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Autore: Milky_Rose    05/03/2015    3 recensioni
“Che guardi?” Castiel appoggia il mento sulla mia testa, sbirciando il cortile che va svuotandosi.
“Un tipo che non è della nostra scuola direi… Non l’ho mai visto” dico sbuffando appena.
Sento i muscoli della mascella del rosso contrarsi.
“Dov’è?” soffia le parole con rabbia.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Kentin, Lysandro
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
Capitoli:
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Cuffie nelle orecchie, computer sulle gambe… sono pronta per iniziare una nuova partita, accedo al gioco quando…
“Himeji, potresti venire un attimo?”
Mia madre è sempre stata capace di interrompermi nei momenti migliori!
Tolgo di malavoglia le cuffie dalle orecchie, fermando la musica e scendo scalza le scale.
“Si? Avevi bisogno?” mi sporgo nella spaziosa cucina, l’odorino della cena già invade l’aria, il tavolo pronto per essere apparecchiato.
Mia madre mi viene incontro con uno scatolone
“Tuo padre ha trovato questo in cantina… controlla che non ci sia nulla che ti interessa, altrimenti lo buttiamo via”
Impallidisco appena alla vista di quella scatola, ma raggiungo mia mamma e le tolgo il peso dalle braccia.
“Se non fossi intervenuta, tuo padre l’avrebbe fatta sparire direttamente, lo sai come è fatto” si lascia scappare una risatina “Ma ricordo che mi avevi detto di avere ricordi importanti qui dentro.”
Annuisco e le sorrido, è davvero attenta.
“Tra poco è pronta la cena, non ti attardare troppo… Hai già fatto i compiti?”
“Siii” urlo scappando su per le scale che portano alla mia camera.
Poso lo scatolone al centro della stanza e vado a richiudere la porta, prima di spostare nuovamente lo sguardo su quella scatola colorata.
Ne sono attratta e allo stesso tempo intimorita, ne conosco il contenuto e forse, dopo un anno è venuto il momento di staccarsi dal passato e smettere di sperare.
Ken non tornerà….


Tolgo lentamente lo scotch dallo scatolone, facendo attenzione a non strappare il colore
*in ogni caso potrei riutilizzare la scatola per i miei disegni!* penso, nel vago tentativo di non rabbuiarmi più di quanto non lo sia già.
Apro lentamente i lembi di carta e al suo interno trovo tutto nello stesso ordine in cui l’avevo lasciato.
L’orsetto con la maglietta con il cuoricino occupa gran parte dello spazio, lo prendo delicatamente e lo appoggio sul letto con una delicatezza incredibile.
C’è una piccola pila di foto, le sollevo e inizio a scorrerle lentamente… Sono tutte foto scattate insieme a Ken, nel corso delle elementari.
Alcune mi fanno scappare un sorriso, ma mi lasciano tutte l’amaro in bocca.
“E questa? Come ci sei finita qui?” tra le tante foto ne trovo anche una mia e di Castiel, in quella giornata al mare.
Alzo lo sguardo e ne ritrovo una simile sulla mia bacheca dei ricordi, piena di foto con i miei amici.
“Domani la porterò a Cass, si lamenta sempre che non ha nostre foto insieme.. “ ridacchio e la appoggio vicino all’orsetto.
Poso tutte le foto fuori dallo scatolone e sul fondo rimane solo un vecchio diario logoro e qualche piccola bigiotteria.
Un anellino rosa chiaro, un braccialetto con dei fiori di ciliegio e degli orecchini con pendente a piuma, ricordavo ogni singolo compleanno in cui me li aveva regalati… l’anellino ormai posso metterlo solo sul mignolo, tanto è piccolino, il bracciale invece non riesco ad indossarlo.
Appoggio tutto vicino alle mie gambe incrociate e prendo l’ultima cosa rimasta, il diario.
Tra tutti questi oggetti è la cosa che ricordo meno, così inizio a sfogliare le prime pagine… trovo una calligrafia traballante e i racconti di una me bambina, durante le elementari. Sorrido, sbuffo e mi sorprendo di come riportassi tutto ciò che mia accadeva, con una cadenza quasi maniacale.
