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Autore: Ninazadzia    23/02/2015    2 recensioni
AU. Cato sopravvive agli Hunger Games, ma non si sente un vincitore.
Ho lasciato tutto ciò che contava nell’Arena.
Clato.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Qui la storia originale: https://www.fanfiction.net/s/10934533/1/With-or-Without-You
E qui l’account dell’autrice: https://www.fanfiction.net/u/2025423/Ninazadzia
Note della traduttrice: Questa storia è straordinaria. Vi chiedo di fidarvi della parola della vostra traduttrice: dedicatele qualche minuto del vostro tempo.
Io me ne sono innamorata perdutamente nel momento in cui l’ho letta, e ve la consiglio con tutto il cuore.
Riguardo alla storia, non esistendo nei libri i cognomi di Clove e Cato, l’autrice della fasnfiction originale usa i cognomi degli attori che li interpretano dei film, Fuhrman e Ludwig.
Oh, e c’è qualche parolaccia. Non tantissime, ma se vi danno fastidio siete avvisati.
La traduttrice
 
Warning: questa storia è maledettamente dark. Parla di prostituzione, omicidio, suicidio, eccetera. Leggete a vostra discrezione.

 
With or without you
 
I can’t live
With or without you
 
È difficile distinguere chiaramente le parole di Claudius, fra la rapidità con cui il mio cuore sta battendo e il martellare nella testa. Correre per quattro miglia e uccidere due persone può fare questo effetto. Guardo Clove, per assicurarmi di non essere l’unico che sente il mondo galleggiare sotto i piedi. Intrecciamo gli sguardi per un secondo, ed è abbastanza per riportarmi alla realtà.
Come se Clove Fuhrman, fra tutti, dovesse essere il mio riparo dall’instabilità.
Posso inquadrare perfettamente la sua espressione. Il sangue che copre le sue mani e i suoi capelli, arruffati e ingarbugliati, le si addicono. E mentre ansima nel mezzo del prato e abbassa lo sguardo sul corpo di Katniss Everdeen, la spallina della sua maglietta scivola giù sul suo braccio.
Penso alla notte appena trascorsa. Penso a tutte le nostre altre notti, al Distretto Due. A come saranno diverse quelle notti, ora che stiamo per tornare a casa da Vincitori.
La voce di Claudius suona più che estranea mentre interrompe i miei pensieri.
“È stato apportato un leggero cambiamento al regolamento.”
Il mio sguardo non ha lasciato Clove. Non ha lasciato la sua spalla, dove la spallina cade in modo così innocente. L’unica parte visibile di lei che non sia coperta di sangue.
“La modifica che permetteva l’incoronazione di due vincitori è stata, uh, revocata.”
Le sue parole galleggiano nell’aria per qualche istante.
“Ci può essere soltanto un vincitore.”
Smetto di respirare.
È come saltare giù da una scogliera dove l’acqua arriva alla vita – devi farlo prima di poterci pensare troppo. Pensa, e potresti avere giusto il tempo necessario per convincere te stesso a non farlo. Prima agisci, e affronta i brividi o le immediate conseguenze di una caduta dolorosa per qualche minuto, fino a quando svaniscono.
È con questo pensiero che affondo il coltello nella pancia di Clove.
Mentre il cannone spara per lei, lo shock è ancora dipinto sulla sua faccia. Come se quello che ho fatto non fosse ancora stato rilevato.

