Dark love,
shining hatred
1) It starts with a mug
Finalmente sei tornata da me, sorella, sebbene la nostra
riconciliazione non sia avvenuta nel modo migliore: ti ho dovuto portare via
dalla tua casa, strappare dalle braccia di quel servo infame, colui che ti ha
avvelenato a tradimento. Hai sofferto così tanto per quel gesto ignobile, lo so
bene: hai versato lacrime colme di rabbia e gridato al vento il tuo dolore,
mentre ti chiedevi cosa avessi fatto di male per meritarti questo. Hai passato
due settimane chiusa in quella camera spartana, distruggendo quel poco che si
trovava al suo interno per non sentire il suono del tuo cuore che andava
sgretolandosi come arida pietra. Per un attimo temevo di averti perduta
pur vivendo sotto lo stesso tetto, visto che mangiavi a malapena e non
proferivi parola.
Ora però hai aperto la porta della tua
stanza e con passi lenti ma decisi mi hai raggiunta nell’angusta cucina, il
viso pallido incorniciato dalla lunga cascata di boccoli neri che un tempo erano
acconciati con cura, mentre adesso sembrano un informe intrico di serpi
iraconde. Sussulti quando mi volto e ti sorrido, stordita dalla dolcezza che
leggi nei miei occhi, eppure riesci a ricambiare timidamente, piegando
leggermente le labbra sottili: sei così bella, fulgida nonostante le tenebre
che ti avvolgono, algida pur essendo lambita dalle roventi fiamme del rancore.
«Buongiorno,
sorella! Spero di non averti disturbato...» cominci riverente, un’eredità di
quella carogna di Uther, proprio come quella sorta di primordiale timore che
vorrei tanto strappar via dalla tua anima tormentata; d’impulso ti afferro le
mani, suscitando nuovamente il tuo stupore, e osservo il tuo sguardo spostarsi
rapidamente dappertutto e, nello stesso tempo, da nessuna parte. Stai ancora
cercando di risanare le tue ferite e temi di essere respinta un’altra volta, lo
sento; ti sposto una ciocca di capelli ribelli e la porto dietro l’orecchio,
facendoti rabbrividire per la delicatezza del mio gesto inaspettato.
«Come
ti senti, Morgana? Va meglio?» ti domando con un misto di apprensione e
dolcezza, scuotendo quel muro che hai innalzato per proteggere il tuo cuore; ti
limiti ad annuire, per poi sciogliere l’intreccio delle nostre dita e avviarti
con passi misurati verso una mensola posta sul muro alla tua destra. Il tuo
sguardo passa in rassegna tutti gli oggetti stipati su di essa, per poi
indugiare con curiosità su uno in particolare: un teschio umano in perfette
condizioni, adagiato sopra un panno di lino nero, come a volerne mettere in
risalto il candore.
Istintivamente,
tendi le braccia verso di lui, come un bambino di fronte a un misterioso
arnese, e con i polpastrelli sfiori la superficie liscia dell’osso frontale,
studiando le mistiche sensazioni che tale contatto ti trasmette. Un
indecifrabile lampo ravviva le tue iridi per una frazione di secondo, per poi
estinguersi nell’oscurità senza fine delle pupille leggermente dilatate; un
desiderio morboso attraversa ogni fibra del tuo essere, inebriandoti la mente
con un’immagine nitida e peccaminosa.
«Dove hai preso questo teschio?» mi
chiedi con distaccata curiosità, come se stessi cercando di occultare il
macabro, indicibile quesito che pervade la tua anima: posso prenderlo? Con un paio di ampie falcate ti raggiungo e
afferro rapidamente l’oggetto del tuo desiderio, porgendotelo subito dopo con
un sorriso materno; il tuo viso s’illumina nuovamente, acceso da una lugubre
gioia, così ti volti e riscaldi la mia gelida anima con il tocco gentile della
mano che mi sfiora il braccio, inducendo il mio cuore a palpitare febbrilmente.
Dischiudo le labbra per risponderti, ma m’interrompi scuotendo la testa e
prendi la parola al mio posto.
