brevi. Perciò non considerai che in una grande metropoli giapponese in un quarto d’ora di tempo probabilmente non attraversi neanche un quartiere, altro che andare fuori città. 

** «…. chiese Jingle, titubante». In realtà è Jingle il guidatore folle e spericolato della combriccola, e Kidokoro il pauroso passeggero, ma quando scrissi questo evidentemente mi ricordavo male ed invertii i ruoli.

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La giornata era molto assolata. Con quel caldo, avevano scelto il posto migliore dove consumare il loro picnic. All’ombra di un gruppo di alberi. Sabrina, taciturna, stava seduta sull’erba fresca, ad osservare i suoi amici che chiacchieravano tra di loro. Aveva Ercole adagiato sulle ginocchia. Per quanto avessero potuto dire, non erano riusciti a convincere Simona a lasciarlo a casa. Sabrina osservò la collina per l’ennesima volta. Si erano accampati ad una certa distanza da essa, perché ai suoi piedi non c’erano molti ripari dal sole. Poi, di punto in bianco, fece scendere Ercole, che non protestò più di tanto perché era ormai nel mondo dei sogni. Quando si trovò a contatto con la terra, non fece nient’altro che raggomitolarsi su sé stesso, cingendosi con la coda, e continuò a sonnecchiare. Sabrina si alzò e si avviò verso la collina. Tinetta le chiese: “Dove vai, Sabrina?” “Oh, nulla” rispose lei: “Faccio solo una passeggiata”. Non ci furono altre domande. La collina non era molto ripida, così Sabrina si inerpicò senza fatica per qualche metro prima di iniziare il cammino per raggiungere il versante opposto della collina. Quando scomparve alla vista dei suoi amici, si rese conto che sarebbe stato molto più conveniente per loro sistemarsi su quest’altro lato. Infatti, da questa parte la collina stessa forniva tutta l’ombra che avrebbero potuto desiderare. Inoltre, Sabrina poté scoprire con meraviglia che, invece di una radura erbosa, qui si trovavano molti alberi, che formavano un boschetto. Trovandosi ad osservare sorridendo alcuni scoiattoli che si rincorrevano tra i rami, desiderò ardentemente inoltrarsi nel sottobosco che, come aveva subito notato, non era molto fitto. Alzò gli occhi al cielo e contemplò la quasi immobilità delle nuvole, fissandole a lungo, e rifletté distrattamente sul fatto che mai si era sentita così serena. Quando abbassò di nuovo lo sguardo, si accorse di qualcosa che prima non aveva notato. Tra due cespugli spiccava qualcosa di bianco. Si chiese come non aveva potuto avvedersene prima. Scivolò prudentemente lungo la scarpata, raggiungendo velocemente il terreno pianeggiante. Scansò un ramo fronzuto che le impediva la visuale, e così, con una certa sorpresa, capì cos’era ciò che aveva attratto la sua attenzione. Si trattava di un pallone. Le bastò avvicinarsi di qualche passo ancora per scoprire che era specifico per la pallavolo. Si chinò per raccoglierlo, e in quel momento una mano spuntò dal cespuglio che si trovava alla sua destra, e una voce disse: “Eccolo, finalmente!”. Sabrina fece un salto all’indietro ritraendo le braccia, e mandando un gridolino di sorpresa. Toshio, che si era dovuto mettere carponi per ritrovare la palla, si alzò in piedi tenendola in mano, curioso di sapere chi avesse fatto quel verso. E così, Sabrina e Toshio si ritrovarono in piedi, eretti uno di fronte all’altra, a guardarsi senza spiccicare una parola. Dopo un po’ Sabrina, che era ancora alquanto scossa, disse: “Ehm, scu.. scusa, ma..” Toshio non disse nulla. La guardava ancora inebetito. E rimasero così, a guardarsi. Intanto, a loro insaputa, sia Yu che Johnny li stavano osservando. Johnny si era avviato dietro a Sabrina poco dopo che lei era scomparsa dietro la collina. Yu invece era andata a cercare Toshio perché quest’ultimo stava tardando molto per riprendere la palla. E così adesso Yu e Johnny, provando gli stessi sentimenti di rabbia e gelosia, stavano osservando da due angolazioni diverse i ragazzi che si stavano osservando senza apparentemente rendersi conto di nient’altro. Yu conosceva anche troppo bene quello sguardo da parte di Toshio. Così, senza nemmeno accertarsi che nessuno la vedesse, estrasse la sua bacchetta magica. Nega le chiese, allarmato: “Ma che combini, Yu. A cosa ti serve trasformarti?” “Mi servirà a far vedere i sorci verdi a quel traditore” rispose: “Non mi darebbe neppure ascolto se lo rimproverassi presentandomi come Yu”. E si trasformò. Johnny si spostò sulla sinistra, girando intorno ai due begli addormentati, per avere una visuale migliore. La stessa cosa fece Yu, che si era trasformata in Creamy. Solo che lei si spostava sulla destra girando intorno ai due spaventapasseri. Questa situazione portò allo scontro inevitabile fra i due spioni. Dato che, per non farsi vedere da coloro che osservavano, avanzavano stando piegati quasi a novanta gradi, alla fine scontrarono le teste. Creamy fece: “Ohi” e si alzò in piedi, stando però bene attenta a restare al coperto di un albero. La stessa cosa fece Johnny. Creamy disse: “Ma cosa….” e alzò gli occhi, incontrando così lo sguardo del ragazzo. Anche loro, dopo essersi visti, rimasero immobili a fissarsi. Solo che gli altri due, Toshio e Sabrina, erano rimasti imbambolati ad osservarsi più che altro per la sorpresa. Mentre tra Creamy e Johnny si sviluppò, già dalla prima occhiata, qualcosa di molto più profondo. Entrambi, infatti, erano molto sensibili al fascino del sesso opposto. La stessa cosa si poteva dire di Toshio, solo che le sue cotte erano sempre molto leggere e di breve durata. Così, ad un certo punto, rendendosi conto di fare la figura dell’imbecille, Toshio si affrettò a dire: “Ehm, salve. Scu.. scusami se sono rimasto imbambolato come un cretino, ma, insomma.. la sorpresa, capisci” “Si. Si, capisco. E’ accaduto anche a me” “Bene” disse Toshio: “Io volevo chiederti.. cioè, volevo sapere. Si, insomma, io sono qui insieme ad alcuni miei amici. Stiamo facendo una scampagnata. Stavamo giocando a palla quando questa rompiscatole ci è sfuggita, e io sono venuto a cercarla”. Sabrina rise, e disse: “Meno male. Scusami anche tu, ma il vederti sbucare così all’improvviso.. mi è venuto un mezzo colpo. Cioè, non che tu sia mostruoso, non fraintendere, ma insomma.. si, cioè.. oh, uffa, non riesco a trovare le parole*….”. Le parole le aveva trovate Toshio, mettendosi a ridere. Anche Sabrina lo imitò. Le risate di Sabrina e Toshio riportarono Creamy e Johnny alla realtà. “Ops” disse Johnny: “Scusami. Ti sei fatta male?” “Eh? No, no.. non preoccuparti” “Cosa, cosa facevi qui? Cioè, voglio dire.. io sono venuto a fare un picnic con alcuni amici. E tu?” “Beh, si, anche io. Noi ci siamo sistemati in una radura in mezzo agli alberi, poco distante da qui” “E.. beh, io ero venuto a cercare.. qualche tartufo” “Tartufi?!” “Si, cioè no.. insomma, ero chinato perché….”. In quel momento la voce di Sabrina gli impedì di tirare un altro sfondone: “Ehi, Johnny, cosa ci fai qui?” “Oh, ehm, io, ecco….”. Questa volta fu Toshio ad impedirgli di parlare oltre. La sorpresa nella sua voce era tale che nessuno pensò più ad altro: “Creamy, ma non è possibile, cosa ci fai qui?” “IO?” disse lei: “Beh, ecco….” poi fu folgorata da una risposta geniale: “Ecco, ero andata alla Partenon per cercare qualcuno, e mi hanno detto che eravate venuti tutti a fare una scampagnata da queste parti. Così mi sono fatta portare da un taxi” “Oh, capisco” disse Toshio, e si mise ad osservare Johnny incuriosito. Solo che Johnny si era messo ad osservare Creamy. Dapprima, sia Sabrina che Toshio provarono una fitta di gelosia, ma quando Johnny aprì la bocca entrambi capirono il motivo della sua ammirazione verso Creamy: “Tu sei Creamy?” disse Johnny: “Ecco perché mi sembrava di averti già vista” “Beh, si” disse Creamy, imbarazzata, poi presentò il suo amico Toshio: “Questo è Toshio. E’ uno dei ragazzi con cui sono venuta a fare la scampagnata” “Salve” disse Toshio, tendendo la mano a Johnny: “Piacere” “Piacere” disse Johnny stringendogli la mano: “Il mio nome è Johnny” “Si” disse Toshio: “L’avevo capito, quando lei” e indicò Sabrina: “ti ha chiamato poco fa” “Lei è Sabrina” disse Johnny: “Siamo venuti a fare un picnic assieme ad altri amici” “Ehi” disse Toshio, rivolto a Creamy: “Gli altri saranno molto contenti di vederti. Ci sono proprio tutti. Jingle, Kidokoro, Yu….” “Ehm” disse Creamy, imbarazzata: “Ho incontrato Yu mentre venivo verso la collina. Non si sentiva molto bene e così le ho fornito il mio taxi per tornare a casa” “Oh” fece Toshio: “Capisco”. La proposta fu di Sabrina: “Perché non riuniamo i nostri gruppi, ragazzi?**”. Gli altri accettarono entusiasti. 

* «Meno male…. a trovare le parole». Questa NON E’ Madoka Ayukawa!! NON E’ Sabrina!! Lei non ha uno spirito così frivolo! Ma che avevo in mente?!

** «Perché non…. gruppi, ragazzi?». Ribadisco! Questa NON E’ LEI! Questa è Tinetta.

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Quando Kidokoro ebbe terminato il racconto, Sabrina si sentì rabbrividire. Non aveva mai amato molto le storie di fantasmi e affini. Si guardò intorno, e si sentì molto più serena nell’osservare la vita che pullulava nel bosco. Formiche che si affaccendavano nel trasportare cibo (i ragazzi avevano avuto l’accortezza di accamparsi a debita distanza dai voraci insetti), qualche farfalla che passava veloce tra le piante, in cerca forse di un luogo dove si trovassero dei fiori su cui posarsi. A Sabrina sembrò di intravedere un fagiano che saettava tra i cespugli. -Una femmina, forse- pensò la ragazza: -Non era molto appariscente-. Dopo le dovute presentazioni, il gruppo di Johnny e Sabrina si era trasferito nel luogo dove si erano sistemati Creamy e Company, in quanto il posto presentava molte più attrattive. Sabrina ne era soddisfatta. L’unica cosa che la infastidiva era il comportamento di Johnny e Creamy. A suo parere, quei due se la intendevano anche troppo bene. Anche adesso, per esempio, che erano seduti tutti in cerchio, Creamy era seduta accanto a Johnny. Sabrina si era seduta alla destra di Johnny, Creamy alla sinistra di Johnny e Toshio alla sinistra di Creamy. Poi venivano Midori, un ragazzo che a Sabrina era subito risultato simpatico*, poi Duenote, Jingle e Kidokoro. Il cerchio era completato dal gruppo dei suoi amici. Quando Kidokoro aveva chiesto loro se desideravano conoscere la storia della casa coloniale, tutti avevano assentito. Lei compresa, ma adesso se ne stava pentendo. Si ripeté fra se di non avere mai amato le storie di fantasmi e affini. Poi si mise a giocare con Posi e Nega. Rifletté sul fatto che i due gattini di Creamy erano simpaticissimi. Molto più della loro padrona. Poi pensò: -Non è giusto. Creamy non è affatto una cattiva ragazza. Anzi, è molto simpatica. Ma, dannazione, mi sembra che fra lei e Johnny ci sia, come dire, troppa simpatia.. troppo affiatamento.. insomma, non mi va giù. I gattini non sono di Creamy, in ogni caso. Appartengono a Yu, la ragazzina che se n’è andata poco prima che io conoscessi Toshio-. Il corso dei suoi pensieri fu interrotto da Tinetta, che chiese: “Nessuno di voi ne sapeva nulla, di questa storia dei Thorthon?”. Tutti, Sabrina compresa, scossero la testa in segno di diniego. Tutti, eccetto Michael. Creamy gli chiese: “Tu la conoscevi già, Michael?” “Beh, ne ho sentito parlare,” rispose lui: “ma non immaginavo che si riferisse a questa casa”. Toshio si avvide del fatto che Michael era un po’ imbarazzato, nel parlare a Creamy. Era ovvio, comunque, visto che Michael e Carlo non avevano celato la loro ammirazione per la cantante. Toshio si sentì trafiggere da una fitta di gelosia. La ‘sua’ Creamy stava diventando l’oggetto di troppe attenzioni da parte di troppi maschi. Manuela, ad un certo punto, disse: “Sabrina, perché non suoni qualcosa?”. Jingle, che alla vista di Sabrina aveva subito desiderato di approfondire la conoscenza con lei**, chiese: “Suoni, Sabrina?” la ragazza assentì. Tinetta disse: “Suona il sax” “E anche molto bene” aggiunse Renato. “Lo hai portato con te?” chiese Creamy. Per tutta risposta, Sabrina estrasse il suo sassofono dalla borsa*** e lo mostrò sorridendo a Creamy. Quest’ultima rimase affascinata dallo strumento, e disse: “Dai, Sabrina, ti va di suonare? Magari potremo anche cantare qualcosa tutti assieme”. L’idea piacque a tutti, anche a Sabrina, che provò uno slancio di sincera simpatia verso Creamy. Rifletté: -Non è affatto antipatica. Anche se i miei dubbi non si sono ancora del tutto sopiti-. Poi chiese: “Cosa volete che suoni?”. Nel silenzio riflessivo che seguì, Johnny, di punto in bianco, cominciò a cantare: “Via del campo c’è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia, tutta notte sta sulla soglia, vende a tutti la stessa rosa”. Tutti lo guardarono incuriositi. A Creamy scintillavano gli occhi. Poi chiese: “E’ stupenda. E’ una canzone?” “Più o meno” rispose Johnny, e riprese a cantare. “Via del campo c’è una bambina, con le labbra color rugiada, occhi grigi come la strada, nascon fiori dove lei cammina” “E poi?” lo esortò Creamy: “Và avanti” “Non posso”. Tutti erano rimasti affascinati dalle strofe cantate da Johnny. Tinetta chiese: “Perché non puoi andare avanti?” “Perché non ho ancora inventato il continuo****” “Ehilà” rise Carlo: “Il nostro Johnny è un vero poeta” “Però, sei in gamba, ragazzo” disse Jingle: “Un po’ lenta, magari, ma versi molto poetici” “Grazie” disse Johnny. “Perché non facciamo ‘Il pescatore’?” propose Simona. “Ottima idea” disse Johnny. Era una canzone amata e conosciuta da tutti, e furono molto contenti di cantarla*****. Sabrina ne intonò il motivo, e poi, entusiasti, tutti in coro iniziarono a cantare: “All’ombra dell’ultimo sole, s’era assopito un pescatore, e aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”. Mentre cantavano, tutti insieme, vennero dimenticati astio e gelosia. Duenote non riusciva a non essere disgustata dal comportamento di Jingle, che aveva occhi per tutte, ma proprio tutte. Adesso, oltre a Creamy, anche Sabrina aveva attratto l’interesse di Jingle. -Che pervertito- pensò Duenote. Poi, però, venne catturata dalla canzone, e riprese ad intonarla con rinnovato vigore: “Gli occhi dischiuse il vecchio a giorno, non si guardò neppure intorno, ma versò il vino e spezzò il pane, per chi diceva ho sete ho fame” “Ehilà” gridò una voce dalla boscaglia: “Vi divertite, eh?”. Smisero tutti di cantare, e osservarono il punto da cui era provenuta la voce. Midori, che era spaventato, richiamò subito alla mente la storia di Kidokoro. Quando, dal punto dove stavano guardando tutti, giunse un altro suono, accompagnato dallo scuotersi di alcuni rami, Midori fu certo, fu sicuro al cento per cento, che da lì a un istante dal sottobosco sarebbero spuntati due piedini incerti, due piedini logori, grinzosi e marciti dal tempo, e un bambino di quattro anni avrebbe fatto capolino fra due arbusti, osservando il gruppo con un occhio solo, in cui non sarebbe più stata visibile alcuna traccia di umanità. Al posto dell’altro occhio, un foro causato da un proiettile che aveva attraversato la testa del piccolo da più di quarant’anni. Poi, quando il nonno di Johnny spuntò dalla boscaglia allegro e pimpante, Midori, incoerentemente, pensò: -Cristo******. Non è il bambino. E’ il padre che viene a cercare la sua famiglia-. Toshio gli colpì un fianco con una gomitata, e gli sussurrò: “Midori, non guardarlo in quel modo, o lo offenderai” “Come?” e solo a questo punto il ragazzo sembrò rendersi conto di ciò che vedeva. Guardò il vecchio che si andava a sedere accanto a Manuela, e, quando lei lo chiamò nonno, Midori si chiese come aveva potuto essere talmente imbecille, e si ripromise di non turbarsi più il divertimento con pensieri così assurdi. Il nonno ripeté: “Vi state divertendo, eh? Posso unirmi al festino?” “Ma certo” dissero Tinetta, Simona e Manuela, parlando nello stesso momento. “Oh, bene” si rallegrò il nonno: “Vedo di essere ben accetto” “Cosa ci fai qui?” gli chiese Johnny. “Oh, io e tua nonna siamo venuti a trovarvi, e tuo padre ci ha detto dove eravate venuti. Così io ho preso il taxi e vi ho raggiun….” in quel momento i suoi occhi caddero su Creamy, poi si avvide della presenza di Duenote, e subito una luce furtiva brillò nelle sue pupille. Senza più tener di conto le domande di suo nipote, osservò attentamente le due ragazze, e disse: “Oh, ma qui abbiamo due graziose signorine che non ho l’immenso piacere di conoscere. Posso avere l’ardire di presentarmi?”. Mentre parlava, aveva raggiunto le due cantanti, aveva baciato la mano a Creamy, poi a Duenote, e con un sorriso da faina in un pollaio recitò: “Mai non fu vista cosa più bella, mai io non scorsi siffatte donzelle*******, e sarei onorato….” “Dacci un taglio, nonno” disse Johnny: “Le metterai in imbarazzo” “Oh, non preoccuparti” disse Duenote: “Anzi, mi rammarico del fatto che non tutti siano galantuomini come tuo nonno. Vero, Jingle?”. A quella velata allusione, Jingle aveva abbassato lo sguardo. 

* «Midori…. a Sabrina era…. simpatico». Questo ha senso, secondo me: Midori, grande e grosso ma anche gentile, impacciato e buono, è il tipo che conquisterebbe subito le simpatie di Sabrina.

** «Jingle…. conoscenza con lei». Jingle è un noto tacchinatore da sbarco, e Sabrina non è certo un catofano! Capisci a me! Certo, con lei perde solo tempo, ma il pavone splendideggia per natura.

*** «….Sabrina estrasse il suo sassofono dalla borsa….». E qui non so se ridere o piangere. Dovevo essere ubriaco quando ho scritto questo.

**** «…. inventato il continuo». Quando ho riletto questa parte non ci credevo nemmeno io; ho reso Johnny l’autore di “Via del campo”, la canzone che amo di più di Fabrizio DeAndré!!!!

***** «…. molto contenti di cantarla». DeAndré è uno dei miei artisti preferiti…. 

****** «Cristo». Questa ci stona proprio. Forse avrebbe dovuto dire Budda; ma più che altro mi sembra che stoni proprio tutto il passaggio: è fin troppo macabro. 

******* «Mai non fu vista…. siffatte donzelle». Frase tratta da “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, canzone di DeAndré. 

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“Beh, eravamo venuti qui in sei, e adesso ci ritroviamo in quindici. E tu, Jingle, che stavi a preoccuparti per la luna piena. Ci divertiremo un sacco” “Luna piena?” chiese il nonno di Johnny: “Cosa significa?”. I ragazzi erano andati a giocare a calcio sul prato dall’altra parte della collina. Intorno ai resti del pranzo, al fresco, erano rimasti Jingle, Kidokoro, Duenote e il nonno di Johnny. Kidokoro disse: “Mi stavo riferendo alla storia della casa coloniale. Lei non la conosce?” “Capisco” disse il vecchio, e aggiunse: “Si, la conosco. All’epoca dei fatti io dovevo avere una ventina d’anni circa” “Ma perché,” chiese Duenote sbalordita: “la storia dei Thorthon è vera?” “Oh, non volevo dire questo” si spiegò il nonno: “Non so se la storia è vera o meno. Ma a quei tempi ricordo che si vociferava parecchio attorno a questa ipotesi. Ovviamente non si è mai saputo nulla di preciso, ma voi sapete come sono le chiacchiere della gente. Qualche buontempone si divertì a spargere la voce che qui erano accaduti dei fatti sconvolgenti, e questa storia venne farcita da elementi sempre nuovi, inventati da chissàchi. Il risultato è una sciocca superstizione, un racconto buono per spaventare i ragazzini. Un po’ macabro, ma ha il suo effetto” “Si” confermò Jingle: “Questa storia ha proprio il suo effetto” “Andiamo,” gli disse il nonno: “non starà mica a credere a queste cretinate?” “Lasci perdere” disse Duenote al nonno: “Con Jingle è fiato sprecato” “Già” fece eco Kidokoro, abbassando la voce per rivolgersi al nonno: “Pensi che è più spaventato lui di quei ragazzi che adesso sono là che giocano tranquil….” “Kidokoro..” la voce di Jingle somigliava ad un ringhio sommesso: “Cosa stai blaterando alle mie spalle? Manager da strapazzo, vuoi farmi incavolare?” “Ehm” disse Kidokoro: “No, capo, non alterarti. Scherzavo, non ho detto niente sul tuo conto. Eh eh.. ehm.. gulp!” “D’accordo” sibilò Jingle: “Ma stà attento in futuro” la sua voce stava diventando sempre più alta: “Perché non sopporterò che tu mi prenda ancora in giro!” a queste parole, che Jingle aveva gridato in faccia a Kidokoro, gli occhiali del povero manager avevano preso il volo, e poco ci mancò che i capelli seguissero lo stesso destino. Quando, dopo aver calmato il suo capo, Kidokoro andò a cercare gli occhiali in mezzo alle frasche, pensò: -E’ proprio intrattabile. Si arrabbia sempre-. Poi, con un sorriso, rifletté: -Però è un fifone. Ah ah-.                                    

