Wake
me up when september ends
A Irene,
perché ha sempre fiducia in ciò
che scrivo.
Zayn sa che
ultimamente sta
parlando troppo, che sta fumando di meno e che sta usando troppo
l’azzurro.
Cerca di mentire a se stesso, di tirare fuori il pacchetto delle
sigarette più
spesso, di parlare di meno con Niall, il buffo irlandese che, come lui,
fa
ufficialmente parte dell’arredamento della stazione di quella
piccola città.
Zayn praticamente vive sul muretto che divide il binario otto dal
binario nove,
quasi per illudersi che un giorno riuscirà ad attraversarlo
e ad andare a
Hogwarts. Sta lì e passa la giornate a disegnare, a fumare,
a osservare,
completamente annoiato dalle persone stereotipate, del tutto prive di
particolari interessanti e dalla vita. L’unica persona
interessante che Zayn
conosce è Niall, tant’è che a volte
scende dal suo muretto e gli si siede
accanto, all’angolo tra la biglietteria e il piccolo bar, e
canticchia con lui.
Parla poco, Zayn, ma Niall parla abbastanza per entrambi.
Così Zayn viene a
sapere che è irlandese, che ama Justin Bieber, che ha un
fratello e un nipote
che adora e che una volta ha sbagliato a comprare tinta e ha avuto i
capelli
fucsia per tre mesi. Zayn pensa che Niall sia strano ed è
una delle poche cose
che gli dice, oltre al suo nome e al chiedergli se ha un accendino.
Niall non
ha mai un accendino.
Però ha una bella voce, la gente si ferma
spesso ad ascoltarlo e gli lascia sempre qualche banconota. Quindi Zayn
ne
approfitta per vendere qualche suo disegno o cercare qualcun altro da
ritrarre.
Magari qualcuno che abbia un accendino sempre a portata di mano.
Louis.
Louis ha sempre un accendino, anche se lo porge a Zayn con reticenza e
lui, in
realtà, non lo usa mai, perché non fuma. In
effetti, quello potrebbe essere uno
dei motivi per i quali Louis è strano. Oltre che
incredibilmente bello,
rumoroso, perfetto in tutto.
Ha sempre
la risposta pronta, Louis, perfino alle domande che Zayn gli pone con
lo
sguardo. Quando sorride, intorno agli occhi si disegnano decine di
piccole
rughette che lui si rifiuta di definire “zampe di
gallina”, nonostante su di
lui siano belle, perché è Louis. È
Louis e ha i capelli sempre spettinati ad
arte; è Louis e ha le labbra sottili, ma Zayn ci
scommetterebbe una sigaretta
che sono morbide e carnose; è Louis e ha un fisico perfetto,
da calciatore,
tonico e allenato, macchiato da tatuaggi senza senso, proprio come i
suoi,
poiché, proprio come Zayn, Louis crede nella bellezza
estetica e non simbolica
dei tatuaggi. In sostanza, Louis è uno dei ragazzi
più belli che Zayn abbia mai
avuto il piacere di incontrare. Il suo unico problema sono gli occhi:
azzurri,
grigi e verdi a tratti, una tela di colori liquidi maldestramente
mescolati tra
loro da un pittore impaziente di sporcare la tela. Cosa
c’è di strano?
C’è che gli occhi del
perfetto, puntuale e strano Louis sono vuoti, freddi. La gioia di un
sorriso
mai li contagia e Zayn non lo ha mai sentito ridere.
“Perché
ti porti sempre dietro un accendino, se non fumi?” gli chiede
Zayn, quando
Louis lo avvicina per la prima volta, incuriosito dal disegno che Zayn
sta contemplando,
in mezzo alla folla della stazione, senza curarsi di chi lo spintona e
gli
impreca contro, tentando di capire cosa manca.
“Per avere un pretesto” risponde Louis
“per farmi nuovi amici e
obbligarli a farli smettere. Senso del dovere, immagino.” Da
lì comincia il
loro rapporto, sempre se così si può definire.
