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Autore: lovingbooks    28/02/2015    2 recensioni
Questa è la guerra e tutti sono vittime, anche i sopravvissuti.
Ma liberare il Mount Weather è davvero la fine di tutto?
Clarke è davvero cambiata? Potranno perdonarla?
(spoiler 2x14)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Avevano vinto.
Erano tutti salvi, o quasi.
Le perdite, durante la guerra, erano state tante. I vivi, però, erano di più.
Clarke si chiedeva se ne fosse valsa la pena, rivedeva tutte le facce dei caduti, imparava i loro nomi.
Questa è la guerra, le ripetevano.
Ormai, però, la guerra era finita ed era giunto il momento di pagare per i propri errori, di piangere le perdite e festeggiare i superstiti.
Questa è la guerra, pensava, mentre uscivano dalle miniere del Mount Weather.
Aveva cercato Bellamy. Era la prima cosa che aveva fatto, una volta entrata.
Purtroppo, non l’aveva trovato.
Non aveva trovato molte persone: Cage Wallace era tra quelle.
Alcuni dei quarantasette erano morti, ma anche gli uomini della montagna avevano i loro caduti, tutti erano stati puniti severamente, mentre altri premiati.
Maya era una delle persone premiate: Jasper si era offerto di donarle il midollo, per mostrarle finalmente la terra.
Un gesto d’amore nel mezzo dell’odio.
Questa è la guerra, si ricordò Clarke, senza smettere di pensare a Bellamy.
La giovane aveva bisogno di prendere Cage e ucciderlo con le sue mani.
Quell’uomo aveva ucciso i suoi amici, la sua gente, il suo popolo.
Aveva fatto cose malvage.
Ma poteva davvero biasimarlo?
Lei aveva lasciato morire centinaia di persone, le aveva viste bruciare sotto i suoi occhi, esalare l’ultimo respiro davanti a lei.
Questa è la guerra, sentiva sussurrare, una volta uscita dalle miniere.
Iniziarono a contare i feriti e i morti, le perdite che c’erano da entrambe le parti.
Clarke iniziò a domandarsi se avevano davvero vinto la guerra, se tutto quello che avevano fatto poteva essere perdonato.
Avevano macchiato la loro anima per l’eternità e avrebbero dovuto vivere con la morte di persone innocenti sulle spalle.
Sentì uno sparo, dietro di lei, mentre cercava di fermare l’emorragia di un uomo, causata da un proiettile nemico.
Si girò, dopo aver attorcigliato intorno alla ferita un pezzo di stoffa.
Non l’aveva curata, ma almeno era sicura che non sarebbe morto dissanguato.
Questa è la guerra, fu il suo primo pensiero, quando vide le figure di fronte a sé.
Bellamy era sporco di sangue in volto e probabilmente aveva uno zigomo rotto. Indossava la divisa di un agente del Mount Weather, solo che era piena di strappi e di sangue.
Dietro di lui, c’era Cage, che gli puntava una pistola alla tempia.
L’uomo della montagna non era in condizioni migliori: il completo che era solito indossare era sporco di terra e spezzato, aveva il naso rotto.
Clarke sperò, dentro di sé, che il sangue sulla divisa di Bellamy non fosse il suo, che fosse di Cage.
Ma le probabilità erano davvero minime.
Questa è la guerra, furono le parole dell’uomo.
“Mi lascerete scappare, o lui morirà” urlava, come un pazzo.
Quando la giovane fece un passo nella sua direzione, lui le intimò di stare ferma, altrimenti avrebbe sparato anche a lei.
L’unica cosa che fermò Clarke dall’avvicinarsi ulteriormente fu lo sguardo di Bellamy, che le diceva di stare ferma, di non farsi uccidere.
La ragazza prese un lungo respiro e cercò di negoziare con l’uomo.
“Accetteremo le tue condizioni, ma prima lascialo andare” gli disse, con tono freddo, senza fargli capire che a lui teneva.
“Pensi che sia stupido? Prima mi lascerete allontanare e poi farò in modo che lo troviate” fu la sua risposta.
Clarke stava per ribattere, ma una voce interruppe la loro conversazione.
“Non ti lasceremo andare, a costo di sprecare la vita di un uomo” furono le parole di Lexa e, intorno a lei, tutti i terrestri iniziarono a lanciare urli di supporto.
Questa è la guerra, era il ragionamento di tutti.
Non di Clarke.
Cercò, tra i tanti terrestri, i lunghi capelli di Octavia e, quando la guardò in volto, capì che pensava la stessa cosa: Bellamy non può morire.
La mora aveva uno sguardo preoccupato e cercava di far tacere i terrestri accanto a lei.
Al contrario, la bionda aveva una calma glaciale.