«Ho
avuto modo di riflettere in questi giorni, sorella, e infine ho preso una
decisione: intendo vendicarmi di Uther e porre fine alla sua ignobile
persecuzione. Ha ucciso troppi innocenti e continuerà a farlo se indugerò
ancora nel mio dolore!»
Ti
guardo con orgoglio mentre pronunci queste frasi e mi smarrisco nelle tue
fantasie di un futuro migliore per quelli come noi: i tuoi occhi fiammeggianti
mostrano sublimi immagini della nostra vendetta, trasformando il teschio di
quello sconosciuto in un simbolo di speranza e di riscatto. La tua
determinazione è palpabile, così come il tuo inconsapevole bisogno di supporto;
dal momento in cui sei venuta a conoscenza della tua vera natura, hai portato
sulle tue spalle un peso troppo grande per te ed è giunta l’ora di condividerlo
con qualcuno che ti ama incondizionatamente come me.
«Hai
perfettamente ragione, Morgana. Questo regno di terrore deve finire! Lascia che
ti aiuti a compiere la tua vendetta: posso insegnarti come controllare i tuoi
poteri e trasformarli in un’arma invincibile, insieme renderemo Camelot un posto
migliore!» esclamo con trasporto, posando le mani sulla superficie fredda delle
ossa che stringi delicatamente al petto, quasi volessi giurarti perpetua lealtà.
Ti ritrai spaurita, soppesando la mia proposta e chiedendoti se sia davvero il
caso di fidarsi di me; sei disposta a mettere ancora una volta in gioco il tuo
cuore, nonostante tutte le vessazioni che ha dovuto subire?
Per
quanto grande possa essere la gratitudine che provi nei miei confronti, puoi
basarti solo su di essa per abbassare la guardia? Hai vissuto nell’ombra per
troppo tempo, nascondendoti da tutti coloro che amavi e fidandoti della persona
sbagliata, per poter concedere la tua fiducia così a buon mercato... No, non
sei nella posizione adatta per commettere errori, non dopo la ferita infertati
da Merlin: hai preso una decisione importante dalla quale dipendono i destini
di tanti innocenti, primo fra tutti quello del tuo adorato Mordred, il giovane
druido per il quale faresti qualunque cosa, perciò non puoi concederti il lusso
di sbagliare.
«Perdonami,
Morgause, ma non sono ancora pronta ad accettare il tuo aiuto: ho bisogno di un
po’ di tempo per riflettere, ti dispiace se faccio una passeggiata nei paraggi
per schiarirmi le idee?» mi domandi con un misto di timore e di risolutezza,
confidando nella mia comprensione senza però mostrarti debole.
«Capisco
perfettamente, sorella: hai il mio benestare, tuttavia non posso lasciarti
andare in giro in queste condizioni...» rispondo con una punta di apprensione e
mi dirigo spedita verso il baule posto sotto la finestra, frugando al suo
interno con il tuo sguardo turbato addosso; trovato ciò che cercavo, torno da
te e ti porgo un pugnale in corno di cervo, lama donatami dall’onorevole Nimueh
in persona qualche anno fa: «Prendilo, sorella, così non sarai del tutto
indifesa!»
I
tuoi occhi scorrono estasiati lungo il piccolo fodero, per poi soffermarsi
sull’elegante impugnatura ricca di rune e di pietre magiche incastonate. Mi guardi
con immensa gratitudine, toccata dal mio gesto come se avessi appena compiuto
un atto di fede nei tuoi confronti, così mi porgi riverente il teschio, ti
volti ed esci dalla mia umile dimora; non immagini con quale rapidità io sia
tornata al baule per estrarre un cristallo stregato, grazie al quale potrò
vedere dove andrai e se sarai in pericolo.
Attraverso
la superficie candida e discontinua, osservo le tue movenze incerte ma regali
mentre ti destreggi leggiadra tra le fronde degli alberi del boschetto che
circonda la casa; avvolta nel logoro mantello verde, cammini circospetta in
quel dedalo silvestre, facendoti largo tra i rami bassi e superando le radici
sporgenti con la grazia di una ninfa. Immersa in quella natura selvaggia, la
tua bellezza risplende come il sole tra le nubi scure, irradiando quel luogo
cupo e donando alla vegetazione nuovi colori sgargianti: sembra quasi che il
tuo passaggio possa donare nuova vita a ciò che ti circonda.
