Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Mary P_Stark    06/03/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
II. Tokyo
 
 
 
20 ore prima...
 
 

La suite era splendida, ma su questo non aveva avuto dubbi.

Se c'era una cosa che non lo sorprendeva mai, in Giappone, erano la bellezza e l'eleganza sobria e raffinata.

Lo stile era tradizionale, con colori caldi e adatti all'ambiente altolocato.

Shoji in carta di riso delimitavano le stanze della suite, mentre i mobili, bassi, privi di orpelli e lucidati a specchio, erano confezionati in legno di rosa.

Il bagno, in marmo rosa, era abbellito da applicazioni in oro e, in un angolo, una statua di gatto, dalla zampa sollevata verso l'alto, evocò in lui antichi ricordi.

L’albergo scelto da Noboru Tashida, vecchio amico di famiglia, era in linea con gli antichi palazzi giapponesi, appartenuti agli shogun della zona.

Noboru sapeva come risvegliare in lui la sua passione per l’oriente, questo era certo.

A ogni nuovo incontro, l’uomo l’aveva reso edotto sulla cultura giapponese, spiegandogli i loro riti propiziatori, le loro feste, le loro abitudini.

Queste cose, nonostante il progresso feroce e l'avanzare dei tempi, non erano cambiate, in Giappone.

Era una terra ricca di estremi, e lui ne era sempre stato affascinato.

Accarezzò perciò il maneki neko in porcellana dipinta, che si trovava su una mensola, e mormorò: «Arigato...»

Ringraziare per quel piccolo gesto benedicente era il minimo.

Lanciata un’ultima occhiata al piccolo gatto in porcellana, si diresse verso l’ampio salottino della suite, ben deciso a servirsi un drink assieme alle sue guardie del corpo.

Sorrise spontaneamente nel vedere Leon, uno dei suoi bodyguard, ammirare la città dalle ampie finestre a sbalzo.

La Tokyo Tower era a malapena visibile, in quel dedalo di grattacieli multiforme e ricchi di luci colorate.

«C'è più traffico che a Los Angeles» ironizzò l'ispanico, sorridendogli nel sorseggiare una birra, presa direttamente dal frigo bar della stanza.

«Con più di quindici milioni di abitanti, non mi stupisce» assentì Cam, servendosi un vermouth prima di infilarsi nella sua stanza per sistemare gli abiti nell'armadio a muro.

Avrebbe potuto farlo fare a una cameriera, ma preferiva pensarci di persona.

Osservando i completi che aveva portato con sé per quella visita in Giappone, scelse uno spezzato beige-nero, per incontrare Noboru.

Con lui, le formalità non erano necessarie. Lo conosceva dacché aveva sei anni, e lo considerava alla stregua di uno zio acquisito, al pari di Phillip o di Bran.

Stava ancora decidendo quale cravatta abbinare alla camicia chiara, quando un rumore sospetto attirò la sua attenzione.

Un attimo dopo, la porta della sua stanza venne chiusa con uno schianto e, nel salotto della suite, scoppiò il caos.

Preoccupandosi subito, Cam fu lesto a recuperare il programma – motivo del suo viaggio in Giappone – dai suoi effetti personali e, infilatolo nella tasca interna della giacca, fissò torvo la porta.

Che doveva fare? Uscire e dare una mano? Chiamare la portineria dell'albergo? Far intervenire gli androidi di sorveglianza ai piani?

Prima ancora di poter formulare un qualsiasi altro pensiero, la porta venne spalancata e, con sua somma sorpresa, penetrò un uomo dal volto coperto da un passamontagna.

Gli abiti stonavano con le sue movenze ferine, perché jeans e maglietta non erano adatti a quello che, all'apparenza, sembrava essere un ninja.

Il silenzio nel salotto mise in allarme Cam che, però, non poté far nulla per controllare cosa fosse successo a Sebastian e Leon.

Il fatto che non fossero comparsi nella sua stanza, però, la diceva lunga.