Non conversano, non scherzano: Zayn
non sa nemmeno se si possano definire amici o solo strambi conoscenti
che si
fanno domande. Opinioni, cose personali, pareri. Su tutto. A Zayn pare
un
gioco, lo diverte; Louis continua perché ha tante cose da
dire e gli piace
guardare Zayn disegnare.
Zayn
non dice a Louis che lo aveva notato un sacco di tempo prima, il primo
di quel
mese freddo e umido: lo aveva visto piangere, correndo dietro a un
ragazzo,
chiamando il suo nome a gran voce. Non gli dice che lo aveva
spaventato, perché
dopo essere caduto a terra in preda ai singulti si era rialzato come se
nulla
fosse e aveva sorriso al buio, gli occhi malinconici e splendenti
nell’oscurità. Non gli dice che da quando si
parlano fuma di meno, perché sa
che è quello l’obiettivo di Louis, ma lui non
vuole che se ne vada.
Non gli dice nemmeno che
il suo colore preferito è il nero, e non
l’azzurro, ma una giustificazione
doveva pur darla alla costante presenza di quel colore nei suoi ultimi
lavori,
che non fosse “amo i tuoi occhi.”
Niall dice che dovrebbe lasciarlo perdere. Secondo il
biondo, Louis è un
robot: non è possibile, infatti, che un essere umano sia
bravo a scuola, negli
sport, nel canto e sia pure uno strafigo con un sacco di amici e strane
teorie
sulla vita. E quando Zayn alza gli occhi al cielo, Niall rincara la
dose,
aggiungendo che nessun ragazzo può indossare magliette a
righe senza sembrare
una balenottera. A quel punto, gli occhi di Zayn si zittiscono, ma poi
scoppia
a ridere e si chiede perché dà ancora corda a
Niall. Quello mette su il broncio
e canta una canzone di Justin Bieber per tirarsi su il morale. Zayn sa
che,
quando avrà finito di suonare As long as you love me,
avrà già dimenticato
tutto. Niall è fatto così.
Dopo una settimana, Zayn sa
che Louis ha cinque sorelle e un fratello, ma che ovviamente non hanno
lo
stesso padre, sa che odia le carote e i calzini, che ama il the e il
mare. Sa
che pensa che la vita sia qualcosa di fulmineo, un dono troppo grande
che la
maggior parte di noi non merita e che oggi la gente si è
ridotta a cercare nelle
convenzioni opposte una manovra per riuscire a distrarsi dal pensiero
di
appartenere a una generazione stanca e bruciata, riuscendo ad ottenere
l’effetto opposto: una società conforme nello
sguazzare in un anticonformismo
che poi non è tale, in realtà. Louis ha una mente
contorta, Zayn se ne accorge
troppo tardi. Continua a parlare troppo, a usare troppo azzurro e,
checche non
voglia ammetterlo, non ruba più a Niall i soldi per le
sigarette, perché sono
ormai tre giorni che ha sempre lo stesso pacchetto.
“Dove vivi, Zayn?” gli chiede Louis,
una fredda sera di settembre. Sono sul muretto di Zayn, il moro sta
fumando e
Louis stringe a sé i libri che si è portato per
studiare. Il cuore di Zayn ha
fatto una capriola quando lo ha visto avvicinarsi, i libri in una mano
e una
merendina dietetica nell’altra, ma ha ignorato lo sguardo
stranito di Niall
alle sue guance probabilmente arrossate.
“Qui”
risponde, come se fosse la cosa più naturale del mondo
“e quando fa troppo
freddo, a casa di Niall.”
“E la tua
famiglia?” domanda ancora. Zayn si stringe nelle spalle.
Niall sta cantando non
sa quale canzone di Bruno Mars, troppo orecchiabile per i suoi gusti.
“Immagino che sia dove l’ho lasciata.”
“Non
ti manca?” Domanda alla quale Zayn risponde scuotendo la
testa, senza la minima
esitazione.
“Non eri tu a dire che la mancanza di qualcuno o
qualcosa è segno della
debolezza umana?” gli fa notare Zayn, inclinando la testa.
Louis sorride
mestamente, abbassando lo sguardo sulla disequazione che sta tentando
di
risolvere.
“Beh,
ma la famiglia è un’altra cosa.” Il suo
tono è stanco, triste. Zayn si chiede
se stia pensando a qualcuno in particolare e gli torna in mente quel
ragazzo.