Rimango un po’ li a leggere di piccole scaramucce e di bigliettini tra amiche, quando mi imbatto in due pagine chiuse tra loro con lo scotch.
Mi alzo e raggiungo la scrivania, cercando un paio di forbici, ma mentre mi appresto a eliminare quel piccolo pezzo di plastica, mia madre mi richiama dalle scale per farmi scendere a cenare.
Malvolentieri lascio forbici e diario e mi dirigo verso il piano di sotto dove trovo i miei genitori già seduti a tavola.
Passiamo una serata piacevole, aiuto mia madre a sparecchiare e tutti insieme ci piazziamo davanti alla tv per seguire un reality show estremamente divertente.
Dimentico completamente il diario  e quando ritorno in camera rimetto tutto nello scatolone svogliatamente, ad esclusione della foto con Castiel; infilo la scatola colorata nel mio armadio e arrivo traballante sotto le coperte.
Spengo la luce e mi addormento, pensando al mio compagno d’infanzia, Ken.


Mi ritrovo nel bel mezzo del nulla, intorno a me c’è solo un blu notte sconfinato; cerco con lo sguardo qualsiasi cosa familiare e noto di non essere nel nulla ma sotto un cielo trapuntato di stelle… Anzi, per l’esattezza, sono sospesa in un cielo pieno di stelle.
Guardo intorno a me con meraviglia e stupore e capisco che posso muovermi a mio piacimento, come se stessi nuotando in quel cielo.
Vedo le mie mani e sussulto, sono semi trasparenti, di un bianco perlato, molto simile all’alone della luna piena.
Inizio a fluttuare di qua e di la avvicinandomi alle stelle, e cingendo la loro luce tra le mie mani; la sensazione di tranquillità che mi pervade è calda e accogliente, sento di potermi perdere in quel cielo magnifico.
Ad un tratto una voce mi distrae e spaventa al tempo stesso
“Una yumemi?” è una voce maschile, calda e in qualche modo familiare.
“Chi è la?” dico voltandomi in cerca della fonte di quel suono.
“Sono proprio qui”
Davanti a me c’è un contorno luminescente di un corpo maschile, sforzando appena gli occhi, noto che all’interno di quella luminescenza il colore è più scuro, un nero perfetto e senza stelle.
“Credevo di essere l’unico a sapere come arrivare qui” il suo tono è divertito e le labbra, unica cosa riconoscibile in quel “corpo” si increspano in un sorriso.
“Non so come ci sono arrivata… Mi sono addormentata come sempre e mi sono ritrovata qui” dico abbracciando lo spazio intorno a noi con le braccia aperte.
“E’ la prima volta che incontro qualcuno qui…” 
Si avvicina a me e viene rischiarato leggermente dal luccichio del mio corpo.
“Quindi tu sai dirmi perché sono… così?” esito un po’ cercando le parole per descrivere il mio corpo , se così lo si può definire.
“In questo spazio c’è solo la proiezione della tua mente, per questo non hai un aspetto ma solo una forma e una voce.”
“Vuoi dire che posso assumere qualunque forma io desideri?” chiedo speranzosa
“Non esagerare adesso” ridacchia il mio interlocutore.
Presa in contropiede sbuffo e mi guardo intorno sempre più meravigliata del paesaggio.
sto giusto contemplando una costellazione lontana che penso di conoscere quando al mio “compagno” se così possiamo definirlo, scappa un grido come se si fosse scottato.
“Che succede?” Chiedo intimorita.
“Devo andare… la sveglia..”  vedo il suo corpo diventare evanescente poco alla volta e inorridita gli grido
“Come faccio? Come faccio a svegliarmi?”
“Sforzati di uscire dal sogno! Imponi alla tua coscienza di svegliars…” e sparisce sotto i miei occhi prima che possa finire la frase.
“sforzarmi di svegliarmi… la fa facile lui…” mi siedo a gambe incrociate e mi concentro
“Devi svegliarti! Devi svegliarti! Devi svegliarti! Devi svegliarti!” dico a me stessa, esattamente come quando faccio un incubo.
Lentamente mi sento sparire e la pesantezza del mio corpo mi pervade.
Apro gli occhi e vedo l’orario… le 6.30.