«Non sono molto propenso a giocare, in questo momento. Cosa vuoi?» disse Cameron, seguendo con attenzione le lente manovre di avvicinamento dell'uomo incappucciato.

Se lo avesse voluto morto, a quel punto lo strano assalitore avrebbe già staccato per lui un biglietto per il Paradiso, perciò... cosa voleva?

Un paio di tonfi all'esterno della stanza sorpresero entrambi, portandoli a volgere lo sguardo verso la porta.

Prima ancora di poter aprire bocca per esprimere la rispettiva confusione, il guerriero ninja crollò a terra dopo alcuni secondi di ovvio sconcerto.

Nel suo collo, coperto dal passamontagna, era ben conficcato un sottile spiedo di metallo lucente, quasi sicuramente intriso di veleno.

Un'altra arma ninja. Ma che diavolo stava succedendo?

Sempre più preoccupato, Cam afferrò la prima cosa che gli capitò a tiro – la lampada da comodino – e, torvo, osservò la porta aperta della sua stanza.

Quando però vide comparire una figura di donna, il suo sconcerto salì alle stelle e, senza rendersene conto, lasciò cadere a terra la lampada.

Perché mai, neppure nei suoi incubi peggiori, si sarebbe mai immaginato di vedere una sua vecchia amica armata di tutto punto e, a quanto pareva, assassina matricolata.

«Yuki-necchan... ma cosa ci fai tu qui?» esalò Cam, sconvolto.

«Ti salvo la pelle, a quanto pare» replicò la giovane, guardandosi intorno con aria disgustata. «Vieni con me, non c'è tempo da perdere. Abbiamo ancora dodici minuti di copertura.»

Preferendo non chiederle nulla, annuì torvo ma lei, nel bloccarlo sulla porta, gli domandò: «Il programma è con te?»

Cam assentì, sempre più sospettoso e Yuki, afferratolo a un braccio, lo trascinò fuori dalla suite, impedendogli di fatto di perdere tempo accanto ai corpi esanimi delle sue due guardie del corpo.

Il giovane poté degnarli solo di un breve sguardo sofferto.

La sua vecchia amica, a quanto pareva, aveva fretta di allontanarsi, impedendogli di fatto di onorare i morti che lasciarono alle spalle.

Non appena si ritrovarono nel corridoio deserto, Yuki scartò a destra e, con competenza quasi preoccupante, estrasse dal giubbotto un paio di ganci uncinati, che inserì tra le fessure della porta dell'ascensore.

Così facendo, le forzò applicando una certa pressione e, dopo aver indicato a Cam di entrare all'interno del condotto, ordinò perentoria: «E ora mostrami quanto sei bravo ad arrampicarti, Cameron-kun

Cameron non si fece certo pregare e, utilizzando la scala a pioli metallici conficcata nella parete, risalì il cunicolo buio a due per due.

La sua mente, nel frattempo, galoppò veloce alla ricerca di un qualsiasi genere di spiegazione possibile a quello che era appena successo.

Era sul suolo giapponese da neppure dieci ore, e tentavano di ucciderlo per una cosa che, in teoria, nessuno conosceva?

Qualcosa non quadrava.

A quel punto, si chiese se fosse corretto fidarsi di Yuki. Dopotutto, lei come faceva a sapere del programma?

Per quanto si frequentassero dalla tenera età, per quanto si fosse allenato per anni, con lei e Dom, nell'arte del bushido, poteva dire realmente di conoscerla?

Quando perciò raggiunse la botola che conduceva al tetto dell'albergo, la affrontò a muso duro e ringhiò: «Gradirei qualche spiegazione, Yuki-necchan. E subito

La giovane sospirò, si passò una mano tra i lisci capelli neri – ora legati in una coda di cavallo – e, con occhi di diamante che bruciarono di rabbia, sibilò: «Ti hanno... ci hanno tradito fin nell'intimo, Cameron-kun1, ecco cosa c'è! Una persona di cui ci fidavamo entrambi, ha distrutto ogni nostra certezza. E ora io sono qui per evitarti di morire.»

