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Autore: visbs88    01/03/2015    1 recensioni
Caroline aveva trovato un nome ai propri fantasmi: li chiamava “ombre di ghiaccio”.
Un delitto, bugie, intrighi, orrori: al suo ritorno a New York da un viaggio in Europa durato un anno, una giovane critica d'arte dovrà affrontare ricordi del passato e violenze del presente, mentre i suoi spettri si agitano e accolgono tra loro nuovi compagni pronti a distruggerla.
E lei non è mai stata forte.
[Scritta per il contest Giallo a scelta multipla indetto da Faejer sul forum di Efp]
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Ringraziamenti: grazie mille a Verde Pistacchio per aver messo la storia nelle ricordate ^^ questo capitolo era pronto da molto tempo, ma per via del contest giunge solo ora. ^^ il finale si avvicina, spero di non rovinare tutto quanto proprio adesso. Buona lettura ^^

 

 

 

5. In apathy

 

Il cuore le martellava nel petto. Gemette.

Riusciva a vedere solo ombre nere muoversi rapide e lente – spettri di gelida tenebra le aleggiavano davanti – chi erano quei mostri che correvano e tornavano, scappavano e scivolavano come ladri nella notte della sua mente?

Le gambe si muovevano nervose, strisciando senza meta, le unghie graffiavano il petto e le braccia, la molle carne si contraeva e si arrendeva, la fronte si imperlava di sudore.

Il delirio era l'unico sollievo ed era insopportabile.

Forse era giunta al proprio punto di non ritorno, al proprio confine, al proprio orizzonte maledetto – giù, giù nella cascata dei limiti della vita, giù con il suo corpo e giù con quello che era stata. Se la bocca dell'Inferno non si fosse spalancata sotto di lei in quel momento, quando? Se il precipizio non l'avesse inghiottita, quale altro orrore avrebbe potuto farla scivolare nelle sue spire oscure? Se le ombre di ghiaccio non avessero colpito a morte, che occasione più propizia e più devastante avrebbero aspettato?

La fine doveva essere lì. Avrebbe dovuto essere lì.

La porta, aprendosi, urtò la sua schiena. Materia inanimata contro fisico esangue, pareva un dettaglio effimero nell'ovattato mondo del baratro, ma le sue conseguenze ebbero ben diverse proporzioni: permise a uno spirito vivo di entrare, a due braccia di sollevarla, a un petto caldo di accogliere il suo volto scavato dal tormento. Pochi secondi di vuoto ed era di nuovo sul letto, insieme all'eroe, stretta all'eroe, aggrappata all'assassino che sussurrava parole di miele.

– Scusami, è stata colpa mia, non avrei dovuto... va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene, amore. Non mollare proprio ora.

Non sapeva che ormai era cominciata la discesa e speranza non avrebbe più baciato quei capelli che lui accarezzava, né quella pelle chiara. Restava solo l'inerzia del vivere, che quietò i sussulti del petto e gli occhi lucidi. Basta: troppo intensa, troppo profonda la disperazione – talmente immensa da diventare impercettibile. Si avvolse come un guanto di preziosa e ruvida stoffa attorno al suo cuore e lì rimase, mentre lei ascoltava per minuti e minuti scuse colme di crudele dolcezza, ignorandole fino a quando non fu interpellata davvero.

– Andrà tutto bene, tesoro. Devi solo... quando potrai... dirmi cos'hai fatto.

– Io...

Spaventoso udire quanto la sua voce fosse roca. La lasciò infrangersi nella sua gola, con orrore – e non voleva più schiudere quelle labbra avvelenate dalla crudeltà del destino, non voleva più muovere gli occhi fissi che vedevano un angolo e poco altro. Congelarsi lì era perfetto, perché non era rimasto nulla.

Il tocco di quelle dita, l'abbraccio più stretto, il respiro profondo di quel petto cosa preannunciavano? Che segnale stava dando, con la propria calma?

– Va tutto bene. Non preoccuparti. Io capisco, Rose. Ma dobbiamo essere pronti e io devo sapere. Perché non sei venuta da me, dopo?

Perché non sapevo dove fossi, non sapevo di dover venire, non sapevo che doveste incontrarvi dopo la mia morte”. Restò in silenzio.

– Va bene. Posso capirlo. Dimmi solo dove sei andata. Con calma.

Se fossi morta, non potrei dirtelo. Non dovrei dirtelo. Non sarei costretta. Starei bene”.

– Casa.

La parola strisciò fuori trascinandosi su sillabe stanche, cadendo come una goccia di fiele su un lago di menzogna. Nessun luogo meritava ormai quel nome, nessuno avrebbe mai potuto riacquistarlo – era un termine dolce e intimo, speciale e profondo, intenso e positivo, e nulla di tutto ciò poteva più albergare in lei.