Eppure, Louis gli aveva detto di aver solo un fratello minore.
“Dovresti pensare a tutte le
circostante, prima di parlare. Non credi, Louis Tomlinson?”
“Probabilmente dovrei farlo, Zayn Malik.”
Il sorriso che segue è probabilmente la risposta che Zayn
darebbe se qualcuno
gli chiedesse perché si è innamorato di Louis
Tomlinson, l’unico ragazzo che
può portare le righe senza sembrare una balenottera e che
Niall non sopporta
perché mangia merendine dietetiche.
Se
c’è una cosa che Liam odia è
arrivare in ritardo. Per questo la sera prima ha preparato i vestiti da
mettere, provato e riprovato un discorso che saprebbe recitare anche
nel sonno,
impostato cinque sveglie e messo la benzina.
Se
c’è una cosa che Liam sa bene però,
è che la sfiga, quando si annoia, punta
tutto su di lui. A dimostrazione, la sveglia decide di non suonare e la
macchina di non partire. Ovviamente, piove a dirotto. Liam,
però, è previdente:
ha fatto anche il biglietto per l’autobus e si è
portato l’ombrello. Peccato
che l’autobus sia in ritardo pazzesco.
Le persone ritardatarie sono inaffidabili e
irresponsabili: quella non è esattamente l’idea
che Liam vorrebbe dare di sé al
colloquio per la borsa di studio. Non può fallire,
assolutamente. Non anche in
quello.
A
sette anni aveva fallito con la squadra di calcio. A quanto pareva, un
ragazzino cicciottello e con problemi di dialisi non è
proprio l’idea per
giocare agonisticamente.
A undici anni aveva fallito con la sua prima cotta. Si
chiamava Danielle
ed era bellissima, ma evidentemente lui non era abbastanza. Con il
tempo ci
aveva fatto l’abitudine, Liam, a non essere abbastanza, ma
quando Danielle gli
disse, dall’alto delle sue scarpe con i lacci diversi e il
frontino con il
fiocco rosa, che non era abbastanza carino per pranzare con lei, Liam
ci rimase
talmente male che non parlò per giorni.
A tredici
era ormai lo sfigato della scuola: tornava a casa con un occhio nero e
il
labbro spaccato, la dignità sporca e le lacrime ormai secche
all’altezza del
mento. Nessuno faceva caso al piccolo Liam che si nascondeva in bagno a
fissare
il bianco del soffitto, a chiedersi se un giorno avrebbe potuto
inghiottirlo.
Non l’aveva fatto.
Liam aveva continuato a collezionare fallimenti e sguardi delusi dei
suoi genitori,
uno dopo l’altro. Ancora oggi, Liam è la pecora
nera della famiglia: a scuola
non prende voti abbastanza alti, se la cava negli sport, ma non eccelle
in
nessuno, la sua bellezza non è nulla di particolare e ha
pochi amici.
Niente a che vedere con Louis, con le
sue A, le sue comitive di amici infinite, alla sua borsa di studio
procurata
grazie al posto di capitano della squadra di calcio del liceo.
Perché
probabilmente Liam sarebbe anche stato il figlio ideale, ma Louis
rovina sempre
tutto, con la sua fottuta perfezione, sotto ogni aspetto. E non
è che Liam lo
odi, no: Liam disprezza Louis, non lo sopporta, delle volte avrebbe
voluto non
avere un fratello gemello, ma non lo odia. In fondo, ha avuto solo
sfortuna. A
Louis è toccata la faccia della medaglia illuminata dal
sole. A Liam quella
nascosta nell’ombra. Alla fine, è stata questione
di fatalità. Di
destino, di fato, di sfiga. Sì, Liam crede
a queste cose. Quello che non ci crede è Louis, Louis e il
suo cervello
razionale e ossessionato dalla psicologia. Non l’ha mai detto
ad alta voce, ma
Liam sa che negli occhi spenti e azzurri e fin troppo diversi dai suoi
che si
rifiuta di guardare, c’è disprezzo e dispiacere
per quel suo fratello sbagliato.