Cam sobbalzò a quella confessione, comprendendo dai suoi occhi colmi di lacrime a chi si stesse riferendo, quale fosse il nome del traditore.

Solo, non volle crederle, neppure per un istante.

Perché avrebbe voluto dire mandare all'aria anni di amicizia, di affetto, di rispetto, di fiducia incondizionata.

Scuotendo il capo con furia a stento controllata, replicò veemente: «Non è possibile! E' semplicemente assurdo!»

Yuki allora lo affrontò, andandogli sotto fin quasi a sfiorarlo col proprio corpo e, con occhi che ora parevano incapaci di trattenere il pianto, aggiunse: «Cos'è, assurdo? Che l'uomo di cui entrambi ci fidavamo, sia in realtà un ladro e un mentitore? O che il tuo affetto per lui sia stato mal riposto? Mettiti in fila, Cameron-kun, perché prima ci sono io!»

«Come faccio a crederti, spiegamelo?! Potresti essere tu quella che ha tradito me, non lui!» gesticolò per contro lui, la mente resa cieca dalla furia e dal dolore.

La voce di Cameron rischiò di spezzarsi, e Yuki comprese bene il suo stato d'animo, la lacerazione dolente che era sicura stesse provando in quel momento.

La fiducia mal riposta lascia cicatrici dolorose e molto, molto difficili da cancellare.

«Non mi sembra di aver tentato di rubarti il programma. E sai che avrei la forza e le abilità per farlo.»

Cam la fissò torvo, ancora indeciso se crederle o meno e lei, con un sospiro, gli indicò un paio di sacchetti scuri accanto alle scale antincendio.

«Dobbiamo indossare le tute alari. L'hai già usata, vero?»

Lui si limitò ad annuire e, dopo averla guardata ancora per un momento senza fiatare, la seguì.

Le molte luci notturne non contribuirono a renderli visibili, complici le ombre lunghe dei palazzi vicini.

I due giovani passarono perciò inosservati, quando si lanciarono dall'alto del palazzo, planando con abilità in direzione della baia di Tokyo e del fiume Edogawa.

Avendo già volato in formazione, Cam non trovò difficile seguire i movimenti di Yuki, così come le dolci calibrate a destra piuttosto che a manca.

Nel breve trascorrere di pochi minuti, atterrarono sani e salvi su una pesante chiatta, diretta verso le darsene del porto vecchio.

Lì, la giovane giapponese liberò entrambi dalle tute alari, che nascose in una cassa di legno e, dopo aver fatto segno a uno dei marinai, trascinò con sé Cameron.

«Ci lasceranno nei pressi di alcuni canali di scolo, così potremo raggiungere i bacini di allagamento della G-Cans2. Un metodo pratico e sicuro per uscire da Tokyo senza essere visti.»

«E maledettamente lungo. Quei bacini sono enormi, oltre che sterminati. Una volta, tuo padre ci...» cominciò col dire Cameron, contrariato, prima di tapparsi la bocca.

Il suo viso si accigliò maggiormente, e ancora Yuki comprese al volo il suo stato d’animo. La sua rabbia non era dissimile da quella dell’amico.

Preso un gran respiro, Cam riuscì a trovare la forza per domandarle: «E' tutto vero, Yuki-necchan3? Non puoi esserti sbagliata?»

«Mi spiace davvero, Cameron-kun. Purtroppo, non mi sono sbagliata.»

Sospirò, e una lacrima ribelle le scivolò da quegli strani occhi di diamante.

Contrariamente al classico stereotipo nipponico, che era solito avere occhi scuri come i capelli, Yuki aveva ereditato lo strano color argento dell’iride dalla madre russa.

Neppure sua madre Hannah, o lui stesso, li avevano così chiari.

Quelli di Yuki erano quasi trasparenti, contornati da una corona blu scuro che li rendeva ancora più magnetici ed esotici.

Cameron li aveva sempre trovati bellissimi. E tristi, immensamente tristi.

Ora, lucidi di quelle lacrime che avrebbe fatto di tutto per non versare, gli fecero sorgere un groppo in gola. No, Yuki non stava mentendo.