“Che razza di sogno…” sussurro a me stessa portando un braccio sopra gli occhi.
Ben sapendo che non mi sarei più riaddormentata decido di alzarmi e prepararmi per un altro giorno di scuola.
Indosso i jeans a sigaretta neri, un pullover rosa antico attillato, le All Stars nere e prendo il mio zaino a tracolla nero e azzurro dalla sedia vicino all’armadio.
Recupero la foto lasciata la sera prima sulla scrivania, me la rigiro tra le mani, pensando a qualche mese prima, al caldo dell’estate e ai miei goffi tentativi di relazionarmi con Castiel.
La infilo nella tasca alta dello zaino e gettandomelo su una spalla scendo al piano di sotto, dove trovo mia madre ai fornelli, intenta a preparare il caffè per lei e mio padre.
“Buongiorno..” sbadiglio vistosamente, i capelli ancora arruffati dal sonno
“Buongiorno tesoro… come mai già sveglia?”
Mi siedo al tavolo, intavolando una conversazione con mia madre, mentre mangio cereali e latte.
Mio padre passa praticamente correndo in cucina, trangugiando di corsa il suo caffè e farfugliando che è “in ritardo ritardissimo” e correndo fuori dalla porta prima ancora che io potessi finire i miei cereali.
Lascio la mia tazza nel lavandino, trascino i piedi fino al bagno dove mi lavo velocemente i denti, e riporto i miei capelli a uno stato umano, infilando una spilla a forma di stella all’altezza della tempia.
“Perfetto!” scocco un sorriso a me stessa allo specchio, recupero un elastico dal mio beauty e lo infilo al polso, prima di tornare in cucina per recuperare zaino e giacca.
“Sei pronta? Torni per pranzo oggi?” mia madre già vestite da tutto punto, mi aspetta sulla soglia di casa per fare un piccolo pezzo di strada insieme.
“No, mi fermo con Rosa a studiare a scuola…” dico infilando il giubbottino di pelle nera e lanciandomi la borsa su una spalla.
“Rientra prima che faccia buio e fai attenzione!” il tono di mia madre è apprensivo come sempre, ormai ho 17 anni e comunque non riesce a non essere in pena per me ogni qual volta che metto piede furi di casa.
Mi avvicino e le sorrido
“Certo, non preoccuparti!”
Lei mi da un dolce buffetto sulla testa e insieme ci incamminiamo fino alla fermata dell’autobus.
Attendo con lei l’arrivo del mezzo e la saluto allegramente con la mano non appena parte a bordo di un saturo autobus verso il centro di Parigi.
Mi incammino a passo svelto, infilandomi le cuffiette nelle orecchie e sparando a tutto volume una canzone di May’n.
La città si sta ancora risvegliando e ci sono ben poche persone sui marciapiedi della città; seguo per un po’ la via principale per poi svoltare all’interno di un piccolo parco che avrebbe accorciato notevolmente la strada per il liceo.
Girovago appena, tentennando nella scelta della direzione.
“Himeji abbi un po’ di forza di volontà! Ti sei detta ieri sera di smetterla di pensarci…” ma i miei piedi già camminano in quella direzione che tentavo disperatamente di evitare.
“Oh, al diavolo!” penso e lo sguardo già corre sulla mia meta.
In mezzo al parco c’è un piccolo laghetto con poche panchine intorno, una di quelle ha un incisione decisamente speciale…
Sfiorando la superficie con la mano si riescono ancora a sentire le parole incise, nonostante sia stata riverniciata più volte nel corso degli anni.
In 3° media io e Ken vi incidemmo “Yume no Tsubasa” … Ai tempi quando scoprii che suo nonno era di origini Giapponesi (come mia madre, d’altronde) rimasi estremamente stupita.
Su quella panchina passammo l’ultimo pomeriggio insieme e lui mi raccontò che il suo sogno più grande era visitare il Giappone di cui suo nonno gli aveva ampiamente parlato.
Decidemmo quindi di incidere quelle parole per sugellare la promessa che un giorno avremmo visitato Tokyo insieme.