La
famiglia Tomlinson è un bellissimo quadro, Liam il punto
nero in un
angolo.
Liam è il ragazzo alla
fermata dell’autobus, in ritardo di venti minuti per il
colloquio per il
college dei suoi sogni – o meglio dire, dei sogni dei suoi
genitori - ,
completamente fradicio dalla testa ai piedi, poiché un
automobilista ha pensato
bene di prendere in pieno la pozzanghera sul bordo del marciapiede.
A quel punto, le lacrime scendono. Liam rimane a zero e la sfiga
colleziona un altro punto.
Inizierebbe a correre: lo fa. Compone
il numero dell’esaminatore, chiede un rinvio,
l’ombrello sperduto in qualche
meandro delle strade che ha superato di corsa.
E
lo risposta lo spezzerebbe: lo fa. No,
non è possibile signor Tomlinson, ci dispiace. Riprovi
l’anno prossimo.
Liam
piangerebbe, se ne avesse le forza: non lo fa. Impreca contro il
destino e
rimane lì, a chiedersi perché la vita abbia
deciso di prendersela con lui,
nonostante tutti i suoi sforzi.
Urlerebbe: non lo fa. Ha bisogno di ascoltare solo il suo
fottuto cuore che
va in pezzi, per rendersi conto.
Tornerebbe a casa e piangerebbe in
camera sua, con l’orecchio di Louis o di Lottie appoggiati
sulla porta, perché
sa uno dei due cercherebbe di parlargli e magari consolarlo: non lo fa.
Ha bisogno di stare
solo. Di riorganizzare la giornata e prevedere gli imprevisti. Quando
si rende
conto che pensa solo al peggio, sorride, le labbra salate, forse di
pioggia,
forse di lacrime.
Si è talmente abituato ad avere merda
addosso che riesce ad immaginare solo quella, per lui.
Liam non ha mai avuto la fortuna di inciampare in qualcosa
di bello,
nella sua vita.
La speranza è
l’ultima a morire, ma Liam è morto da tempo.
Davvero, Harry sa che
quel luna
park dovrebbe meravigliare e divertire Lux, annoiata dopo una giornata
particolarmente uggiosa di quell’umido mese, ma non
può farne a meno: adora le
luci fosforescenti, i mille colori, le vecchie canzoncine per bambini,
quelle
che dopo un po’ ti stufano ma che non stufano mai Harry.
Perché Harry non sa
cosa vuole dalla vita, non sa chi vuole, non sa nulla.
L’unica, forse la sola
che mai saprà perfettamente su se stesso, è che
vuole restare per sempre
bambino. Oh, e che ama lo zucchero filato. Quello rosa,
perché poi resta
attaccato alle dita e sarebbe fastidioso se fosse di un altro colore,
ma è rosa
e Harry ama il rosa, quindi va bene. Anche la sua nipotina, Lux, ama il
rosa: è
uno dei motivi per cui vanno così d’accordo. Oltre
al fatto che entrambi
adorano il luna park fuori città e i libri di fiabe.
Ah, Harry è un sognatore. Vorrebbe girare
il mondo facendo il cantante: per ora si limita ad andare al liceo e a
servire
dolci cupcakes. Vorrebbe trovare l’amore della sua vita e
vivere con lui in una
casetta sull’albero, magari alle Hawaii: per ora,
l’amore della sua vita è Lux,
e lo sta pregando per l’orso di peluche esposto in una delle
bancherelle meno
appariscenti. Qualcun altro la scoraggerebbe, sì, forse:
quel qualcun altro,
però, non è Harry, che prende immediatamente un
biglietto da tre palline per
buttare giù abbastanza birilli per vincere il peluche. Non
pensa minimamente,
nemmeno per un nanosecondo, che il gioco possa essere truccato,
perché è Harry
e nel mondo di Harry sono tutti buoni e arcobalenosi. Sa,
però, di essere molto
scoordinato e goffo, mentre rassicura la sua piccola con un sorriso e
le
fossette.