--

L’ho incontrata quando avevo dieci anni. Avevo già visto la sua faccia prima di allora, ma fino al giorno in cui si era presentata all’accademia non la sapevo associare a un nome.
“Chi è quella?”
Quando mia madre faceva una domanda, pretendeva una risposta. Era venuta a prendermi dopo le lezioni, indicando con il dito quella ragazza che tornava a casa a piedi in direzione opposta rispetto a tutti gli altri. Camminava verso la regione più a nord del Distretto Due, dove vivono i minatori.
“Clove qualcosa. È una nuova.”
Mia madre aveva stretto gli occhi. “Sembra una Fuhrman.”
“Sì, è quello il nome.” L’avevo guardata. “Cos’hanno che non va i Fuhrman?” Era difficile non notare il disgusto nella sua voce.
Mi aveva strattonato verso di sé.
“Cos’hanno che non va i Fuhrman?” avevo chiesto di nuovo.
Non mi aveva risposto, così quella sera l’avevo chiesto a mia sorella Lucia.
“Ho già sentito quel nome qualche volta” aveva detto. “Com’è?”
“Pallida, capelli scuri, un sacco di lentiggini…” Carina, avevo evitato di aggiungere.
Oh,” aveva detto Lucia. “So di chi stai parlando.” Aveva abbassato la voce di colpo e si era chinata verso di me. “È la figlia di un minatore, vero?”
“Sì. Torna a casa in quella direzione. Nessuno viene a prenderla.” Avevo aggiunto quel dettaglio perché sembrava importante.
“È perché suo padre la odia.”
“Davvero?”
“Sì. Ho sentito parlare di loro. Il padre picchia lei e gli altri figli in continuazione.” Aveva gli occhi sgranati, forse perché sapevamo entrambi che quell’argomento era proibito.
“Perché lo fa?”
“Non tutti hanno dei genitori come mamma e papà.” Si era rabbuiata all’improvviso.
“Cosa vuoi dire?”
“Tu potrai scegliere se offrirti volontario o no quando sarai grande. I genitori di Clove probabilmente la costringeranno.”
Cosa?
Avevo dieci anni. Dire che sentire quelle cose mi aveva turbato era riduttivo. Ma Lucia aveva annuito tristemente, di quattro anni più grande e più saggia di me.
“Non c’è qualche legge per vietarlo?” avevo borbottato, arrabbiato.
Mia sorella aveva riso amaramente. “Nel Distretto Due? Per favore.” Si era appoggiata contro la testiera del letto. “Persone come i genitori di Clove sono molto più comuni di quanto pensi.”
Avevo pensato all’improvviso a tutto il tempo che avevo trascorso all’accademia, combattendo con Augustus e Felicia. Avevo ricordato il fuoco nei loro occhi, e i lividi che avevano sul corpo. La loro rabbia. La loro determinazione.
Avevo scosso la testa.“Io non sarò mai così.”
Lucia mi aveva passato una mano fra i capelli. “Certo che no.”

--

Non mi disturba l’idea di sorridere per le telecamere, mettermi in mostra per il pubblico e fingere per il resto della mia vita. Posso farcela. Posso apparire come un pittoresco vincitore.
No, quello che mi disturba sono le interviste, i pettegolezzi, le chiacchiere, e soprattutto le domande sulla mia compagna di distretto.
“Da’ loro quello che vogliono” borbotta Brutus, dandomi una pacca sulla schiena prima che io salga sul palco.
Sono accolto da luci accecanti e dal ruggito assordante della folla. Sorrido, saluto, e Caesar continua ad entusiasmarsi riguardo al “mostruoso Cato, Vincitore dei settantaquattresimi Hunger Games!”
Devo aver messo in scena un bello spettacolo, quell’ultimo giorno. Perché per quanto il pubblico mi adori, qualcuno giustamente arretra quando – seguendo l’ordine di Brutus – piego il braccio, mostrando la mia forza.
Sono chiacchiere senza significato, per un po’.
“Sei mai stato preoccupato per i Tributi del Dodici?”
“No, mai.” Questa parte è vera.
“Come definiresti la collaborazione con i tuoi alleati? La descriveresti come “disfunzionale”?”
La domanda fa scoppiare il pubblico in una risata.
“Assolutamente” rispondo, con una smorfia. “Eravamo tutti motivati a vincere – ma sapevano tutti che io ero il più forte, il più veloce. E penso che abbiano capito dall’inizio che non avevano speranze contro di me.”
Questo suscita qualche oooh e ahh. Il mio cuore mi martella nel petto. Due settimane fa, mi sarebbero piaciute le parole che erano appena uscite dalla mia bocca.
“Ora, così mi piaci!” Esclama Caesar. “Un giovanotto sicuro di sé!”
Altri fischi e grida dal pubblico. Li detesto.
“Ora, Cato” comincia lui, la sua espressione più seria. Oh, no, penso. No. Non farmi quella fottuta domanda. “Mi sembra di capire che tu e la tua compagna di distretto, Clove, vi siete allenati insieme per otto anni?”
Resisto all’impulso di schiarirmi la gola. “Già.”
“Non riesco neanche a immaginare come debba essere stato. Un minuto prima, pensate di essere entrambi vincitori, e un minuto dopo…” La sua voce si spegne
Vaffanculo, vorrei dirgli. So cosa vuole vedere. So cosa vogliono tutti in questo dannato pubblico. Vogliono i fottuti innamorati sventurati su questo palco. Vogliono un vincitore che sia umano e che possano comprendere.
Invece, hanno avuto me. Un altro mostruoso, spietato Favorito.
Sono più umano di quanto pensiate. Ma sono maledettamente sicuro che non condividerò niente con voi.
“Volevo essere il numero uno dall’inizio. L’annuncio sui due vincitori non ha cambiato nulla” dico, senza emozioni. E poi guardo dritto verso il pubblico. “L’ho uccisa una volta, e la ucciderei di nuovo per un milione di volte, per vincere.”