Erano stati traditi entrambi da una persona di cui si erano sempre fidati, e ora stavano fuggendo da lui e dai suoi assassini.

Restava solo da capire per quanto tempo si sarebbero potuti dichiarare al sicuro.

 
§§§
 
«Fammi capire bene, Phie, cos'è questa storia?!» sbottò Beau, rivolgendo un'occhiata caustica alla figlia.

«Non c'è niente da spiegare, papà. Amo Cameron da quando avevo sedici anni, e lui lo sa. E ricambia!»

Immediatamente, lo sguardo di gelida giada di Beau si spostò su Nickolas, che levò le mani in segno di resa.

«Giuro, non ne so nulla.»

«Gggrrr... papà!» ringhiò Sophie, richiamando così l'attenzione dell'uomo. «Cam si è sempre comportato da perfetto gentiluomo. E poi non è questo il problema, adesso

Serena bloccò sul nascere la replica del marito e, fissando dubbiosa la figlia, disse: «Non mettiamo in dubbio la lealtà di Cameron, ma perché non ci hai detto nulla della vostra... relazione

Beau rabbrividì al solo sentir nominare la parola e la figlia, indicandolo come prova in giudizio, esclamò: «Ecco perché! Se fosse per lui, dovrei morire a novant'anni... completamente vergine

Ci furono parecchi colpi di tosse imbarazzati, e lo sguardo dubbioso di Eric si puntò sui genitori adottivi in cerca di spiegazioni in merito.

Phillip fu lesto a trascinarlo nella stanza accanto, così che potesse giocare con Rocket e Gamora, i due labrador neri della famiglia Van Berger.

Meglio che le sue orecchie non ascoltassero quello che, sicuramente, sarebbe seguito a quell'affermazione bomba.

«Non ho mai detto una cosa simile!» protestò Beau, inviperito e sì, oltraggiato dall'affermazione della figlia.

«Me l'hai fatto capire tutte le volte che sono uscita con un ragazzo!» protestò Sophie, sempre più furente.

«L'unica volta è stata quando ti sei presentata con quel pazzoide in Mustang nera, che voleva portarti fuori per fare una corsa clandestina, se ben ricordo» sbottò allora il padre, sfidandola a replicare.

Sophie ebbe la decenza di non dire nulla, limitandosi a bofonchiare delle proteste a mezza bocca.

Dom, intervenendo in suo aiuto, le avvolse le spalle con un braccio e disse: «Beau, posso parlare per loro. Si vogliono davvero un bene dell'anima, e non ve l'hanno detto solo perché sanno quanto le nostre famiglie sono legate. Non volevano che litigaste per causa loro.»

«Tu sapevi?» domandò Hannah, scambiando occhiate costernate ai due giovani.

«Io e Cam parliamo di tutto.»

Lo disse con un sorriso triste, forse spaventato all'idea di non poter più parlare col gemello, di non averlo più al suo fianco come, per ventitre anni, era sempre stato.

La sola idea lo fece rabbrividire.

Ora chetata e più tranquilla, come sempre grazie alla calma che Dom sapeva  instillare in lei, Sophie mormorò: «Conosco perfettamente il giapponese e la cultura nipponica, mi so difendere egregiamente, se dovesse servire, e potrei dare il mio contributo in maniera attiva, invece di limitarmi a stare qui ad aspettare. Fatemi andare con Brandon, vi prego!»

«Penserò io a Phie, ve lo prometto» si intromise Bran, dando un buffetto sulla guancia alla ragazza, che gli sorrise speranzosa.

«Sta bene, potrai andare. Ma quando tornerai, noi due parleremo. E per un bel po'» dichiarò Beau, fissandola caustico.

Sophie deglutì a fatica, annuendo, sapendo già che nessun pericolo, in Giappone, sarebbe stato peggio che affrontare la delusione del padre.

«Scusa, papà... non volevo mentirti.»

«Ma l'hai fatto. Non pensavo di esserti apparso un tale orco, così da spingerti a non parlarmi di una cosa tanto importante.»