Questa
visione idilliaca purtroppo non è destinata a durare: d’un tratto, infatti, si
avverte un vociare rozzo e confuso che turba la quiete della foresta e rovina
la mia estatica contemplazione. Ti vedo sobbalzare nell’udire quei suoni
inattesi, così irruenti da spazzar via le tue riflessioni su di me e sulla tua
vendetta. Incuriosita, ti avvii verso la fonte di quei rumori, le pallide dita
strette attorno all’arma che ti ho donato; grande è la tua sorpresa quando
scorgi una taverna nel mezzo del nulla, acuita ancor di più dalla folla che si
è radunata al suo interno, per lo più viandanti esausti e banditi pronti a
derubare innocenti. Un flebile sorriso si affaccia sul tuo volto, segno che hai
trovato il posto adatto per decidere in tutta calma; nonostante io non sia del
tuo stesso avviso, non posso non ammirare la tua ferrea determinazione e la
fiducia che riponi nei tuoi acerbi poteri, amplificata dal familiare contatto
con il pugnale che ti ho donato. Con passi rapidi e decisi, raggiungi
l’ingresso del locale e superi l’uscio senza esitare, puntando dritto verso il
bancone dove si trova solo l’oste e un giovane viaggiatore.
Il
tuo sguardo indugia per qualche secondo sull’omone di fronte a te, un tipo
impostato sulla quarantina intento a pulire un boccale con un panno consumato,
ma la tua attenzione viene completamente assorbita dal ragazzo al tuo fianco: i
lunghi capelli castani incorniciano il viso ispido come fosse un’opera d’arte,
mettendo in risalto gli occhi nocciola e rendendo le labbra rosee quasi appetitose.
Indossa degli abiti lerci, prova tangibile del suo peregrinare, tuttavia al suo
fianco tiene una spada di buona fattura, che mal si concilia con il suo umile
aspetto.
«Che
ti porto da bere, dolcezza?» la voce roca del taverniere ti riscuote dalla tua
analisi, facendoti voltare di scatto verso il tuo interlocutore in un fruscio
di vesti e boccoli scombinati; fai per rispondere, ma qualcuno ti anticipa e
prende la parola al posto tuo.
«Portaci
due boccali d’idromele, amico: offro io per la signorina!» afferma raggiante il
vagabondo, suscitando la mia irritazione e la tua perplessità.
«Cosa
ti fa pensare che io voglia un boccale d’idromele, straniero?» domandi con modesta curiosità, sottolineando l’ultima
parola per accentuare il disappunto generato dalla sua intromissione. Per tutta
risposta, lo sconosciuto scoppia a ridere e fa cenno all’oste di proseguire,
per poi rannicchiarsi su se stesso e tenersi la pancia: questa reazione
t’irrita a dismisura, così sfili il pugnale dalla cintura e cominci a
soppesarlo tra le mani, valutando se sia il caso di trafiggere quel maleducato
e punirlo per quell’affronto o se sia meglio lasciar correre e considerarlo un
ubriacone qualunque. Visto che non sai con esattezza per quanto tempo ti
tratterrai da me, preferisci risparmiargli momentaneamente la vita, per la mia
tristezza...
«Perdonami,»
afferma il giovane una volta placate le risate «non sono riuscito a trattenermi;
diciamo solo che chi entra in un posto del genere non lo fa per fissare l’oste,
che oltretutto non mi sembra sia proprio un bel vedere...»
Quello
sfrontato ammicca e tu non riesci a trattenere una risatina, scuotendo la testa
divertita; c’è qualcosa di speciale in lui, lo senti, anche se non sai dire
cosa sia di preciso...
«Non
hai tutti i torti, senza offesa chiaramente.» aggiungi alla vista dell’omaccione
in avvicinamento con i boccali riempiti fino all’orlo. Lanci uno sguardo
complice al ragazzo al tuo fianco, che ricambia con un sorriso sempre più
ampio, quasi voglia avvolgerti con la sua gioia. Una volta prese le bevande, i
tuoi occhi si socchiudono leggermente, muta richiesta di brindisi che viene
accolta con entusiasmo da quell’individuo misterioso.
