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Autore: MerasaviaAnderson    28/02/2015    0 recensioni
•{ Breve OneShot ~ Non-Sense ~ 658 parole }
Lo sfogo di una persona qualunque, costretta a guardare il mondo a cui avrebbe voluto appartenere facendo finta che non esista.
O semplicemente la storia di un breve viaggio nei cassetti dei sogni infranti.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Sogni infranti.
Sì, sogni di vetro che si erano schiantati per terra un po’ troppo presto, senza che nessuno li notasse o cercasse di rimetterli insieme.
Anche in quel tempo, lei ci aveva rinunciato.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia va a te,
che molte volte mi hai detto di volermi veder recitare.
(Vorrei vedermi anch'io, credimi)
Scusa se ti deluderò, ma temo che non accadrà mai.



Fingi che non esista
 
 
 
 
C’è stato un tempo in cui anche lei aveva sognato.
C’è stato un tempo in cui anche lei aveva visto mondi che non avrebbe mai raggiunto.
Quello era il tempo in cui si rifugiava in camera sua, con un libro al retrogusto di lacrime, preso dalla libreria accanto all’armadio, decisamente troppo piccola per lei.
Tra tutti quei volumi, nascosto all’inizio dello scaffale più in alto, c’era quel libro, quello che avrebbe dovuto spiegarle come trasformare il sogno in realtà.
Ma lei non ci credeva, in quel libro … Ne aveva quasi paura.
Preferiva cercar di ignorare quel sentimento, quella passione che ardeva da sempre dentro la sua anima.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Continuava ripetersi, quando le veniva voglia di provare a dar vita ad un personaggio a piangere a comando.
Alla fine piangeva comunque.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Non ne parlava più a casa, ci aveva perso le speranze, si vergognava quasi di dire ciò che le sarebbe piaciuto essere.
Quel pomeriggio, alla metà dei suoi quattordici anni, si era accorta che non diceva liberamente la verità da quasi più di dieci anni.
Quella paura: la paura di essere giudicata, la paura che qualcuno le ridesse nuovamente in faccia, che le dicessero nuovamente che quello non esisteva.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Sogni infranti.
Sì, sogni di vetro che si erano schiantati per terra un po’ troppo presto, senza che nessuno li notasse o cercasse di rimetterli insieme.
Anche in quel tempo, lei ci aveva rinunciato.
Continuava a ripetersi che era sempre “troppo tardi”, proprio quando vedeva scritto da qualche parte che “Non è mai troppo tardi”, ma per lei lo era.
Lei a quattordici anni era la classica adolescente brava a dare consigli agli altri, ma mai a se stessa, quella che correva dietro i discorsi “del non rinunciare mai” e predicava “di rimanere sempre se stessi”.
Lei era la prima a sbagliare.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Ma faceva parte del Sogno fingere, avrebbe recitato sempre e comunque, che la vita lo avesse voluto oppure no, che si fosse trovata su un palcoscenico o su una strada.
Quello che la gente non aveva capito era la differenza che passava tra il “voler recitare” e il “voler essere attrice”.
Non aveva mai aspirato al suo nome sui giornali, non aveva mai aspirato ai grandi Set Cinematografici, non aveva mai aspirato alle interviste in TV. Anzi, pensava che sarebbe diventata pazza nel condurre una vita del genere.
Quella andava bene per gli attori di Hollywood, non per lei.
Quello che lei voleva semplicemente era preparare la sua borsa, uscire di casa, prendere quel modesto autobus alla fermata e correre a teatro.
Correre a teatro a provare, a recitare, a ridere, a piangere, ad essere mille persone diverse.
Voleva recitare, non fare l’attrice.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
E avrebbe corso, avrebbe corso proprio come Luca Molinari correva per vedere Claudia in Notte prima degli Esami.
Avrebbe corso proprio come un velocista scatta allo sparo della pistola.
Avrebbe corso, e secondo qualcuno ce l’avrebbe fatta.
Ma Lei non ce la fece, non ce la fece neanche in quel tempo.
Non ce l’aveva fatta a quel tempo e non ce la fece mai.
Nascose il Sogno, lo sigillò infondo a uno di quei cassetti che non apriva mai e lo lasciò perdere.
E nel frattempo, se lo ripeteva sempre, ogni giorno, ogni secondo in cui era tentata di “aprire il cassetto” e liberarlo, liberarsi.
Fingi che non esista.
Fingi che non esista.
Per tutta la vita sentì il mondo ridere, per tutta la vita la sua coscienza le urlava “Vigliacca!
Ma lei aveva imparato a fingere che non esistessero.
Così non esisteva più il Sogno.
Non esistevano più le risate.
Non esistevano più le urla.
E in quel momento si accorse che sì, effettivamente era una brava attrice.
 
 
 
FINE
   
 
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