--

“Lo tieni nel modo sbagliato.”
Mi ero girato, e mi ero trovato faccia a faccia con una smorfia compiaciuta. Clove mi aveva rivolto un sorrisetto, e aveva tirato fuori un coltello. Aveva messo la mano sulla lama e lo l’aveva lanciato verso il bersaglio. Centro perfetto.
“Lancia dalla lama. È più preciso.”
“Dove hai imparato a farlo?” avevo chiesto.
Si era stretta nelle spalle. “Esercizio.” Aveva indicato la spada che portavo in giro, nel suo fodero. “Perché porti quella cosa dappertutto? Non è un’arma dell’Accademia. Hai paura che qualcuno ti salti addosso mentre torni a casa?”
L’avevo fissata, stupito, e nella palestra era rimbombata la sua risata acuta da bambina di otto anni. Avevo almeno quindici centimetri e venti chili di vantaggio su di lei. Il fatto che si divertisse così a provocarmi era ridicolo, se non pericoloso.
“Non sono io quello che vive nella parte dei minatori” avevo risposto.
Un lampo di rabbia aveva attraversato la sua faccia. Aveva allungato la mano verso la sua cintura ed estratto un’arma. Era corta e compatta, e neanche quello era un coltello dell’accademia. “Ti ho mostrato il mio.” Aveva detto lei, la voce piatta. “Ora tu mi mostri il tuo.”
L’avevo guardata prima di estrarre con riluttanza la mia spada. Lei l’aveva soppesata con lo sguardo per un istante, e poi aveva fatto un affondo con il suo coltello all’improvviso. L’avevo parato istintivamente. La sua arma era caduta sul pavimento con un tonfo metallico, e prima che lei si accorgesse di cosa l’aveva colpita, l’avevo imprigionata con la schiena al muro con la mia spada contro la sua gola. Paura fugace aveva attraversato la sua faccia, e lei aveva ansimato contro il mio braccio.
Gli istruttori non avevano fatto caso a noi, e avevo abbassato la spada prima che si rendessero conto di cosa fosse successo. Ma non mi ero mosso, e neanche lei. “Sei pazza?” le avevo sibilato. Eravamo faccia a faccia. “Che accidenti pensavi?”
“Volevo vedere di che pasta eri fatto.” Mi aveva spinto lontano da lei. Un sorrisetto era comparso sulle sue labbra. “E avevo ragione su di te.”
E poi era successa una cosa stranissima. Lei aveva teso il braccio, e detto: “Io sono Clove. Vuoi essere mio amico?”