Lo sguardo di Beau, ora, era ferito e stanco.

Sophie non poté dargli torto. Più ancora che con la madre, lei aveva sempre avuto un rapporto speciale con il padre, che amava alla follia.

Quello scorno doveva pesargli davvero molto ma, almeno per il momento, non poteva fare nulla per eliminarlo.

Piena di risolutezza, la ragazza guardò Nickolas che, annuendo, dichiarò: «Farò preparare il jet privato della ditta perché possiate raggiungere Tokyo entro domattina. Ma va da sé che non dovrete cacciarvi nei guai.»

Brandon, Phie e Bryce si guardarono vicendevolmente, annuendo tra loro come in un tacito accordo.

Dom, allora, batté una mano sulla spalla dell'amico e disse: «Vi assisterò da qui a livello logistico. Quando arriverai a Tokyo, Bryce, troverai ad attenderti uno dei miei amici.»

«Kanata?» ironizzò l'altro, ammiccando.

Domenic scosse il capo, pur sorridendo nel sentir nominare uno dei migliori hacker di loro conoscenza.

Per contro, disse serio in viso: «Ti appoggerai direttamente a Megami-Sama4

Bryce, a quel punto, perse del tutto la voglia di fare dell'ironia e, torvo in viso, mormorò: «E' davvero lei? Chi penso io?»

Il giovane Van Berger si accorse della curiosità insita negli sguardi di tutti, soprattutto del padre, e replicò: «Sarà Minami a venirti a prendere. La riconoscerai facilmente.»

Ciò detto, gli comparve un sorrisino divertito in faccia, il primo della giornata, e gli allungò una fotografia tridimensionale.

L'immagine prese vita non appena Bryce la sfiorò con la mano, mostrandogli le fattezze di una ragazza dalla importante chioma riccia e castana, un fiocco rosa tra i capelli e l'abito più strambo che avesse mai visto.

Il giovane detective strabuzzò gli occhi, fissò Domenic con aria più che scettica e, alla fine, gracchiò: «Ma è... è una bambina

Scrollando le spalle, l'amico ribatté: «Ha sedici anni, il minimo sindacale, direi, e sì, è strana da matti. Ma è lei. Ho testato di persona le sue abilità e credimi, fa paura

A quel punto, Nickolas intervenne e, torvo, chiese al figlio: «C'è qualcosa che dovrei sapere, Dom?»

Il figlio si limitò a sollevare un sopracciglio con ironia e, serafico, replicò: «Se stai pensando male, fermati subito. Ho testato le abilità informatiche di Minami, nient'altro. E se vuoi dormire la notte, papà, non chiedermi cosa sa fare, o perché io so quello che sa fare.»

L'uomo allora si passò una mano sul volto teso, fissò subito dopo la moglie – che appariva confusa e vagamente sconvolta – e mormorò: «Sapevi che nostro figlio non era solo una testa d'uovo?»

Il commento fece sorridere tutti, Hannah compresa, che ammise: «Evidentemente, la sua abilità con i computer esulava dal semplice lavoro in ditta.»

Domenic ridacchiò, passandosi una mano sulla nuca con aria imbarazzata, ma ci tenne a precisare: «Non ho mai fatto nulla di pericoloso, o propriamente illegale. Diciamo che tenevo d'occhio un po' di cose.»

«E Bryce ti ha dato man forte, a quanto pare» sogghignò Nick, lanciando un'occhiata divertita all'alto detective. «Due geni dell'informatica in un'unica stanza, possono far esplodere il mondo, eh?»

«Qualcosa del genere» ammise Bryce, scrollando le spalle. «Anche se io non sono neppure lontanamente bravo come Dom.»

Nickolas sospirò, si accomodò accanto alla moglie, ne afferrò una mano per portarsela alle labbra e infine domandò: «Puoi infiltrarti nella Tashida Groups, figliolo?»

«Anche subito» annuì lesto Dom, già presagendo cosa volesse chiedergli il padre.