Tinetta, come era normale, tifava per la squadra di Johnny, con sincero disappunto di Renato. I ragazzi erano sei, e si erano divisi in due gruppi, di tre giocatori ciascuno. Johnny era con Michael e Carlo, e Toshio con Midori e Renato. Johnny, nonostante gli incitamenti euforici di Tinetta, non sembrava molto interessato al suo tifo. Come Sabrina non mancò di notare, il ragazzo indirizzava i suoi sguardi verso Creamy. E lei li ricambiava. Questa volta Sabrina non riuscì a non detestarla. Mentre correva palla al piede, Johnny osservava sempre più spesso la ragazza, verso la quale il suo interesse era interamente catalizzato. Però, siccome nel gioco del calcio non era proprio un campione, la sua distrazione portò, com’era prevedibile, alla perdita del pallone. Renato glielo soffiò senza eccessivi problemi. Johnny, a quel punto, si ritrovò spaesato e non trovò niente di meglio da fare che cadere a terra a faccia in giù. Midori cercò di soccorrerlo, provando ad afferrarlo, mentre, in una litania che era solito ripetere in casi del genere, diceva: “Cadecadecadecade..”. Johnny cadde, rompendosi dodici denti a causa di un sasso che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il commento di Midori fu rassegnato ed esplicito: “Caduto”. Il gioco, intanto, continuò. Renato passò il pallone a Toshio, che sparò una minella verso la porta avversaria. Solo che la mira non era proprio delle migliori, e la sfera si diresse sulla collina. Rotolò per qualche metro, poi si fermò, bloccata da un gruppo di rocce. Toshio si premurò di recuperare il pallone. Dopotutto era stato lui a calciarlo lontano. In mezzo minuto raggiunse la formazione rocciosa che aveva arrestato la discesa del pallone lungo il versante. -Uffa- pensò Toshio quando raggiunse il luogo: -la collina è molto bassa, ma non sembra così ripida guardandola da valle-. Si chinò per raccogliere la palla. Qualcosa si mosse veloce. Toshio ritrasse la mano, pensando si trattasse di un topo. La scarpa scivolò fino a fermarsi contro le rocce. Toshio la guardò incuriosito. -Una scarpa? Era appoggiata al pallone, e quando l’ho alzato ha ripreso a scivolare. Credevo fosse un animale-. Dalla radura i ragazzi lo chiamarono: “Ehi! Toshio! L’hai presa? Portala giù che dobbiamo continuare” “Arrivo subito” disse lui. Rimase ad osservare la scarpa. -Devo andare- pensò: -Accidenti! Non riesco a capire-. Toshio guardò i suoi amici che lo incitavano a restituire il pallone. Poi prese la decisione: -Eh, no! Devo saperne di più. Una scarpa. Una scarpa qui non c’entra niente- osservò ancora l’insolito oggetto, e infine gridò, rivolto agli amici: “Ehi! Prendete il pallone!” e gettò la sfera a valle, che venne presa al volo da Michael. “Cosa fai là?” chiese Midori. “Nulla” rispose Toshio: “Torno subito” “Mah” fece Carlo stringendosi nelle spalle. Con quel gesto espresse il pensiero di tutti i presenti. Toshio, intanto, aveva raccolto la scarpa. Sabrina e Creamy lo osservavano interessate, chiedendosi cosa avesse trovato di tanto attraente. Toshio si presentava loro di spalle, e non riuscivano a vedere cosa tenesse in mano.                                                  
Come aveva notato subito, quella scarpa era di un bambino. Non riuscì a capirne la misura, in quanto la suola era logora. Il numero, racchiuso in un cerchietto, era stato di sicuro sotto la suola. Ma adesso non erano riconoscibili neppure i caratteristici intrecci che si trovano sotto le suole delle scarpe da ginnastica, formati da linee di gomma che si intersecano. La logica conclusione a cui giunse fu: -E’ una scarpa vecchia. Dev’essere qui da un sacco di tempo-. Ovviamente, ciò a cui pensò fu la storia di Kidokoro. Una vecchia scarpetta di bambino, praticamente consumata dal tempo, divorata letteralmente dal tempo. -I bambini amano l’avventura- pensò: -E’ normale che vengano ad esplorare i luoghi come questo. Lo facevo anche io- -A quattro anni?- la sua mente lo provocava, ponendogli obiezioni relative alle spiegazioni razionali che tentava di dare alla presenza della scarpa. -Razionali?- gli chiese la sua stessa mente: -Ti sembra normale che un bambino di non più di quattro anni venga lasciato libero di arrampicarsi fin quassù dai suoi genitori? Tu hai faticato ad arrivare qui, figuriamoci se poteva arrivarci un bambino. Oh, al diavolo. Ci sono un sacco di spiegazioni, perché devo starmi a scervellare? Mi sono fatto prendere la mano dalle mie fantasie. Devo tornarmene giù a giocare, altro che….-. Mentre pensava osservando la scarpa, avvertì un leggero solletico al polso. Istintivamente, senza dare peso alla cosa, lanciò uno sguardo al polso sinistro, inconsciamente sicuro di vedere una foglia o un ragnetto che gli procuravano quel fastidioso formicolio. Per un attimo rimase perfettamente immobile, come uno spaventapasseri in mezzo ad un campo. In quell’attimo aveva dimenticato tutto: scarpe, bambini, storie macabre, gioco. Un istante ancora di immobilità, poi Toshio scattò all’indietro, emettendo un grido di ribrezzo. La scarpa cadde sulle rocce, e ritornò inerte ad adagiarsi su un fianco. Toshio, sempre farfugliando frasi sconnesse, si ripuliva il polso sinistro dai vermi. Quando aveva guardato la sua mano con noncuranza, decine di minuscoli vermi completamente bianchi gli si infilavano sotto la manica della maglia di cotone. Toshio si tolse febbrilmente la maglietta, e si ripulì dalle nauseanti creature. Non erano arrivate più su del suo gomito, e se pensava che all’inizio non ci aveva fatto caso, pensando ad un prurito passeggero, sentiva il bisogno di vomitare. 
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Gli altri lo raggiunsero velocemente. Toshio, ormai calmatosi, stava discendendo il versante per tornare a valle. Quando si incrociarono, Johnny gli chiese: “Cosa ti è successo? Abbiamo visto che eri agitato” “E stavi gridando” aggiunse Creamy. “Lasciamo perdere” tagliò corto Toshio, laconicamente. “Cos’hai trovato lassù?” domandò Sabrina: “Abbiamo notato che raccoglievi qualcosa, prima di gridare”. Toshio li osservò tutti. Era indeciso su cosa dire. Poi sorrise e disse: “Scusatemi se sono stato un po’ brusco. Vi giuro che non c’è niente da sapere. Avevo raccolto un oggetto, un….” cercò una storia plausibile, mantenendo una espressione di indifferenza, come a confermare il fatto che non c’era niente di interessante da sapere. Ma sul momento non trovò niente di meglio che dire la verità: “Era una scarpa, lasciata da qualche altro campeggiatore. L’ho raccolta e.. e c’erano degli insetti all’interno, di cui non mi ero accorto. Si, insomma, sul momento mi sono spaventato”. Alzò le spalle, piegando i gomiti verso l’alto e rivolgendo le palme delle mani al cielo, facendo un sorrisetto di scusa. Con quel gesto si concluse la discussione, perché significava: «Scusatemi, gente. Sono io che mi sono spaventato per nulla». I ragazzi tornarono sul prato, e si andarono a sedere all’ombra degli alberi. Per un po’ rimasero tutti in silenzio, ciascuno contemplando la serenità di quel posto. Poi Toshio disse: “Io direi di tornare dagli altri. Non credete? Non abbiamo ancora deciso se restare qui anche stasera o se è meglio tornare a casa” “Noi avevamo in programma di cenare qui” disse Michael. “Davvero?” disse Creamy: “Beh, allora credo che non avremo problemi nel rimanere anche stasera” “Già” fece eco Midori. Toshio si stese sull’erba incrociando le braccia dietro la testa, e disse: “Ma si, non penso che ci sia tutta questa fretta. La città è a pochi chilometri, e col pulmino della Partenon Production ce la facciamo in un quarto d’ora” “Piuttosto,” chiese Tinetta: “ci entreremo tutti?” “Se ci stringeremo, non ci saranno problemi” la rassicurò Creamy. “Mi dispiace per Yu” disse Toshio di punto in bianco, senza distogliere gli occhi dal cielo. “Anche a me” sospirò Midori. “Non ho capito bene la storia” disse Michael: “Ma la vostra amica se n’è andata senza dirvi nulla? Insomma, se non stava bene era meglio che qualcuno l’accompagnasse, non credete?”. A Creamy si restrinse lo stomaco: la sua storia era stata improvvisata, e faceva acqua da tutte le parti. Ma poi Toshio e Midori sistemarono al meglio le cose guardandosi per un momento, e poi scoppiando a ridere; Toshio, infine, guardò Michael sorridendo e disse: “Ah, Michael, se tu conoscessi Yu non ti stupiresti del suo comportamento. E’ una ragazzina imprevedibile. Quando c’è lei di mezzo non si riesce mai a capirci nulla, e ormai abbiamo rinunciato a cercare qualsiasi spiegazione”. Gli occhi di tutti gli amici di Johnny si spostarono verso di lui. Johnny, vedendosi osservato, sfoderò il suo mitico sorriso alla ‘Take me back to Chicago’* e farfugliò: “Eh eh.. ehm.. perché guardate tutti me, ragazzi?” “Questa Yu sembra la tua versione femminile” spiegò Carlo. “Chissà se è odiosa quanto lui” bisbigliò Renato, convinto che nessuno lo avesse sentito. Ma, per sua sfortuna, la persona meno indicata aveva l’udito molto buono, e così Renato si sentì sprofondare ad un paio di metri sotto terra da un colpo mastodontico. E, mentre tutti gli altri ragazzi si allontanavano inorriditi, Tinetta ripose il tronco di baobab che aveva spezzato in testa a Renato e, sfregandosi le mani, sentenziò: “Ecco come finisce chi parla male del mio Johnny”. Toshio, che provava un certo astio nei confronti di Johnny in quanto lo vedeva interessato a Creamy, considerò in quel momento l’idea di lasciargli libero il campo e di rifugiarsi in un monastero tibetano. Una cosa, comunque, la decise: se doveva ostacolare Johnny per allontanarlo da Creamy, era meglio se Tinetta fosse stata a debita distanza. Quando decisero di tornare da Kidokoro e gli altri, si inerpicarono per qualche metro sul fianco della collina prima di cominciare ad aggirarla. Da quando quel percorso era stato seguito da Sabrina, era diventato una specie di passaggio obbligatorio per raggiungere l’altro versante della collina. Era molto più suggestivo il passaggio da un punto più alto del terreno pianeggiante. In questo modo si potevano ammirare quasi le cime degli alberi. Quando raggiunsero gli altri, Jingle chiese loro: “Vi siete divertiti?” “Certamente” risposero Carlo e Michael all’unisono. Le loro voci non erano però molto convinte. Gli sguardi dei ragazzi si spostavano imbarazzati sulla tumefazione di Renato, al quale erano rimasti vistosi segni della violenza subita. Poi tutti osservavano Toshio, il cui comportamento aveva lasciato gli altri molto perplessi. A parte quei due inconvenienti, però, si erano divertiti. La seconda domanda giunse dal nonno, e portò lo scompiglio: “Dov’è Johnny? E dov’è quella cara ragazza che era insieme a voi?”. I ragazzi si guardarono in giro, accorgendosi della mancanza di Johnny. Poi cercarono di capire chi era la cara ragazza a cui alludeva . Ognuno, in cuor suo, era stato pronto a scommettere che la cara ragazza in questione poteva essere una qualsiasi del loro gruppo, tranne Tinetta. E così era, infatti. Tinetta era lì, con loro, e fu proprio lei a dare voce al pensiero comune, dicendo: “Manca Creamy” “E anche Toshio” disse Midori. “Era dietro di voi poco fa” disse Kidokoro: “Ma quando si è accorto della mancanza di Creamy, è tornato indietro come un razzo” “Già” confermò Jingle: “E assieme a lui è tornata indietro anche Sabrina” “E allora che facciamo?” chiese Duenote. “Io direi di aspettarli” suggerì il nonno: “Torneranno subito, vedrete”. E così, data la tranquillità del luogo in cui si trovavano, nessuno ritenne necessario andare a cercare i fuggiaschi, convinti che sarebbero tornati sani e salvi. 

* «Take me back to Chicago». Titolo di una canzone dei Chicago; non so perché citai proprio questa, neppure mi piace.
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Toshio percorse a tempo di record la distanza che lo separava dal versante opposto, e quando vi giunse si fermò all’inizio del sentiero che avevano fatto poco prima per andare da Jingle. Da lì guardò prima verso la macchia di alberi dove si trovavano seduti a chiacchierare solo pochi minuti fa, e poi guardò in alto, verso la casa coloniale. E qui, a metà della salita, vide qualcosa che lo mandò in tilt. Johnny e Creamy, invece di andare con loro verso il posto dove s’erano accampati con Kidokoro e gli altri, avevano preferito arrampicarsi sulla collina. Erano arrivati nel punto dove lui aveva trovato la scarpa, e si stavano abbracciando. Toshio guardò Johnny con furia, senza preoccuparsi del fatto che i due ragazzi avevano sicuramente trovato la scarpa, rivelandone quasi certamente l’orrido contenuto. Toshio cominciò ad arrancare verso l’alto, quando una mano gli si chiuse sulla spalla. Ancora prima di girare la testa, aveva capito che si trattava di Sabrina. Si voltò, e vide la ragazza che osservava la scena sconcertata. Poi guardò lui, e disse: “Non è conveniente farci vedere, non credi?”. Toshio rimase in silenzio per un po’, prima di dire: “Già” poi si avviò verso la curva che li avrebbe nascosti agli occhi dei due piccioncini, preceduto da Sabrina. In quel momento, ammirando la ragazza che gli stava davanti, sentì che avrebbe potuto innamorarsene seduta stante. Avvertì quella sensazione come se fosse stata la cosa più naturale del mondo; si era sentito ribollire il sangue fino a due secondi prima, alla vista di Johnny e Creamy, e adesso si accorgeva di poter provare qualcosa anche per Sabrina. -Accidenti- pensò: -Così dannatamente bella e così decisa. Io stavo per fare una scenata, magari avrei anche aggredito Johnny, lei invece non ha battuto ciglio. Forse è abituata a non mostrare le sue emozioni; chissà qual è il comportamento più giusto-. Si fermarono quando sentirono, dalla voce di Creamy, un’esclamazione di disgusto: “Oh, accidenti, ma che roba è quella?”. Toshio e Sabrina si voltarono verso l’alto, e videro che i due piccioncini si allontanavano spaventati da un gruppo di rocce.
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Velocemente, Sabrina e Toshio raggiunsero il punto in cui si trovavano i loro amici. Mentre si affrettavano nella loro direzione, si avvidero con sollievo che l’abbraccio tra i due si era verificato a causa di Creamy, che si era spaventata e aveva provato l’impulso di trovare protezione tra le braccia di Johnny. Era stato un abbraccio involontario, non una manifestazione d’affetto. Quando li raggiunsero, Johnny e Creamy erano diventati rossi come i comunisti (che ormai sono in declino) e si erano separati guardando con attenzione per terra. “Cos’è successo?” chiese Toshio. Creamy lo guardò con rancore. Toshio indietreggiò meccanicamente, sgranando gli occhi. Sabrina le chiese: “Creamy, cos’hai?”. Senza dare per inteso di aver sentito la domanda di Sabrina, Creamy fece un passo verso Toshio, sempre fulminandolo con lo sguardo. Il ragazzo non indietreggiò, ma le chiese: “Ce l’hai con me?” “Tu non ci avevi detto cosa avevi trovato” lo apostrofò Creamy, in tono d’accusa: “Io sono venuta qui per vedere cosa stavi guardando oggi quando sei venuto a prendere il pallone. Perché ci hai mentito?”. Gli altri ragazzi osservarono Toshio, a quel punto, chiedendosi, allibiti, su cosa e perché avesse potuto mentire loro. Toshio abbassò lo sguardo, riflettendo. Poi, semplicemente, disse: “Non mi sembrava il caso di dirvi tutto. E poi non vi ho mentito. E’ vero che c’erano degli insetti all’interno della scarpa. Dei vermi” “Ma cosa stai dicendo?” chiese Creamy. “Me lo hai chiesto tu di dirvi tutta la verità. C’era solo qualche verme. Perché dovrebbe interessarvi tanto?” “Voglio sapere perché ci hai mentito prima, e se adesso stai facendo il finto tonto o che so io”. Toshio la guardò senza capire, e disse: “Non capisco” “Ah, non capisci? Guarda la tua scarpa, allora”. Solo allora, il ragazzo gettò uno sguardo dietro il cumulo di rocce, nel punto dove aveva fatto cadere la scarpa un’oretta prima circa. E il suo stupore fu totale. Sabrina, che insieme a Johnny aveva taciuto fino a quel momento, posò una mano sulla spalla di Toshio e gli disse: “Ehi, che cos’hai?” e anche lei guardò verso le rocce. “Oh, che schifo!” esclamò Sabrina, indietreggiando dal punto incriminato. Toshio invece si avvicinò, e si accosciò per osservare meglio. “Maledizione,” disse: “ma che roba è?” “Tu dovresti saperlo” disse Johnny: “Visto che oggi, non si sa come, hai trovato il coraggio di sollevarlo ed esaminarlo, dicendoci che era una scarpa” “Oggi era davvero una scarpa” ribatté Toshio. “E adesso cos’è?” chiese Sabrina. “Non ne ho idea” rispose lui, prendendo un pezzo di legno per toccare la massa rossa sull’erba. La esaminò, premendo il bastoncino per verificarne la durezza. Il bastoncino affondò nella massa rossa. Toshio lo ritrasse, e un fiotto di sangue scuro scaturì dall’oggetto. “Sembra” disse Toshio: “sembra un pezzo di carne”. Infilò il pezzetto di legno sotto la carne, e la sollevò. Un numero imprecisato di vermi identici a quelli che aveva visto poco prima cominciarono a strisciare nervosamente, come infastiditi dal fatto che qualcuno li avesse esposti al sole. Alcuni iniziarono ad arrampicarsi sul bastoncino, e Toshio lo mollò subito. Si alzò in piedi e si avvicinò agli altri. “Che cavolo dicevi prima, Toshio,” chiese Sabrina: “cosa c’entravano le scarpe?” “Liberissimi di non credermi,” rispose lui: “ma oggi, in quello stesso punto, solo un’ora fa, c’era la scarpa di un bambino. Ed era, era piena di vermi uguali a quelli”. I vermi erano usciti dal loro nascondiglio e adesso strisciavano lentamente arrampicandosi sulla carne e sul bastoncino rimasto a terra. “Ne sei sicuro?” chiese Johnny: “Ti rendi conto di quello che dici?” “Certo,” rispose Toshio: “credete che avrei preso in mano quella roba?” “Ma allora,” insisté Johnny: “se dici la verità, come mai la scarpa non c’è più?” “L’hanno portata via, forse?” azzardò Creamy, senza convinzione. “No di certo” disse Sabrina: “Nessuno è più arrivato fin quassù, dopo Toshio. E se fosse venuto qualcuno da un’altra direzione, lo avremmo visto comunque”. “Già” convenne Creamy, pensierosa. “A questo punto, bisogna dedurne che qualcuno è sceso dalla casa” disse Johnny, rabbrividendo alle sue stesse parole. “E’ strano che non abbiamo visto nessuno” ribadì Sabrina. Creamy era la più pensierosa; per lei non era insolito trovarsi in situazioni inspiegabili. Posi le disse: “Tu ci capisci qualcosa, Creamy?” “No di certo” bisbigliò lei, allontanandosi dagli amici per farsi sentire. “Siete voi due gli esperti”. Nega fece capolino dalla tasca di Creamy, dicendo: “Non ho un’idea molto precisa di cosa si tratta, Creamy, ma sento senza dubbio che le stranezze provengono dalla casa” “Dici?” “Che domande fai, Creamy. Certo che dico. Dovresti saperlo che io e Posi captiamo tutto ciò che è soprannaturale” “Già” disse Creamy, poi propose: “Allora sentite cosa voglio fare” “Vuoi cacciarti nei guai, come al solito” l’anticipò Nega. “Più o meno” disse lei: “Quando decideremo di andare a chiamare gli altri per metterli al corrente di quello che abbiamo trovato, io resterò indietro e salirò fin lassù” “Come farai a liberarti di Johnny?” obiettò Nega: “Ti sta appiccicato come una sanguisuga” “Già” confermò Posi, e aggiunse: “Sembra che abbia preso una sbandata per te. E mi sembra che anche tu ti sia un po’….” lo sguardo di Posi cadde sul volto di Creamy, e le sembrò distante anni luce, a giudicare dall’espressione. “Ehi, Creamy?” chiamò Posi: “Creamy? Mi sembri un po’ distratta. Creamy?” “Ehm” la interruppe Nega: “Meglio lasciar perdere, secondo me” “Perché?” “Non ti sta più ascoltando. Non ascolta nessuno da quando ho nominato Johnny”. Posi la osservò attentamente, e si accorse che gli occhi di Creamy erano persi nel blu del cielo. Nella prima pupilla c’era scritto JOH, e nella seconda pupilla si poteva leggere NNY. Posi disse: “Come facciamo a farla tornare sulla terra?”. Nega si mostrò pensieroso, poi esclamò: “Idea!”. Nega si guardò intorno, poi, simulando sorpresa, disse: “Oh, guarda, Johnny si sta spogliando!”. Creamy abbassò lo sguardo, gridando: “Cooosa?”. Creamy guardò Nega con sconcerto e insieme con rabbia, non riuscendo a credere a ciò che aveva sentito. Nega si nascose nella tasca, mostrando solo le orecchie, tremante. Posi, invece, diventò rossa come un pomodoro e disse: “Ehm, Creamy.. io non griderei così”. Creamy guardò Posi, e vide che la gattina stava indicando i suoi amici. La ragazza si voltò, e si accorse che tutti la stavano osservando incuriositi. “Oh oh” bisbigliò Creamy: “Ho gridato?” “Eh già” bisbigliò a sua volta Posi. Poi Creamy, sorprendentemente, sfoderò un grandioso sorriso alla Johnny, da perfetta imbecille, e disse: “Ehm ehm”. Johnny trovò quell’espressione molto divertente, senza rendersi conto che Creamy lo stava eguagliando in tutta la sua imbecillità. “Non è nulla” li rassicurò lei: “Stavo.. stavo provando la voce. Eh eh, sapete com’è, noi cantanti.. eh eh” poi si voltò mostrando loro le spalle, e inghiottì rumorosamente: “Gulp!”. Sperò che non volessero approfondire la questione. In quel momento Sabrina decise: “Io vado lassù a vedere” “Cooosa?” esclamarono gli altri, tutti in coro. “Voglio vedere cosa c’è lassù”. Johnny e Toshio, che, nonostante il sesso maschile, non erano molto contenti di andare a cacciarsi nei guai, le dissero: “Ehm, magari non è il caso” “Giusto” li assecondò Creamy, non perché fosse spaventata come i ragazzi ma perché Sabrina rischiava di mandare a monte i suoi piani. Sabrina era irremovibile. Allora, ricordandosi di essere degli uomini, Johnny e Toshio si guardarono negli occhi, e decisero: “Non la faremo andare sola”. Alle loro parole, la musica di Rocky risuonò nell’aria, come a sottolineare il loro eroismo. I due ragazzi guardarono verso il cielo, e dissero: “Noi siamo gli eroi che difenderanno le donzelle dal pericolo e dal soprannaturale. Non ci facciamo spaventa….” Creamy posò le mani sulle spalle dei due eroi, e disse loro: “Ehm, non volevo dirvelo, ma Sabrina si è già avviata verso la casa”. Johnny e Toshio si ingobbirono mettendosi il pollice in bocca, e dissero: “Ehm, già.. eh eh. Adesso è meglio avviarsi” “Credo di si” confermò Creamy, seguendo i due eroi che seguivano Sabrina. 