Sbaglia clamorosamente il primo lancio, tant’è che
sente distintamente
Lux fare un piccolo sospiro e scuotere la testa, consapevole
dell’imbranataggine
cronica del suo zio preferito. Harry si morde il labbro e prende meglio
la mira
per il lancio seguente: stavolta prende di striscio una piramide di
birilli,
senza riuscire a farli cadere. Non vuole deludere la sua bambina, ma
proprio
non riesce.
“Serve
una mano?” Una persona normale diffiderebbe dello sconosciuto
dalla voce
cristallina che gli ha preso la pallina dalle mani, giocandoci con le
mani
minute. Qui, però, si parla di Harry, che sorride radioso e
gli chiede con lo
sguardo una specie di miracolo al primo colpo. Quello sorride, senza
farlo
veramente, e si mette in posizione di lancio. Harry lo osserva
corrugando la
fronte: è bello, terribilmente bello, e non sa
perché, gli ricorda Peter Pan.
Peter Pan, però, quando sorrideva, lo faceva sul serio. Il
ragazzo che sta
porgendo l’orsacchiotto a sua nipote, invece, per quanto
carino sia, sorride
come fosse un obbligo e non un piacere. Forse non gli piace il suo
sorriso? In
effetti, ha gli occhi stanchi e le unghia mangiucchiate, i piedi
nervosi e le
spalle basse di chi è insicuro. Sì, conclude
Harry, deve essere per forza
così.
“Non ti piace il tuo sorriso?”
domanda, senza nemmeno ringraziarlo.
Sarebbe buona educazione ringraziare, ma la curiosità ha la
priorità, se si
parla di Harry. Quello inclina la testa e fa una smorfia.
“Che intendi, scusa?” ridacchia, ma
non è una
risata vera: è più il suono triste di un cd
graffiato, di un Babbo Natale, di
quelli elettronici che canticchiano Jingle Bells, con le batterie
scariche e il
cappello non più laccato di un bel rosso acceso.
“Tu
non sorridi davvero” constata Harry. Non è una
domanda, ma lo sconosciuto
aggrotta le sopracciglia come se lo fosse. Si morde le labbra sottili e
abbassa
lo sguardo in cerca della risposta, ben nascosta.
“Davvero, non so cosa dirti. Non ci
faccio caso.” Harry sorride, un sorriso tutto fossette e
iridi color
prato.
“Scommetto che nessuno te
l’aveva fatto notare prima, probabilmente.”
Se Harry avesse saputo,
quel giorno, di essere la prima persona a essere riuscita a far
arrossire Louis
perfezione Tomlinson, si sarebbe stretto nelle spalle e avrebbe
ripetuto, con
dolcezza, che Louis aveva solo bisogno
che qualcuno lo facesse sorridere sul serio.
Lux sorride a Louis, mentre quello arrossisce, come a incoraggiarlo
a imitarlo nel gesto. E Louis sorride, forse sforzandosi, forse no, ma
lo fa, e
Harry giurerebbe di non aver mai visto niente di più bello.
“Sai, dicono che la
bellezza estetica sia tutto” dice il riccio, prendendo in
braccio Lux, che
stringe forte il suo nuovo migliore amico “ma io mi innamoro
dei sorrisi” e
Louis arrossisce ancora, ancor più di prima, forse stupito
da se stesso “per
questo Lux è la mia principessa.” La bimba ride,
sorridendo ancora e mostrando
orgogliosa le fossette che compaiono giocose sulle guance.
“Sì,
ha davvero un sorriso splendido” commenta Louis, a bassa
voce, sorridendo
stentatamente.
Harry ricambia e gli porge una mano, guardandolo luminoso.
“Harry” dice. Una mano minuta stringe la sua,
esitante, e ricambia la
stretta.
“Louis.”
“Lewis” pronuncia
Harry,
titubante e cercando di far scivolare al meglio quel nome dalla
pronuncia
bizzarra.
“No, no!” esclama,
lui, ridendo “è
Louì, la s non si sente.
È francese” spiega.
“Sei francese?” chiede allora Harry,
inclinando il viso.
“No” risponde Louis, incrociando le
braccia. Harry corruga la fronte e
storce il naso, forse troppo sproporzionato per quel viso squadrato e
circondato da ricci scuri. Louis pensa che Harry è strano e
che ha gli occhi
più belli che abbia mai visto. Verdi, e poi azzurri, e poi
ancora verdi, forse
più scuri.
