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Autore: Sincro    03/03/2015    0 recensioni
Una storia ambientata in Francia in un imprecisato periodo temporale.
Personaggi custodi di un destino scritto per loro da un'entità celata da una maschera.
Questo destino sarà loro gabbia o salvezza? Chi mai si spingerebbe in qualcosa del genere e perché?
Genere: Horror, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9 - Legame indissolubile
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Notte fonda. Tutti riposano. Il temporale era giunto alla sua fine. Da alcuni sfiati sembrava fuoriuscire del vapore che ricadendo sul terreno formava una bassa ma densa nebbia bianca. Intorno alla stalla tutto tacque.
Il diradarsi delle nuvole permise ad una luna non piena di bagnar ogni cosa con la sua luce. Il furgoncino dei fratelli Craft era lì parcheggiato dalla mattina. La catena della stalla era immersa, quasi nascosta, nel fango. Intorno non c’era molto se non un esile ponticello che sovrastava un altrettanto magro fiume. Dai fori nel terreno nulla si intravide se non una tenue luce portata su dal vapore. Nella stalla c’erano tanti sacchi piegati e sistemati su alti scaffali, al centro la botola.
Carl aveva le labbra violacee con mani e i piedi grondanti di sudore. Non era più accasciato sul suolo della cucina ma disteso su una lastra di bianco alabastro marmo. Aprì gli occhi ma quel che riuscì a vedere era solo un altissimo soffitto finestrato attraverso il quale notò uno spicchio di luna. Ruotò leggermente il collo ma qualcosa lo tenne ancorato e non gli permise grandi movimenti, stessa sorte per mani e piedi. Ruotò gli occhi ed intravide dei grossi e lunghi perni traforargli le mani. Immagina stessa fatalità sia toccata anche ai piedi, vista l’impossibilità di muoverli. Ma non riuscì a capire cosa stesse bloccando la sua testa. Sentì dei passi lontani avvicinarsi sempre più. Ritmo lento e preciso, chi avanzava verso lui non aveva la benché minima fretta, talmente lenti che sembravano scandire i minuti.
«Stai comodo, spero.»
«Maestro cosa mi sta succedendo? Sono trapassato da parte a parte da perni, non riesco a muovermi.»
«Penso sia normale, non trovi?»
«Non avverto dolore ma sono invaso da una strana nausea, cosa diamine mi sta succedendo? Non ricordo niente!»
«Tranquillo, è tutto normale. Sei sotto le mie cure, adesso.»
Il maestro Flamel si accomodò tra le morbidezze di una sedia disposta al lato della lastra sulla quale giaceva Carl. Restò in questa posizione, con gli occhi chiusi, per parecchio tempo. Mormorò, quasi sussurrando, delle incomprensibili parole. Improvvisamente, ma con quella calma che lo contraddistingueva, si alzò e si avvicinò all’uomo per vederlo meglio.
«È stata una fatica trascinarti e innalzarti sul tavolo, apprendi?»
Carl aprì la bocca come per parlare ma quel che sentiva era solo il pensiero della sua mente e la voce del Maestro: «Inutili i tuoi tentativi di rispondermi, tra poco ricorderai ogni cosa. Devi solo pazientare ancora per un po’.»
Il Maestro aprì leggermente la bocca dell’uomo per poi far ricadere in essa tre gocce bianche provenire da un’ampolla. Le pupille di Carl si dilatarono e gli occhi si mossero scattosamente in ogni direzione. Le venature sul collo e sulla fronte si gonfiarono per poi terminare con il blocco degli occhi in una precisa direzione, la luna.
 
«Carl, Tom, venite a mangiare!» urlò una donna abbastanza giovane dall’altra parte di un campicello arato.
«Mamma terminiamo l’esplorazione e arriviamo» rispose, sempre urlando, un giovanissimo Carl.
«Carl la mamma ci ha sempre proibito di attraversare il fiume, non dovremmo farlo.»
«Sei sempre stato un codardo, Tom. Sta zitto e seguimi.»
«No, io torno dalla mamma.» disse Tom per poi iniziare una corsa verso la roulotte parcheggiata poco distante.
Il giovane Carl attraversò un ponticello per imbattersi in una recinzione piena di animali. Mucche, capre e qualche asino. Al centro dello steccato c’era una stalla ancora in costruzione. Il ragazzo si avvicinò ad alcuni operai i quali non gli donarono particolare importanza. Carl si avvicinò al recinto per poi carezzare la testa di un asino facendolo ragliare, subito ritrasse la mano e scavalcò lo steccato per rincorrere le capre. Corse, scappò e giocò nel perimetro dello steccato fin quando, distratto per lo sguardo rivolto verso una capra particolarmente mattacchiona, urtò nello stomaco di un vecchio. Carl alzò lo sguardo e cadde in un imbarazzato silenzio. Il vecchio colpì il suo capo con le dita per poi disegnar un sorriso sul suo volto.
«Come ti chiami ragazzino?» chiese il vecchio
«Carl, mi chiamo Carl. Mi scusi, non dovrei essere qui.»
«Non preoccuparti, apprezzo la tua audacia. La mamma ti ha detto di non oltrepassare mai il ponte ma tu l’hai fatto lo stesso. Sei coraggioso. Non come tuo fratello, vero?»
«Conosce mio fratello signore?»
«Non ancora ma lo conoscerò molto presto.»
 