Quando entrarono nella casa, il tempo per loro si fermò.
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Una mezz’oretta dopo, Kidokoro, guardandosi in giro, chiese: “Ma dove accidenti saranno finiti quei ragazzi?”. Tutti, distratti dai loro discorsi, si voltarono verso di lui. “Io non credo ci sia da preoccuparsi” disse Duenote: “Sappiamo che Creamy e Toshio sono molto uniti, quindi non c’è niente di male se stanno un po’ insieme. Può darsi che anche Johnny e Sabrina se la intendano. Cioè, io non li conosco bene, ma può essere che vadano d’accordo, o che so io”. Prima che finisse il discorso, Tinetta era partita a razzo per raggiungere il suo Johnny. Aveva notato un certo affiatamento tra due dei ragazzi che adesso erano scomparsi. Solo che, a differenza di ciò che diceva Duenote, a lei era sembrato piuttosto che Johnny fosse attratto da Creamy. Non aveva dato peso alla loro sparizione in quanto era rassicurata dalla presenza di Sabrina: sapeva che la sua amica avrebbe impedito qualsiasi colpo di testa a Johnny. Ma, all’ultimo momento, le era venuto in mente che la presenza di Toshio avrebbe potuto distrarla. Sapeva che Sabrina non era insensibile al fascino maschile, e in più (almeno dal suo punto di vista) era anche libera da impegni sentimentali. In poche parole, c’era il rischio che quell’arpia di Creamy, mentre Sabrina perdeva la testa per Toshio, allungasse i suoi artigli verso il suo povero Johnnyno indifeso, che, seppur innamorato della sua Tinetta, poteva venir corrotto dai modi di Creamy, che, a parere di Tinetta, era una esperta mangiatrice di uomini. Renato era partito a razzo dietro Tinetta. In un batter d’occhio, Tinetta fu sull’altro versante. Si fermò all’inizio del sentiero che aggirava la collina, e si guardò intorno. Non vide nessuno, né sul prato né sulla collina. “Accidenti” sibilò. Renato, che arrivava ad una velocità assurda, vide Tinetta ferma davanti a lui, e iniziò a frenare. Tinetta udì la frenata di un camion, e si voltò sconcertata, chiedendosi cosa ci facesse un automezzo sul versante di una collina. Non vide nulla, poi guardò in basso e si accorse di Renato. Era accartocciato ai suoi piedi, moribondo. “Cosa combini, Renato?” le rispose un gemito. Tinetta lo lasciò perdere, e guardò verso la casa. Pensò: -Sono lassù, anche se non capisco perché dovrebbero esserci andati. Comunque, se non li vedo da nessuna parte, non nuoce dare un’occhiata anche lassù-. E si avviò verso la casa. Renato trovò la forza di alzarsi, e seguì Tinetta, cercando di sciogliersi gli arti intrigati. Passarono vicino al punto in cui prima Toshio, poi tutto il gruppo, avevano visto cose stranissime. Se Tinetta e Renato avessero esaminato il gruppo di rocce con un minimo di attenzione, si sarebbero accorti che, semisepolta nel terreno, spiccava qualcosa di sporco, ma lucente. Era la lama di un coltello. I due invece non degnarono la formazione di rocce neanche di uno sguardo. Quando furono davanti alla porta della casa, Renato chiese: “Cosa vuoi fare?” “Entrare” rispose Tinetta, sprezzante: “Tu che dici?” “Vuoi vedere se ci sono gli altri?” “Già” detto questo, spinse la porta ed entrò. Renato la seguì. All’interno era buio pesto. “Che buio” commentò Tinetta: “Ma a che servono le finestre, allora?” “Già”. I due avanzarono a tentoni. Poi Tinetta cominciò a chiamare: “Sabrina? Johnny?”. Non giunsero risposte. Renato, mentre camminava lentamente, urtò il muro. Con le mani, come un cieco, tastò davanti a sé, e trovò qualcosa di cedevole. -Un telo- pensò: -Una specie di tenda-. Scostò il telo, e un raggio di luce scostò il buio. Renato serrò gli occhi: “E’ una tenda!” esclamò. Si voltò verso Tinetta, che stava guardando verso di lui strizzando gli occhi, in modo da sopportare meglio la luce. “Una tenda?” disse lei: “Dì piuttosto la vela di una nave. Accidenti, ma quanto è spesso quel panno?”. Renato tastò la tenda, e disse: “Almeno cinque centimetri” “Cavoli. Credo bene che non filtrava luce”. Renato tirò giù il telo, e un’ondata di luce investì l’interno. I due ragazzi si coprirono gli occhi. La luce violenta investì il buio uccidendolo, eliminandolo da ogni angolo della casa. Dopo un primo momento di fastidio, Renato e Tinetta poterono guardarsi intorno senza problemi. La prima cosa che notarono fu l’estremo ordine. Dopo notarono le ombre. Tinetta si allontanò dal centro della stanza dove si era portata attraversando il buio. Si avvicinò a Renato e gli prese un braccio. “Che sono quelli?” chiese. “Non ne ho idea” rispose Renato, talmente sbalordito da non fare caso neppure al contatto di Tinetta. Sul pavimento si muovevano dei corpi neri, così lentamente da offrire ad un occasionale osservatore tutto il tempo di effettuare un attento esame. Sulle pareti si arrampicavano dei ragni. Solo che, come le creature per terra, erano lentissimi, e soprattutto erano completamente neri, come se fossero stati solo ombre. Ombre che, per qualche arcano motivo, avevano preso vita ed acquistato solidità. “E’ assurdo” mormorò Tinetta. “Io.. io non credo” cercò di spiegare Renato: “E’.. è probabile che sia tutto normale” “Normale?” chiese Tinetta, speranzosa: “Hai una spiegazione razionale per questo? Non posso crederci” “Beh, neanch’io ci credo molto, a dire la verità, però sono sicuro che è una spiegazione abbastanza plausibile” “Cioè?” “Beh, se questi teli sono alle finestre da molto tempo, è probabile che la mancanza assoluta di luce abbia modificato la vita di questi insetti. Attraverso le generazioni, si sono scuriti fino a sviluppare un corpo totalmente nero, e hanno rallentato il loro metabolismo, e quindi il loro ritmo di vita. Evidentemente nel buio non hanno bisogno di affrettarsi, oppure non si rendono conto di essere lenti” “Beh, siccome non abbiamo sotto mano un esperto scienziato naturalista, direi che accetterò la tua ipotesi” “Grazie” “Si sono fermati” “Come?”. Tinetta indicò gli insetti neri, e disse: “Adesso non si muovono più”. I ragni penzolavano inerti appesi ad alcuni esili fili di ragnatela, e a terra gli esseri neri erano immobili. “Sono morti” sentenziò Renato: “La luce li ha fritti” “Credo anch’io”. Adesso che si era calmata, Tinetta si allontanò da Renato e si diresse verso le altre stanze, stando attenta a dove metteva i piedi, perché non voleva calpestare i cadaveri delle creature morte. Fece il giro delle stanze della casa e si avvide del fatto che non c’era nessuno. Uscirono. “Dove accidenti saranno finiti?” “E perché era così in ordine lì dentro?” chiese Renato. “Non starei a pensarci” disse Tinetta: “Forse qualcuno capita qui di tanto in tanto e mette tutto a posto” “E non apre mai le tende?” obiettò Renato. “Cosa vuoi che ti dica” disse Tinetta, spazientita: “Forse è una talpa! Senti, noi dobbiamo trovare Johnny e Sabrina. Stanno ritardando troppo, secondo me, quindi voglio trovarli”. Renato minimizzò il caso, dicendo: “Non credo che ci sia da preoccuparsi. Johnny è un inetto, ma Sabrina sa badare al fatto suo. E anche quel Toshio è in gamba” “D’accordo, ma Creamy? Mi è sembrata molto interessata al mio Johnny, e io non lo sopporto” detto questo, cominciò a scendere il versante, seguita da Renato. Di punto in bianco Tinetta sferrò una mostruosa gomitata allo stomaco di Renato. Il ragazzo si piegò in due inginocchiandosi e raggomitolandosi, nonché accartocciandosi pelosamente. Tinetta, con noncuranza, disse: “Mi ero dimenticata di dirtelo prima: non osare chiamare Johnny inetto. Quando imparerai a non offenderlo?”. Quando raggiunsero gli altri, Tinetta chiese: “Sono tornati?” “Veramente credevamo che li avreste riportati voi” “Non li abbiamo trovati. Ma dove saranno?” si chiese Tinetta guardandosi in giro. Renato, ancora non del tutto ripreso dalla botta allo stomaco, si sedette barcollando al suo posto, facendo scricchiolare tutte le ossa. Sulla sua testa spiccava un bernoccolo, un souvenir della mazzata del baobab di prima. Come era successo per il bernoccolo, nessuno gli chiese niente adesso che appariva molto dolorante.
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La prima cosa che li sorprese, entrando nella casa, fu l’incredibile luminosità del suo interno. “Accidenti,” commentò Toshio: “da fuori non la si direbbe così soleggiata” “Già” convenne Johnny. La seconda cosa che li sorprese, dopo che i loro occhi si abituarono alla fortissima luce, fu che non erano nello stesso posto in cui erano entrati. “Ragazzi,” disse Creamy: “sapete che vi dico? Che se questa è la casa coloniale, io sono la Cuccarini” “Si. E io Marco Columbro” sentenziò Sabrina. Tutti e quattro i ragazzi erano rimasti ammutoliti. Davanti a loro si ergevano delle maestose colonne, le quali sorreggevano un enorme soffitto a cupola. Sembrava una cattedrale. Le colonne si trovavano ai lati di un corridoio, se così si poteva chiamare. Era una specie di autostrada, largo almeno quindici metri. Sul pavimento di questo corridoio era srotolato un tappeto rosso, che conduceva ad una scalinata non meno imponente di ciò che avevano visto finora. Toshio si affacciò ad una delle numerose finestre di quel salone sconfinato, e chiamò gli altri. I suoi amici lo raggiunsero. “Dove siamo?” chiese Johnny. “Dovunque” rispose Toshio: “Ma non a pochi chilometri da Tokyo”. Guardando dalla finestra, si resero conto di essere sulla stessa collina su cui si trovava la casa. A valle, ai piedi della collina, videro qualcosa che li lasciò di stucco. Un fossato, largo almeno tre metri, in cui sguazzavano allegramente degli esseri verdi, che potevano sembrare, ma non erano, alligatori. “Siamo in un castello, ragazzi?” chiese Creamy. “Pare proprio di si” rispose Johnny. “Ma come accidenti è possibile?” disse Toshio, rivolgendo lo sguardo all’enorme salone, in cui spiccava il colore rosso del tappeto che ricopriva il pavimento del corridoio, che, per la sua maestosità, sembrava la navata centrale di una chiesa. I ragazzi lo chiamavano corridoio per semplificare. Toshio si incamminò tra le colonne, guardandosi intorno. “E’ maestoso” commentò il ragazzo: “Ma come sarà mai possibile?”. Creamy e Johnny, che si trovavano una accanto all’altro, pensarono simultaneamente: -Io credo di saperlo-; un istante dopo, sbigottiti, si guardarono. Johnny pensò: -Ma che cavolo è successo? Mi sono sentito pensare-. Creamy, invece, notò il nervosismo dei suoi gattini, e improvvisamente comprese che Johnny non era un ragazzo comune. La sua ipotesi fu confermata da Nega, che disse: “Quel ragazzo è strano. Ha percepito i tuoi pensieri” “E’ vero”disse Posi: “L’ho avvertito chiaramente”. La voce di Toshio ruppe il silenzio: “Ehi! E Sabrina?”. Creamy e Johnny, svegliati dal loro torpore, si guardarono intorno, accorgendosi solo ora che Sabrina non era da nessuna parte. 

Entrando nella stanza, Sabrina si destò dall’ipnosi da cui era soggiogata. Si guardò intorno, perplessa. Si chiese dove fosse, prima di ricordarsi ciò che era successo a lei ed ai suoi amici. Allora si scoprì ancora più spaventata, e ugualmente si chiese dove si trovasse. Ruotò su sé stessa, aguzzando la vista, alla ricerca di una pur fievole fonte di luce.. e la vide. E fu felice, perché era tutto un sogno. Era nella sua stanza da letto, ed era notte. Attraverso la porta socchiusa filtrava della luce. Si diresse verso di essa, ancora convinta, in cuor suo, che non potesse essere altro che un sogno. Prima di afferrare la porta ed aprirla, decise di provare con il più classico dei sistemi, e si diede un pizzicotto. “Ahia!” esclamò a denti stretti, e trasalì al suono della sua stessa voce. Si guardò intorno, e si sentì improvvisamente prendere dal panico. Lei era sveglia, se ne accorgeva benissimo, ma allora c’era qualcosa di enormemente sbagliato. Era in quel palazzo, e questo si sentiva ormai di accettarlo come un fatto reale, ma, nonostante tutto, c’era qualcosa che la convinceva poco. Sabrina capì cos’era che le dava la convinzione di trovarsi in un sogno più o meno nel momento in cui, molti piani più in basso, Toshio scopriva la mancanza della sua amica e Johnny e Creamy si leggevano nel pensiero a vicenda. Sabrina si tastò il viso, per essere sicura di essere reale, di essere presente fisicamente in quel luogo. Aveva capito cosa c’era di sbagliato in quel posto, e ne era rimasta disorientata. Era il silenzio. Niente di più. I sogni sono ciò di più silenzioso che un essere umano possa raggiungere, ed era per questo motivo che Sabrina era convinta di non essere sveglia. L’assoluta mancanza di suoni l’aveva proiettata mentalmente in una dimensione onirica, ma lei era sveglia. Prese la maniglia e tirò a sé. La porta si aprì con un cigolio mostruoso, che riecheggiò espandendosi. Quel suono la fece star male. Non c’era niente che potesse essere più fuori luogo di un qualsiasi rumore, in quelle stanze. Davanti a lei c’era solo una scala. Non ne vedeva il fondo. Allungò il piede e lo posò sul primo gradino, dal quale si staccarono alcuni frammenti di vecchi mattoni, ormai resi friabili dal tempo. -Accidenti- pensò Sabrina: -Ho appena posato il piede ed ho fatto cedere lo scalino. L’hanno proprio progettata male, questa scalinata-. Mise l’altro piede sullo scalino seguente. Questo non si sgretolò, né parzialmente né completamente. -Qui si erano fatti più furbi- pensò cercando di sorridere, senza riuscirci. Alzò l’altro piede, ma si bloccò. Improvvisamente si era ricordata, senza alcun motivo, di tutti i film che aveva visto, in cui l’eroina, invariabilmente, si andava a ficcare nei posti meno rassicuranti, non si sa bene a far che, poi. Prese il coraggio a due mani e tornò nella stanza dov’era prima, salendo i due scalini che aveva appena sceso. Poi, quando fu lì, si guardò intorno. Il rumore dei suoi passi echeggiava ancora. Il silenzio di quel luogo, che definire irreale è poco, le aveva tolto la baldanza di poco prima. Poi, però, il suo autocontrollo ebbe il sopravvento di nuovo, e Sabrina pensò: -Sia ringraziata la mia forza di carattere. E al diavolo la modestia. Mi hanno fatto uno scherzo, non c’è dubbio-. E quindi disse: “Andiamo, ragazzi, basta con questo scherzo. Siete degli stupidi, e non mi sto diver….” e la risposta arrivò, prima ancora che lei avesse terminato la frase. Da ogni angolo della stanza scaturì un grido di dolore, di trionfo, di terrore. Mille voci si unirono, gridando ognuna il proprio furore. Nel buio più totale, Sabrina si sentì investire dalla potenza di quelle voci. Fece appena in tempo ad accorgersi del fatto che davanti a lei si stava aprendo un varco nella parete, dal quale saettavano lampi di luce rossa, prima di perdere la ragione ed iniziare a gridare senza controllo. E tutto cominciò a tremare. 
Toshio, Creamy e Johnny, nel salone del palazzo, si impietrirono. Avevano sentito Sabrina incominciare a gridare, e subito dopo il pavimento, le colonne, le finestre, iniziarono a tremare. Caddero a terra, sgomenti, ma subito dopo il sisma si arrestò. Rimasero a terra. La cosa che li aveva maggiormente spaventati era il grido di Sabrina. Mai nessuno di loro aveva colto nella voce di una persona tanto orrore, tanta disperazione, e, cosa ancor più preoccupante, tanta rassegnazione, come se fosse inutile ribellarsi al destino. “Coraggio, Sabrina, non abbatterti!” esclamò Johnny: “Non arrenderti a ciò che ti sta succedendo!” gridò. Toshio si alzò in piedi. Guardò verso il fondo del colonnato, dove si ergeva una maestosa scalinata, e disse: “Non importa dove ci troviamo, ragazzi. Per quanto mi riguarda, c’è una sola cosa che mi interessa, ora” “Aiutare Sabrina” disse Johnny. “L’hai detto” confermò Toshio. “Come faremo a trovarla, in questo immenso castello?” chiese Creamy. “A costo di rivoltarlo da cima a fondo, ne perquisiremo ogni millimetro quadrato, se sarà necessario” “Puoi contarci” disse Johnny: “Puoi contarci”. 

All’esterno, i loro amici furono sorpresi dal tremore del suolo, e decisero di andarli a cercare. 

“Dividiamoci” propose Creamy: “Avremo più possibilità di trovare Sabrina”. “Sono d’accordo” si associò Johnny. Ovviamente entrambi desideravano trovarsi soli, in modo da poter utilizzare i rispettivi poteri. “No!” disse Toshio: “E’ pericoloso dividersi. Abbiamo perso di vista Sabrina per pochi minuti ed è scomparsa nel nulla”. -E’ vero- pensarono nello stesso momento Creamy e Johnny (a proposito: quadratino): -ma lei non ha i miei poteri-. E successe come poco prima. I ragazzi si captarono a vicenda i pensieri. Si guardarono di nuovo, ancora più sbalorditi di quanto non fossero quando era successo per la prima volta. Toshio si irritò non poco e, maleducatamente, disse: “Quando avete finito di guardarvi negli occhi sarà bene mettersi a cercare Sabrina, non credete?”. I due ragazzi non si accorsero del tono inquieto di Toshio. Erano troppo sbalorditi, e colsero solo il significato della frase del loro amico. Così Johnny disse: “E’ vero.. bisogna cercarla”. Ai due gattini non era sfuggito il tono di Toshio, e Posi disse: “Secondo me Toshio è geloso” “Non ci vuole molto a capirlo” ribatté Nega con il suo tono presuntuoso. “Sempre il solito saccente” lo rimbeccò Posi. “Io non sono saccente, sono solo intelligente, e tu sei invidiosa” “Ma che modestia….” lo provocò Posi, e così diedero il via ad un bisticcio. In ogni caso, entrambi avevano visto giusto, a proposito di Toshio: era geloso. 
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All’esterno, tutto il gruppo aveva raggiunto l’ingresso della casa colonica. “Noi poco fa non ci abbiamo trovato nessuno” disse Tinetta. “Si, ma da qualche parte dovremo pur cominciare” disse il nonno. Entrarono dentro. Dalla finestra cui Tinetta e Renato avevano tolto il telo entrava molta luce. In quel momento, in una dimensione lontanissima, Creamy e Johnny avevano appena formulato lo stesso pensiero, e lo avevano recepito a vicenda. Così, qualsiasi cosa fosse ciò che permetteva il passaggio da una dimensione all’altra, si ripeté. Simona, Manuela, Duenote e, vergogna del sesso maschile, Jingle, fecero appena in tempo a lanciare un grido di sorpresa. Quando comparirono all’esterno del castello, tutti si guardarono intorno perplessi, tranne Jingle che, come a conferma della sua codardia, era in ginocchio, con la testa fra le mani, piagnucolando: “No.. aiuto.. voglio la mamma..”. Nessuno gli fece caso, in quel momento. Quando non sentì la voce di Duenote che lo compativa, Jingle alzò la testa e si guardò intorno pure lui. Quando vide che non c’era pericolo, e si accorse che nessuno lo aveva visto frignare, si alzò in piedi, si ravviò i capelli e sfoderò un sorriso che scintillò nel sole. Poi, gonfiando il petto e mettendosi a braccia conserte, divenne ‘Mister sicuro di sé’ e disse: “Okay, gente, direi di incominciare le ricerche. Non so dove siamo, ma credo proprio che abbiamo trovato il luogo dove sono scomparsi i ragazzi” “Già. Penso anch’io” confermò il nonno. “Come faremo ad entrare in questo enorme palazzo?” chiese dubbiosa Duenote. “Un modo lo troveremo” disse Tinetta. La determinazione nella sua voce non lasciava dubbi: “In un modo o nell’altro entreremo qui dentro” sentenziò. -Oh oh- pensò Renato: -E’ incavolata nera-. E iniziò a tremare. Anche gli altri componenti del gruppo, vedendo Tinetta così decisa, provarono un certo timore nei suoi confronti. Tinetta non si accorse di tutto questo. Era davvero incavolata nera. Ed era preoccupata. Avrebbe fatto di tutto per ritrovare il suo Johnny, e che nessuno (o meglio, nessuna), nella fattispecie, Creamy, osasse tentare di portarlo via da lei. Credete a me, gente, se c’è qualcosa di peggio di una donna arrabbiata, è una donna arrabbiata e GELOSA! Non che Tinetta fosse una donna, diciamo una ragazza, ma la furia che sapeva scatenare (e che sa scatenare tuttora, probabilmente) non era seconda neanche all’esplosione di Chernobyl. E così, praticamente a fiuto, Tinetta scovò una finestrella di una cantina, dalla quale si introdussero nel palazzo. 
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“E’ tutto così silenzioso” disse Creamy. “Già” mormorò Toshio, rivolgendosi più che altro a sé stesso: “E’ irreale”. Si erano avviati sulla scalinata. Si fermarono ad un piano. Qui c’era un altro ambiente vasto almeno quanto quello sottostante, e lungo le pareti del corridoio si affacciavano moltissime porte. “Accidenti, sono un’infinità” sospirò Toshio. “Non ci fermeremo di certo” disse Johnny. “Controlleremo una porta ciascuno” li incitò Creamy, avviandosi alla prima. La aprì, vi lanciò uno sguardo, e i suoi amici la videro spalancare gli occhi dalla sorpresa. “L’hai già trovata?” chiese Johnny, andando verso di lei. Guardarono tutti e due all’interno della stanza. Qui si trovava una cucina. O almeno lo sembrava proprio. C’erano banconi di marmo sopra cui erano abbandonati coltelli, taglieri, rudimentali tegami mangiati dalla ruggine, e da qualche parte anche pezzi di carne, mazzetti di verdure ormai essiccati. C’erano dei mobili in legno al cui interno, con ogni probabilità, venivano riposte le stoviglie, visto che sulla cima degli stessi si trovavano pile e pile di ciotole di legno, di tegami rugginosi e di coltelli. Sul pavimento, una moltitudine di topi si affaccendava a ripulire il locale dagli avanzi caduti a terra. Questo disordine si prolungava all’infinito. I nostri amici non riuscivano a vedere la parete di fondo di questa cucina. Banchi di marmo, mobili in legno e topi erano perfettamente allineati, e scomparivano in lontananza. “Sto per impazzire”disse Toshio, che si era avvicinato ai suoi amici: “E’ immensa. E se dietro ogni porta troveremo locali come questo, dovremo cercare Sabrina fino alla vecchiaia” “Voi rimanete qui” disse Creamy: “Io apro qualche altra porta”. Prese di corsa ed aprì un’altra porta, poi vi entrò. Johnny la seguì e Toshio, che era ancora sbalordito da ciò che aveva visto e sconvolto all’idea di trovare dietro ogni porta stanze simili, e di doverle poi visitare tutte, si attardava ad osservare il numero di porte. Era impossibile contarle, anche perché, al pari della cucina, anche il corridoio dove si trovava ora si prolungava oltre la loro vista. Quando arrivò all’altezza della stanza entro cui erano i suoi amici, vi diede un’occhiata all’interno, giusto per accorgersi, come aveva sospettato, che anche qui, oltre ad esserci una cucina, la parete di fondo era oltre l’orizzonte. -Sempre che ci sia, una parete di fondo- pensò con rassegnazione Toshio. Poi entrò e chiamò: “Ragazzi! Dove siete?”. Si guardò intorno, e solo adesso si rese conto del fatto che non li vedeva da nessuna parte. Chiamò di nuovo: “Ehi! Dove siete! Johnny! Creamy! CREAAMYYY!”. Niente. Per un attimo se li immaginò imboscati da qualche parte, magari nascosti dentro uno di quei mobili, intenti in pratiche amorose. Poi scrollò la testa, e pensò: -Ma che vado a pensare? Non sono certo così stupidi da fare di queste cose in un momento come questo-. Poi ci rifletté un momento, e disse: “Insomma, magari proprio stupidi no, se lo hanno fatto davvero. Diciamo irresponsabili, và”. E poi disse: “Ehi, un momento! E io dovrei stare qui a giustificarli? E poi, guarda un po’.. perché Creamy e Johnny dovrebbero imboscarsi da qualche parte? D’accordo, mi sono sembrati affiatati, questo si, ma non credo che tra di loro ci siano dei rapporti così confidenziali. E’ la gelosia che mi fa pensare di queste cose” poi si bloccò, stupito: per la prima volta, senza neanche rendersene conto, aveva ammesso di essere geloso. Era una novità anche per lui, visto che non lo aveva voluto ammettere neanche con sé stesso, di essere geloso. E così, stizzito, strepitò: “Si, va bene, sono geloso! Sono all’antica! Non mi piacciono le coppie moderne che cercano sempre esperienze nuove e piccanti, e non mi piacciono le cose a tre! E sono geloso di Creamy! E….” si bloccò. Si guardò indietro, e si accorse che su di lui era calato il buio. Uscì in corridoio, pensando: -Ma c’era la luce, un istante fa, adesso è quasi buio pesto-. Si guardò intorno, e rimase paralizzato: le porte si aprivano, una ad una. Ed ogni volta che se ne apriva una nuova il buio aumentava. Una luce oscura e fredda usciva da quelle porte, e avvolgeva tutto, lui compreso, nel buio più splendente. 
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Subito dopo il loro ingresso in quella nuova stanza, Johnny e Creamy furono investiti da un turbine di luce buia. Quando entrambi iniziarono a gridare, si accorsero di essere già ricomparsi in un altro luogo. Si guardarono intorno con circospezione. Questo nuovo locale era irriconoscibile. Era enorme come gli altri, ma assolutamente spoglio di qualsiasi tipo di mobilio. C’erano solo alcune colonne che si ergevano scomparendo alla vista a causa dell’altezza del soffitto. Avanzarono sospettosi guardando in ogni angolo. Poi, improvvisamente, accompagnato da un alito di vento gelido e da lamenti di dolore, comparve una figura azzurra, levitante nell’aria. Creamy, d’istinto, sollevò la bacchetta magica e la puntò contro l’apparizione. Johnny la guardò stupito: “Creamy, che cosa fai con quell’aggeggio?”. Creamy si voltò verso il ragazzo, poi, osservò la bacchetta che teneva in mano, poi guardò di nuovo Johnny, e sorrise schifosamente, dicendo: “Eh? Oh, niente, non farci caso.. è solo una.. un..” cominciò a sudare come un operaio di fonderia che sia andato al lavoro con indosso la pelliccia della moglie. Poi venne fulminata da un’idea, e rischiò di morire fulminata, ma si spostò in tempo per non essere beccata dal fulmine e, sorridendo ancora, disse: “E’ un pettine, non vedi?” e iniziò a passarsi la bacchetta sui capelli, con il solo risultato di spettinarsi. “Diciamo che è uno spettine” si difese lei: “Se non ci fosse lo spettine per scompigliarsi i capelli, a cosa servirebbe un pettine per risistemarseli? Non ti pare?” “Già,” disse lui: “il ragionamento non fa una piega”. Una piega invece la faceva il fantasma. Aveva cominciato ad avanzare verso di loro, contraendo le dita come artigli. Quando se ne accorsero, Creamy strinse più forte la sua bacchetta, valutando l’azione da intraprendere per non scoprire troppo il suo segreto, e Johnny strinse i pugni. Nello stesso momento pensarono: -Fossi solo/a, potrei usare i miei poteri….- si guardarono di nuovo negli occhi. Questa volta la trasmissione del pensiero era stata potentissima. La bacchetta di Creamy si illuminò. La guardarono entrambi. Johnny iniziò a dire: “Cosa suc….” ma non terminò. Dalla bacchetta scaturì un violento getto di raggi luminosi, che avvolsero tutto. Creamy pensò: -Questa è luce. Luce vera. Ora capisco….-. I suoi ragionamenti vennero interrotti dal grido di rabbia che lanciò il buio, sentendosi scacciato. 
In quel momento, in un’altra parte del palazzo, Toshio si stava accorgendo che le porte si stavano aprendo una dietro l’altra. Le tenebre lo sovrastarono con tale impeto da farlo svenire. 
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Nelle segrete del palazzo, il gruppo di amici capeggiati da una decisissima Tinetta si sentirono balzare il cuore in gola, senza neanche sapere perché. Si guardarono intorno sospettosi, poi Kidokoro, con voce tremante, disse: “Questo posto non mi piace. Fuori sarà anche giorno, ma qui c’è pochissima luce. E poi….” “Poi c’è qualcosa che non va” finì per lui il vecchio nonno. “Già” confermò Kidokoro. Poi Tinetta parlò: “E’ il silenzio che non va” “Come?” chiese il nonno. “Ho teso l’orecchio per ascoltare ogni rumore, per cercare di individuare la voce di Johnny, magari”. Tutti la ascoltavano con attenzione. “E invece non ho sentito nulla. Non solo non ho avvertito la voce di nessuno, ma mi sono accorta che qui c’è una totale assenza di ogni tipo di suono. A parte le nostre voci e i nostri movimenti”. Tutti annuirono alle sue parole. Adesso ognuno di loro se ne rendeva conto. Sabrina si era accorta di quanto fosse innaturale quel silenzio perché si era trovata sola. Tinetta aveva l’orecchio acutizzato dal desiderio di ritrovare il suo amato, e se ne era accorta anche se circondata da molte persone. Kidokoro si ricordò di poco prima, quando senza alcun motivo apparente si era reso conto che quel luogo era pericoloso. Disse: “Troviamoli e andiamocene al più presto”. Così si misero a cercare qualche porta, finestra, qualcosa, ma non ne trovarono. 
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Quando lo splendore si attenuò, i due ragazzi si accorsero che la luminosità era aumentata notevolmente. La figura azzurra librava ancora nell’aria, ma adesso non emetteva più lamenti di dolore. Johnny e Creamy intravedevano, nella foschia che circondava l’apparizione, i lineamenti di un volto, e sembrava sorridente. “Cos’è quell’affare?” chiese Johnny. Creamy lo osservò senza capire di cosa lui stesse parlando. Johnny stava osservando la bacchetta. Creamy comprese, e disse: “Oh, lasciamo perdere. E’ un amuleto, un portafortuna.. non so cosa sia successo poco fa, ma ormai non mi sento in vena di sorprendermi” “In effetti, la situazione in cui ci troviamo è decisamente assurda”. Poi la figura parlò. Johnny e Creamy si voltarono verso di lei. “Cosa ha detto?” sussurrò Johnny. “Non ho capito”. “Parla americano” disse Nega. “Eh?” fece Creamy. “Cosa c’è?” le chiese Johnny. “Oh, niente. Credevo che tu mi avessi detto qualcosa, ma è il mio gatto che ha miagolato”. Poi si rivolse a Nega, e gli disse: “Su, Nega, non miagolare proprio in questo momento. E poi, se devi miagolare, spiegati in modo che ti si possa capire”. Johnny pensò (quadratino): -E’ pazza. Completamente andata-. Nega disse: “Parla americano, per questo non avete capito cosa ha detto” “E tu lo capisci?” chiese Creamy. “Certo” rispose Posi: “Noi non siamo di questo pianeta. Possiamo adattarci a qualsiasi situazione”. -Parla con i gatti- pensò Johnny (fotografia): -Non ha retto alla tensione-. “E allora cosa ha detto il fantasma?”. L’apparizione parlò ancora. “Vi sta ringraziando” tradusse Nega. “Prendi il tuo medaglione” propose Posi a Creamy: “Sfruttandone il potere, potrai decifrare le parole del fantasma, come quando ci conoscemmo e il medaglione ti permise di comprendere l’uso della bacchetta”. Creamy seguì il consiglio di Posi. Johnny disse: “Quel coso sta parlando” “Lo sento” disse Creamy: “Non preoccuparti. Adesso ci penso io” “Sei sicura di star bene?” chiese il ragazzo a Creamy. “Perché?” chiese lei. “Parlavi coi tuoi gatti” rispose Johnny. “Ti dirò,” ribatté Creamy: “ho sempre avuto una teoria. Come si dice che parlare con le piante le aiuti a crescere, io fo la stessa cosa con i gatti” “Ah, capisco”. Poi si misero a ridere. Intanto Nega aveva ricevuto il medaglione da Creamy, e lo aveva utilizzato per sintonizzare le lingue, in modo che Johnny e Creamy potessero comprendere le parole del fantasma. Lo consegnò a Creamy. Lei disse, rivolta a Johnny: “Visto? Adesso con questo potremo comunicare con lui” “Ma quante meraviglie possiedi?” chiese lui. “Credo che qui tutto sia possibile” “Già” si associò lui: “Credo anch’io”. “Grazie” disse il fantasma. “Non c’è di che” disse Nega. “Perché ci stai ringraziando?” chiese Creamy. “Voi due mi avete liberato, con la vostra forza magica” “Forza magica?” disse Creamy: “Cosa significa?”. Johnny era ancora sbalordito, oltre che molto intimorito. “Io sono prigioniero in questo tetro luogo da molti anni. Il mio spirito è rimasto sulla terra a causa della mia morte violenta, e le tenebre che qui regnano sovrane hanno conquistato il mio animo, rendendolo crudele” “TU..” balbettò Johnny: “fai parte della famiglia americana….” si zittì, tremando, perché il fantasma si era rabbuiato in volto. -Oh oh- pensò Johnny (quadratino): -ne ho combinata un’altra-. “Si” rispose l’apparizione: “Faccio parte della famiglia Thorthon. Tanto tempo fa fummo uccisi in questo luogo, e da allora viviamo schiavi delle tenebre” “Ehm” disse Johnny, impacciatissimo: “mi dispiace, sa? Cioè, io comprendo la sua rabbia nei confronti dei giapponesi, ma noi non c’eravamo, sa? Non avremmo mai approvato una cosa del genere, e poi.. insomma.. si, cioè.. non è nostra abitudine sparare addosso agli americani e.. ehm.. cioè.. che cavolo sto dicendo? Eh eh eh” “Non vi preoccupate” disse il fantasma: “L’odio non è un sentimento che alberga nella mia anima. Adesso il mio unico desiderio è poter riposare in pace, dopo aver liberato la mia famiglia dal potere delle tenebre. E per far questo ho bisogno del vostro aiuto” “Contaci*” disse Creamy.