--

“Hai un aspetto orrendo.”
Non oso guardare nella direzione di Cashmere, per il timore che ci siano ancora tracce di sperma sulla sua faccia. Sperma di Capitol City, per essere precisi. Decido invece di tenere lo sguardo incollato alla bottiglia di birra nella mia mano. Butto giù un po’ di quel liquido chiaro, e prego che cancellerà il ricordo di quella notte dalla mia mente.
Quanto ci vorrà prima che io possa godermi di nuovo il sesso?, mi domando. Un mese, un anno – una vita intera? Perché non c’è niente che mi tormenti di più della mano di Cashmere che si muove sulla mia schiena.
Mi giro per ringhiarle “non mi toccare, cazzo”, ma la sua espressione è così cordiale, così comprensiva. Per una persona così letale, può essere davvero gentile.
O forse ha solo compassione di me.
“Per favore, dimmi che diventa più facile” bofonchio. Si è lavata la faccia, ma i suoi capelli sono ancora arruffati dal suo incontro. Puzziamo entrambi di sudore e alcool. Almeno lei è completamente vestita, ora; la mia cliente ha insistito per tenersi i miei indumenti. L’unica cosa che sono riuscito a recuperare sono i miei boxer.
Sento Finnick e la sua cliente nella stanza accanto. Fa un lavoro spettacolare a fingere; riesco quasi a perdermi la traccia di disperazione nella sua voce.
“La prima notte è sempre la peggiore” dice lei. “Sei ancora carne fresca. È la volta in cui hai più clienti.”
Il mio cuore sprofonda a quelle parole. “Quanti?” chiedo.
Abbassa lo sguardo sulle lenzuola. “Difficile a dirsi. Per me cinque – ma le vincitrici di solito hanno più clienti dei maschi.”
Cinque persone.
L’immagine mentale è sufficiente a farmi risalire la bile fino alla gola. Lei continua, “Sei fortunato ad essere quasi adulto, e ad aver avuto qualche vera esperienza. Io ho vinto quando avevo sedici anni. Snow mi ha fatto cominciare una settimana dopo.” Stringe la mia spalla. “Ti consiglierei di aggrapparti a qualunque ricordo tu abbia delle tue storie precedenti.”
Sentire il tormento nella sua voce è abbastanza per farmi salire la nausea – ma non in modo efficace quanto ci riesce il suono di qualcuno che bussa alla porta della stanza. “Credo che sia la mia prossima cliente” dico con voce roca.

--

“Ora, qualcuno vuole offrirsi volontario?”
Quando Brutus aveva detto che sarebbe stata una rissa, non stava scherzando. Una dozzina di ragazzi o giù di lì aveva lottato per farsi strada attraverso la sezione dei diciottenni e correre sul palco – ma io ero arrivato prima, ed ero stato io quello che Saldia Romaro aveva tirato su dai gradini. L’adrenalina aveva corso attraverso tutto il mio corpo mentre lei mi chiedeva il nome.
“Cato Ludwig”, avevo detto. Ero sembrato forte? Feroce? Avevo guardato le mie sorelle minori fra la folla per una rassicurazione. Mi avevano rivolto larghi sorrisi e il mio cuore si era gonfiato d’orgoglio. Ma non potevo mostrare il mio orgoglio. Quella era la mia prima apparizione come Tributo, e dovevo fare la giusta impressione.
Ero un mostro, e avrei vinto.
Avevo guardato alla mia sinistra, per vedere chi avesse vinto la corsa fra le ragazze. Mi aspettavo che fosse Alia Roy, o Mara Jordan – due ragazze della mia età che erano ossessionate dai Giochi quanto me. Ma poi avevo visto che Alia si stringeva il naso sanguinante, in fondo alla sezione delle diciottenni. Mara era in piedi sui gradini del palco, furiosa.
Il mio cuore era precipitato mentre mettevo a fuoco la ragazza in piedi accanto a me. Pallida, capelli scuri, e lentiggini. Aveva lanciato al pubblico un largo sogghigno entusiasta.
“Clove Fuhrman” aveva detto nel microfono.
Mi ero domandato come dovessi apparire in quel momento. Frastornato? Agitato? Se era così, dovevo nasconderlo, insieme a qualunque genere di amicizia avessi costruito con Clove nel corso di questi otto anni. È come se fosse già morta per te, avevo detto a me stesso. E lo era. La sua sopravvivenza significava la mia morte – prima avessimo chiuso la nostra amicizia, meglio sarebbe stato.
“Magnifico! Ora, se voleste stringervi la mano…”
Saldia ci aveva spinti l’uno verso l’altra. Clove aveva allungato il braccio e io le avevo dato una breve, vaga stretta di mano. L’avevo guardata dritta negli occhi. Giusto per mettere in chiaro la nostra posizione, avevo pensato.
Aveva ricevuto il messaggio. Mi aveva rivolto un grande sorriso folle, come per dire, forse eravamo amici. Ma ti annienterò.