Le pupille di Carl ritornano normali. Il Maestro non era lì con lui. Aveva la mente lucida per riflettere e cercar di ricordare, ma fu inutile. Riecco i lenti passi ritornare verso di lui. Provò a liberarsi ma avvertì un tenue bruciore provenire da mani e piedi.
«Inizi ad avvertire il dolore, immagino.» disse Flamel osservando le espressioni doloranti sul volto di Carl «Ma non preoccuparti la prossima fase sarà indolore.»
Detto questo il vecchio si diresse alle spalle dell’uomo, dietro il suo capo. Armeggiò con qualcosa proprio dietro la sua testa per poi aprir nuovamente la bocca dell’uomo e lasciar cadere altre tre gocce, rosse questa volta. Medesima reazione, pupille dilatate e occhi che roteavano rapidi e senza controllo per poi bloccarsi.
 
«Carl dove vai la notte? La mamma è preoccupata.» chiese Tom.
«Son fatti miei. Ho trovato un lavoro.»
«Ogni volta che torni con il furgoncino di papà questo ha sempre un odore strano. Cosa fai di preciso? Per chi lavori?»
«Fratello questi sono affari miei! Tu non devi immischiarti e dì alla mamma di pensare a se stessa.»
Quella notte Carl si alzò per uscire. Tom, silenziosamente, si era nascosto nel retro del furgoncino. Barcollò e traballò per quasi un’ora, poi tutto si fermò. Carl prese un grande borsone dal retro ed uscì sbattendo la porta. Tom, nascosto tra i sedili posteriori riuscì ad intravedere una grandissima villa circondata da alberi, il piano terra era oscurato a differenza di una finestra del primo piano che irradiava una forte luce gialla. Riuscì a sentire vari rumori, strani rumori. Voleva vederci chiaro, così uscì dal furgoncino e scappò a nascondersi dietro un grande cespuglio. La luce del primo piano era ancora accesa ma dalla porta d’ingresso riconobbe il fratello che trascinava, con enorme fatica, un borsone nero che ripose nel retro per poi sgommare via a tutta velocità. Tom provò a rincorrere il furgoncino ma perse sempre più terreno fino a vederlo sparire tra gli alberi. Tornò indietro, verso la villa. Il cancello era stato forzato, così come la porta d’ingresso. Tutto era buio ma riuscì ad arrivare alle scale. Un lunghissimo corridoio con in fondo un'unica porta aperta. Tom lo percorse fino al raggiungimento della stanza illuminata. Il letto era intonso, c’erano tanti abiti e libri sul pavimento. Tom osservò la scrivania sulla quale giacevano una tazza rovesciata e alcuni fogli pieni di note. Tra i libri notò un fazzoletto sporco leggermente. Lo afferrò per annusarlo, ma il solo accostarlo cominciò a fargli girar la testa, era cloroformio. Perlustrò la restante villa e dopo aver capito essere vuota ritornò nel cortile. Notò delle scarpette nere una lontana dall’altra, le raccolse. Dei fari in lontananza corrono verso di lui così corse a nascondersi dietro un cespuglio vicino il cancello d’ingresso, era il furgoncino di famiglia. Da esso uscì un nervosissimo Carl pieno di rabbia che imprecava come un forsennato. Passò davanti a Tom il quale sente chiaramente la parola “scarpe” uscire dalle labbra conserte del fratello. Vide Carl entrare in casa ed accendere, man mano, tutte le luci. Alla visione delle luci del primo piano Tom sgattaiolò fuori dal nascondiglio e per accovacciarsi tra i sedili.
 