Si ricordò della pistola che aveva nascosto dietro la sua schiena, sotto la maglietta.
Senza farsi vedere, la tirò fuori.
Guardava Cage, adesso, e si chiedeva se poteva farlo, se poteva uccidere un uomo che aveva fatto i suoi stessi errori, se poteva essere così ipocrita da giustificare la sua morte.
Poi, però, vide Bellamy e pensò alle parole non dette, all’amore proibito. Pensò che l’aveva mandato a morire senza battere ciglio e che, ora che stava per farlo, non poteva non incolpare sé stessa per tutto ciò che era successo, che era lei a dover morire e non Wallace.
Ma Clarke era egoista e non poteva accettarlo.
Puntò la pistola alla testa dell’uomo, nell’esatto momento in cui era più esposta e con un colpo secco, davanti a tutti, gli sparò.
Cage cadde a terra, un corpo senza vita.
Questa è la guerra, pensò Clarke quando tutti si girarono verso di lei.
Questa è la guerra, si disse quando tutti gridarono il suo nome come segno di approvazione.
Octavia corse da Bellamy e gli gettò le braccia intorno al collo.
Il moro ricambiò l’abbraccio e strinse forte la sua sorellina, che ormai era diventata una guerriera.
Clarke rimase impassibile, si girò e continuò a curare i feriti, cercando di non domandarsi se, per lei, valeva la pena vivere. Se ciò che aveva fatto per sopravvivere, dopotutto, non la definisse.
La guerra l’aveva cambiata. L’alleanza l’aveva cambiata.
Sua madre non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi, per ciò che aveva fatto.
Octavia la disprezzava, perché non aveva avuto pietà.
Raven non riusciva a perdonarla, nonostante ci avesse provato.
Anche quelli che erano rimasti per tutto questo tempo nella montagna, avrebbero iniziato ad odiarla, dopo aver saputo tutto ciò che era successo. Bellamy l’avrebbe odiata.
L’unica persona che poteva capirla era Lexa.
Lei aveva le sue stesse colpe, se non più gravi.
Lexa, che era un comandante privo di pietà.
Lexa, che non si dimostrava mai debole.
Lexa, che non lasciava mai trapelare i suoi sentimenti.
Lexa, che l’aveva baciata, che si era esposta, che aveva tolto la sua corazza per lei, per Clarke, che, però, non era pronta.
Non dopo aver ucciso quello che credeva essere l’amore della sua vita, non dopo aver mandato l’uomo che l’amava a morire. Certo, Clarke le voleva bene, la stimava, qualche volta, ma non l’amava, perché Lexa non era come lei.
Perché era senza pietà.
Questa è la guerra, era il suo motto.
Ma, dopotutto, non aveva amato nemmeno Finn, non veramente, comunque.
Il suo cuore era sempre appartenuto a Bellamy.
Cosa poteva fare, però?
Si meritava l’odio di tutti. Si meritava di morire.
Ma Clarke non sarebbe mai morta. Era troppo egoista per uccidersi, o per lasciare che qualcuno la uccidesse.
Clarke voleva vivere sulla terra, voleva trascorrere il resto dei suoi giorni ad espiare le sue colpe, in qualunque modo, voleva essere felice, voleva vivere veramente.
Sapeva che il suo popolo aveva bisogno di lei, non più come medico, ma come leader.
Perché Clarke era una leader, lo era sempre stata.
E l’aveva dimostrato più volte, nel bene e nel male.
Questa è la guerra, fu il suo pensiero, quando, la sera, vide i corpi di tutti coloro che non erano riusciti a superare la giornata.
La giovane aveva bisogno di crollare, di piangere, di urlare.
E fu proprio per questo che scappò nella foresta, tra gli alberi, lontano da tutti.
Corse fino a quando non ebbe più fiato nei polmoni.
Si fermò, non appena capì che non avrebbe retto ancora.
Si sedette su una roccia, accanto ad un piccolo torrente.
Non ricordava la strada che aveva fatto, ma non le importava molto: sarebbe riuscita a tornare indietro.
Prese la propria testa tra le mani e chiuse gli occhi.
Rivide le immagini della sera del missile, del fuoco e dei corpi privi di vita.
Rivide le immagini dei soldati all’interno delle miniere che riconoscevano nei mietitori i volti di parenti, di amici.
Rivide tutte le persone che erano morte durante l’assalto al monte.
Rivide tutte le persone che lei aveva ucciso.
Non si accorse che stava piangendo, che stava urlando in preda ad un dolore che la stava uccidendo dentro.
Non se ne accorse fino a quando non sentì dei passi e poi una voce famigliare.
“Principessa?” le disse.
Clarke non ebbe il coraggio, o la forza, di alzare il viso e sostenere il suo sguardo.