* «Contaci». Tiè, senza indugio, senza UN ISTANTE di esitazione! Quello è il fantasma di un morto ammazzato posseduto dalle tenebre che deve liberare altri spiriti dannati posseduti dal male nel castello stregato dove accadono cose inspiegabili e dove sono scomparsi e probabilmente sono in pericolo quei due disgraziati di Toshio e Sabrina e lo spirito chiede il loro aiuto così come se chiedesse di aiutarlo a far ripartire la macchina con la batteria scarica e Creamy? “Contaci”! Tiè, ero qui per questo: se non trovavo una casa stregata piena di spiriti dannati da salvare ci restavo anche male, guarda un po’. Grande, Creamy, neanche Chuck Norris sarebbe così spavaldo! 
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Quando aprì gli occhi, ruotò stancamente lo sguardo. Tutto era buio attorno a lui. Strinse le palpebre e le riaprì, per schiarirsi la vista. Poi fece per alzare il braccio, ma sentì che non si muoveva. -Sono ancora addormentato- pensò Toshio: -Cos’è questo posto? Ma.. non riesco a muovermi.. dove sono?-. Una volta essersi svegliato, si ricordò di ciò che era capitato. Spalancò gli occhi e girò la testa guardandosi intorno, cercando di capire dove fosse. Provò di nuovo a muoversi, ma non ci riuscì. -Accidenti,- pensò: -sono legato. Sento qualcosa che mi stringe i polsi e le caviglie. Sono appoggiato su qualcosa, forse del legno. Ma dove sono?- guardò ancora nelle tenebre davanti a lui. Si rese conto con sollievo che gli occhi si stavano abituando, così che poteva scorgere almeno qualche forma. Abbassò la testa e sollevò i piedi. –Ehi, com’è che riesco a sollevare la testa così bene? Perché non mi fa male il collo?-. Infine comprese, riuscendo a vedere finalmente il proprio corpo: -Non sono sdraiato. Sono legato ed appeso ad un muro. Sono incatenato per i polsi e le caviglie. Ecco perché non mi fa male il collo. Non ho sollevato la testa, ma l’ho abbassata come per guardare per terra. Solo che nel buio non me ne ero reso conto. Sono in un’altra stanza-. Ormai riusciva a vedere con una certa chiarezza. Al contrario di tutte le altre del palazzo, questa stanza non era enorme. Toshio ne vedeva le pareti, e qui il soffitto non scompariva in alto, oltre lo sguardo. Provò sollievo in questo, e pensò: -Beh, almeno ho la certezza che da qualche parte sono. Non come prima, che sembrava di non essere neanche più sul pianeta Terra. Forse sono prigioniero di una banda di ladri, o di che so io. O magari di una setta satanica..- mentre volgeva gli occhi d’intorno, vide che, ad alcuni metri sulla sua destra, anche lei incatenata al muro, c’era Sabrina. Toshio rimase ammutolito. Poi, dopo un istante, venne invaso da sentimenti contrastanti: sollievo per aver ritrovato l’amica ma, soprattutto, apprensione per ciò che li aspettava. Fosse stato solo, avrebbe dovuto preoccuparsi solo di sé. Sabrina, a quanto gli sembrava, non era propriamente in forze, e quindi era a suo carico. Provò a chiamarla, ma non ottenne risposta. -Forse è svenuta- pensò. Ci riprovò, sussurrando: “Sabrina. Ehi, Sabrina”. Poi si chiese perché stesse mormorando, visto che non c’era nessuno, e chiamò: “Sabrina! Ehi, Sabrina!!”. L’eco della sua esclamazione rimbombò sulle pareti. La sua voce sembrava amplificata a dismisura, a confronto del silenzio spettrale che regnava poco prima. Il suono della sua voce diede fastidio persino a lui. -La mia voce deve essere la prima cosa che ha fatto rumore in questo posto da un centinaio d’anni almeno. Magari anche più tempo….-; le sue riflessioni vennero interrotte dal movimento di Sabrina. Aveva alzato la testa, che prima teneva reclinata sul petto. Guardava davanti a sé. Toshio la chiamò, pieno di speranza: “Sabrina. Sono Toshio; cosa ti è successo?”. Sabrina si voltò verso il ragazzo, facendogli venire i brividi. “Sabrina, va tutto bene?” le chiese titubante. Lei gli sorrise, gelidamente. Se aveva cercato di sorridere con dolcezza, non ci era riuscita. Se voleva spaventarlo, invece si. Poi abbassò le braccia, che prima teneva sollevate sopra la testa. -Non è incatenata- pensò lui, e cercò di abbassare le braccia a sua volta. Non ci riuscì. Ottenne solo il non invidiabile risultato di farsi male al polso sinistro. -Le catene qui ci sono, eccome- pensò. Sabrina venne verso di lui, camminando sul cornicione dove erano poggiati. Sorrideva ancora, diabolicamente. I suoi denti luccicavano nella penombra. La luce che emanavano era rossa, tanto che la bocca della ragazza sembrava lorda di sangue*. Toshio era impietrito. Non riuscì neppure a gridare quando lei gli si parò davanti e sollevò le mani ad artiglio su di lui.

* «…. lorda di sangue». Ué, Stephen King mi fa un baffo!
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Tinetta esclamò, stizzita: “Non si riesce a trovare nulla di nulla. Non c’è modo di accedere a qualche altra stanza. Questo posto è immenso” “Già” disse Carlo: “L’unica apertura sembra essere la finestra da cui siamo entrati” “Quindi,” propose Jingle: “direi che tanto vale uscire” “Sono d’accordo” disse il nonno: “Proveremo a entrare da un’altra parte, in modo da visitare qualche altra ala del castello”. La finestra offriva la possibilità di un’uscita molto agevole. Quando furono di nuovo fuori, si accorsero che il sole stava calando. “Sbrighiamoci” disse il nonno: “Già adesso lì dentro è buio. Non facciamoci beccare dalla notte”. Tutti rabbrividirono all’idea di essere ancora da quelle parti quando fosse calato il sole, e decisero di sbrigarsi a cercare un’altra via d’entrata. Ad un certo punto, da fondovalle giunse il suono dell’acqua smossa. Guardarono giù, e si accorsero che delle assurde bestie verdi uscivano dal fossato che circondava la collina. Avevano l’aspetto di alligatori, ma camminavano eretti, come uomini-pesce. Salirono verso la cima, dirigendo sugli umani. “Filiamo” disse il nonno. Tutti si trovarono d’accordo. Cominciarono a correre, girando attorno alle mura del palazzo. Ma da ogni versante era uguale; non c’era neanche un’apertura, e le bestie salivano velocemente. Quando si fermarono, ansimando collettivamente, Kidokoro chiese: “Che facciamo ora? Non c’è modo di fuggire”. Poi Midori li salvò, dicendo: “Scusate.. ehm, ma com’è possibile che l’interno di questo castello sia immenso, mentre in due minuti abbiamo fatto il giro completo della sua circonferenza?”. Al nonno si illuminarono le cellule grigie. “E’ un’illusione!” esclamò. Gli altri lo guardarono senza capire. “Ma si” fece lui: “E io idiota che non l’ho capito subito. Non ci può essere altra spiegazione. Non dovremo fare altro che comportarci normalmente”. Poi pensò: -E io dovrò utilizzare il mio potere per aprire un varco che ci permetta di tornare nella realtà-. “Come sarebbe comportarsi normalmente?” chiese Tinetta. “Entriamo nel castello” “Ma se non ci sono entrate” obiettarono Simona e Manuela. “Dovremo attraversare il muro come se nulla fosse. Non può essere tutto reale”. In quel momento si erano dimenticati delle acciughe umane. Se ne ricordò Michael, quando sentì una mano che gli si posava sulla spalla. Era talmente assorto nell’ascoltare le teorie del vecchio, che se la spinse via sbuffando. La mano tornò a posarsi. E lui, senza neanche voltarsi, mormorò: “La pianti, rompiscatole?”. Carlo, che era vicino a lui, gli chiese: “Come hai detto, Michael?” “Dicevo a ‘sto tizio che mi posa le mani su….” si era dato un’occhiata di lato. Meccanicamente, aveva guardato la mano che gli si era posata sulla spalla. Aveva cacciato un grido ed era saltato sulle braccia di Carlo. Il nonno ripeté che probabilmente niente era reale, e Michael gridò: “Lo spieghi anche a loro, perché non credo che lo sappiano”. Tutti si voltarono nella sua direzione, e videro che gli uomini-pesce li avevano raggiunti. Il nonno gridò: “Tutti dentro!” e prese il braccio di Kidokoro, che era la persona a lui più vicina, e lo spinse contro il muro. Tutti lo osservarono stupefatti, convinti che adesso avrebbero visto il viso di Kidokoro schiantarsi sulla roccia. Il manager fece appena in tempo ad alzare le braccia per coprirsi il volto, prima di attraversare il muro. A quel punto gli altri guardarono ancora più stupiti. Il nonno si gettò verso il muro, gridando: “Andiamo!” e scomparve anche lui. Poi Tinetta, che contava di mettersi alla ricerca di Johnny non appena fosse stata nel castello. Dietro a Tinetta, naturalmente, Renato, che non voleva perderla di vista. Poi Duenote, che si trascinò dietro Jingle. Infine Midori, che fece il gesto di tuffarsi, insieme a Simona e Manuela. Per ultimi Michael e Carlo, gridando il primo: “Geronimoooo!” e il secondo: “Banzaaaiii!”. Quando furono scomparsi tutti, uno dei coccodrilli che erano riuniti fuori del castello disse: “Mai dire Banzai” e gli altri caimani presero a ridere, perché si ricordarono della Gialappa’s Band.
Si rialzarono tutti quanti. Kidokoro chiese: “Ehi, gente, dove siete?”. Era buio pesto. “Noi siamo qui” rispose Duenote, riferendosi a sé e Jingle. Poi, la voce del nonno: “State tutti bene?”; quando furono confermate la presenza e l’incolumità di tutti i membri del gruppo, qualcuno chiese dove fossero ora. Il nonno disse che erano tornati alla casa colonica, quella vera. “Come fa a dirlo?” chiese Kidokoro. Il vecchio ruotò la testa di Kidokoro verso la finestra. Era l’unico che riusciva a ragionare lucidamente, in quel pasticcio, ed era diventato, secondo un tacito accordo, il capo del gruppo. Kidokoro esclamò: “Ehi, è vero! C’è la finestra che abbiamo visto prima!”. Kidokoro, anche se era lì da più tempo del nonno, non aveva scorto la luce che filtrava dalla finestra perché troppo confuso. Si misero tutti a girare la testa. Poi gli occhi di tutti furono attratti dal rettangolo di fioca luce che spiccava su una parete. Si alzarono. I loro occhi si erano abituati all’oscurità, e adesso potevano vedere l’interno della casa colonica. “Ma come mai è così buio?” chiese Tinetta: “Era giorno, un attimo fa” “Là era giorno” corresse il nonno: “Ma nella realtà, evidentemente, il tempo scorre più veloce” “Non ci capisco niente” disse Midori. “Lei come fa ad essere tanto sicuro delle sue affermazioni?” chiese Duenote: “Sembra quasi che questo genere di assurdità siano il suo pane quotidiano”; Simona e Manuela non poterono fare a meno di ridere. Il nonno, imbarazzato, disse: “Oh-eh.. è che io mi interesso di queste cose. Leggo molti libri su questi argomenti. Occultismo, magia.. sa, un hobby” “Capisco” disse Duenote. Tinetta, che si era affacciata alla finestra, disse: “Dove sarà ora il mio Johnny?”. Il suo tono era così triste e rassegnato che il cuore di tutti sprofondò nella desolazione. Era vero, i loro amici erano scomparsi nel nulla, molto probabilmente erano rimasti là. E, cosa ancor più terribile, non avevano neanche una guida come il vecchio nonno, che potesse indicare loro la cosa da fare. Inconsciamente, molti di loro si prepararono a non rivedere più Johnny, Toshio, Creamy e Sabrina.                                                                                       Uscirono dalla casa e tornarono al loro accampamento, con la vana speranza di trovare lì gli amici, che magari erano solo andati a fare una passeggiata nei dintorni. Non li trovarono, e ormai era notte. “Che dovremmo fare?” chiese Kidokoro: “Avvertire la polizia della loro scomparsa?” “E cosa gli raccontiamo? Che sono spariti in un castello medioevale circondato di uomini-coccodrillo? Ci prenderebbero per pazzi” disse Duenote. “Forse ci siamo sognati tutto” azzardò Carlo. “Anch’io ho i miei dubbi” disse Jingle. Intervenne Michael: “Andiamo, Carlo, riesci a trovare Johnny e gli altri da qualche parte? Dimmi un po’. Forse abbiamo avuto un’allucinazione collettiva o che so io, ma intanto i nostri amici sono scomparsi. E questo non è un sogno” “Già” confermò Midori, e aggiunse: “ Magari lo fosse”. Poi osservò la coperta dove avevano pranzato quello stesso giorno, tutti insieme, e le cibarie conservate per la cena. Si inginocchiò davanti alla coperta e disse: “Oh, beh.. per consolarmi dovrò mangiare un po’”. E così, mentre gli lacrimavano gli occhi, prese ad ingozzarsi, dicendo, tra un boccone e l’altro: “Ohimé, come soffro”. Parlava anche con la bocca piena, ottenendo un risultato alquanto sgradevole: “Ohihè, ‘ohe ohvro”. Carlo lo osservò, poi si sedette accanto a lui e lo guardò insistentemente. Midori smise di mangiare e alzò gli occhi verso Carlo, con un cosciotto di pollo che gli usciva dalla bocca. Poi Carlo gli disse: “Vuoi che ti aiuti? Anch’io soffro come te, amico”. Michael si portò dietro di loro e disse: “E’ vero, Midori. Senza Johnny, chi sarà nostro collaboratore nell’organizzazione delle nostre feste?” “Possiamo considerarti un amico sincero, Midori?” chiese Carlo. “’Ondadesci” rispose lui, spingendosi il cosciotto in bocca. Poi rimasero lì, ad osservarsi intensamente. Improvvisamente si abbracciarono tutti e tre e cominciarono a piangere: “OOOh! Come siamo sfortunati”.
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Creamy, Johnny e il loro nuovo amico vagavano nelle solitarie stanze del palazzo, in cerca di un’entrata, o di un’uscita, per accedere ad altri locali. Il fantasma, che era risultato chiamarsi Albert (almeno in vita), non era stato molto chiaro su questo punto. Aveva solo detto che andava trovato un portale, un passaggio, una cripta, una tana di topi, o qualsiasi altra cosa potesse assomigliare ad un’apertura nella roccia. Ma tale discrepanza non si presentava. La parete restava sempre uguale, sempre irrealmente compatta ed uniforme. Johnny si fermò appoggiandosi al muro: “E’ un pezzo che camminiamo. Uff! Dubito che questo sia il modo migliore per uscire di qui” “Già” confermò il fantasma: “Mi sono sempre spostato sul piano immateriale, attraversando i muri e roba del genere.. ma adesso non riesco a sfruttare questo mio potere. Il castello è vivo, e può impedirmi di muovermi liberamente”. -Se non ci fosse Creamy,- pensò Johnny: -potrei teletrasportarmi-. Il fantasma, a quel punto, disse: “Credo che dobbiate usare il vostro potere” Johnny trasalì, e balbettò: “Co.. cosa? Cioè?” “Se non foste dotati di particolari capacità, a quest’ora non sarei libero”. I due ragazzi si guardarono negli occhi, temendo ognuno per il proprio segreto. In quel momento Nega parlò: “Mi sembrava di aver colto strani segnali provenienti dal corpo di quel ragazzo. E’ dotato di speciali poteri, anche se infinitamente più deboli di quelli di Yu” “Probabilmente è questo luogo ad acuire le capacità extrasensoriali dei normali terrestri. Magari a quest’ora anche Toshio e quell’altra ragazza hanno sviluppato un certo potenziale psichico” “Ma sentitela come parla. Come sbandiera la sua conoscenza” “Beh? Tu fai sempre il sapientone, e adesso cos’hai da rompere le scatole?” “Almeno parlo a buon diritto. Non ti ricordi neanche che quella ragazza, come hai detto tu, si chiama Sabrina” “Eh, già, tu lo sai, invece, il nome di questo ragazzo, come hai detto tu?” “Ehm, ehm.. certo che si, ce l’ho sulla punta della lingua.. ehm.. Tommy! Giusto?“ “Johnny” “Ah, si, è vero. Bah, ma tu lo sai perché mandi a memoria tutti i nomi dei ragazzi verso cui Creamy prova qualcosa, e poi pensi alle avventure romantiche che potrebbero vivere insieme. Sei una illusa sognatrice” “Ah, si? E com’è che tu sai il nome di Sabrina?”. Colto di sorpresa, Nega cadde in fondo alla tasca da cui facevano capolino entrambi, gridando: “Yauugh”. Poi tornò su e gridò: “Io lo so perché è mio compito interessarmi di tutto ciò che succede a Yu! Devo sapere chi le sta intorno per poterla consigliare per il meglio” “E com’è che non sapevi il nome di Johnny?” replicò Posi, senza fare una piega. Nega ebbe un altro sobbalzo che lo fece precipitare di nuovo in fondo. Quando tornò su era più infuriato che mai: “Insomma basta! Il nome di Johnny era difficile da ricordare, ti va bene?” “E allora che consigliere sei? Ti hanno mandato sulla terra per aiutare Yu e tu non ti interessi minimamente di lei?” Nega cominciò a sbranare il bordo della tasca, facendo strani versi. Poi improvvisamente si voltò verso Posi ed urlò: “E VA BENE! Mi ricordavo il nome di Sabrina perché ne sono rimasto colpito, d’accordo?” “Dal nome?” chiese Posi, calmissima. “NO!” sbraitò lui: “Da Sabrina! PERCHE’ E’ UN BEL PEZZO DI FIGLIOLA, VA BENE!?” e detto questo sprofondò nella tasca, mormorando frasi irripetibili e censurabili. Di questo battibecco Creamy aveva capito ben poco. Lei era rimasta colpita da una frase di Posi, e aveva colto al volo l’occasione propizia. Parafrasando la gattina, disse: “Ehi, probabilmente è questo luogo ad acuire le capacità extrasensoriali dei normali terrestri. Che ne dici, Johnny?”. Poi il discorso di Nega e Posi aveva preso la piega che abbiamo visto poco fa, anche se Creamy se ne era disinteressata. Era rimasta ad attendere una risposta da Johnny, che però era rimasto impietrito. Lui, che conosceva a malapena il significato delle parole che pronunciava giornalmente, non aveva mai sentito inserire tanti paroloni in una sola frase, e impallidì. Poi, però, sfoderò il suo sorriso alla ‘MMazza che roobba!’ e disse: “Oh, ehm, si, sono d’accordissimo”. Non volle ammettere la sua ignoranza. 
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Una volta chiarito quel punto, i due ragazzi si guardarono in giro, in cerca di nuovo di qualche apertura che permettesse loro di sbrigarsela senza ricorrere ai poteri. Non ce n’erano, e loro non si erano illusi. Stavano ancora pensando a come fare, ognuno di loro due timoroso di rivelare troppo affrettatamente il proprio segreto, quando la discussione di Posi e Nega degenerò nella furia del gattino, che sbraitò a più riprese. Fino a quel momento Johnny non si era accorto del fatto che i gatti parlavano, anche se quella non era la prima discussione che i due avevano avuto. Fino a quel momento avevano parlato troppo piano per farsi sentire. Chi li sentiva non carpiva il senso delle loro parole; avvertiva solo dei fievoli suoni che emettevano, e dava per scontato che fossero miagolii. Ma in quel momento, nel silenzio più assoluto del castello, l’urlo di rabbia di Nega suonò chiaro come se amplificato da un megafono: “….Sabrina! PERCHE’ E’ UN BEL PEZZO DI FIGLIOLA, VA BENE!?”. Detto questo, sprofondò nella tasca. Ma ormai la frittata era fatta. Johnny e Creamy rimasero di sasso, a guardarsi. “Il tuo gatto ha parlato” disse poi Johnny. “Oh, ehm.. pare di si” fece lei, e si voltò in direzione del fantasma Albert per vedere se poteva toglierla d’impiccio. Ma lui faceva lo gnorri. Si guardava intorno come se la vista delle mura sempre uguali fosse interessantissima, e fischiettava il motivo di ‘Universal Daddy’*. -Nega ha parlato- pensò Creamy: -e fin qui niente di male. Avevo intenzione di dirglielo a Johnny, prima o poi, perché se dobbiamo essere uniti è bene non avere segreti tra di noi. Ma proprio quella scemata doveva dire?-. Infatti Johnny disse: “Ha parlato e ha detto qualcosa di alquanto strano” “Beh, in effetti.. eh eh.. ehm”. Intervenne Posi: “Ehi, Johnny! Ciao”. Creamy pregò che Posi sapesse ciò che faceva. Johnny disse: “Anche quest’altro gatto parla. E mi ha salutato” “Ma certo” fece Posi: “E’ normale”. -E’ vero,- pensò Creamy: -quando si verificano particolari condizioni, tutti possono sentir parlare Posi e Nega. Come quella volta che Toshio venne con noi sulla Stella Piumata. Anche lui, allora, sentiva parlare i miei gatti-. “Beh, e di cosa ti stupisci? In questo luogo noi possiamo parlare. Anche il portafortuna di Creamy ha sviluppato un gran potere, prima. Questo luogo risveglia le forze spirituali delle persone. Probabilmente tu puoi.. puoi..”; -Non sbilanciarti troppo, Posi- pensò Creamy. Anche Posi pensò: -Non devo esagerare. Ma che gli posso dire, che gli posso dire? Qualcosa, la prima cosa che mi viene in mente, non importa cosa….-. Aprì la bocca per dire: ‘Frangea la biada con rumor di croste’ come Giorgio Gaber**, ma invece disse: “Forse puoi volare!” Creamy cadde a terra, dicendo: “Oh no”. Johnny rimase immobile per un po’, e quindi si accorse del vantaggio che gli forniva in quel momento il gatto. Se avesse preso per buone le sue parole, avrebbe avuto una scusa per utilizzare liberamente i suoi poteri. Così disse: “Ma si, forse hai ragione. Il portafortuna di Creamy fa più luce di una lampada al neon, tu puoi parlare ed io potrò volare, probabilmente. Ora ci provo subito”. Creamy pensò: -E’ normale che io abbia questi poteri magici e che Posi parli, ma lui non può saperlo. Devo assecondarlo facendolo levitare con l’aiuto della mia bacchetta, così crederà di essere dotato di poteri paranormali e anch’io potrò usare la mia magia liberamente-. Johnny piegò le ginocchia come per tuffarsi, e nel momento in cui spiccò il balzo per prendere il volo, usando il suo potere, Creamy gli diede la spinta con la sua bacchetta, per sollevarlo da terra. Prevedibile risultato: la troppa forza sviluppata dai due fece schizzare Johnny in aria come un patriot di Bush. “YYAAAUUUH!” urlò lui. “AH!” esclamò Creamy: “Cosa ho fatto?” “Dove finirà adesso?” disse Albert: “Non si riesce a vedere un soffitto”. Ma, con loro sorpresa, Johnny colpì con violenza il soffitto, lasciandoci l’impronta del suo corpo, e poi ricadde. Johnny era caduto a terra schiantandosi sul pavimento, ma in quel momento nessuno se ne curò più di tanto. Creamy, Albert e gatti erano stupefatti, nel vedere che, alcuni metri sopra di loro, si stagliava precisa la sagoma di Johnny. Però non era stampigliata in nulla. Era una figura sospesa per aria. “Che significa questo?” disse Creamy. “Io credo di capire” disse Albert. “E cioè?” chiese Posi. “Non è altro che un’illusione. Voglio dire, probabilmente questo palazzo è una comunissima costruzione, ma qualcuno ci fa vedere un immenso castello” “E chi?” “Chi vive qui, evidentemente” “Oppure il palazzo stesso” azzardò Nega. “Già” confermò il fantasma: “il castello è una cosa viva, ed è questa entità che mi ha reso schiavo tanto tempo fa”. Johnny, da terra, aveva ascoltato tutto, e, mentre si rialzava, chiese: “Che dovremmo fare, adesso?”. Fu Albert a rispondergli: “Mi dispiace, ma non credo di potervi essere molto utile” “E perché mai?” chiese Posi. “Molto semplice” rispose lui: “Finché il mio spirito era posseduto, il castello mi dotava di tutti i poteri di cui avevo bisogno; sapevo ogni cosa di questo posto, e potevo spostarmi volando, e attraverso i muri. Adesso sono come aria, non ho la possibilità di sfruttare le mie doti di fantasma perché il castello me lo impedisce, e non sono neanche un essere materiale, per cui non posso avere vantaggi neppure sul piano fisico. Posso solo seguirvi, cercando di consigliarvi per il meglio, ma senza potervi aiutare in caso di bisogno” “I tuoi consigli saranno bene accetti, puoi contarci” commentò Nega, che era riemerso dalla tasca di Creamy. “Bene,” disse Albert: “per cominciare, direi di trovare il modo per uscire da questa stanza”. -Io un modo ce l’avrei,- pensò Johnny: -mi basterebbe teletrasportarmi, ma non mi fido. Preferisco ricorrere ai miei poteri solo in caso di bisogno, non voglio scoprirmi troppo-. Posi dissipò ogni dubbio dicendo: “Creamy, usa il tuo portafortuna” “Come?” chiese Creamy. “Fagli cercare una via d’uscita. Basterà ordinarglielo” “E tu come lo sai?” la punzecchiò Nega: “Questo posto, oltre a donarti la parola, ti ha aguzzato anche l’ingegno?” “Certo,” disse lei: “sempre meglio di te, al quale ha fornito la parola solo per farti dire scemenze”. E mentre i gattini ricominciavano a litigare, gli altri se la ridevano beati. Poi Creamy disse: “Farò come ha proposto Posi. Tentar non nuoce”. Sollevò la bacchetta, e disse: “Bacchetta.. ehm, cioè, volevo dire.. portafortuna, indicami la strada”. La bacchetta iniziò a vibrare, e Creamy la seguì come una rabdomante. Arrivò davanti a una crepa nella parete, e tese la mano, che sparì nella roccia. “Qui” disse: “C’è un passaggio” ed entrò. La seguirono gli altri. Si trovarono in un corridoio. Alla loro destra c’era la scalinata che scendeva, e in fondo al corridoio era visibile l’unica porta. “Siamo all’ultimo piano?” chiese Johnny. “Pare di si” rispose Albert: “Non ci sono altre rampe di scale che salgono” “Questa è la prima volta che un locale del castello non si estende a vista d’occhio” disse Johnny: “Anzi, questo corridoio sembra piuttosto angusto” “Meglio così” disse Nega: “Significa che l’illusione è terminata” “Almeno per noi” disse Albert. La bacchetta di Creamy, intanto, indicava di scendere le scale. “Ma” obiettò Johnny: “già prima eravamo giù” “Io direi di fidarci” propose Creamy: “Dopotutto finora è andata bene”. E così decisero di scendere. Facendo bene attenzione a non cadere dalla scala, che si presentava molto poco affidabile, arrivarono al piano terra, dopo sole due rampe. “Ehi” disse Johnny: “ma questo non è il castello” “E’ vero. E’ la casa coloniale. Ma è assurdo” disse Creamy. Era sparito l’enorme androne del castello, con le sue altissime colonne e le lucenti vetrate. Il pavimento in legno della casetta, con gli strani esserini neri fritti sul pavimento, e la finestra coi vetri polverosi e miracolosamente intatti. Tutto era tornato normale. 