--

“Sei tornato tardi. Giornata lunga al lavoro?”
Riesco a malapena a guardare Alyson in faccia. Mi agito per un momento, pensando di aver dimenticato di rimettere la fede. Ma porto le dita verso la mano e trovo il metallo freddo esattamente dove dovrebbe essere. E allora? Penso. Se anche perdo questo maledetto affare, non cambierà nulla. Alyson non è un’idiota.
Ci sono alcune notti in cui dimentico di toglierlo. Le donne di Capitol City si sciolgono per il fatto che non solo stanno passando la notte con un Vincitore, ma addirittura uno sposato. Cerco di tenere il mio matrimonio il più segreto possibile; la maggior parte delle mie clienti non sanno di Alyson Holcomb, mia moglie da tre anni. Quelle che lo sanno dicono tutte la stessa cosa. È una così cara ragazza, una delle figlie del sindaco, vero? Voi due avrete dei bambini adorabili.
“Sì” le rispondo bruscamente. Mi tolgo la cravatta, il che è ironico considerando che l’ho rimessa giusto qualche istante fa. Evito lo sguardo penetrante di Alyson, e mi dirigo direttamente verso la doccia. Lavo via il sudore e il profumo, e mi sfrego la pelle fino a scorticarla.
Quella notte è stata particolarmente brutta. La mia cliente era giovane, aveva a malapena diciotto anni. E aveva una corporatura minuta, occhi freddi come la pietra e capelli scuri. Somigliava a qualcuno che conoscevo un po’ troppo per i miei gusti.
Non penso a Clove se posso evitarlo. Perché quando lo faccio, sento il sangue ribollire e tutto quello che riesco a ricordare sono quelle ultime notti nell’Arena. Avevamo dormito abbracciati e ci eravamo fatti ogni genere di promesse. Torneremo a casa. Non riesco a immaginare di stare con nessun altro dopo tutto questo.
Esco dalla doccia e mi trascino direttamente a letto. Alyson mi rivolge un sorriso gentile. Combatto per restituirglielo.
Sai che sono una puttana, penso fra me. E mi dispiace farti passare tutta questa storia. Ma soprattutto, mi dispiace che non proverò mai quello che provi tu.
Ho lasciato tutto ciò a cui tenevo nell’Arena.

--

“Le telecamere, Cato.”
Era servito l’avvertimento di Clove per farmi ricomporre. Il suo respiro caldo era sulle mie labbra, ed eravamo stati così, così vicini. Ma aveva ragione lei. Così mi ero allontanato, mi ero sdraiato sulla schiena e avevo guardato la parte alta della tenda.
“Vuoi la stessa cosa. Lo so che è così” le avevo detto.
“Non siamo quelli del Dodici” aveva borbottato.
“Oh, che importa?” le avevo risposto bruscamente. Perché a quel punto dei Giochi, non mi importava. Saremmo tornati a casa insieme, quindi perché nascondere quello che c’era fra noi? Perché preoccuparsi di interpretare il ruolo dei Favoriti quando – per una volta – avremmo potuto essere onesti l’uno con l’altra?
“Non è il nostro ruolo” aveva risposto semplicemente lei. Aveva girato la testa verso di me e mi aveva rivolto quel sorriso folle tutto denti che avevo imparato ad amare. “Non fraintendermi, però” aveva sussurrato. “Se non fossimo osservati, non sai cosa ti farei.”
Avevo riso. “Dovresti. È così buio, dubito che qualcuno possa vederci. In più,” avevo sbadigliato. “Le telecamere saranno probabilmente concentrate sugli innamorati sventurati a questo punto.”
 Nel buio, lei aveva allungato la mano verso la mia. L’avevo afferrata e avevo stretto le sue piccole dita fredde. Era un tale sollievo essere con lei in questo modo, dopo tutta la messinscena che avevamo dovuto portare avanti nei primi giorni dei Giochi. Avevo nutrito così tanto risentimento verso di lei, all’inizio. Avevo dovuto combattere contro otto anni di sentimenti irrisolti, e avevo dovuto farlo con davanti la prospettiva della sua morte imminente, fra l’altro. Avrei vinto, non c’era altra possibilità. E non avrei potuto portarla insieme a me – quindi il piano migliore era tenerla vicina come alleata, e nient’altro. Non un’amica, e certamente non qualcosa di più.
Ma era diverso in quel momento. Così mi ero abbandonato a un sonno profondo quella notte. Non devo baciarla ora, avevo pensato. Avremo tutto il tempo del mondo una volta usciti da qui.