«Direi
che d’obbligo un bel brindisi: al nostro fortunato incontro, e che l’alcool lo
renda ancor più memorabile!» proclama raggiante, avvicinando il boccale al tuo;
ti prendi una manciata di secondi per osservare lo straniero, confusa da quello
strano discorso, poi cedi di fronte alla sua espressione speranzosa e fai
cozzare i boccali. Mentre lui si avventa avido sul liquido dorato, tracannandolo
senza ritegno, tu ti limiti a sorseggiarlo, apprezzandone il retrogusto
lievemente acidulo e quel fine bruciore che ti pervade la gola.
«Mi
chiamo Gwaine!» esclama gioioso non appena ha terminato il suo idromele,
piantando il suo sguardo su di te, ansioso di conoscere il tuo nome. Cosa farai
ora? Sai bene di non poter rivelare la tua identità, specie a un individuo
losco e pieno di alcool come questo forestiero: il dubbio ti attanaglia le
viscere, paralizzando la tua mente e serrando le tue labbra.
«Piacere,
Gwaine!» mormori a fatica, finché non trovi un modo per ribaltare la
situazione: «Non è un nome che si sente tutti i giorni, per caso appartieni a
una famiglia nobiliare?»
Formuli
quella domanda con apparente noncuranza, celando il sollievo per essere
sfuggita dai carboni ardenti e la reale curiosità, giacché quel nome stride con
l’aspetto trasandato del ragazzo; questi sospira e alza le spalle, rivolgendoti
un sorriso amaro al pensiero delle sue origini, cosa che t’incuriosisce ancor
di più.
«Ti
prego, non farmelo ricordare...» risponde vagamente, per poi aggiungere:
«Preferirei non doverne parlare, piuttosto ancora non mi hai detto il tuo
nome!»
«Preferirei
non doverlo rivelare, puoi chiamarmi... Gwen!» esclami dopo un attimo di
esitazione, scegliendo il nome della tua serva per non lasciar trapelare le tue
nobili origini; una fitta al cuore ti lascia senza fiato, pensando all’amicizia
che un tempo vi univa e che ora deve cedere il posto al tuo desiderio di
vendetta. Chissà se lei si schiererà dalla tua parte quando tornerai a Camelot
per distruggere Uther, in fondo anche lei è stata vittima della sua folle
persecuzione, dato che il re ha fatto uccidere suo padre. Il turbine di
emozioni ti assale con violenza, rendendoti dimentica di tutto, dalla taverna
al viandante: un solo pensiero si agita nella tua mente, il teschio umano che
hai trovato a casa mia e che simboleggia il tuo cammino. La mano destra torna a
stringere l’elsa del pugnale che avevi lasciato sulle tue gambe, dissipando le
ombre funeste che ti avvolgono e rendendo chiaro ciò che devi fare.
«Mi
spiace, Gwaine, ma ora devo andare!» affermi con decisione, per poi alzarti
dallo sgabello su cui sedevi e andartene a grandi passi dall’osteria, ignorando
il giovane che ora ti fissa interdetto. Attraversi spedita quell’intricato
labirinto di rami e radici, muovendoti aggraziata e sicura nonostante
l’oscurità si sia addensata in quel bosco rispetto all’andata. In pochi minuti
sei di ritorno e bussi con febbricitante impazienza, chiamandomi a gran voce:
quando ti apro, mi getti le braccia al collo e mi stringi con passione, facendo
imbizzarrire il mio cuore che ora sembra volermi uscire dal petto.
«Avevi
ragione, sorella: ho bisogno del tuo aiuto per compiere la mia vendetta. Ti
prego, insegnami tutto ciò che sai, così metteremo Uther in ginocchio e
libereremo la nostra gente dal terrore!»
Il
tuo corpo sembra essere sul punto di esplodere, i tuoi occhi brillanti fissi
nei miei: come si può resistere a un tale misto di dolcezza e ardore?
«Puoi
contare su di me, sorella, ora e sempre!»