Da quando mia madre mi consegnò l’orsacchiotto e mi disse che Ken e la sua famiglia si erano trasferiti all'estero e il numero di cellulare di Ken risultò irraggiungibile, vengo in questo posto sperando di rivederlo un giorno.
Presa dai miei pensieri arrivo quasi alla panchina, quando mi accorgo che è già occupata; un ragazzo dalle spalle atletiche e scompigliati capelli castani siede proprio al centro della panchina.
Mi fermo a pochi passi da lui, sbuffo appena e mi dirigo nuovamente verso il sentiero principale a passo pesante.
Da quando frequento lui è andato via, ogni mattina, passo qualche minuto seduta in quel posto e trovarla occupata mi ha messo addosso un po’ di malumore.
Raggiungo lentamente il bar vicino a scuola, dove ordino un cappuccino al ginseng che mi faccio portare al tavolo che occupo abitualmente con Cass e Lys.
Sto per appoggiare lo zaino su una delle due sedie quando mi accorgo del piccolo blocco note di Lys, puntualmente dimenticato.
Lo infilo nella stessa tasca dove tengo la foto e sorseggio allegramente il mio cappuccino, prima di ritornare sui miei passi e raggiungere il cancello della scuola.
Trovo Lysandre vicino alla nostra panchina, con un espressione pensierosa in volto.
“Buongiorno Lys… Tutto bene?” dico con tono vago, ben sapendo cosa impensierisce il mio amico.
“ ‘Giorno Himeji… Non trovo più il mio quaderno… Tu sai dove potrei averlo messo?” 
“Intendi questo?” recupero il blocco e glielo porgo, ridacchiando
“Dovresti fare più attenzione quando fai colazione al bar”
Lui mi sorride e afferra il quaderno per poi sparire dietro lo stesso, colto da un improvvisa ispirazione.
Lo osservo per un po’, sorridendo, per poi domandare
“Cass pensa di venire oggi a scuola, che tu sappia?”
Lui alza appena lo sguardo dal quaderno, quando un braccio mi afferra le spalle, facendomi quasi cadere.
“Certo che la nanerottola oggi è curiosa!” Una voce ben conosciuta e profonda mi fa andare su tutte le furie.
“Tu non riesci a salutare come un normale essere umano?” Dico rivoltandomi nel suo strano abbraccio e alzando la testa per incrociare il suo sguardo.
“Non è colpa mia se le nanette non sono facili da abbracciare” ridacchia guardandomi dalla sua irritante posizione.
“Tsè… E io che ti avevo anche portato un regalino… Non credo che te lo meriti…” metto su un broncio esageratissimo e sbuffo.
Vedo un sorrisetto sul suo volto e la sua curiosità montare poco alla volta; lo guardo di traverso e divertita sussurro:
“A questo punto dovrai guadagnartelo, Signor Castiel” 
Sento le sue mani cingermi la vita e rapido si avvicina a me e mi schiocca un bacio tra guancia e labbra, facendomi arrossire e balbettare.
“S-s-s-stupido!!” tento di allontanarmi ma lui mi tiene stretta appoggiando poi il mento sulla mia testa
Lo sento ridere, ma d’un tratto sento le sue braccia irrigidirsi e il suo corpo trema appena.
“Castiel?” preoccupata tento di svincolarmi dalla sua presa, ma una sua mano corre veloce alla mia nuca e mi fa affondare nel suo petto.
“Cass… Cosa?...Soff…Soffoco!!” Riesco a gridare prima che lui sciolga quella presa mortale.
“Volevo vedere quanto resistevi, nanerottola” dice con rinnovata allegria nella voce, ma i suoi occhi sono ancora guardinghi e preoccupati.
Mi volto alla ricerca della fonte della sua tensione, ma ormai il cortile della scuola è semideserto, dato che sta per suonare la campanella di inizio lezioni.
“Quindi questo regalino?” Cass mi sorride mentre ci avviamo tutti e tre verso la nostra aula all’interno.
“Dipende da come di comporterai oggi!”


 
Lo strano comportamento di Castiel continua per tutta la durata delle lezioni.
Durante l’intervallo scatta via come una molla, lasciando me e Lysandre a scambiarci sguardi interrogativi e quando faccio per uscire dalla classe, per prendere un the alla macchinetta mi si piazza davanti, insistendo perché io resti in aula e proponendosi di andare lui stesso a prenderlo per me.