* «Universal Daddy». Uuh, che nostalgia…. “Universal Daddy”, vecchia canzone degli Alphaville.
 
** «Qualcosa, la prima cosa…. rumor di croste». Citazione da uno spettacolo teatrale di Giorgio Gaber di cui non ricordo il titolo. 

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“Ma come è successo?” chiese Creamy. “Andiamo a vedere” disse Johnny correndo verso la finestra. Guardò fuori, e il suo volto si illuminò. Si voltò verso Creamy, dicendo: “Non so come, ma siamo tornati davvero nel nostro mondo”. Creamy corse a sua volta vicino alla finestra. Il versante della collina si stendeva placido sotto i loro occhi, rischiarato dalla luce della luna piena. “Ah ah!” fece Creamy, saltellando vivacemente: “Siamo fuori. Siamo fuori!” e abbracciò Johnny, che si mise a ridere a sua volta. Rimasero attaccati per un po’, ridendo, finché non si resero conto di essere abbracciati. Allora si divisero arrossendo. “Ehm” disse Johnny: “Eh eh.. è passato un bel po’ di tempo. E’ già buio” “Già” convenne Creamy. “E.. e poi” il volto di Johnny impallidì: “Sabrina..” mormorò. “Ehi,” disse Creamy: “Andiamo, probabilmente anche loro sono tornati indietro. dimentichi che c’era Toshio” “E allora?” disse Johnny. Creamy arrossì di nuovo, e disse: “Oh.. ehm, si, voglio dire che lui è capacissimo di cavarsela in ogni situazione. Ho, ehm.. ho dato per scontato che anche tu lo avessi immaginato, ma non lo conosci certo bene come me…. eh eh” “Vero” disse Johnny: “In ogni caso, Toshio non era insieme a Sabrina. Sono scomparsi in momenti diversi. Potrebbe essersela cavata solo lui, senza neanche immaginare che Sabrina era nei guai” “Cavolo” borbottò Creamy: “E’ vero. Zuccone com’è, potrebbe aver pensato solo ai suoi problemi, senza neanche immaginarsi che Sabrina correva dei rischi” “Secondo me” disse Nega: “questo è da escludere. Non certo perché Toshio abbia uno spirito particolarmente coraggioso, ma se aveva un’occasione di fare bella figura davanti a una ragazza non se l’è lasciata scappare” “Ma sentitelo,” disse Posi: “parli così solo perché sei invidioso di lui” “Ma starai scherzando” ribatté Nega, con aria superiore: “Io, invidioso di quel testa di rapa?” “Beh” disse Posi, imbarazzata perché Nega aveva centrato proprio il difetto più visibile di Toshio. Poi si illuminò in volto e disse: “Va beh, ti concedo che sia alquanto imbranato, ma non venir fuori con le tue cattiverie. Toshio è un ragazzo coraggioso, disposto a tutto per gli altri, che affronta con fermezza ogni situazione di pericolo” “Ah, se lo dici tu….” fece Nega, tagliando lì la discussione. Poi Albert disse: “Ragazzi, se posso darvi un consiglio, perché non riprovate con quel vostro aggeggio?” “Giusto” convenne Creamy. Sollevò la bacchetta e disse: “Bacchetta, portami….” “Ma funziona anche qui?” chiese Johnny. La ragazza, imbarazzata, lo guardò, poi sorrise e disse: “Mah, tentar non nuoce” “Giusto” disse Johnny. Allora Creamy ripeté: “Bacchetta, portami da Toshio e Sabrina”. La bacchetta indicò le scale. “Oh no,” disse Johnny: “non ce l’hanno fatta” “Andiamo, ragazzi” li incitò Albert. Salirono di nuovo le scale. Prima di arrivare in cima l’ambiente variò. Quando superarono la prima rampa, erano già ricomparsi nel castello. La bacchetta indicava ancora le scale che salivano. “Accidenti” sbottò Nega: “Ora mi sono stufato! Qui non ne usciamo più” “Già,” disse Johnny: “e intanto Sabrina.. chissà come sarà sconvolta.. è coraggiosa, ma non quando si tratta di affrontare situazioni così fuori dal comune” “Beh, fate come vi pare” disse Nega: “Io adesso uso i miei poteri” “Eh?” disse Johnny: “Cosa vuol fare il tuo gatto?” “Ah, non lo so” rispose Creamy, speranzosa nel suo gatto. “Dunque, Posi,” disse Nega: “adesso io e te ci teletrasportiamo”. Johnny sobbalzò. “E tu credi che potremo farlo?” chiese la gattina. “Oh, senti, Posi, io non ne posso più di questo girotondo tra le dimensioni; se ci riusciamo, dovremo portare con noi anche tutti loro” “Ma non sappiamo dove teletrasportarci” obiettò Posi. “Hai poca fantasia” rispose lui: “Basterà unire le nostre molecole a quelle della bacchetta. Ci fonderemo con essa e la useremo come guida nel nostro viaggio” “Però,” commentò Posi: “quelle poche volte che tiri fuori delle idee, sono veramente originali” “E’ un complimento?” chiese Nega. “Fai un po’ te” disse lei. “Proviamo, allora” disse Nega. Insieme a Posi, si concentrò al massimo delle sue possibilità, dovendo trasportare nel viaggio anche gli altri. -Sarà meglio che io usi il mio potere- pensò Johnny (e qui salutiamo un gradito ritorno, signore e signori: quello del quadratino, fino ad ora assente perché era andato alle poste): -Non so se quei gatti riusciranno a portarci tutti, e quindi sarà bene che io sfrutti i miei poteri-. Si concentrò anche lui, rendendo più agevole il compito di Posi e Nega. La partenza fu immediata. Nei secondi che seguirono, sospesi nel limbo del mondo, attraverso il quale si possono raggiungere i luoghi che si desiderano, Posi e Nega dovettero mantenere sempre viva la massima concentrazione per seguire la via indicata dalla bacchetta e per portarsi dietro gli altri. Quando ricomparirono, a qualche metro da terra, Creamy cadde per prima, seguita dai gatti che le piombarono in testa. Si rialzò, guardandosi in giro. Albert le fluttuava accanto. Si trovava in uno stanzino piccolo e buio. Dietro di lei, l’ultima rampa di scale scendeva da basso. Era presumibilmente l’ultima, visto che non ce n’erano altre che salivano. Non c’era niente. Non una porta, una crepa nel muro, la tana di un topo. Non c’era niente che somigliasse ad un passaggio. “Dove dovremmo andare, ora?” disse Albert. “Io ho una domanda migliore” disse Nega: “Dov’è Johnny?”. E, in effetti, Johnny non c’era. “Oh no” disse Creamy: “Anche lui” “Forse è comparso qualche piano più in basso”. Ma la risposta giunse in quell’istante. Una parete franò rovinosamente. Si tirarono tutti indietro, timorosi che dalla breccia scaturisse chissà quale essere. E invece, quando la polvere si diradò, tra le macerie videro un dolorante Johnny. Lo soccorsero. Quando si fu ripreso, gli chiesero spiegazioni. “Non so,” rispose lui: “sono ricomparso sospeso per aria, non so dove perché era troppo buio, e mi sono sentito cadere. Ho cozzato contro qualcosa e poi ho visto le stelle. Mi avete svegliato voi e questo è tutto” “Beh, questo è molto” disse Albert: “hai aperto un passaggio. Ora abbiamo un luogo dove dirigerci” “Ah” fece Johnny, pensieroso: “meglio così”. Si introdussero. Mossero i primi passi titubanti. L’oscurità era rischiarata a tratti da alcuni bagliori di fuoco. “Laggiù” disse Albert: “ci sono dei falò”. Si avviarono verso i fuochi. Quando giunsero alla loro luce, notarono un portale in legno, chiuso. Sopra la porta, incise nella roccia, queste parole: ‘Sephirot 4 18’. “Suppongo che dovremmo entrare” disse Albert. “Che significano quei numeri e quella parola?” chiese Posi. Nessuno seppe rispondergli. La porta, nel silenzio generale, si aprì. I ragazzi, i gatti e i fantasmi si tirarono indietro. I cani, i pinguini e i pignatubi sono pregati di non avvicinarsi troppo perché potrebbe essere rischioso. E basta con le scemenze!! D’accordo. Dunque? Ah, si.. si tirarono tutti indietro.. ma si tirarono troppo lontano e non si sono più ritrovati. Ah AH AH AHAHHH!!! Le risate.. le risate.... SBAMMM!! Vedessi che roba.. mi sono messo a ridere per due secondi e quello lì.. Pamm! m’ha arrivato ‘na palata ‘n fronte, m’ha massacrat, Giusè, m’ha ridott ‘na chiavica. Le risate Giusè, le risate le risate.. m’hanno dato 8 anni di convalescenz*.     
Indietreggiarono tutti. La porta si spalancò del tutto. Rimasero tutti immobili, in attesa di chissà cosa. Creamy disse: “Entriamo, dai, vediamo cosa c’è dall’altra parte”. Johnny le indicò la scritta sopra la porta. Lei guardò. Sul numero 18 era comparsa una ‘X’, come nei cartelli di divieto di sosta. “Che significa?” chiese Creamy. Dalla soglia, in quel momento, uscì qualcosa, che li sorvolò. Tutti si abbassarono istintivamente. La cosa si fermò a mezz’aria e ripartì all’attacco, volando più bassa. Johnny e Creamy furono costretti a scartare bruscamente di lato. “Che roba è?” gridò qualcuno. “Meglio togliersi di mezzo” “Attenti! Ci torna addosso!”. Creamy, che non ci stava capendo niente, sollevò la bacchetta, pensando: -Speriamo bene-.

* «Le risate.. le risate…. 8 anni di convalescenz». Citazione di una gag di Giobbe Covatta da un vecchio programma comico. 
     
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La bacchetta di Creamy respinse l’attacco dell’apparizione, che si allontanò verso la porta da cui era uscita. La pausa permise a tutti di riprendere fiato. “E’ un fantasma” disse Johnny. “Come?” chiese Creamy. “Un fantasma. Non vedi? E’ avvolto nel fuoco”. Tutti lo poterono osservare con maggiore attenzione. “E’ un fantasma infuocato” ripeté Johnny. “Già. Ora capisco” “Capisci?” chiese Johnny: “Spiegaci, allora” “Quello” spiegò Albert: “è lo spirito di mia moglie”. Il fantasma attaccò di nuovo, lanciando saette fiammeggianti. “State indietro, ragazzi” disse Albert: “ci penso io” e si lanciò verso l’apparizione. La attraversò, la catturò cercando di inglobarla in sé. Stettero tutti a guardare, allibiti, finché una massa informe e candida uscì dalla mischia del combattimento. Il fuoco cadde a terra, sparpagliandosi in molte fiammelle; poi si spensero anche quelle, ridotte a piccole braci ardenti. Qualcosa di candido venne verso di loro. “Cos’è?” “Sembra Albert, ma è difficile stabilirlo”. Quando fu più vicino, lo riconobbero. Era Albert, ma era contemporaneamente anche un’altra figura. “Albert,” chiese Creamy: “cosa significa?” “Ho inglobato lo spirito di mia moglie” rispose lui: “Era l’unico modo per strapparla al fuoco” “Ti ringrazio” disse una voce di donna: “E grazie anche a voi” “Non abbiamo fatto niente. Deve ringraziare solo suo marito” disse Nega. “Siete veramente generosi” “Adesso io e mia moglie siamo uniti” disse Albert: “Siamo della stessa altezza, e quindi le fisionomie dei nostri due volti si confondono. Per questo prima avete stentato a riconoscermi. Siamo due corpi che occupano lo stesso spazio” “Con il vostro aiuto” disse la donna: “riusciremo a salvare anche i nostri figli” “Contate su di noi” disse Nega. “Ragazzi, ora dovremo entrare nella porta, ma prima c’è qualcosa che dovete sapere. Guardate la scritta di prima”. Sul numero 18 era scomparsa la croce. “Quella scritta ha qualche importanza?” chiese Johnny. “Si” disse Albert: “Sapete cos’è il Sephirot?”. Silenzio assoluto. “Di solito” disse Albert: “chi tace acconsente. Ma non credo che sia il vostro caso, vero?”. Arrossirono tutti. Johnny finse indifferenza, fischiettando. Creamy aveva le mani incrociate dietro la schiena e guardava a terra girandosi i pollici. Posi e Nega avevano estratto un mazzo di carte e facevano finta di giocare a poker. Nega si guardò in giro e disse: “Sembra che non lo sappia nessuno. Coraggio, Albert, spieghiamoglielo noi” “Va bene, comincia tu” disse Albert. Nega ebbe un attimo di sconcerto, poi si riprese e disse: “Ehm, non ce n’è bisogno. Io sono abituato a spiegare loro di tutto. Ormai conoscono la mia intelligenza. Parla pure tu” “Ma sentitelo” disse Posi: “perché non ammetti di non saperlo?” “Io so tutto.. però sul momento sono sotto l’effetto di un farmaco che mi impedisce di spiegare cos’è il Sephirot” “Lasciamo perdere” disse Posi: “da questo testardo non caveremo un ragno dal buco. E’ ignorante, ma non lo ammetterà mai” “Dunque” disse Albert: “Il Sephirot è l’insieme dei numeri primordiali. Da 0 a 9. Ogni numero rappresenta un elemento. Lassù c’è scritto Sephirot, che è l’insieme dei numeri, poi c’è il 4, il numero che racchiude il fuoco, e poi il 18. Nell’alfabeto, la diciottesima lettera è la T, la lettera che rappresenta il cammino. Quando lo spirito di mia moglie, avvolto nel fuoco del numero 4, è uscito dalla porta, il nostro cammino era sbarrato. E infatti due sbarre incrociate erano comparse sul numero 18” “Non ci ho capito niente” disse Sandro, che aveva appena finito di spiegare la faccenda del Sephirot. “L’importante è che abbiamo capito noi” dissero Creamy e Johnny all’unisono. “Vabbeh” disse Sandro, e riprese a scrivere*. “E ora?” chiese Creamy. “E ora dovremo attraversare quest’altra porta” disse Johnny. Un’altra porta, identica alla prima, sorgeva nello stesso luogo dove pochi secondi prima c’era l’altra porta. Era di nuovo chiusa, e sopra di essa campeggiavano le parole: Sephirot 3 10. “Cosa significano 3 e 10?” chiese Johnny. “Il 3 è l’acqua. Il 10 è la dominazione” “Dominazione? Cioè?” “Non lo so. Non conosco il significato che può avere in questo caso”. La porta, al pari della precedente, si aprì. “Questo è l’unico lato positivo” disse Nega: “Non abbiamo bisogno di arrovellarci per cercare nuove strade. Le porte si aprono da sole e ci obbligano praticamente ad oltrepassarle” “Credo che sia perché il palazzo vuole liberarsi di voi al più presto” disse Norma, la moglie di Albert. “Cosa vuol dire?” chiese Creamy. “Il fatto che sia il castello ad attaccarvi per primo, mi fa pensare che probabilmente siamo giunti ad un punto in cui non possiamo più sbagliare strada, e siccome non ci può confondere con le sue illusioni, decide di togliervi di mezzo al più presto” “Perché non ti riferisci anche a te ed Albert?” chiese Posi: “Il castello desidera liberarsi soltanto di noi?” “Si” disse Albert: “Se riuscirà ad uccidervi, noi ritorneremo ad essere suoi schiavi” “Per chissà quanto altro tempo ancora” sospirò Norma. “Non potete ribellarvi al suo potere?” chiese Creamy. “Non ci riusciremmo mai” disse Albert: “Siamo solo dei fantasmi, delle apparizioni senza alcuna forza. Il castello è troppo forte perché noi si riesca a sconfiggerlo. Per questo abbiamo bisogno di voi. Voi avete la potenza della vita, avete la vostra personalità e il controllo della vostra mente. Noi non abbiamo più l’essenza e l’energia vitale. E, in più, siete dotati di straordinari poteri” “Però,” continuò Norma: “se riuscissimo a liberare tutti i nostri familiari, potremmo riunirci ai loro spiriti, e allora avremmo una nuova, immensa forza. Neanche il castello riuscirebbe a vincerci, se l’amore della nostra famiglia potesse reintegrarsi in ognuno di noi” “E’ vero” disse Albert: “Sento di possedere più forza, insieme a mia moglie. Quando i nostri cinque spiriti saranno integrati l’uno nell’altro, più niente riuscirà a dividerci” “Mai nessun ci dividerà, trallallallallà” cantò Johnny. Lo guardarono tutti. Lui si guardò intorno, rendendosi conto di ciò che aveva detto, e parlò: “Ehm, scusate, io.. non so cosa mi abbia preso, però era troppo divertente. Mi è venuta in mente quella cavolata e l’ho detta. Insomma, mi sembrava che ci.. Ah ah.. mi sembrava che fosse per.. pfff.. ah ah ah perfetta in quel momen.. ah ahah ahahahah!” Johnny si buttò a terra ridendo fino a sganasciarsi. “Ma che gli è preso?” disse Creamy, che non riuscì a non tradire lo sconcerto nella sua voce: “Perché fa così?” e iniziò a tremare. Guardò il suo corpo. Stava tremando come una foglia. “Co-cosa mi succede?” disse, quasi piangendo. Poi le gambe non la ressero più e cadde a terra. “Ma che succede?” chiese Norma. “Guardate le parole sulla porta” disse Nega. Albert e Norma le guardarono. Johnny, tra le lacrime delle risate, lanciò uno sguardo in alto, ma non riuscì a distinguere molto bene. Creamy, pur provandoci, non riuscì ad alzare gli occhi per guardare sopra la porta. Sul numero 10, come prima, era comparsa una croce. “E adesso cosa significa?” chiese Posi. “Il 10 è sbarrato” disse Norma: “Quindi la dominazione è sbarrata” “Prima il cammino ci era precluso” disse Nega, senza parlare a nessuno in particolare: “Adesso la dominazione ci è preclusa”. Guardò Johnny e Creamy. “Già” disse: “La dominazione del nostro corpo e delle nostre emozioni. Johnny e Creamy non sono più in grado di controllare, e quindi dominare, le loro sensazioni e il loro sistema nervoso. Sono preda di impulsi avventati e casuali” “Quindi?” chiese Posi: “Cosa possiamo fare per farli tornare in sé?” “Ah, non ne ho idea” rispose Nega, rassegnato. Un secondo dopo, un vortice d’acqua li inondò tutti quanti. Albert e Norma non ne furono risucchiati. Gli altri furono catturati e sballottati in tutte le direzioni. Quando la furia della ondata d’acqua si placò, Johnny e Creamy rimasero a terra semisvenuti. “Come possiamo aiutarli?” chiese Norma, disperata. “Maledizione, non abbiamo alcuna possibilità. Non abbiamo la forza necessaria per difenderli dall’acqua del numero 3” rispose Albert, sconcertato: “e non riusciremo neanche a far loro recuperare il controllo degli impulsi” “In altre parole” concluse Norma: “dovranno cercare di arrangiarsi” “Già, proprio così” confermò Albert, pensieroso. 