Gli occhi di Carl ritornano a veder quella lontana luna ma questa volta Flamel era con lui. Dietro di lui.
«Cos’hai visto? Raccontami…» pronunciò Flamel.
«Ho visto una delle sue prime commissioni per me.» rispose Carl stupendosi per il ritorno della voce.
«Ricordi i dettagli di quella notte? Dov’era tuo fratello?
«Ricordo tutto, anche che mio fratello era nascosto tra i sedili, ma questo dettaglio me l’ha detto lei in seguito.»
«Noto che la parte adibita alla memoria è ritornata a funzionare, così come quella del linguaggio…»
«Cosa mi sta facendo Maestro? Perché mi sta facendo vedere queste cose?»
Flamel ignorò la domanda di Carl e, per un’ultima volta, aprì la bocca dell’uomo per far ricadere una singola goccia nero pece.
Le venature sulle braccia si dilatarono così come i muscoli si irrigidirono. Si riuscì quasi a percepire il pulsare del cuore oltre il petto e lo scorrere del sangue nelle vene. Cominciò a fuoriuscire della schiuma dai lati della bocca. Strinse i pugni e liberò, con uno strattone seguito da un rumore d’ossa, entrambe le mani dalla presa dei perni. Liberate le mani scoprì che stessa sorte era toccata a tutta la spina dorsale, perni più sottili conficcati precisamente tra una vertebra e l’altra, lo confinavano a quel tavolo. Disteso, cominciò a prender a pugni il duro marmo. Pugni sempre più potenti, tali che nel marmo si cominciarono ad intravedere delle crepe; increspature che preannunciavano un’imminente rottura. Una pressione da parte di Flamel, un tocco leggero alla base della testa, lo immobilizzò prima dello sferrar di un altro, magari il decisivo, colpo al marmo.
«Quanta forza che abbiamo!» disse eccitato Flamel.
«Maledetto mostro cosa vuoi da me?» disse Carl ma con una voce diversa, quasi non sua.
«Maledetto mostro? Osi definir così il tuo maestro?!»
Flamel bloccò la fronte del furioso Carl e con una si avvicinò al suo occhio. Prima aprì le bene le palpebre per poi toccare, con estrema delicatezza, la pupilla e la sclera dell’uomo. Con la punta del polpastrello massaggiava quell’occhio con strana esperienza. Il vecchio, poi, chiuse gli occhi e spinse due dita verso il retro dell’occhio di Carl. Le urla lancinanti dell’uomo rimbombano in tutta la sala, il suo corpo tremava in preda ad un dolore mai provato prima. Un secco rumore, simile allo stappar di uno spumante, e Flamel aveva tra le dita un occhio intriso e traboccante di sangue. Il viso di Carl era insanguinato, così come il petto e il tavolo. Il marmo assorbì, attraverso le numerose crepe, tutta la linfa dell’uomo.
 
Il sole gli bagnò il viso. Riuscì a sentire il cinguettare degli uccelli dalla finestra che affaccia nella folta chioma di un albero. Un delicato vento muoveva una tendina bianca. Si era svegliato.
«Signor Craft!» urlò una gioiosa Veline.
Tom non riuscì ad alzarsi e Veline nel dargli aiuto scoprì che tutto il cuscino era sporco di sangue, così come l’occhio vitreo dell’uomo. Subito chiamò un’infermiera che medicò l’occhio dell’uomo e controllò la fasciatura al petto.
«Cos’è successo al Signor Craft?» chiese preoccupata Veline.
«Cara non lo so. Non ricordo molto, solo alcuni abbagli. Nosferatu dov’è? Come sta?!» chiese il Signor Craft.
«È a casa con Betty, in ottime mani!» disse Veline mentre l’infermiera dopo aver aperto la valvola di una flebo va via «Non ricorda niente della scorsa mattina? L’incidente? Il temporale?»
«È normale, la memoria ritornerà non preoccuparti. Il Signor Craft ha subito un’anestesia generale ed un intervento non indifferente. Il peggio è passato, tranquilla.» assicurò il medico che era appena entrato.
Mentre il medico ispezionò le bende e quell’occhio stranamente sanguinante, Veline si avvicinò alla finestra per goder di quel delicato vento che le spettinava i capelli e le coccolava il viso. Sentì, anche lei, il cinguettare degli uccellini. Tra i rami intravide alcuni nidi e tanti pettirossi. Aguzzò lo sguardo per cercar di intravedere anche le uova ma l’attenzione fu rubata dalla vista di un corvo nero che la fissava. Il corvo nero.
   
 
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