“A cosa devo tutta questa gentilezza?” dico non appena torna con il the fumante.
Lui scosta lo sguardo da me e sbuffa
“Non posso essere gentile, ogni tanto?” un leggero rossore gli imporpora le guance e scambia un veloce sguardo con Lys, che dopo un breve cenno con la testa, si alza ed esce velocemente dalla classe.
“Si può sapere che state complottando voi due?” osservo la schiena di Lys sparire dietro la porta prima di riportare il mio sguardo sul ragazzo dai capelli rossi davanti a me.
Il suo sguardo incrocia il mio, ma l’acciaio dei suoi occhi è imperscrutabile.
“Allora nanetta… Mi sono meritato il mio regalino?”
“Stai tentando di cambiare argomento?”
Lui tende la mano verso di me e so che non avrò altre risposte da lui.
“Uff… E va bene, prepotente!!” Sbuffo e recupero la foto dalla tasca dello zaino.
“L’ho trovata ieri sera mentre…” mi fermo, cercando le parole giuste, “…Mentre sistemavo camera!” concludo con un sorriso tirato ma Castiel è troppo intento a osservare la foto.
Emette un fischio basso e poi si avvicina al mio viso.
“In costume eri proprio una magnifica visione, sai? La tua parte migliore era in bella vista…” mentre parla fa vagare lo sguardo sul seno prosperoso, che in questo momento tende in maniera preoccupante il mio maglioncino rosa.
Lo fulmino con lo sguardo e tento di riprendermi la foto, ma lui mi piazza una mano in mezzo alla fronte, ridacchiando.
“Calmati nanerottola o rischi di farti male!” continua a ridere mentre agito le braccia nel tentativo di afferrare la foto che lui tiene in alto sopra la sua testa.
“La pagherai… Oh, se la pagherai, Castiel!!” mi lancio arrabbiata al suo posto vicino alla finestra e osservo il cortile pieno di studenti.
Un ragazzo che cammina verso i cancelli attira la mia attenzione… Dove ho già visto quella testa castana?
Rimugino un attimo, sforzandomi di ricordare, mentre lui si allontana dall’istituto intento a scrivere un messaggio su un cellulare.
“Che guardi?” Castiel appoggia il mento sulla mia testa, sbirciando il cortile che va svuotandosi.
“Un tipo che non è della nostra scuola direi… Non l’avevo mai visto” dico sbuffando appena.
Sento i muscoli della mascella del rosso contrarsi.
“Dov’è?” soffia le parole con rabbia.
“Ma che ti prende? Comunque è appena uscito dai cancelli della scuola… Perché ti preoccupa tanto?” Mi giro, costringendolo ad alzarsi.
“Ora ricordo!” scatto in piedi, facendo spaventare il mio compagno di banco.
“Sei impazzita? Mi hai fatto prendere un infarto!”
“E’ il ladro di panchine di questa mattina!” dico gettando uno sguardo sprezzante alla finestra.
“Il ladro di cosa..?” Ora è Castiel ad osservarmi stranito, mentre la classe si riempie poco alla volta.
“Stamattina, facendo il solito giro nel parco ho trovato la mia panchina preferita occupata… Era quel tipo, ne sono certa!” batto soddisfatta un pugno nell’altro.
Vedo di nuovo i pugni di Cass irrigidirsi per poi rilassarsi
“Come fai a dirlo, nanerottola? Poteva essere chiunque, dato che tu non ci vedi da qui a li!” si infila una cuffietta nell’orecchio e mi guarda sornione.
“Sai essere davvero irritante quando vuoi, lo sai?” incrocio le braccia al petto e sbuffo alterata.
Cosa ne vuole sapere lui? Sono certa che è la stessa persona che ho visto questa mattina! Non capisco perché la cosa lo indispettisca a questo modo!
Totalmente persa nei miei pensieri, mi accorgo appena che Lysandre è appena rientrato in aula e con aria cupa fa un cenno a Castiel che subito scatta in piedi.
“Nanerottola, oggi tu ti fai accompagnare a casa da Lys, non voglio sentire obiezioni!”