“E allora perché hai un nome
francese?” Alla vista della sua espressione
indispettita dal trovarsi davanti un ragazzo inglese con un nome che
non
rispetta la sua nazionalità, Louis non riesce a fare a meno
di ridere.
Se Harry avesse saputo che quella
era la prima volta che Louis rideva per davvero, senza pensieri, senza
preoccupazioni, senza dover risultare il perfetto Louis Tomlinson, si
sarebbe
scrollato ancora una volta nelle spalle e avrebbe detto che aveva solo bisogno di qualcuno che lo facesse
ridere.
“Perché
a mia madre piacciono i nomi
francesi, immagino” ipotizza, visto che Harry non accenna a
voler smettere di
difendere la sua causa persa in merito alla nazionalità dei
nomi.
“Eh certo” sbuffa il riccio
“e a mia madre piace Harry Potter.” Louis
ride. Ride tanto, troppo, quella sera.
Harry gli racconta le sue teorie
sul rosa e su come quel colore faccia diventare tutto migliore; gli
parla di
Lux, addormentata tra le sue braccia; gli descrive Gemma e il fatto che
non
abbia mai i capelli dello stesso colore quando la vede. Harry ha strane
teorie
su tutto: sul fatto che ami davvero una persona quando sei disposto a
fare dei
matching tatoos con quest’ultima, perché niente
dimostra l’amore quanto dei tatuaggi collegati, sostiene
che i panda siano
in via di estinzione perché gli uomini sono invidiosi del
loro essere adorabili
e vuole far tornare di moda le boyband. Dice che Louis è
strano perché si
preoccupa troppo di quello che pensano gli altri: Harry non si fa
problemi a
fare qualsiasi cosa, che sia mettersi un paio di orecchini orrendi per
una
scommessa e portarli tutto il giorno o vestirsi da Miley Cyrus per
Carnevale.
Louis capisce che
Harry è Peter Pan, il bambino mai cresciuto che lui voleva
essere senza
riuscirci.
Louis
si convince che Harry è un angelo, e poco importa se piove,
se si conoscono da
nemmeno tre ore e che c’è una bambina che li
aspetta sotto la veranda della
casetta di Harry: è tutto perfetto.
Se
avessero detto a Harry che quella era la prima volta che Louis si
innamorava,
Harry si sarebbe stretto di nuovo nelle spalle, avrebbe sorriso e poi
avrebbe
affermato che ho capito che l’avrei
amato
quando l’ho visto sorridere.
Zayn continua a
disegnare Louis.
È ovunque: nei suoi schizzi, nei suoi murales, nelle sue
parole.
“Amico, sei
ossessionato” gli fa notare Niall, una mattina di
metà settembre “dovresti
togliertelo dalla testa.” Zayn però, non ha
nessuna intenzione di togliersi
Louis dalla mente: ormai è entrato, vi rimarrà. A
ridacchiare con quel tono
spento, a guardarlo con occhi scuri e straniti, a esporgli il suo
pessimismo
attraverso le teorie filosofiche che riempie di tantissime parolacce,
perché le parolacce sono parole
come altre, Zayn,
il fatto che sentirle pronunciare ci faccia storcere il naso, a volte,
deriva
da questo eterno tabù che vi abbiamo imposto. In
realtà, non c’è nulla di
traumatizzante nelle parolacce, diciamolo chiaro. Infilarle nelle
frasi,
spesso, serve a dar loro forza, utilizzando questo tabù a
proprio
vantaggio.
“E non hai paura di quello che potrebbe dire la
gente?” ha chiesto
Zayn, quella sera che sembra risalire ad anni prima e invece
è stata solo pochi
giorni fa. Louis ha alzato gli occhi al cielo.
“Ho paura tutto il tempo, Zayn.” E
Zayn ha avuto timore per un attimo,
che stesse per piangere.
“Perché
sai, a volte” ha continuato, con voce rotta e increspata,
più del solito “la
gente sente il tuo nome e pensa di sapere tutto, su di te. E tu li
accontenti,
un po’ perché non vuoi problemi e un po’
perché non vuoi essere quello
strano. Finisci con l’essere
quello che piace a tutti e l’unico a cui non piaci sei
tu.”