* «Non ci ho capito niente…. e riprese a scrivere». Vi sarete senz’altro resi conto che sono un demente….
        
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La ragazza gli piovve sulle spalle. Toshio rimase senza fiato. Aveva le braccia di Sabrina intorno al collo. I lunghi capelli neri della ragazza, che aveva il viso appoggiato sulla sua spalla destra, gli ricadevano sul volto, pizzicandogli la pelle. Li soffiò via. La guardò. Chinò la testa a destra, appoggiando la sua guancia sulla nuca di lei, utilizzando i suoi morbidi capelli come cuscino. Si mise a riflettere sulla sua situazione. Prima di tutto, era necessario che si riprendesse dallo spavento che Sabrina gli aveva fatto prendere poco prima. -Sembrava in trance,- pensò: -aveva tutta l’aria di volermi strangolare. Non so come sia riuscita a liberarsi.. se non fosse svenuta potrei saperne di più.. lei è stata la prima a scomparire, e forse ne sa più di noi. E io? Anch’io sono scomparso? Dal punto di vista di Johnny e Creamy anch’io sono scomparso nel nulla? Loro? Saranno ancora insieme, o.. saranno scomparsi l’uno per l’altra?-. Sospirò, resosi conto di quante domande senza possibilità di risposta gli affollavano la mente. Non aveva alcuna probabilità di scoprire i perché e i percome di quella faccenda. Si guardò intorno di nuovo. Abbassò lo sguardo su Sabrina. Improvvisamente si rese conto che sul momento non gli importava molto di sapere come faceva a trovarsi in quell’assurda situazione. Anzi, oltre che assurda, la situazione si presentava anche piacevole. Toshio chiuse gli occhi. Abbandonò il suo pensiero a una moltitudine di sensazioni di serenità e piacere. Ripensò alla prima volta in cui aveva visto Sabrina. Inoltratosi in quel boschetto, mentre assaporava l’aria fresca sulla pelle e osservava il tremolio delle foglie alla luce dei raggi di sole che riuscivano a filtrare dall’alto, si ritrovò senza sapere come a guardare negli occhi di quella meravigliosa ragazza, emersa silenziosamente dal sottobosco. Riflettendoci ora, avvolto nell’oscurità e nel silenzio regnanti in quel luogo, sentendo la leggera pressione del corpo inerme di Sabrina, che poggiava sul suo, inebriandosi col dolce profumo che avvolgeva la pelle di lei…. riflettendo in questo momento sul loro primo incontro, si poteva pensare che la comparsa di Sabrina fosse un’apparizione angelica. E, tutto sommato, probabilmente non era neanche un’ipotesi tanto assurda. Anzi, già non era più un’ipotesi ma una certezza. Quella ragazza, apparsa per incanto, risplendente di bellezza, era un angelo. Un angelo che dispensava serenità, che invitava alla pace…. Le membra di Toshio si rilassarono, e il suo corpo prese a scivolare placidamente verso il basso, mentre la sua mente si perdeva nell’oblio dei sogni. Il bracciale di ferro che aveva intorno al polso, che lo teneva incatenato al muro, scivolò sulla sua pelle fino a raggiungere la mano. Era troppo larga per poter passare, così il bracciale si bloccò alla base del palmo, comprimendolo. Ma il corpo di Toshio continuava a scivolare. Così, ad un certo punto, la pressione del ferro sulla mano del ragazzo si fece eccessiva, e una sferzata di dolore gli attraversò l’avambraccio. Toshio sussultò, lanciando un grido di sorpresa. Il brusco movimento fece cadere il corpo di Sabrina. Toshio si guardò intorno, disorientato. Poi si ricordò quello che era successo. Guardò la mano destra, che gli faceva male. Era ancora imprigionata nel ferro, ma sarebbe bastata una leggera spinta perché il bracciale tornasse sul polso. Toshio, invece, diede un deciso strattone, tirando il braccio verso di sé. In questo modo, la manetta salì verso le nocche. Soffocando il dolore, senza concedersi ripensamenti, strattonò ancora. Stavolta il bracciale pressò le nocche, e Toshio si lasciò sfuggire un grido. Comunque il più era fatto. Le nocche erano il punto più largo che il bracciale doveva attraversare. Adesso sarebbe bastato tirare verso di sé un’altra volta ancora, e la mano sarebbe scivolata con facilità. Strattonò, ma il dolore non gli permise di usare la dovuta forza, e ottenne solo di acutizzare il dolore dovuto alla pressione. Cercando di ignorarlo, ripeté l’operazione, con più violenza. La mano fu finalmente libera, ma una fitta di dolore gli fece stringere i denti. Rimase immobile per alcuni secondi, pregando che quel supplizio avesse presto termine. Quando gli sembrò di star meglio, cercò di valutare i danni che poteva essersi procurato. Operò dei movimenti cauti e controllati con le dita, per accertarsi che non fossero rotte. -Sono tutto intero- pensò: -Ma non riuscirò a muoverla liberamente per un po’, credo-. Guardò Sabrina, svenuta ai suoi piedi. -Cosa mi stava succedendo poco fa?- pensò: -E’ stato il dolore a riportarmi alla realtà. Mi sono sentito male.. no, bene.. sereno e soddisfatto.. ma mi sono sentito sprofondare, nel benessere.. cavolo, ma cos’ero, ipnotizzato? E’ stata la vicinanza di Sabrina a farmi quell’effetto?-. La ragazza borbottò qualcosa, e fece un leggero movimento con il braccio. Si stava svegliando. Toshio si fece prendere dal panico, ricordando l’atteggiamento minaccioso che aveva avuto Sabrina. -Non svegliarti- pensò: -Non prima che mi sia liberato-. Guardò l’altro bracciale, e cominciò ad armeggiare per permettere alla mano sinistra di sfilarsi. Con sua sorpresa, la manetta gli scivolò sulla pelle con facilità. -O questo bracciale è più largo, oppure io ho una mano più piccola dell’altra-. Con una leggera strattonata fece superare le nocche al bracciale, e anche la mano sinistra fu libera. Sabrina si stava veramente riprendendo. Toshio si allontanò da lei, timoroso, cercando di capire se fosse tornata in sé. La ragazza si stava faticosamente rialzando. Si sentì un lurido verme per non essere rimasto accanto a lei ad aiutarla. Allora le si avvicinò, ma molto prudentemente, perché la paura era più forte del senso di cavalleria. Sabrina, ora rialzatasi in piedi, si sorreggeva appoggiandosi al muro. “Sabrina?”. Non ottenne risposta. Riprovò a chiamarla: “Come ti senti?”. Stavolta la ragazza sollevò lo sguardo su di lui. “Toshio?” chiese a sua volta. Con sollievo, il ragazzo constatò che adesso sembrava tornata normale. Le si avvicinò. “Come stai?” le chiese. Sabrina, guardandosi intorno, rispose: “Non so. Bene, credo. Ma dove siamo?” “Non ne ho idea. Comunque, non ci sarà difficile uscire. Siamo su una specie di cornicione. Guarda giù”. Dopo aver valutato la situazione, Sabrina disse: “Ci sarà facile saltare. Saranno tre metri, poco più” “Già” concordò Toshio: “E poi, sperando che quel portone sia aperto, ce ne andremo”. Sabrina guardò nella direzione indicata da Toshio. C’era una porta in legno. “Mah, in qualche modo la apriremo, se è chiusa” disse. “Penso che sia aperta. Quasi sicuramente lo è” “Come fai a dirlo?” chiese lei. “Eravamo incatenati” rispose Toshio: “Probabilmente non era in programma che ci liberassimo, e forse non si sono presi la briga di chiuderci dentro”. Sabrina restò sbalordita: “Incatenati?” “Si”. Toshio evitò di parlare del misterioso comportamento che aveva avuto svegliandosi la prima volta. “Tu veramente non eri incatenata. Eri qui svenuta, sul cornicione. Per me non è stato difficile liberarmi” “Se io ero libera” disse lei: “potrebbe essere chiusa, la porta” “E’ vero. Eh eh….” rise lui: “non ci avevo pensato” “Andiamo, allora?” disse lei. Toshio guardò giù. Ed ebbe delle esitazioni. Sapeva perfettamente che l’altezza era irrisoria, e saltando non ci sarebbe stato il minimo rischio, ma a guardarlo da lì sembrava un balzo dannatamente rognoso. Improvvisamente fu colto da un moto d’orgoglio. In lui era riaffiorato il ricordo della volta in cui aveva salvato Creamy dal fiume. Vi era caduta a causa dell’ignobile scherzo di tre sue nemiche. Quella volta Toshio, incurante della spaventosa altezza che lo separava dalle acque sottostanti, si era tuffato per salvarla. -E adesso mi faccio spaventare da questi tre metri?- pensò: -Beh, però stavolta non c’è Creamy da salvare-. “Toshio, andiamo?” ripeté Sabrina. Toshio la guardò. Con sua sorpresa non sembrava affatto preoccupata. Anzi, pareva desiderosa di saltare, e spazientita dal suo atteggiamento timoroso. -Non posso fare una tale figura- pensò Toshio: -Coraggio-. Si buttò. Fu un tragitto più breve di come se lo era immaginato. Ebbe appena il tempo di rendersi conto del pavimento che si avvicinava, che era già arrivato a terra. Il contraccolpo lo fece accovacciare. Le piante dei piedi, sulle quali aveva subito la violenza dell’impatto, gli diventarono di marmo. Una fitta gli irrigidì le gambe, ma passò in un istante. Si rialzò lentamente. Si massaggiò un po’ le cosce. Poi guardò su e disse, rivolto a Sabrina: “Aspetta. Posso andare a cercare qualcosa di morbido su cui….” Sabrina non lo stava nemmeno ascoltando. Senza neanche pensarci, spiccò un balzo deciso. Toshio ne seguì sbalordito l’evoluzione. Arrivata a terra, la ragazza non diede segno di aver risentito delle conseguenze del salto. Si diresse subito verso il portone. Lo provò, ed era aperto. “Toshio,” disse, volgendosi al ragazzo: “fin qui tutto bene. E’ aperta….”. Toshio era ancora immobile, a guardare in su, il punto da cui Sabrina era saltata. Era rimasto di sasso. “Toshio” chiamò lei: “Va tutto bene?”. Toshio si riscosse: “Eh? Ah, si, va tutto bene, si” “Qui è aperto. Possiamo andarcene” “Oh, bene” disse, raggiungendola: “Proviamo ad uscire. Speriamo di non incappare in altri guai”. 
   
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Johnny alzò lo sguardo. Un’altra valanga d’acqua stava per investire lui e Creamy. Senza stare a chiedersi il perché del proprio assurdo comportamento, afferrò la mano di Creamy e, concentrandosi, teletrasportò entrambi. -I miei poteri funzionano ancora, per fortuna- pensò. Poi sentì le parole di Creamy: -Adesso riesco a comportarmi come voglio-. Johnny la guardò esterrefatto: -Ehi, Creamy, riesco a sentirti. Sento i tuoi pensieri- -Come facciamo a teletrasportarci, Johnny?- -Sono stato io. Non ho avuto difficoltà- -Sei riuscito a salvarci appena in tempo. Ma dove ricompariremo?- -Non lo so. Ho paura che tornando alla normalità, succederebbe come poco fa. Non riuscivo a controllarmi- -Neanch’io-. Improvvisamente Creamy si sentì sbandare. -Che succede?- chiese, allarmata. –Non riesco a concentrarmi- rispose Johnny: -Mi mancano le forze- -I suoi poteri sono insufficienti- disse Posi: -Che facciamo?- -Johnny,- intervenne Nega: -riesci a dare una direzione al teletrasporto?- -Che.. che significa?- chiese Johnny, molto provato. -Intendo dire se riesci a dirigerti dove vuoi- -Più o meno- -Allora seguimi- disse Nega, trasportandosi a sua volta davanti a Johnny. -Che vuoi fare?- gli chiese Posi. Nega rispose: -Uniamo i nostri poteri, Posi. Johnny dovrà tenere la mano di Creamy e seguirci-. Posi lo raggiunse. -Andiamo- li incitò Nega. Johnny sfruttò la forza che gli era rimasta e assecondò i due gattini. La loro velocità aumentò enormemente. –Nega,- disse Creamy: -stiamo andando verso la porta. Saremo investiti dall’acqua- -Alza la bacchetta, Creamy- le disse Posi: -Ho capito cos’ha in mente Nega. Usa i tuoi poteri-. Si accorsero che qualcosa, forse una figura umana, stava aggredendoli, e si sentirono avvolgere dall’acqua. -In che modo devo usare i miei poteri!- gridò Creamy. -Concentrati- disse Nega: -Ora! Presto!-. Furono avviluppati dall’essere che avevano considerato vagamente umano. Creamy, presa dal panico, gridando, sollevò la bacchetta davanti a sé e chiuse gli occhi. Sentì una grande potenza sprigionarsi dalle sue mani. Con la sinistra strinse fortissimo la bacchetta. Con la destra strinse la mano di Johnny. Per alcuni istanti sembrò cessare tutto, poi i due ragazzi si sentirono cadere. Finirono a terra rovinosamente. -Ma cosa è successo?- pensò Creamy. Guardò Johnny, che si stava faticosamente rialzando vicino a lei. -Come stai, Johnny?- pensò. Ma il ragazzo non rispose. -Johnny?- pensò ancora: -perché….- ma si rese conto che qualcosa non tornava. “Ma perché penso?” disse: “Qui devo parlare” “Come dici?” chiese Johnny. “Ehm.. dicevo.. come stai, Johnny?” “Mi sento stremato” rispose: “Non ho mai….” la sua mano scattò a tapparsi la bocca. “Ma che ti prende?” chiese Creamy, stupita. “Oh, ehm.. niente, non preoccuparti”. Johnny sfoderò il suo collaudato sbrilluccicante sorriso che non quadrupla, e disse: “Sono stanco, ma mi riprenderò velocemente” “Se lo dici tu. Ma che stavi per dire, prima di tapparti la bocca da solo? Non hai mai.…?”. Stava dicendo che non aveva mai usato i suoi poteri concentrandosi così intensamente, e quindi era senza forze. Invece le disse: “Ehm.. non ho mai.. non avrei immaginato che questi poteri fossero tanto affaticanti. Credo di averli esauriti” “Dici?” chiese Creamy: “Eppure la mia bacchetta.. il mio portafortuna, cioè, sembra ancora molto.. ehm.. carico, insomma” “Cosa dicevamo prima?” disse Johnny: “Quando parlavamo del perché abbiamo questi poteri” “Quando ne abbiamo parlato? Oh, beh.. forse ho detto che questo luogo amplifica le capacità extrasensoriali sopite nella mente di ogni essere umano” “Ecco, si, insomma.. quindi, forse hai dei poteri più sviluppati dei miei” “Eh? E perché?” “Hai detto che senti il tuo portafortuna ancora molto carico, e forse è perché, anche normalmente, nella vita di tutti i giorni, cioè, tu hai delle proprietà più sviluppate delle mie, e adesso che si sono.. svegliate, sono fortissime. Magari hai delle capacità superiori alla media” “Eh?” era disorientata: “Ehm.. si, no.. cioè, ci mancherebbe altro.. no, non è così, io sono una ragazza normale, te l’assicuro.. più normale delle altre, persino.. io non ho mai avuto capacità di nessun tipo, assolutamente.. neanche il più piccolo, minuscolo potere, proprio zero.. eh eh” “Ah ah.. se è per questo neanch’io, figuriamoci. Secondo me non esistono neppure queste cose” “Giusto” “Uh.. siamo d’accordo, allora” “Naturalmente”. Si misero a sorridere come Ezio Greggio quando imita Mengacci, che non c’entra niente ma mi andava così, poi sospirarono, pensando entrambi: -L’ho scampata bella-. “Ragazzi” si presero due colpi per uno. “Ragazzi” era Albert. “Eh? Co.. cosa c’è?” “Siete nervosi?” “NO!” risposero. “Beh, possiamo capirli” disse Norma. “Avete liberato nostra figlia Cynthia” “Eh?” fecero in coro Johnny e Creamy. Osservarono bene i fantasmi. Adesso, effettivamente, sembrava loro di scorgere un’altra figura. “Salve, sono io Cynthia” “Ciao,” disse Creamy: “io mi chiamo Creamy” “E io Johnny” “Siete ragazzi giapponesi?” “Si” “E come mai avete dei nomi inglesi?” “E’ una storia lunga” disse Johnny. “Beh, comunque vi ringrazio” “Figurati” disse Nega. “Un gatto che parla?” chiese Cynthia, stupita. “Si, parla,” disse Posi: “ma sempre per farsi bello, eh?” “Che vuoi dire?” si difese Nega: “Non è stata forse mia l’idea che ci ha permesso di liberarla?” “La modestia è il tuo forte, vedo” “Non prendermi in giro” “Comunque, se non fosse stato per Johnny, che ha teletrasportato tutti noi, non avremmo avuto alcuna possibilità” “Davvero, Johnny?” disse Cynthia, piena di ammirazione. Johnny si portò la mano dietro la nuca, sorrise fatalmente, e disse: “Eh eh.. non è stato nulla. Niente di eccezionale. Mi sono accorto di poter pensare liberamente, anche se non riuscivo a controllarmi.. ho solo usato la forza del pensiero” “Sei fantastico” disse Cynthia: “Sei grandioso. Dì, ce l’hai una ragazza?”. Johnny e Creamy si sentirono male. Sua madre le disse: “Cynthia! Ti sembrano cose da dire? Sii rispettosa” “Mamma, gli ho fatto solo una domanda. Non l’ho mica offeso” “E se lo avessi offeso, invece?” insistette Norma. “Non si preoccupi” disse Johnny a Norma: “Non è successo niente” “Se lo dici tu” disse Norma. “Bene. Chiarito tutto” tagliò corto Cynthia, e poi, di nuovo: “Ma ce l’hai una ragazza? E’ lei?” e indicò Creamy. Johnny e Creamy caddero a terra fulminati. “Lasciamo perdere, che è meglio” disse Creamy, rialzandosi. “Già” concordò Albert: “Piuttosto, guardate la porta”. Si voltarono tutti, compreso Sandro. Ovviamente, guardarono per prima cosa i numeri sopra il portale, che adesso erano due e ventuno. “Cosa ci aspetta?” chiese Norma. “Niente di buono” rispose Albert, e spiegò: “Il due rappresenta l’aria, il ventuno, la ventunesima lettera, e quindi il pensiero”. Sul ventuno apparve una croce. “E ora?” chiesero Posi e Nega, in coro. Creamy e Johnny si voltarono l’una verso l’altro. Si guardarono per alcuni intensi istanti negli occhi, poi Johnny disse: “Gu?” Creamy gli rispose: “Ga!”. Si misero in ginocchio, e cominciarono a giocare. “Che succede?” chiese Cynthia. “Sono rimbecilliti” disse Albert. “Ehi!” esclamò Nega: “Sono amici miei. E ti hanno pure aiutato. Come ti permetti di offenderli?” “Non voglio offenderli. Sono rimbecilliti davvero” “E insisti anche!” poi si rivolse a Posi, e le disse: “Ma lo senti questo?” “Ti dai arie da sapientone,” gli disse Posi: “ma non capisci niente” “Ma come!” Nega era indignato: “Lo difendi?” “Ascoltalo, invece di blaterare” disse Posi. “Giusto, Nega, calmati” disse Albert: “Lascia che ti spieghi” “Va bene” acconsentì Nega: “Spiegami, allora”. Albert disse: “Adesso Johnny e Creamy non possono pensare. Quindi sono proprio, letteralmente rimbambiti. Guardali, vedi come si comportano?”. Creamy stava sbattendo la bacchetta per terra, e ad ogni colpo diceva: “Gup! Gup!”. Johnny la guardava tutto contento e batteva a sua volta le mani sul pavimento. Ad un certo momento la bacchetta, battendo per terra, sgusciò dalle mani di Creamy e schizzò sulla fronte di Johnny, che assunse una espressione ignobile tipo ‘che belle gambe grazie alcuni sono nati con belle gambe altri devono faticare per averle io ho scoperto Tigh Master*’ e svenne. Creamy si gettò a terra sganasciandosi dalle risate. “Sembrano bambini” disse Posi. Poi ci pensò bene e aggiunse: “Pure un po’ scemi”. Johnny e Creamy vennero sollevati da terra. “Che succede?” chiese Cynthia. “E’ l’aria” rispose sua madre allarmata: “L’aria li solleva da terra” “E non possono reagire” disse Albert: “Non in queste condizioni” “Su di noi non ha effetto?” chiese Nega. “Pare di no” rispose Albert. “Forse perché non siamo esseri umani” ipotizzò Posi. “Forse” le concesse Albert. Creamy e Johnny si stavano divertendo un mondo, trasportati dalle correnti d’aria che li facevano volare. “Beh, almeno per loro non è un problema” commentò Cynthia. “Già,” disse Norma: “si divertono molto” “Finché non verranno sbattuti contro qualche parete” disse Albert. “Cosa facciamo per tirarli giù?” chiese Norma. “Dovremmo sconfiggere il fantasma che comanda il secondo elemento, ed inglobarlo dentro di noi” disse Albert. “Cosa dobbiamo fare?” chiese Posi. “Probabilmente è in prossimità della porta” disse Norma: “Come era Cynthia” “Dobbiamo dirigerci verso la porta, allora?” chiese Nega. La potenza del vento aumentò, e stavolta investì anche i due gattini. “Ha sollevato anche loro” disse Norma. “Ma non avevamo detto che aveva effetto solo su Johnny e Creamy, perché sono esseri umani?” disse Cynthia. “Non è così, evidentemente” disse Albert. “E allora noi….?” chiese Cynthia. “Noi non siamo realmente esistenti” spiegò Albert: “Siamo apparizioni, senza consistenza fisica. Non possiamo essere trasportati dall’aria”. Johnny e Creamy roteavano velocemente, e le loro espressioni stavano mutando. Adesso sembravano infastiditi dai loro voli. Presto la velocità sarebbe stata eccessiva, e loro si sarebbero realmente spaventati. “Dovrebbero usare i loro poteri” disse Norma: “Come prima” “Prima non riuscivano a controllare i propri corpi, né le loro emozioni, ma potevano pensare. Adesso la loro mente è vuota, come se fossero bambini piccoli. E, quel che è peggio, non hanno la possibilità di apprendere niente, perché le loro teste sono e resteranno inutilizzabili” “Gatti!” chiamò Norma: “Ehi, gattini, mi sentite?” “Si” urlò Posi: “ma non abbiamo possibilità di sostenere una conversazione molto brillante” “Cercate di far usare i poteri ai ragazzi” “Non credo che sia possibile” obiettò Albert. “Beh, ma è l’unica soluzione” ribatté Norma. “Forse non è l’unica” disse Albert, mentre gli si illuminavano gli occhi di una folgorante idea. “A cosa pensi?” “Potremmo cercare di capire dov’è il fantasma che comanda l’aria ed assorbirlo in noi, come ho fatto con te per liberarti, Norma” “L’avevi già proposto prima. Se è un sistema tanto geniale, perché non l’abbiamo usato anche per Cynthia?” “Quando ti ho liberato,” disse Albert: “è stato facile individuarti. Eri una saetta di fuoco ed io mi sono diretto verso di te. Cynthia invece era invisibile, e i ragazzi l’hanno liberata grazie all’ aiuto dei loro poteri” “Quindi ora come faremo a rintracciare il fantasma?” chiese Cynthia. “Con la loro bacchetta” disse Albert, indicando Creamy e Johnny. “E cioè?” chiesero in coro Norma e Cynthia. “Useremo i loro poteri, attraverso quel portafortuna” disse Albert. “E’ una buona idea” disse Norma: “Ma come faremo a farlo funzionare?” “Ce lo spiegheranno Posi e Nega” disse Albert. I due gattini, intanto, si erano teletrasportati fino alla bacchetta di Creamy. La loro intenzione era di portarla tra le mani della ragazza, e spingerla ad usarla. Ma Albert li chiamò: “Portatela a noi. Cercheremo di farla funzionare”. Posi e Nega si trasportarono a terra, verso i fantasmi. “Non è un giocattolo” disse Nega: “Non va fatta di nuovo funzionare, perché non è rotta. Bisogna riuscire a far scaturire il suo potere” “Ci proveremo noi” disse Norma. “Non so se ci riuscirete” disse Nega: “Qui non si tratta di trovare il modo di accenderla. Mi sembra di ricordare, poi, che potesse funzionare solo con Creamy” “Ma come,” disse Albert: “non ne sei sicuro?” “Non è colpa mia” si difese Nega: “E’ Sandro che non se ne ricorda. Lui è l’autore, e non sa se farla usare a voi o sforzarsi di far tornare normali i ragazzi” “Digli che ce la dia, la faccia funzionare e la pianti di farci passare tutti questi guai” disse Albert. “Ma lui proprio non si ricorda se la bacchetta funziona solo in mano a Creamy o anche con altre persone, e non vuole inventarsi le regole così, sul momento, altrimenti poi chi li sente la Takada e Matsumoto? Izumi è già nervoso perché Sandro non ha dato ai suoi personaggi i nomi originali**” “Vabbè,” disse Albert: “digli a Sandro che si inventi un complicato rituale che permetta anche a noi di usare la bacchetta” “Ma se è complicato come faremo a compierlo?” chiese Norma. “Semplice” disse Albert: “Sandro ce lo fa scoprire in mezzo minuto, noi lo usiamo, salviamo gli altri e ce ne andiamo tutti quanti a mangiare la pizza” “Credo che non sia d’accordo” disse Posi. “E perché?” chiese Albert. “Perché sarebbe una soluzione ridicola” “Già,” fece Albert: “fin qui è stata una storia molto seria, infatti” “Beh, da ora in avanti lo sarà!” esclamò Sandro, ma non gli credé nessuno***