Recupera il suo zaino e mi lancia un occhiata truce.
“Se vengo a sapere che sei tornata da sola, ti torturerò per il resto dell’anno, intesi?”
“Ma cos…?” non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che lui è già fuori dalla porta, dopo aver appoggiato la mano sulla spalla dell’amico e avergli sussurrato qualcosa.
“Ma che gli prende a quello, oggi?” borbotto, mentre Lys prende il suo posto accanto a me.
Getto lo sguardo nel cortile e vedo Castiel inforcare la sua moto e sparire veloce nelle vie della città, malamente inseguito dal professor Faraize, nel tentativo di fermarlo.
Indico la scena a Lys e insieme ci facciamo una sonora risata.
Vorrei proprio sapere cosa gli è preso,  a quella testa calda.
Persa nei miei pensieri, le ultime ore di scuola corrono via in un battito di ciglia e ben presto mi ritrovo nel cortile in compagnia di Lys.
“Non sei obbligato ad accompagnarmi Lys… Anzi non ne vedo nemmeno il motivo!”  ho la voce alterata da una leggera rabbia.
“Per me non è un problema accompagnarti a casa, Hime” Lys mi sorride e si incammina in direzione della mia casa, facendomi cenno di seguirlo.
Siamo quasi ai cancelli della scuola quando mi fermo di colpo.
“Oggi devo studiare insieme a Rosa! Me ne stavo dimenticando!” proprio in quel  momento lei compare al mio fianco.
“Parlavo giusto di te!”
“Hime! Mi dispiace ma dobbiamo rimandare il nostro pomeriggio di studio” mi guarda dispiaciuta e con voce arrabbiata continua
“I miei genitori mi hanno incastrata ad andare a trovare dei parenti fuori città” alza gli occhi al cielo, stizzita.
“Non preoccuparti, Rosa!” la vedo gettare uno sguardo astioso oltre la mia spalla.
“Ecco i miei in macchina… Ci sentiamo per messaggio, Hime! Ciao Lys”  scappa via salutando entrambi con la mano, per poi sparire nell’auto dei suoi genitori che parte a tutta velocità.
“Direi che possiamo andare anche noi…”  dico sconsolata.
Avevo proprio bisogno dell’aiuto di Rosa per il compito di matematica della prossima settimana.
Lysandre mi scompiglia appena i capelli e mi sorride
“Forza non fare quella faccia triste… Non ti va di restare un poco in mia compagnia?”
Arrossisco appena
“Non ho mai detto questo!  Solo, mi dispiace che tu debba allungare tanto la strada solo per accompagnare me a casa!”
“Come ti ho già detto, mi fa solo piacere accompagnarti!”
Lungo la strada chiacchieriamo del più e del meno ma quando arriviamo nei pressi del parco, Lys mi afferra un braccio e mi fa fare un brusco cambio di direzione, svoltando verso la ben più trafficata via di negozi li accanto.
“Se attraversiamo il parco arriviamo prima!” dico mentre attraversiamo la strada e iniziamo a camminare in mezzo a una moltitudine di persone.
“Avrei bisogno di vedere un negozio qui… Vorrei anche mettere qualcosa sotto i denti, se ti va di tenermi compagnia” sorride nonostante legga nei suoi occhi una certa apprensione.
Proprio in quel momento il mio stomaco lancia un borbottio rumoroso e io arrossisco fino alla punta delle orecchie.
“Direi che conviene, per prima cosa, fermarci a mangiare!” Sentire la risata di Lysandre è sempre una rarità per cui dimentico tutti i pensieri sulla strana apprensione che lui e Castiel sembrano avere nei miei confronti oggi e insieme ci dirigiamo nel primo fast food che troviamo lungo la nostra strada.
Rimaniamo insieme fin a metà pomeriggio, dopodiché Lysandre mi accompagna fino a casa, ci salutiamo sulla porta e io rimango sola nel silenzio.
Lancio la giacca su una sedia e dopo aver scalciato via le scarpe mi dirigo mesta in camera mia, pronta per un tentativo di studio dell’odiosa matematica.