La stretta si serrò ancora, mentre un tremito attraversava chi pensava di proteggerla.

– L'hai guardata tutto quel tempo?

– Ore.

– Ore? Quante?

– Non lo so.

– Quando sei uscita?

– Non lo so...

Il tono stanco interruppe per qualche secondo l'interrogatorio, prima che esso riprendesse più dolce, più pacato. “Sei amorevole. Sei viscido”.

– Scusami. Andiamo piano. Cioè, se vuoi continuare... altrimenti dormi un po'...

Scosse la testa.

– Va bene. Lei era in orario?

Un'ombra di ghiaccio ebbe un guizzo. Per un attimo, un fugace attimo, assunse una sfumatura più calda nel suo buio; si illuminò di un barlume sciocco e infantile di riconoscenza che nel vuoto di Caroline si accese come una lucciola morente, mentre una consapevolezza ironica e cinica prendeva forma di realtà.

L'eroe l'aveva salvata davvero. Senza il dolore, lo sgomento, la nostalgia e il rimpianto con cui le aveva ferito l'anima, senza la necessità di asciugare le lacrime salate e amare, senza il bisogno di perdersi per le strade e fra i grattacieli, Caroline avrebbe varcato la porta di casa per abbracciare non Rosaline, non il suo cadavere distrutto, ma la morte stessa.

Annuì, mentendo.

– Le hai parlato come volevi?

– Sì.

Jayson prese un profondo respiro.

– E poi lei è salita in casa, mentre tu sei andata dove dovevi.

Rosaline l'avrebbe aspettata per darle l'addio. Avrebbe usato una scusa per farle entrare da sola. Sarebbe stata lontana, mentre un proiettile spegneva la vita della sua gemella adorata.

Ma stavolta era più saggio scuotere il capo, affermare una pallida verità.

– Cosa? Sei salita anche tu?

– Sono... in giro... un po'...

Un secondo di riflessione.

– Non sei andata a prendere quella torta. Non importa. Ti sei solo dimenticata. Non potranno provare il contrario, anche se...

Anche se è importante avere un alibi semplice ma solido”.

– Sei tornata... a... controllare?

Annuì.

Perché Rosaline era salita prima di vederla? Perché aveva commesso quell'errore, malgrado il piano perfetto? Si era spazientita? O forse... o forse... forse aveva vacillato, sola ad attenderla davanti al loro nido, sola per ucciderla e guardarla negli occhi e mantenere sangue di ghiaccio. Forse nell'attesa il cuore aveva avuto la meglio, l'amore si era risvegliato in tutta la propria forza. Forse era salita in casa per impedire ciò che sarebbe dovuto succedere, fermare l'assassino, mandarlo via. Ma forse lei non conosceva le mosse che lui aveva programmato con la sua spietata esperienza di professionista, forse aveva errato a non chiamarlo, forse lui era stato nascosto e aveva solo colpito quello che aveva ritenuto il giusto obiettivo. Forse, di certo con il silenziatore, e poi via, nell'oblio del suo mondo oscuro e violento e colmo di sangue.

La scena si distendeva davanti agli occhi della sua mente, la sua copia perfetta che si aggirava esitante nelle stanze come lei stessa aveva fatto, forse impaurita, forse confusa dalla scelta e dalla paura, una debole falena priva di una luce da seguire, o confusa da troppi barlumi senza sapere a quale affidarsi. Una creatura disperata e pentita di essere stata crudele?

– Sei rimasta lì fino al momento di venire a cena?

– No.

– Ricordi cos'hai fatto?

– Stavo per morire.

– Cosa?

Di tutto ciò che lei gli aveva detto, dubitava della verità più certa. Due volte Caroline era scampata alla falce inesorabile, anche se ne stava svelando una soltanto. Quell'incredulità nella voce suonava sciocca e futile. Ogni cosa era uno scherzo macabro, un labile gioco. E ormai la prima tessera di quel domino sporco di sangue era caduta – la sua voce assorbita dalla monotonia del parlare solo per riempire il vuoto di quei brevi istanti, lasciando che la realtà si mescolasse con la morbida illusione.

– Volevo cadere giù, ma mi hanno fermata. È arrivata la polizia. Sono uscita, mi hanno lasciata andare. Sono andata da Marianne e in un parco. Sono venuta da te.

Ancora ignara, ancora viva – oh, tutto quel dolore che aveva creduto l'avrebbe annientata, cos'era in confronto a ciò che il suo cuore provava in quel momento? Cos'era la morte di fronte al tradimento? Cos'era l'incertezza paragonata alla verità? Nebbia, fumo, detriti, polvere.

– La polizia? Rose... cosa hanno visto?

La paura rivelava la crudeltà. Difficile immaginare un nemico più temibile di un codardo, di un vigliacco. Nessuna persona capace di essere più spregevole di quella minacciata e vulnerabile – anche perché... anche perché...