Pur contravvenendo ai suoi stessi principi, Nick dichiarò lapidario: «Per quanto mi spiaccia farlo, voglio che controlli ogni cosa, anche quanto spendono per la carta da parati. Il problema è nato lì, e lì devono esserci le prove che riconducono a Cam e al programma. Scovale, Dom.»

Lui annuì, si avvicinò a entrambi i genitori con una serie di rapidi passi e, dopo essersi chinato sulla madre, le baciò la fronte, mormorando: «Cam è vivo, mamma. Lo so

Hannah gli carezzò la guancia sbarbata, assentì e disse: «Fai come ha detto papà, Dom. Spremi quei server fino all'ultimo dato.»

Domenic allora rise di fronte al tentativo della madre di essere forte e volitiva e, nell'annuire, si rimise diritto.

Si volse per sorridere allo zio e all'amica, cui si avvicinò per abbracciarla con forza.

Per le sue orecchie, poi, mormorò: «Riportamelo a casa, Phie.»

«Lo farò» assentì lei, lasciando che, ancora una volta, la calma interiore dell'amico la aiutasse a trovare il coraggio necessario.

Sophie aveva sempre visto Domenic come una roccia indistruttibile, sempre pronto a risolvere qualunque problema, sempre irreprensibile, disponibile e sicuro di sé.

Mai una volta, lo aveva visto perdere la calma, o dare in escandescenze come, invece, era solito fare Cam, più sanguigno e nervoso del gemello.

Ma quel giorno, Phie aveva scorto il panico nei suoi occhi color dell'oceano, e una insicurezza che non era sua.

Quel giorno, Dom stava affrontando qualcosa che mai, nella vita, gli era capitato di dover contrastare.

Non avere il controllo su tutto ciò che lo circondava lo terrorizzava, e Phie lo comprese benissimo. E non poté dargli torto.

«Lo riporterò a casa» insisté lei, sfiorandogli la guancia con un bacio prima di scostarsi dal giovane.

Dom annuì, lanciò un'occhiata fiduciosa allo zio e, senza dire nulla, si avviò a grandi passi verso l'uscita del salotto, ben deciso a mettersi immediatamente al lavoro.

 
§§§

La zona delle darsene avevano un odore limaccioso in qualsiasi parte del mondo, fosse anche quello che, all'apparenza, sembrava il più moderno e pulito.

Il tanfo di pesce marcio e di alghe ferì le narici di Cam che, nel passarsi una mano sotto il naso, esalò: «Dio! Hanno scaricato un camion di rifiuti tossici?»

«Il ricircolo delle acque è pessimo, in questa zona, e ora c'è la bassa marea, il che rende il tutto ancora più disgustoso» gli spiegò Yuki, avventurandosi sulla battigia dell'Edogawa con aria pensosa, affondando i piedi nella limacciosa consistenza del terriccio che li circondava.

Cam fece lo stesso, piangendo dentro di sé all'idea di aver appena gettato al vento ottocento dollari di mocassini Armani, ormai ricoperti di un materiale non meglio identificato.

Pensare alle cose futili gli servì per non impazzire di rabbia, in quel momento, e soffermarsi sui suoi abiti stropicciati, o le sue scarpe da buttare, fu d'aiuto.

Tornare ai corpi esanimi di Leon e Sebastian sarebbe solo servito a fargli perdere il controllo e, se c’era una cosa che era vitale, in quel momento, era proprio quello.

Ogni sei o sette passi, Yuki si volse per controllare che Cameron non avesse problemi e, al tempo stesso, tenne d'occhio le strade e i ponti poco distanti.

In teoria, avevano coperto bene le loro tracce, ma non poteva fidarsi dei loro nemici.

Erano troppi, e troppo capillari, per poter dare per scontato qualsiasi cosa.

Quando infine raggiunsero uno degli imbocchi della G-Cans, l'immane sistema di canalizzazione sotterranea che proteggeva Tokyo dalle inondazioni, la giovane mormorò: «Questo è uno dei condotti di scolo, che si gettano nell'Edogawa in caso di piena. Ci sono delle scale di servizio all'interno, che ci permetteranno di raggiungere i piani inferiori, che si trovano a circa ottanta metri sotto il livello del mare.»