Mi cambio distrattamente davanti alla porta finestra della mia camera, ripiegando accuratamente i vestiti sulla sedia e rimanendo in intimo mentre prendo la mia tenuta casalinga per stare comoda.
Infilo un magliettone di almeno tre taglie più largo e mi cade l’occhio sulla strada sottostante.
Dei grossi camion di un agenzia di traslochi si fermano nella villetta a fianco e vedo gli operai iniziare a scaricare mobili ed elettrodomestici.
“Credevo che rimesse disabitata per sempre… La casa di Ken…” scosto le tende e mi appoggio al vetro osservando il via vai di operai e mobilio nella strada.
Sono ancora li appoggiata quando sento un pizzicorino alla nuca, come se qualcuno mi stesse osservando.
Alzo lo sguardo e vedo qualcuno chiudere bruscamente le tende della finestra davanti alla mia.
Sussulto e chiudo velocemente le tende, imbarazzata, per poi infilarmi un paio di pantaloni comodi e mettermi a studiare, con il cuore che ancora batte all’impazzata.
Verso le sette sento mia madre rientrare e decido di smetterla di scervellarmi.
“Tanto non ci capirò mai nulla da sola, meglio se vado a farmi un bel bagno caldo!!”
Esco dalla stanza e vado a riempirmi la vasca di acqua calda, così da essere pulita e profumata, in tempo per la cena.
Dopo essere scesa a salutare mia mamma ed averle raccontato la giornata, ritorno al piano superiore, chiudendomi nel bagno,  dove mi immergo nell’acqua calda e rimugino sulla giornata appena passata.
“Mi sono dimenticata di chiedere a mamma se sa chi sono i nostri nuovi vicini!” penso distrattamente mentre muovo la schiuma con la mano.
L’acqua bollente culla i miei pensieri e ben presto mi trovo con il corpo rilassato e la mente svuotata.
Quando sento il campanello suonare e la voce di mia madre che accoglie mio padre, decido di sciacquarmi e uscire dalla vasca.
Torno in camera mia avvolta in un asciugamano, i capelli bagnati mi ricadono sulle spalle e piccole goccioline d’acqua imperlano le parti scoperte della mia pelle bianca.
Cerco dell’intimo e dei vestiti puliti all’interno dell’armadio, appoggio poi tutto sul letto e faccio scorrere via dal mio corpo l’asciugamano, rimanendo nuda davanti allo specchio.
Mi osservo per qualche istante, prima di infilarmi mutandine e reggiseno; d’un tratto mi accorgo che nel buio la finestra di fronte alla mia è illuminata.
Mi giro rapidamente e noto qualcuno che sbircia attraverso le tende spesse della casa accanto; non appena si accorge che lo osservo, chiude rapidamente le tende.
Per la seconda volta nella giornata, arrossisco imbarazzata e chiudo le serrande.
“Che schifo… un maniaco come vicino di casa… immagino che sarà pure vecchio e bavoso!” penso mentre infilo il pigiama.
Mi pettino i capelli e li passo velocemente con il phon, prima di raccoglierli con un mollettone colorato e scendere per cenare insieme ai miei genitori.
Parlando del più e del meno vengo a sapere che neanche loro sanno chi si è appena trasferito nella casa accanto, decido quindi di non riferire i due imbarazzanti episodi del pomeriggio, non voglio farli preoccupare inutilmente.
Dopo aver lavato i piatti me ne torno in camera, mi butto sul letto e metto le cuffiette alle orecchie, lasciandomi cullare dalla mia musica più rilassante.
Ben presto mi infilo sotto le coperte e spegno la luce, lasciandomi andare a sogni ben più tranquilli di quelli della notte precedente.



-Angolo Autrice-
Ciao a tutti! Grazie per aver letto il primo capitolo della mia FanFic! Volevo solo dirvi un paio di cosuccie ...
Ho messo il rating arancione perché la storia potrebbe evolversi in modi che neanche io comprendo (?) fino ad arrivare al rating rosso (!!)
Non ho una cadenza precisa per la pubblicazione dei capitoli, cercherò comunque di essere il più costante possibile!
Se notate errori ed orrori di qualsiasi genere e tipo, non fate problemi a segnalarli! Alla Prossima
  
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