Ebbe, però, fiducia in lui, nel lasciargli vedere la parte più debole di lei.
Questa è la guerra, pensò, per scusare sé stessa.
Credeva di aver perso tutto, di aver perso lui.
Ma Bellamy si sedette accanto a lei, in silenzio.
Le diede parole di conforto senza parlare.
Le diede gesti d’amore senza muoversi.
Era tutto nei suoi occhi, che la fissavano come se lei fosse ancora la ragazza innocente di prima, quella che gli aveva detto “Non decidiamo noi chi vive o chi muore”.
Clarke, però, sapeva di non essere più quella ragazza. E, dopotutto, lo sapeva anche Bellamy.
Ad un certo punto, tra il suo pianto senza fine e le sue urla disperate, la giovane non resse più e si girò verso di lui.
La stava ancora guardando, non aveva smesso nemmeno un attimo di farlo, e adesso lei poteva ricambiare il suo sguardo, poteva parlargli attraverso questo.
Gli chiese scusa, quando gli circondò il collo con le proprie braccia.
Le rispose che andava tutto bene, quando passò una mano sulla sua schiena.
Gli disse che aveva sbagliato, quando mise la testa nell’incavo del suo collo.
Le disse che poteva fidarsi di lui, quando iniziò ad accarezzarle i capelli.
Gli confidò di essere cambiata, gli raccontò tutti i suoi errori sussurrando sulla sua pelle.
“Lo hai fatto perché dovevi essere una leader, perché eri sotto l’influenza di Lexa. Tu non sei così, non lo sei. Questa era la guerra, principessa. Ora è tutto passato. La maggior parte di noi è salva” le disse, quando le baciò la fronte.
“Non mi odi?” gli chiese lei, allontanandosi appena da lui, per guardarlo dritto negli occhi.
Bellamy fece un mezzo sorriso e le rispose: “Non ti odio”.
“Nemmeno per Octavia?” insisté lei.
“Octavia è viva e le hai salvato la vita, l’hai protetta da Lexa, Clarke” rispose lui, con fermezza.
“Ma sarebbe potuta morire”.
“Ma non è morta”.
“Quindi non mi odi? Davvero?” gli chiese un’ultima volta lei.
“Non potrei mai odiarti” le rispose lui con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Allora Clarke, dopo tanto tempo, sorrise. Sorrise veramente.
Non perché aveva vinto la guerra, ma perché c’era speranza.
Capì che Bellamy sarebbe stato sempre al suo fianco e le parole le uscirono dalla bocca, senza avere nemmeno il potere di controllarle.
“Ti amo Bellamy” gli disse, finalmente.
Lui si immobilizzò e la paura di aver sbagliato la colpì diritta in faccia.
Ma poi la baciò e le sussurrò che l’amava anche lui.
E decise di continuare a baciarlo.
Decise di tenerlo con sé ancora un po’ e di passare la notte con lui, dopo tanto tempo.
Dopotutto, essere egoista non era così male.
Questa era la guerra, pensò Clarke quando tornò al campo, ma ora è finita, abbiamo tempo per rimediare ai nostri errori, per essere persone migliori.
Tutti erano stanchi, piangevano le loro vittime, ma al sangue era stato risposto con altro sangue.
Al campo Jaha la giovane si era resa conto che nessuno la odiava davvero, che, nonostante tutto, avevano capito le sue azioni e stavano cercando di perdonarla.
Ci sarebbe voluto del tempo prima che sua madre riuscisse a parlarle senza rivedere il disastro causato dal missile.
Ci sarebbe voluto del tempo prima che Raven potesse abbracciarla e parlarle come una volta.
Ci sarebbe voluto del tempo prima che Octavia capisse il suo errore e la perdonasse una volta per tutte.
I superstiti del Mount Weather, però, non la odiavano. Non avevano nulla da perdonarle: aveva lottato per loro e lo apprezzavano.
Clarke aveva capito di non essere sola.
E, mentre riorganizzava il campo Jaha e guardava Bellamy accanto a lei, non poteva fare a meno di sorridere.
Perché, pensò, dopo la guerra c’è finalmente la pace.

Nota di un'autrice che sta sperando che the 100 finisca bene:
Allora, inizio con il dire che mi sono ispirata alla canzone "this is war" the 30 seconds to mars e diciamo che ho fatto una specie di post guerra. Spero di non essere andata OOC e che vi sia piaciuta.
Detto sinceramente, questa cosa è venuta fuori in una volta sola e spero che non vi faccia troppo schifo. Al massimo faccio la contorsionista che evita i pomodori.
è la prima ff su the 100 che pubblico. Quindi, spero di non aver danneggiato anche questo fandom.
Ora mi dileguo, perché non sono molto brava con le note autrici.
Alla prossima!
 
  
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