«Rassicurante...» replicò Cameron, seguendola all'interno dell'oscuro cunicolo.

Lei gli sorrise a mezzo da sopra la spalla e, nell'accendere una torcia non appena furono al riparo da sguardi indiscreti, indicò le scale in acciaio e disse: «Si comincia.»

Cam osservò l’antro oscuro in cui stavano per immergersi, il freddo umido proveniente da quell'enorme condotto e il sordo, cupo vuoto che li circondava, e rabbrividì.

Nessuna discesa nelle grotte, o immersione nei canali sotterranei, l'aveva preparato a quella discesa negli inferi.

Soprattutto, nulla l’aveva preparato a dover fuggire da dei potenziali assassini della yakuza, la mafia giapponese.

Il leggero vibrare della struttura, sotto i loro piedi, fece rallentare entrambi.

Nessuno dei due desiderava produrre più rumore del necessario, pur se in quel ventre colmo di oscurità sarebbero stati più soli di Adamo ed Eva nell’Eden.

Peccato che il posto non fosse altrettanto idilliaco.

Silenziosi – nessuno emise verbo, nella lenta discesa verso il basso – percorsero per intero il tragitto a scalini, finché non raggiunsero il pavimento umido in cemento armato.

Dacché ricordava Cameron, l'ultima inondazione aveva colpito Tokyo meno di sette mesi prima, perciò non faceva specie che i condotti fossero ancora bagnati. Lì, il sole non arrivava mai.

«Dove si dirige, questo condotto?» si informò Cam, afferrando dalle mani di Yuki una seconda torcia, che si affrettò ad accendere.

L'oscurità ne venne solo minimamente scalfita, ma fu un sollievo tenere quella fonte di luce tra le mani.

«Si dirige a nord, diramandosi verso una serie di condotti secondari, che terminano alle varie stazioni di pompaggio. Ma a noi interessa il canale di scolo principale.»

«Ed è lungo?»

«Diversi chilometri» rispose Yuki, rimanendo sul vago.

Cameron sospirò rassegnato e la seguì, ascoltando distratto il cic-ciac delle sue scarpe sul cemento armato, che risuonò sinistro tra le pareti sterminate di quella galleria apparentemente senza fine.
 



 
____________________
1 Cameron-kun: il suffisso giapponese kun significa “fratellino”, ed è un vezzeggiativo usato tra amici stretti, tra adulti e ragazzi con forti legami o tra famigliari.
2 G-Cans: si tratta di un'imponente area di canalizzazione artificiale, dotata di pompe di drenaggio, costruita sotto Tokyo, per scongiurare eventuali inondazioni provenienti dall'oceano. I canali di scolo, imponenti, vengono convogliati nel fiume Edogawa perché rigetti le acque in eccesso in mare dopo che le sacche sotterranee ne abbiano contenuto i flussi durante la fase di pericolo.
3 Yuki-necchan: il suffisso necchan significa “sorellona”, ed è un vezzeggiativo in uso tra componenti della stessa famiglia, tra amici stretti o tra adulti e ragazze con forti legami.
4 Megami-Sama: Letteralmente, significherebbe “Dea”. Più nello specifico, è il titolo onorifico che viene tributato alle dèe giapponesi, senza distinzione.  Megami, nello specifico, significa letteralmente “Dea”, sama è un rafforzativo.


La "G-Cans" è un'immensa rete di condotti, costruiti sotto la città di Tokio, e utilizzati in caso di inondazioni da uragano. Contengono milioni di litri di acqua e permettono alla città di non rimanere sommersa durante le tempeste. Essa si sviluppa per centinaia di chilometri, e viene monitorata da diverse stazioni di pompaggio situate a nord della città. Da esse, le acque vengono fatte defluire, a tempesta finita, nel bacino del fiume Edogawa.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Mary P_Stark