“Louis…”
“Ti
dico queste cose, Zayn, perché tu sei come me. Insomma, stai
qua, e la gente ti
chiama il pittore della metropolitana, immagina uno che disegna su un
muretto
con un sacco di tatuaggi e finisce lì. Tu glielo lasci
credere, perché ti fa
comodo. E invece vengo qui, ti conosco, e scopro che alla fine sei
pazzo quanto
il cappellaio matto di Alice nel paese delle meraviglie e che i tuoi
tatuaggi
non hanno alcuna storia! Capisci il mio shock?!” Zayn ha
riso, quella sera.
Perché Louis pareva esasperato ma al tempo stesso divertito,
insieme frustrato
e guardava il treno con desiderio. Quasi avesse voluto scappare alla
prima
occasione. Avrebbe
voluto che Louis
ridesse con lui, ma non l’ha fatto. Forse avrebbe dovuto
capire da quello, che
qualcosa in Louis non va sul serio, ma è troppo occupato a
capire un’altra
cosa: il suo cuore è negli occhi di Louis Tomlinson,
perché loro due sono
uguali e Zayn non si è mai sentito così capito
in vita sua.
Al
diavolo Niall, i suoi sospiri, le sue ballate tristi. Zayn lo sa, che
quando
Niall suona Teenage Dream di Katy Perry allora vuole dire che qualcosa
presto
andrà male, ma si sforza di non farci troppo caso. Non fa
caso nemmeno al suo
pennello spezzato: l’ultima volta che ha spezzato un pennello
è stato quando
sua nonna è morta. Cerca di non pensarci. Ci riesce,
perché Louis è in tutti i
suoi pensieri e con lui, la luce.
“Hey, Zayn” la voce di Louis è
meravigliosa, davvero. Talvolta Zayn immagina quella voce cantare e,
diamine
sì, la ascolterebbe tutti i giorni a tutte le ore. Non
permetterebbe mai a
Niall di farne cover, perché sarebbe la voce di Louis e
basta.
“Louis.” A Zayn piace
pronunciare il nome del ragazzo con una punta di finto accento
francese, anche
se sa di dargli fastidio. Al leggero sbuffo del ragazzo, sorride
lievemente
contro il disegno che sta completando sulla parete. Non è
nulla di particolare,
un semplice fumetto, di quelli che fa quando si annoia, eppure il
fischio
ammirato di Louis lo fa sorridere silenziosamente.
Unito a uno sbuffo annoiato.
Quando
si volta, accanto a Louis c’è un altro ragazzo.
Sovrasta Louis di venti centimetri
buoni, ha i capelli sudati, la mano fasciata e assomiglia a un orso. Di
quelli
di peluche. Molto arrabbiati.
“Zayn, lui è Liam” lo
presenta Louis, con quello che dovrebbe essere un
sorriso “Liam, lui è Zayn e fuma più di
te.” L’orso Liam fa una smorfia e
squadra Zayn, con un mezzo sorrisetto stampato sulle labbra.
Zayn si sente strano.
Quel ragazzo gli è familiare. Oltre a essere terribilmente
fastidioso.
Zayn
odia le convenzioni. Tutto, in Liam, è un convenzione. A
partire dagli occhi da
cucciolo ferito, i capelli rasati ai lati, i vestiti larghi e la
smorfia
arrogante che nasconde tutta l’insicurezza di questo mondo.
“Quindi hai una
sigaretta?” chiede quello, quasi sollevato “Ho
perso le mie e Louis è inutile,
almeno in questo.” Pronuncia il nome di Louis con un dolore
immenso, Zayn se ne
rende conto.
Louis abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro. E Zayn sa che tra quei
due le cose non vanno bene.
Tira fuori il
pacchetto dalla tasca della felpa e prende una sigaretta,
porgendogliela.