* «…. io ho scoperto Tigh Master». Oh Signore, in quel momento la tele passava la pubblicità del Tigh Master…. 

** «…. ai suoi personaggi i nomi originali». Vabeh, ma passarono alcuni anni prima che in Italia si scoprisse che “E’ quasi magia Johnny” era stato censurato e modificato. Io ormai ero più affezionato ai nomi italiani. 

*** «…. non gli credé nessuno». Mi vergogno profondamente….


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“Portiamola a Creamy” disse Nega: “Dovremo riuscire a farle usare la sua forza mentale per liberare il potere della bacchetta” “Ma se non capisce niente” disse Posi. “Potremmo insegnarle come usarla” disse Norma. “E come?” chiese Nega. “I bambini imparano dagli adulti” spiegò Norma: “Se trovassimo il modo di farle vedere come funziona la bacchetta….” “Non può funzionare” intervenne Albert: “Johnny e Creamy sono come bambini completamente idioti. I bambini normali, anche se non riflettono su ciò che fanno, imitano gli adulti per naturale curiosità. Loro non possono imparare niente, neanche davanti a degli esempi pratici. Non possono accumulare esperienza” “E allora,” insistette Norma: “metteremo la bacchetta nelle loro mani e li indurremo ad.. accenderla, attivarla….” “E come?” “Provocheremo in loro sensazioni, emozioni forti.. alla fine, qualcosa nel loro comportamento farà funzionare questo aggeggio” “E’ una soluzione azzardata. E’ molto improbabile che funzioni” “Già, ma è l’unica possibilità che abbiamo”. Accordatisi, decisero di seguire l’idea di Norma. Johnny e Creamy adesso roteavano a enorme velocità, senza il minimo controllo, e stavano piangendo. Posi e Nega si portarono vicino alla ragazza, le restituirono la bacchetta. Il vento fece sbattere tra di loro Johnny e Creamy, che vennero proiettati sulle pareti, per poi tornare uno vicino all’altra. Istintivamente, si presero per mano e si abbracciarono. Creamy stringeva ancora in mano la bacchetta. Posi e Nega, che stavano sempre vicino a loro, erano indecisi sul da farsi. “Mi sembra che siano in preda di emozioni anche troppo forti” disse Nega. D’un tratto il vento cessò. I due ragazzi precipitarono. “Oh, no! Che facciamo?” chiese Posi: “Non abbiamo abbastanza potere per trasportarli a terra senza danni”. Mentre cadevano, Johnny avvolse la testa di Creamy tra le sue braccia, e la spinse in su. In questo modo gran parte dell’impatto fu assorbito dal suo corpo, che si trovava sotto quello della ragazza. Johnny rimase a terra dolorante. Creamy, che era praticamente atterrata su di lui, e quindi sul morbido, si mise a sedere. Era rintronata. Posi raccolse la bacchetta di Creamy, e la porse alla ragazza. Lei la guardò stralunata, senza capire. Posi si rivolse a Nega, e gli chiese: “Come sta?”. Il gattino stava cercando di aiutare Johnny, che aveva cominciato a sanguinare da una ferita sulla fronte. “Non capisco come sta” rispose: “E’ vivo, ma forse.. non so cosa fare”. Posi parlò a Creamy: “Johnny ti ha salvato a rischio della sua stessa vita..” “E con questa sono due” disse Albert. “Due che?” chiese Cynthia. “Due volte che Johnny salva Creamy da una situazione critica” “Dobbiamo aiutarlo” disse Norma: “Potrebbe morire”. Posi aprì le dita della mano di Creamy, appoggiò la bacchetta sul palmo, e le richiuse le dita sul manico. La ragazza aprì la mano e la bacchetta ricadde. “Non capisce” disse Nega: “Eppure Johnny l’ha difesa con il suo corpo mentre cadevano. Significa che non sono del tutto ignari di ciò che succede loro intorno” “Forse la posizione che Johnny ha assunto è solo un caso” ipotizzò Albert: “Mentre cadevano, lui ha operato involontariamente quei movimenti, e si è preso il colpo” “Però ci è rimasto in quella posizione” disse Cynthia. “Forse la caduta è finita prima che lui avesse il tempo di spostarsi” “Oh, basta!” esclamò Norma, spazientita: “Volontario o meno, è stato un gesto eroico. E adesso aiutiamolo, in qualche modo”. Con stupore di tutti, in quel momento Johnny mormorò qualcosa e cominciò ad agitarsi per tirarsi su. Posi diede di nuovo la bacchetta a Creamy e le disse: “Aiutalo, per favore. Ritorna in te. Forse la tua magia può eliminare le sue ferite. Ti prego Creamy….”. Il vento cominciò a soffiare di nuovo. Nega si affiancò a Posi nel tentativo di far rinsavire Creamy. “Non puoi abbandonarlo così” disse: “Lui ti ha aiutato. Ha fatto tutto per te. Ha reagito alla mancanza di dominazione e di pensiero, e ti ha salvato esponendo sé stesso. Sta tornando il vento, reagisci! Accidenti! Aiutalo tu, adesso, in nome dell’affetto, dell’amicizia, o del rispetto che hai nei suoi confronti!”. Creamy rimase interdetta. Con espressione stupita, guardò i due gattini senza capire. Poi accennò un sorriso divertito. “MALEDIZIONE!” sbraitò Nega, infuriato: “Siamo fritti! Non capisce un cavolo!”. Johnny si era puntellato a terra con l’avambraccio destro per alzarsi, e con il braccio sinistro cercava qualcosa a cui aggrapparsi. Trovò la mano di Creamy, quella che stringeva la bacchetta. La mano del ragazzo si chiuse su quella di Creamy, e lei si voltò verso Johnny. I loro sguardi si incontrarono, e ognuno si trovò immerso negli occhi dell’altro. Il vento adesso era tanto forte che li sollevò di nuovo, ma loro non se ne curarono. Continuavano a fissarsi, ipnotizzati. Johnny alzò la mano destra, e Creamy la sinistra. Le aprirono e stesero le dita, come quando si indica il numero cinque. Poi, con estrema delicatezza, unirono i polpastrelli. Ognuno, perso nei sentimenti dell’altro, provava sensazioni indescrivibili, sospese nel limbo spirituale in cui le loro coscienze erano una cosa sola, e costituivano una unione di incomparabile potenza. Dall’unione delle loro mani, sfolgorante manifestazione dell’indissolubile legame dei loro spiriti, nacque un bagliore di estrema intensità, che sembrò avvolgere i loro corpi. Come era accaduto quando avevano liberato Albert, Creamy credette nuovamente di aver capito. Quella che era stata la sua mente, e adesso era una parte della fusione dei loro spiriti, pensò che nulla poteva essere più banalmente semplice. La mente di Johnny, nello stesso momento, ebbe la medesima rivelazione. Era una luce speciale, la luce generata dall’affetto che provavano l’uno per l’altra, ed era l’unica cosa che poteva sconfiggere il potere nemico. Non c’era niente di più logico. Le tenebre che dominavano quel luogo non potevano che essere sconfitte dalla luce. Non da quella generata dalla paura, dall’incomprensione o dal disorientamento. Quando Toshio si era trovato solo, il suo timore si era manifestato attraverso lo scatenarsi del buio splendente, della luce oscura, e ne era stato sopraffatto. Johnny e Creamy, grazie ai loro sentimenti positivi avevano sempre creato luce benefica, e solo per questo, usando la bacchetta come catalizzatore, avevano potuto liberare le anime dei fantasmi. Nei pochi istanti in cui il bagliore azzurro era nato dalle loro mani a quando era esploso in un’onda accecante, Johnny e Creamy avevano intuito la verità, e avevano scoperto di volersi bene. “Che succede?” aveva chiesto Norma quando la luce aveva cominciato a comparire dalle mani dei due ragazzi. Non poté ottenere risposta. Subito la tenue scintilla si espanse in una luminescenza improvvisa ed abbagliante, come un’esplosione. Cynthia gridò. Tutti chiusero gli occhi. Il bagliore avvolse ogni cosa, poi, dopo alcuni istanti, si smorzò. Diminuì d’intensità, fino a tornare un piccolo lumicino, che si dileguò. Fu come staccare la spina di un riflettore di uno stadio di calcio. Tipo Marsiglia-Milan, tanto per intenderci*. E vergogna eterna si abbatta sui rossoneri e noi che li tifiamo. Capito Marco**? Albert, Norma e Cynthia sentirono un’altra anima unirsi alle loro. “Albert Jr” disse Albert. “Ciao papà” rispose una voce squillante e allegra, da ragazzino di dodici anni. “Oh, tesoro, come va?” chiese Norma. “Benissimo, mamma. Sono felice di vedervi, e di essere di nuovo libero. Voglio bene a tutti, anche a te, Cynthia” “Non ti sforzare troppo” rispose lei: “Anch’io ti voglio bene, ma non esagerare con le smancerie” “Smancerie?” disse Jr: “Verso di te? Ma chi ti credi di essere? Ti voglio bene perché sei mia sorella, ma se non fosse per questo….” “Mamma!” esclamò Cynthia: “Ma lo senti?” “Finitela, per favore” disse Norma: “Sta cominciando a farmi male la testa che non ho più”. Posi e Nega stavano ridendo beatamente. Creamy e Johnny sorridevano, felici di aver salvato un altro componente della famiglia. Si tenevano per mano. “E’ andato tutto bene, vero?” chiese Johnny. “Certo” rispose Albert: “Grazie a voi, naturalmente”. Cynthia intervenne bruscamente: “Ehi, Johnny, ma allora Creamy è davvero la tua ragazza!” “Eh? Ma.. come?” disse Johnny, disorientato. “Perché vi tenete per mano?” chiese Cynthia. Johnny e Creamy si guardarono, guardarono le proprie mani e, come se avessero preso la scossa, le ritrassero. “Oh, ehm….” balbettò Johnny: “sono un.. impertinente.. non l’ho fatto apposta.. eh eh..”. Trassero un sospiro di sollievo, che manco con la Halls, e si ritrovarono a pensare l’uno a Sabrina e l’altra a Toshio. Entrambi si erano resi conto dei sentimenti che c’erano fra di loro, ma non potevano manifestarli, neanche con sé stessi. Erano confusi. Non riuscivano a capire pienamente i propri desideri. Albert disse: “Ragazzi, credo che adesso ci aspetti l’ultimo numero”. Tutti si voltarono verso la porta, ansiosi di vedere quali numeri, questa volta, sarebbero comparsi sopra di essa. Ma, nonostante l’attesa di conoscere il nemico, Johnny e Creamy non potevano fare a meno di pensare ai propri sentimenti, e, sempre più intensamente, a Sabrina e Toshio. 

* «Tipo Marsiglia-Milan, tanto per intenderci». Si, vabeh, ormai il calcio mi disgusta, però, cavolo, il Milan fece una figura veramente pessima in quell’occasione.

** «Capito Marco?». Amico mio anche lui superappassionato (ai tempi) di Orange Road. Anzi, in realtà fu proprio lui a farmi guardare per primo questo cartone.