--

Il quarto anno di matrimonio, Alyson rimane incinta.
La realtà si fa strada lentamente nella mia mente. All’inizio penso alle conseguenze iniziali – mia moglie passerà i mesi successivi portando in grembo questo bambino. Sarà in preda agli ormoni, nervosa, e probabilmente si sfogherà su di me. Metterà su una notevole quantità di peso. Farà nascere nostro figlio, che sicuramente avrà gli stessi capelli biondi e occhi azzurri che io e Alyson abbiamo.
Diventerò “papà”, e il bambino dovrà guardare me e Alyson portare avanti il nostro matrimonio senza amore. Avrò la responsabilità di crescere mio figlio nello stesso modo in cui io sono stato cresciuto. Sarà il figlio di un Vincitore, e viviamo nel Distretto Due. Crescerlo con una mentalità da Favorito sarà l’unica possibilità.
Quello è il momento in cui il pensiero mi colpisce fino in fondo, il pensiero di aver portato un bambino in questo mondo.
Sarà estratto alla Mietitura, e se non succederà si offrirà sicuramente. Io e Alyson lo iscriveremo alla migliore Accademia. Ci sarà una piccola possibilità che muoia nei Giochi, e a quel punto io passerò il resto della vita schiacciato dal dolore. Ma è più probabile che vincerà i Giochi, e a quel punto…
Rido aspramente. E a quel punto potrà condurre la stessa vita infelice che ho vissuto io. Sorridere per le telecamere, dissimulare le lacrime davanti a ogni cliente, fingere di amare una donna perché il Presidente vuole che lui abbia moglie e figli.
L’ho condannato. Proprio come ho condannato me stesso quando ho vinto quei Giochi.
È con questo pensiero che una notte prendo una camera in un albergo. Bevo quasi un’intera bottiglia di whisky. Considero l’idea di lasciare un biglietto, ma penso, a quale scopo? Sono troppo ubriaco per scrivere decentemente. Questo, e non ho nessuno a cui scrivere qualcosa.
E poi mi infilo la pistola fra i denti e premo il grilletto.

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Posso inquadrare perfettamente la sua espressione. Il sangue che copre le sue mani e suoi capelli, arruffati e ingarbugliati, le si addicono. E mentre ansima nel mezzo del prato e abbassa lo sguardo sul corpo di Katniss Everdeen, la spallina della sua maglietta scivola giù sul suo braccio.
Penso alla notte appena trascorsa. Penso a tutte le nostre altre notti, al Distretto Due. A come saranno diverse quelle notti, ora che stiamo per tornare a casa da Vincitori.
La voce di Claudius suona più che estranea mentre interrompe i miei pensieri.
“È stato apportato un leggero cambiamento al regolamento.”
Il mio sguardo non ha lasciato Clove. Non ha lasciato la sua spalla, dove la spallina cade in modo così innocente. L’unica parte visibile di lei che non sia coperta di sangue.
“La modifica che permetteva l’incoronazione di due vincitori è stata, uh, revocata.”
Le sue parole galleggiano nell’aria per qualche istante.
“Ci può essere soltanto un vincitore.”
Smetto di respirare.
Vedo il resto della mia vita passarmi davanti agli occhi. Una vita di prostituzione e infelicità. Una vita che finirà senza alcun dubbio con il mio suicidio. Succederà comunque, penso.
Guardo Clove. Guardo la ragazza con cui sono cresciuto, che mi ha insegnato a lanciare i coltelli dalla lama. La persona che mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso. Lei è più forte di te. Se tu vivi, sarai prigioniero di questi Giochi per sempre. Non riuscirai a vivere con te stesso. Ma se lei vince…
Ed è con questo pensiero che affondo il coltello nella mia pancia.
 
My hands are tied, my body bruised
She’s got me with
Nothing to win and
Nothing left to lose
And you give yourself away
And you give yourself away
And you give
And you give
And you give yourself away
With or without you
With or without you
I can’t live
With or without you…”
- U2
   
 
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