– Caroline – esalò lei, con una voce tornata fragile come un filo di neve, un sussurro impalpabile.

– Certo, ma...

– Ho detto di chiamarmi Caroline.

L'abbraccio si allentò e nel silenzio le parole fluttuarono come sospese nell'aria pesante, nella penombra sempre più chiara, spiriti invisibili immobili nel vuoto, trasparenti con tutto il loro peso.

La bugia, la tragica commedia continuava, e Caroline non sapeva perché continuasse a recitare. Era solo naturale così, semplice così.

Una goccia umida le cadde sulla fronte, una mano si intrecciò ai suoi capelli portandole la testa di nuovo vicina a quel petto ricolmo di enigmi e orrori. Il male piangeva.

– No – sussurrò il dio, la voce rotta – Tu sei Rosaline, amore. Tu sei... la mia... la mia bellissima Rose. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.

Dunque intuiva qualcosa della natura oscena del delitto che avevano ordito? Era consapevole delle conseguenze delle proprie azioni? Aveva una coscienza, anche solo per amore di quella creatura che adorava e che aveva portato a mutilare, squarciare, smembrare se stessa?

– Dovevamo – riprese, tremando, ma senza più lacrime – Dovevamo, sai che non c'era altro modo. So... so che ti fidavi di lei... so... quanto... importante... so che ti avrebbe aiutata, se avesse potuto... ma non poteva. La colpa è di quei bastardi, avrebbero continuato... a chiedere lei, sempre, e tu... noi... nell'ombra... mai disperati, ma mai felici... così, invece...

Le sue viscere si contorsero con violenza, il suo volto tornò cereo. Strinse le labbra, soffocando il proprio gemito e le grida della sua anima, schegge delle ombre di ghiaccio che si allungavano e penetravano nei suoi polmoni.

Non voleva più sapere nulla, eppure sapeva, capiva.

E la ragione, la ragione era sempre quella, sempre, sempre, sempre. Alla fine, solo quella. Era un ritornello spietato, una parola breve e sonante, una maledizione, una follia, il motore più pratico e concreto di ogni moto della Terra, inestirpabile, indistruttibile, incontrollabile, la spinta più potente nei cuori corrotti per amare e per odiare: denaro.

Mai disperati, ma mai felici”. Così parlava il dio, spietato e avido nella propria debolezza e nella propria lungimiranza: se davvero gli editori avessero preferito per puntiglio la penna di Caroline, di certo mai lei avrebbe abbandonato la preziosa gemella e la persona a questa più cara. Avrebbe condiviso ogni centesimo – morire di fame lei, piuttosto che il suo sole. Ma l'irrequieto desiderio d'indipendenza, l'egoismo, l'orgoglio, la frustrazione, l'invidia, quante cose potevano essere state suscitate in un animo fragile. Con Caroline in vita, mai più speranza di firmare ai piedi della pagina; con Caroline morta, ogni giornale avrebbe dovuto rassegnarsi e imparare ad apprezzare ciò che restava, pari talento, pari potenzialità, forse minor fantasia – forse i colori dell'Europa avevano alterato ogni cosa.

Forse ogni singolo passo era stato un immenso errore.

– Non importa cosa tu abbia detto – sussurrava intanto Jayson – Andrà tutto bene.

 

Il nome sbagliato? Un lapsus dovuto allo shock. I cellulari scambiati? Solo perché Rosaline aveva preso come incosciente la borsa della sorella morta, lasciando a casa i propri effetti. Quel buco di ore? Il minimo per la perdita di una parente tanto stretta. Poteva provare di essere stata altrove al momento del delitto? No, nella concitazione del ricongiungimento aveva dimenticato i soldi per la torta ed era tornata a prenderli, facendo la scoperta. Possibile provare il contrario? No. Testimoni? Quelli che avevano assistito al tentato suicidio, per il resto nessuno aveva notato le gemelle – nessun tassista si fece avanti per dire qualcosa, tutti persi nel loro caos di bagagli e volti da trasportare ogni giorno tutto il giorno. L'arma del delitto? Introvabile. Movente? Non c'era nessuna vera ristrettezza economica, l'ispirazione era in crisi, ma questo non era un motivo per odiare una gemella. Tabulati e computer mostravano affetto continuo e reciproco. Nessuna prova a sfavore.

Jayson l'abbracciava confabulando con l'avvocato, i giornali parlavano e la difendevano e si commuovevano, la polizia dubitava ma si mordeva le labbra.

Caroline guardava con occhi vacui. Gli eventi scorrevano rapidi di fronte a lei, che aveva perso ogni cosa, ogni motivo per agire.

Il tempo goccia a goccia strisciava avanti, mentre lei, in attesa di una svolta del cammino che scivolava sotto ai suoi piedi, rimaneva immobile.

   
 
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