       
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In quel momento, Toshio e Sabrina non stavano affatto pensando ai loro amici. In verità non stavano riflettendo su niente in particolare. Erano troppo indaffarati a salvare la pelle. Toshio aveva in mano l’elsa di una spada, della cui lama erano rimasti solo pochi frammenti, e cercava di difendersi da qualcosa. Sabrina correva verso di lui, tendendo le mani per afferrare l’impugnatura della spada che Toshio stringeva. 
Nel momento in cui si erano fatti avanti per oltrepassare la porta, Sabrina aveva mollato un assurdo papagno a Toshio. “Ma che fai?!” aveva esclamato il ragazzo, ma si era impietrito nel vedere il volto di Sabrina. Aveva l’espressione omicida di prima. “Oh, cavolo! Ancora! Sabrina, Sabrina, sono io, cerca di riconoscermi”. La ragazza lo aggredì. Lo scaraventò a terra e gli fu sopra. Le sue unghie divennero artigli, i suoi denti zanne. Toshio era inerme. Sabrina alzò il braccio, pronta a calare la mano per dilaniarlo. Ma ebbe un’esitazione. “Che.. che succede?” chiese Toshio. Ma non aspettò la risposta. Diede uno spintone a Sabrina, e si rialzò. “Sabrina” chiamò: “Ti è capitato ancora?” “Cosa?” chiese Sabrina. “Sei tornata di nuovo normale?” “Di cosa parli? Che mi è successo? Perché ho cercato di colpirti?”. Toshio provò a darle una spiegazione: “Anche prima.. ricordi quando abbiamo visto la porta? Io ti ho detto che quando mi sono svegliato la prima volta tu non eri incatenata” “Allora?” “Eri libera, ma io no. Mi sono svegliato con quei braccialetti ai polsi, dopo che eravate scomparsi tu, Creamy e Johnny. Ho visto che, sul cornicione, ad una certa distanza da me, c’eri anche tu, svenuta. Ti ho chiamato, ma quando ti sei svegliata è successo.. come adesso, ti sei trasformata in una specie di.. mostro.. ma prima di aggredirmi, sei caduta, priva di sensi” “So cos’è successo,” disse Sabrina: “anche poco fa. Mi sono fermata prima di farti del male, per mia volontà. C’è qualcosa che mi spinge ad uccidere. C’è qualcosa che si è impadronito della mia anima, ed io.. io sono tutt’uno con essa” “No, tu puoi liberarti. Non mi hai fatto del male perché sei padrona delle tue azioni. Hai ancora la tua forza di volontà” “Già, posso controllare le mie azioni. Se lo voglio.. e io lo desidero.. o no?”. Sabrina si era messa a riflettere sulla sua situazione: -Perché devo contrastarlo? Posso assecondarlo, invece. Trasformandomi, acquisisco poteri eccezionali. Divento….- i suoi occhi lampeggiarono di un bagliore malefico. Si voltò verso Toshio, e disse: “…. divento potente”. Toshio non fu sorpreso delle parole di Sabrina. Se le aspettava, invece, e fu rammaricato non dal comportamento irresponsabile ed egoistico della ragazza, ma dal non possedere dei poteri superiori a quelli della sua amica, che gli permettessero di avere facile dominio su ciò che desiderava. “Ho potere” disse Sabrina: “anche su di te. Sarai la mia prima vittima”. La sua metamorfosi iniziò nuovamente. Toshio si guardò intorno, alla ricerca di un’arma. E la trovò. Una spada piantata nella parete. “La spada nella roccia” disse Toshio: “Niente di meglio. Mi dispiace, Sabrina, ma non voglio fare la vittima”. Si diresse verso la parete. “Non puoi farcela. Raggiungi pure la tua arma. Renderai più interessante il nostro scontro”. Toshio afferrò l’elsa e tirò a sé con forza, ma cadde all’indietro per effetto della sua stessa spinta, perché la spada si estrasse con estrema facilità. “E adesso,” disse Toshio rialzandosi: “vediamo cosa puoi fare contro que….” le parole gli si mozzarono in gola. La lama non c’era. Ciò che aveva in mano era solo l’impugnatura di una spada, con annesso solo qualche frammento di lama, arrugginito e corroso dal tempo. “Cosa posso fare contro quella? E’ questo che volevi dire? Ah ah ah! Ora ti faccio vedere”. Balzò verso di lui. Toshio alzò istintivamente la sua improvvisata arma davanti a sé. Sabrina frantumò definitivamente i pochi rimasugli di quella lama, con un solo colpo. A Toshio rimase in mano soltanto il manico. Sabrina si preparò ad attaccare di nuovo, per finire il suo avversario. Toshio, continuando a farsi scudo con quell’inutile residuo bellico, si guardava intorno alla ricerca di qualche altra cosa per difendersi. “Ancora non ti rendi conto di essere completamente inerme?” lo schernì Sabrina: “Sei cocciuto, sai? Secondo te, cos’è che ti fa desiderare tanto di sopravvivere?”. Toshio rimase stupito. Non capiva cosa aveva a che fare quella domanda con la loro situazione. Pensò: -Cos’è che mi fa desiderare di sopravvivere? Ma che cavolo me ne importa? Vuole fare conversazione?-. “Non ne ho idea” rispose, comunque. “Ma come?” insistette la ragazza: “Prova a lavorare di immaginazione” -Volentieri,- pensò Toshio: -se serve a prendere tempo-. “Mah,” disse: “sforzando l’immaginazione, credo di non aver voglia di morire, per questo ti combatto” “Il tuo è puro istinto di conservazione” -Parla, parla,- pensava Toshio: -mentre studio il modo di renderti inoffensiva-. Disse: “Istinto di conservazione, vero? E che c’è di male? E’ naturale cercare di sopravvivere, non pensi?” “E sei disposto ad uccidere Sabrina, per non morire?” “Ma non sei tu, Sabrina?” “Oh, il corpo è quello della tua amica, certo. Ma lo spirito non è più il suo” “Prima diceva di essere posseduta” “E lo è. E’ una ragazza molto forte, e per un po’ è riuscita a dominarmi. Ma poi non ha più desiderato contrastarmi. Non ho detto che non è più riuscita a contrastarmi. Ho detto che non ha più desiderato farlo. E tu non te ne sei sorpreso. Adesso rispondi: saresti disposto ad uccidere Sabrina, per salvarti?” “Certo,” rispose lui: “ci mancherebbe” “Guarda la porta, Toshio”. Il ragazzo lanciò un’occhiata nella direzione del portale. “Guarda i numeri sopra di essa. Sono uno e sette. Sai cosa significa?” “Confesso la mia ignoranza”. Toshio non era affatto interessato alle parole della ragazza. Era ancora voltato verso la porta, ma con la coda dell’occhio osservava Sabrina, o che cavolo era, per cercare un punto vulnerabile e la migliore tattica di lotta. Comunque la ascoltava, per non farsi trovare impreparato ad eventuali domande. “Significa” spiegò Sabrina: “che adesso le vostre azioni sono condizionate dai numeri. Il numero uno indica lo pneuma, o spirito divino. Il numero sette indica la lettera G, che rappresenta la ricchezza” -Ma che cavolo dice?- pensò Toshio. Ma disse: “Non credo di capire ancora alla perfezione” “E’ naturale” disse lei. Poi, con tono sprezzante, aggiunse: “Sei solo un infimo essere umano. Lo pneuma è ciò che stai combattendo, cioè me. Io sono lo pneuma, o almeno una parte di esso”. Sabrina continuò la sua spiegazione: “Sul numero sette c’è una croce, una x. Quindi il numero sette è sbarrato. Quindi la ricchezza è sbarrata. Perciò tu e Sabrina, senza neanche rendervene conto, vi comportate in modo così egoista. La ricchezza interiore, quella che rende lo spirito generoso ed altruista, è scomparsa in voi. Questo è il potere che il castello esercita sugli esseri umani. Senza i sentimenti positivi, non avete alcuna speranza di sconfiggermi. Capisci ora perché dovresti arrenderti? Evita di lottare, e lasciati uccidere. La morte è la fine che ti aspetta, in ogni caso”. Toshio ebbe uno scatto improvviso, e sembrava ad un tratto felice. Aveva trovato una scappatoia. “Senti, neupa.. pauma.. ehm, neupma.. ascolta.. lascia Sabrina,” disse: “prendi me. Dona a me quegli incredibili poteri” “Stava per succedere” disse lo spirito: “Quando mi sono reso conto che la ragazza era difficile da controllare, ho cercato di prendere te. Ma poco prima che tu cedessi, il dolore ti ha risvegliato. Ormai Sabrina è in mio potere, non ho bisogno di te” “Aspetta” incalzò Toshio: “Cosa ti frega di quale corpo possiedi? Entra nel mio spirito, non ti contrasterò. Inoltre avrai un fisico più allenato, muscoloso, resistente, di cui potrai usufruire a tuo piacimento. Io sono un maschio, dopotutto” “A parte il fatto che ogni corpo da me posseduto acquista capacità superiori, che sono uguali per tutti, indipendentemente dalla forza che hanno gli umani che domino. Potrei entrare in Don Lurio o in Schwarzenegger, e non ci sarebbe alcuna differenza. Comunque, se vogliamo mettere i puntini sulle i, non mi sembra proprio che tu sia più allenato o più robusto di Sabrina, anzi….” -Ma cosa fa questo?- pensò Toshio: -Mi prende in giro?-. “E’ vero,” disse poi: “non sono affatto più forte di lei, però prendi me. Tanto per te non c’è la minima differenza. Solo perché te lo chiedo. Cosa ti costa?”. Per tutta risposta, lo spirito-Sabrina lo attaccò di nuovo. Toshio era preparato a quell’evenienza. Scartò bruscamente sulla sinistra, evitandolo. Poi gli scagliò contro l’elsa della spada, e si gettò sui frammenti della lama. Sabrina afferrò a sua volta l’impugnatura dell’arma. Toshio raccolse il coccio più appuntito e minaccioso, lo strinse tra indice e medio della mano destra. Lo spirito-Sabrina si preparò a colpirlo. “Come speri di usarla?” disse Toshio: “Puoi al massimo lanciarmela addosso” “Credi davvero?”. Dall’elsa della spada scaturì una luminescenza inquietante, che assunse l’aspetto di una lama. “Non è possibile!” esclamò Toshio. Per dimostrare al ragazzo la sua potenza, la Sabrina spiritata vibrò un colpo al pavimento, che si divise in due. Dal punto trapassato dalla lama partì un solco che avanzò nella roccia spaccandola in due. Era come vedere la galleria di una talpa che aveva messo il turbo. “Come fai ad usarla?” chiese Toshio, sbalordito. “Perché vuoi saperlo? Speri di togliermela e usarla contro di me?” “Nooo, ma cosa vai a pensare, bricconcella? E’ pura curiosità” “Capisco. Comunque è molto facile riuscire ad utilizzarla. Bisogna alimentarla con la propria energia interiore. La forza delle emozioni diventa potere, che viene materializzato come una lama tagliente” “Ne so abbastanza” disse Toshio. Si fece avanti, cogliendola di sorpresa. Le lanciò il frammento che aveva in mano, come un frisbee. Sabrina lo evitò per un soffio. Toshio, con una rapidità insospettabile, le sferrò un calcio sulla mano, che le fece saltar via l’impugnatura. La ragazza si infuriò. L’effetto dei numeri che gli avevano tolto ogni traccia di bontà, in quel momento fu molto utile al ragazzo. Senza il minimo scrupolo, senza preoccuparsi di fare del male al corpo della sua amica, Toshio le sferrò un pugno, che la fece indietreggiare di alcuni passi. Poi afferrò l’elsa caduta a terra. Il suo pugno ottenne solo l’effetto di rendere mostruosa la già acuta ira dello spirito. La sua espressione, adesso, era di odio animalesco. Quando la vide in volto, Toshio si fece prendere dal panico. “Non.. non vincerai.. ho la spada, adesso” balbettò Toshio. Lei sorrise, diabolicamente. “Guardami” disse una voce dietro di lui. Toshio ebbe un sobbalzo. Si voltò, repentinamente, tendendo l’elsa davanti a sé. Rimase impietrito. Nel buio di fronte a lui si stagliavano i lineamenti di un volto umano. Dei visi fluttuanti comparvero intorno a lui, tutti identici. “Io sono lo pneuma” dissero i volti: “Non puoi nulla contro di me”. Toshio si guardò intorno, tremante. Parlavano tutti, Sabrina compresa, e avevano una sola voce. Il ragazzo era impotente. “Non puoi usare la spada. Bisogna essere concentrati. Ma se l’energia che scaturisce dalla spada deriva da emozioni negative, è totalmente inutile contro di me. Mi dà forza, anzi. E tu non puoi tramutare in potere i tuoi sentimenti benefici, perché non ne hai”. Vistosi perduto, Toshio, preso dal panico, cominciò ad agitare davanti a sé l’inutile rimasuglio di una pur gloriosa arma. Sabrina si diresse verso di lui, tendendo le braccia per strappargli la spada. In quel momento qualcuno chiamò: “Ragazzi!”. Si voltarono entrambi verso la porta. E lì, sulla soglia, videro Johnny e Creamy, sbigottiti. Quando videro la mutazione di Sabrina, i due ragazzi gridarono di sorpresa. Norma disse: “Lì c’è nostro figlio” “Che significa?” chiese Creamy. “Perché Sabrina è diventata un mostro?” chiese a sua volta Johnny. “Dobbiamo liberarli” disse Albert. Poi gridò: “Johnny, Creamy, usate il vostro potere. Ma dovete affrettarvi. Andiamo!”. Si lanciò su Toshio e Sabrina. Il ragazzo non aveva ancora capito cosa stava succedendo. Sabrina gridò. I fantasmi furono loro addosso, e li avvolsero. Johnny e Creamy si guardarono per un istante. Bastò per capire che si erano intesi. Si diedero la mano e si concentrarono. Immediatamente, con i loro spiriti, volarono in quella dimensione onirica in cui erano protetti da ogni cosa. Era un limbo creato dal loro amore, e niente di malvagio poteva scalfirlo. Improvvisamente, però, qualcosa invase la loro coscienza. Creamy e Johnny tornarono in sé, di colpo. Ad ognuno di loro, in quel momento, sembrò che la mano dell’altro scottasse. Si divisero, gridando di dolore. “Cosa mi hai fatto?” chiese Creamy. “Tu, piuttosto, cosa hai fatto a me” disse Johnny: “Mi hai bruciato la mano, accidenti a te!” “Ehi, pezzo d’imbecille! Gli accidenti, se ti va, li mandi a quelle sceme delle tue sorelle” “Ma che vi è preso!?” esclamò Posi, completamente sbalordita. “Ma stai zitta, gattaccio!” “Non capisci niente” disse Creamy: “Le hai detto di stare zitta, e l’hai chiamata gattaccio, invece di gattaccia” “Fatti gli affari tuoi. La chiamo come mi pare” “Devono essere rimbambiti un’altra volta” ipotizzò Nega. “Rimbambito lo dici a tuo nonno!!” lo attaccarono Creamy e Johnny. All’interno della stanza, Albert, con i componenti della sua famiglia, stava strappando il piccolo James al potere dello spirito divino. I volti sparirono. I fantasmi si ritrassero da Toshio e Sabrina, e stavolta emanavano un potere visibilmente superiore, perché la loro famiglia era interamente riunita. Sabrina e Toshio si osservarono stupiti. “Ti.. ti ho aggredito di nuovo?” chiese Sabrina. “Me ne hai parlato. Eri posseduta dallo spirito, e mi hai spiegato il perché del nostro comportamento. Me lo ha spiegato lo sne.. il neupa..”; Sabrina gli sorrise, e gli disse, gentilmente: “Credo fosse lo pneuma” “Oh, beh, è vero. Son un po’ ignorante, quando si tratta di paroloni” ammise Toshio. Si misero a ridere. “Possiamo partecipare anche noi?” disse Johnny. Sabrina e Toshio videro i loro amici. Si abbracciarono reciprocamente. “Dove eravate finiti?” chiese Toshio. “Dovremmo chiedervelo noi” rispose Johnny. “La bella compagnia è finalmente riunita” disse Albert Jr. “Come la nostra famiglia” aggiunse suo padre. “Guardate,” disse Cynthia: “anche il mio fratellino James è con noi, adesso”. Creamy e Johnny furono felici di constatare la completa riunificazione della famiglia. 
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Sabrina e Toshio non avevano ancora compreso a pieno la situazione. Norma disse: “Vedo che i vostri amici ci guardano un po’ sconcertati” “Si, con un certo sconcerto, ne sono certo” disse Jr, e fece una risata. “Come sei imbecille” gli disse Cynthia. “E tu sei una rompiscatole” “Io non ti rompo le scatole. Sei tu che offendi” “Ehi, calma! Io non ho offeso proprio nessuno” “Offendi continuamente il genere umano, con la tua stupidità”; in questa discussione interveniva sovente anche il piccolo James, con applausi e risatine. Si stava divertendo un mondo. E con lui Toshio e Sabrina. “Fatela finita!” gridò Norma: “E presentatevi con decoro a questi nuovi amici” “Questi” disse Johnny: “sono gli spiriti della famiglia Thorthon” “Quelli della storia di Kidokoro?” chiese Toshio. “Si” rispose Creamy. Poi Albert disse: “Io mi chiamo Albert Thorthon. Mia moglie Norma. Mia figlia Cynthia con suo fratello Albert Jr, e il piccolo James” “I vostri amici ci hanno liberato” disse Norma: “Ognuno di noi proteggeva una porta, lungo il passaggio che conduce a questa stanza, che è presieduta dallo pneuma” “Lo pneuma..” disse Sabrina: “io ne ero posseduta” “Lo sappiamo” disse Albert: “Agiva in te tramite il piccolo James. Salvando lui, abbiamo liberato anche te” “Sabrina,” disse Johnny: “prima non sembravi tu. Era a causa di questo spirito?” “Già,” rispose Toshio: “per questo ci stavamo combattendo. Il nostro comportamento assurdo, come mi ha detto Sabrina mentre era trasformata, era causato dai numeri sopra la porta, che mi avrebbero tolto i sentimenti” “Non i sentimenti,” precisò Albert: “solo le emozioni positive” e spiegò loro, come aveva fatto con Creamy e Johnny, il potere dei numeri. “Ecco dunque spiegato anche il motivo del litigio tra me e Johnny” disse Creamy. “Già” disse Albert: “Quando abbiamo liberato Toshio e Sabrina, l’effetto è svanito anche su di voi”. Toshio guardò l’impugnatura della spada, abbandonata a terra. La raccolse e disse: “Questa era l’unica arma che mi avrebbe permesso di sconfiggerlo….” “E lo è ancora” lo interruppe una voce. “Che succede?” chiese Creamy. “E’ la stessa voce di prima!” esclamò Toshio. Lentamente, libranti nell’aria, comparvero i volti di poco prima. “Vi sbaraglierò” disse lo spirito: “E mi impadronirò delle vostre anime”. Senza pensarci due volte, Toshio si concentrò. Dall’elsa della spada che stringeva tra le mani, forgiata dal potere dei sentimenti nobili che adesso albergavano nuovamente in lui, nacque una lama. “Adesso ho la spada!” disse, trionfante: “Sei ancora sicuro di sconfiggerci?” “Povero insetto” commentò lo spirito. I suoi volti, tutti insieme, si atteggiarono al soffio, come se fossero Dei del vento. I loro soffi erano diretti su Toshio. Sempre concentrandosi, il ragazzo alzò la spada davanti a sé. A stento riuscì a non essere travolto dalla forza dello pneuma. Cadde in ginocchio, gemendo. “Ma.. come?” disse: “Ho usato tutte le mie forze” “Sei niente, al mio confronto”. Sabrina, che era accanto a Toshio, istintivamente cercò di afferrare l’impugnatura. Il ragazzo la fermò: “Non farlo. Attaccherà anche te”; Sabrina ebbe un attimo di esitazione, poi mise la sua mano su quella di Toshio e strinse insieme a lui la spada. Si guardarono: “Che attacchi pure” disse la ragazza: “Lo fronteggeremo insieme”. Toshio, come quando la ragazza era saltata senza timore dal cornicione, rimase stupito della determinazione di Sabrina. Poi sorrise. “Grazie” le disse. “Siete patetici” “Informazione molto utile” disse Toshio. I due ragazzi si alzarono in piedi. Issarono la spada in aria, con la punta in su. Dalla lama cominciò a sprigionarsi una enorme energia. Per un istante, sui volti dello spirito sembrò dipingersi un’espressione di stupore e preoccupazione. Toshio e Sabrina, con movimenti perfettamente coordinati, calarono la lama sui lineamenti del volto. Quando fu attraversato dall’arma, il viso, insieme alle sue copie identiche che non erano state materialmente colpite, si dissolse nel nulla. Toshio e Sabrina rimasero a guardare il punto in cui pochi secondi prima lo pneuma librava nell’aria. “Vi ha sottovalutato” disse Cynthia. “Così pare,” disse Toshio: “ma non credevo che sarebbe stato così facile. Prima, da solo, sono riuscito a malapena ad arginare il suo potere. Poi con l’aiuto di Sabrina l’abbiamo addirittura sconfitto. Devi avere una forza eccezionale, Sabrina” “Non so….” disse lei: “ne dubito” “Non è stata la sua forza a distruggerlo” disse Norma: “Da sola non ce l’avrebbe fatta. E’ stato l’amore che vi unisce, che vive nei vostri spiriti, ad annientarlo. La vostra unione, per lui, è stata fatale”. Johnny, Toshio, Sabrina e Creamy, nello stesso istante, pensarono: -AMORE?!-. Toshio e Sabrina si guardarono increduli. -AMORE!?- pensarono nuovamente. Si osservarono fissamente per qualche istante. Poi si allontanarono l’uno dall’altra arrossendo. “No no..” disse Sabrina: “c’è un errore” “Già..” concordò Toshio: “siamo amici. E’ un equivoco”. Creamy e Johnny avevano un’espressione cupa. -Amore?- pensavano. Johnny guardò Toshio con risentimento. Nello stesso modo Creamy osservò Sabrina. A entrambi il vocabolo ‘amore’, riferito ai loro amici, sembrava fuori luogo. Poi si guardarono. Si sentirono imbarazzati, al ricordo dei sentimenti che avevano provato l’uno per l’altra, o avevano creduto di provare. Che diritti potevano accampare su Toshio e Sabrina? Se c’era stato una sorta di tradimento, loro avevano peccato per primi. Rimasero a guardare Sabrina e Toshio, entrambi preda di una forte emozione di rabbia impotente. Sabrina e Toshio, dal canto loro, non si rendevano conto di ciò che accadeva intorno. Evitavano accuratamente di guardarsi, ed erano completamente confusi. Nessuno di loro due aveva preso seriamente in esame il rapporto che li legava. Non riuscivano a capire quali sentimenti provavano effettivamente, e la cosa li disorientava. “Noi siamo liberi” disse Albert: “grazie alla vostra forza” “Aspetta a ringraziarli!” tuonò una voce, squarciando l’aria. Il solo suono di quella voce tolse a tutti ogni coraggio. Sopra di loro comparvero due occhi, atteggiati ad un’espressione indicibilmente furibonda. “E’ QUESTO L’AMORE? IL VOSTRO PIU’ NOBILE SENTIMENTO? Ben misero è il suo potere. State per essere annientati!”. Dai due occhi partirono saette azzurre, che formarono una cupola su Toshio e Sabrina, intrappolandoli. “SIETE IN GABBIA” la voce era trionfante. Sabrina e Toshio, nuovamente, cercarono di scatenare il loro potere attraverso la spada. E ancora i loro sentimenti sembrarono avere il sopravvento. La lama respinse una delle saette, che sferzò l’aria investendo lo pneuma. I due ragazzi si prepararono ad esultare. La loro felicità si tramutò in stupore, allorché si accorsero di non aver arrecato allo spirito il minimo danno. “MI AVETE FATTO IL SOLLETICO!” li informò. Avevano ottenuto solo di farlo infuriare maggiormente. Un turbine di energia li investì. Gridarono, e cercarono di concentrarsi. La potenza dello spirito stava per strappare la spada dalle loro mani. Neppure con la forza della disperazione avrebbero potuto contrastarlo. Stavano per cedere. -Sabrina- pensò Toshio. Lei pensò: -Capisco-. Le loro anime erano unite in un connubio ideale. Potevano sentire i propri pensieri. Prima di cedere definitivamente, stavano per dichiararsi amore, per liberare finalmente i propri sentimenti. D’improvviso, come svegliati da uno scossone, i due ragazzi riacquistarono vigore. “Sento una nuova forza” dissero. “Che succede?” gridò lo pneuma: “Cosa volete, voi due INSETTI?”. Johnny e Creamy, incuranti del pericolo rappresentato dalle folgori che sfrecciavano su Toshio e Sabrina, erano accorsi in loro aiuto. Appena anche loro, concentrandosi, si unirono agli amici, una nuova forza si sprigionò dalla spada. Toshio, resosi conto di ciò che stava succedendo, cercò di incontrare gli occhi di Creamy, per acquisire nuovo coraggio, per risorgere insieme a lei nel fulgore di una nuova energia, apportatrice di incalcolabile forza.
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Nel momento in cui incrociarono i loro sguardi, Johnny e Sabrina da una parte, e Toshio e Creamy dall’altra, un immenso potere nacque dai loro spiriti, attraversò i loro corpi e si sprigionò attraverso la spada. Sfavillante di grandioso splendore, la luce emanata dall’arma, proiezione dei loro sentimenti, si espanse con devastante potenza. La barriera di saette lanciate dallo spirito fu spazzata via. Sabrina e Johnny, libranti nel limbo dei sogni, riscoprirono di amarsi. Persi nel microcosmo del proprio inconscio, seppero con improvvisa certezza che i sentimenti che avevano creduto di provare nei confronti l’uno di Creamy, l’altra di Toshio, non erano neanche lontanamente paragonabili all’amore che li univa in quel momento. Creamy e Toshio, al pari dei loro amici, scoprirono di non aver mai effettivamente provato niente di altrettanto sublime, di altrettanto profondo, come il sentimento che li legava in quegli istanti. Lo pneuma, mentre veniva travolto da quell’incontenibile potenza, che non riusciva nemmeno a comprendere, pose un’ultima domanda: “E’ dunque questa…. la forza……?” poi scomparve per sempre. “Ora capisco” disse Albert, avvolto dalla luce: “questo è il vero potere” e un attimo dopo, assieme ai membri della sua famiglia, si dissolse. Il bagliore, a quel punto, cominciò velocemente ad attenuarsi. Divenne una smorta luminescenza circoscritta attorno alla lama della spada, poi si spense. I ragazzi si guardarono intorno. Poi guardarono le proprie mani. Anche l’impugnatura era scomparsa. “Dove sono i Thorthon?” chiese Sabrina. Johnny e Creamy cominciarono a chiamarli. Non ottennero risposte. “Che siano stati distrutti anche loro?” ipotizzò Toshio. “Dal nostro potere?” disse Creamy: “Non ci posso credere” “Ehi, ma noi dove siamo?” chiese Johnny. “Che significa dove siamo?” chiese Toshio. “Questo non è il castello..” disse Sabrina: “dove ci troviamo?”. Cominciarono a muoversi con cautela, nella penombra, con i nervi a fior di pelle, al pensiero di quale altro pericolo sconosciuto avrebbe potuto attenderli. “Ahi!” esclamò Sabrina. Agli altri prese un colpo. “Che succede?” chiese Johnny, allarmato. “Ho sbattuto da qualche parte” rispose Sabrina. Johnny si diresse verso di lei, senza badare a dove metteva i piedi. Diede un calcio contro qualcosa, che rovinò a terra. “Cosa ho colpito?” si chiese. “Aspettate,” disse Creamy: “restate fermi dove siete”. I suoi amici, anche se non capivano il motivo, rimasero immobili, ascoltando i passi della ragazza che si allontanavano. Dopo qualche secondo Toshio la chiamò: “Creamy?” “Sono qui” rispose lei. “Qui dove?” chiese Johnny, mentre volgeva lo sguardo intorno. “Ehi!” esclamò Sabrina: “Ma c’è della luce” “Dove?” chiesero Toshio e Johnny. Poi sentirono i passi di Sabrina che si allontanavano, nella stessa direzione in cui si erano mossi poco prima quelli di Creamy. “Sabrina? Creamy?” chiamavano. “Siamo qui” rispose Sabrina. “Non vedo un cavolo” borbottò Toshio. “Qui dove?” chiese ancora Johnny. “Seguite le nostre voci” disse loro Creamy. Si voltarono freneticamente a destra e a sinistra, cercando di intravedere qualcosa. Poi si accorsero delle ragazze. “FINALMENTE!” esclamò Toshio. Le sagome di Creamy e Sabrina si stagliavano nitide, messe in risalto da una luce molto fioca, che proveniva da un’altra stanza. Andarono verso di loro. “Attenti” si raccomandarono le due ragazze: “E’ pieno di oggetti sparsi sul pavimento”. Ora, come tutti ben sappiamo, Johnny e Toshio sono due ragazzi saggi e consci delle proprie azioni. Infatti dopo due passi si scontrarono, sbandarono all’indietro, a scivolarono stramazzando a terra. “Chi è quello scemo che mi ha spinto?” disse Toshio, dolorante. “Questa battuta è vecchia*” disse il regista. “Chi ha parlato?” chiese Toshio. “Non lo so,” rispose Johnny: “Non capisco più niente” “Neanch’io” disse Toshio, e svennero. Sabrina e Creamy, sospirando, dissero: “Come volevasi dimostrare”. 
La luce che aveva attratto i ragazzi entrava dalla finestra da cui Renato, quello stesso giorno, aveva strappato il panno che impediva ai raggi del sole di illuminare l’interno della casa. Tolsero quelle improvvisate tende da ogni finestra, e rimasero a guardare il panorama illuminato dalla luna. La evanescente luce lunare, insieme all’incontrastato silenzio, rendeva di quel paesaggio un’immagine irreale, sospesa nell’oscurità, suggestiva opera d’arte che contornava la collina. Sulla cima della collina non sorgeva niente più di una vecchia costruzione in legno, talmente diroccata da rendere miracoloso il fatto che si reggesse ancora in piedi. “I fantasmi della famiglia Thorthon sono scomparsi” disse Creamy: “Forse ce li siamo sognati” “Forse, invece, ci siamo sognati tutto” disse Sabrina.

* «Chi è…. spinto?.... battuta è vecchia». E’ vero, è una vecchia battuta di Toshio in un episodio di Creamy. 
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“Cosa credete che dovremmo fare?” chiese Kidokoro. “Non possiamo tornare in città senza di loro” disse il nonno. “Non è possibile..” disse Tinetta: “perché non siamo riusciti a trovarli?” “Non possiamo aver visto veramente quelle cose” disse Duenote: “Dobbiamo tornare a cercarli” “Già, è assurdo,” disse Jingle: “probabilmente siamo rimasti vittime di una allucinazione collettiva”. Michael urlò. “Che cosa c’è?” chiese Jingle, con la voce tremante. “Datemi dell’allucinato” disse Michael: “guardate là”. Indicò gli alberi, e tutti si voltarono in quella direzione. Dal sottobosco stavano emergendo delle figure umane. Lanciarono un grido collettivo e si abbracciarono gli uni agli altri. “Cosa saranno?” chiese Midori. “Non lo so” disse Jingle: “E se lo scoprite, non fatemelo sapere”. Rimasero a tremare, con gli occhi sbarrati, a seguire l’avvicinarsi implacabile dei misteriosi personaggi. Quando uscirono allo scoperto, Toshio chiese: “Ma.. cosa vi prende?”. Tinetta decollò come uno shuttle e si fiondò su Johnny. “Oh tesoro!” cominciò: “Sono stata tanto in pensiero. Siamo venuti a cercarvi e abbiamo trovato ragni, acciughe, coccodrilli.. ero preoccupatissima, non sapevo dov’eri finito, non sapevo cosa fare. Perché sei scomparso, eh? Cattivo cattivo cattivo. Oh, sei stato tanto cattivo, lo sai? Ero disperata, lo sai, Johnny? Lo sai?.. Lo sai?.. Johnny, ma lo sai? Johnny?” aprì gli occhi, e si ritrovò a guardare Toshio. Si staccò, arrossendo, e disse “Oh, ehm, scusa.. mi sono confusa” volse gli occhi intorno, vide Johnny. “Oh, tesoro” disse, e decollò di nuovo. Johnny, per non subire il devastante impatto, si abbassò. Dietro di lui vennero abbattuti, nell’ordine: il nonno, Kidokoro, Simona e Manuela, Midori, Carlo, Michael, Jingle e Duenote. Tinetta atterrò, e svenne. Toshio, Johnny, Creamy e Sabrina, guardandosi, commentarono: “Beh, siamo tornati alla vita normale”. 
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In un luogo imprecisato, e forse imprecisabile, i fantasmi della famiglia Thorthon vagavano nella serenità che avevano tanto agognato. “Siamo liberi” disse Norma: “Avremo la pace che tanto abbiamo sognato?” “Per noi” disse Albert: “tutto è possibile, ora” “C’è una cosa che non ho capito..” disse Cynthia: “chi era la fidanzata di Johnny? Creamy o Sabrina? Credevo che Toshio e Sabrina si amassero, ma non sono riusciti a sviluppare abbastanza forza. Allora non avrebbero potuto neanche Creamy e Johnny? Dunque, Johnny amava Sabrina, e Creamy amava Toshio? O magari si amavano Johnny e Toshio? O Sabrina e Creamy? E può un ectoplasma fissarci dalla finestra*? Ah, questa poi sarebbe assurda.. e se….” “Baaastaaa!” gridò suo fratello: “Non se ne può più. Mamma, papà, la sentite? Non si può andare avanti così”. E il piccolo James si divertiva più che mai. 

* «E può un…. dalla finestra?». Questa credo sia una citazione da Dylan Dog, ma non ne sono sicuro al 100%.

                                     
FINE
                                                                                                                                                              Sandro Lunghini  
  
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