“Grazie” dice solo quello,
accendendola velocemente “allora Louis, hai
intenzione di accompagnarmi a casa o no?” Zayn non sente il
resto della
discussione tra i due. Percepisce distintamente il suo nome, un paio di
vaffanculo e forse un non ti sopporto
quando fai la primadonna. Non riesce a distinguere lo
sguardo dall’orso e
non sa perché. Gli ricorda tanto Louis, eppure non si
somigliano nemmeno
lontanamente, e lui sa di odiarlo, perché quando una persona
gli sta sulle
palle lo sa al primo sguardo.
“Vado a prendere una cosa al
bar e torno, okay?” sbotta infine Louis, esasperato, facendo
un sorriso tirato
a Zayn e allontanandosi velocemente. Zayn lo fissa andare verso il bar,
mogio,
e torna sbuffando al disegno.
“Tu
sei uno di quelli innamorati di mio fratello, ci scommetto”
dice l’orso. Zayn sussulta
dentro, e fuori si stringe nelle spalle. Sente Liam ridacchiare per poi
scoppiare a ridere, amaro.
“Tutti s’innamorano di lui, in un modo o
nell’altro. Perché è bello,
perché è simpatico, perché
è intelligente. Non ha difetti, giusto?”
un’altra
risata “Sei bello, Zayn. Molto.” E Zayn arrossisce,
suo malgrado.
“Non
innamorarti di Louis. Sarebbe solo uno spreco. Lui non sa nemmeno cosa
sia,
l’amore.”
E ha buttato via la
sigaretta, pestandola con la pianta della scarpa da ginnastica.
Se Zayn volesse essere sincero, direbbe che era abbastanza
sicuro di
aver appena conosciuto l’esatto opposto di Louis Tomlinson.
“Quindi tu
e tuo fratello non vi
parlate?” Il broncio di Harry è adorabile; la
causa un po’ meno.
Louis trova
ammirabile il suo interesse per quella faida fraterna iniziata, con
molta
probabilità, nel feto, ma è inutile. Il problema
è solo uno: tutti gli altri
ammirano e sparlano in silenzio della sua
“perfezione”; Liam, con la forza che
Louis gli ha sempre invidiato, glielo dice in faccia. Gli dice che
è irritante,
che venire messi a confronto di continuo è frustrante e che
non gli serve
qualcosa che evidenzi ulteriormente i suoi difetti. Louis non sa mai
cosa
replicare, perché ha ragione. Lo ignora: ha paura.
“No, ci parliamo” borbotta, tentando
di essere convincente “solo che non
parliamo di cose belle.”
“Non vi
volete bene?” chiede, aggrottando la fronte e affondando le
dita nello zucchero
filato che Louis gli ha comprato. Non è un appuntamento, ha
detto Louis, eppure
continua a pagargli tutto.
“Io gli voglio molto
bene” afferma Louis “e anche Liam me ne vuole,
suppongo. Non… ecco… non
sappiamo dimostrarcelo. Credo.” Harry si imbroncia e punta lo
sguardo su un
punto inesistente, quasi stesse risolvendo un problema di matematica
particolarmente difficile. Harry, Louis lo sa, odia la matematica: gli
piacciono filosofia e lettere, ma il suo sogno è la musica.
Louis finirà con
ereditare l’azienda del padre; Harry lavora già
nella panetteria dei genitori e
risparmia per il suo futuro viaggio intorno al mondo.
“A me,
invece” domanda, con un filo di voce, eppure per niente
esitante “a me vuoi
bene?”
La sua espressione è talmente seria e Louis scoppierebbe
quasi a ridere,
perché Harry è assurdo.
È assurdo che
abbia riflettuto tanto prima di porgli quella domanda insieme diretta e
ingenua. Come i bambini, ma Harry è un bambino, Louis lo sa,
e gli sarà sempre
infinitamente grato per questo.
È assurdo che crede
che Louis non possa volergli bene, perché lo conosce da
quasi dieci giorni e lo
ha cercato in ognuno di questi. Non è come con Zayn, no. Con
Zayn sta bene,
perché lui lo capisce. Perché Zayn è
il suo riflesso nello specchio, ma uno di
quegli specchi dei luna park, deformanti. E Zayn è uno
specchio di quelli che
ti fa più alto e più bello. Zayn è
lui, ma migliore.
Con Harry, Louis dimentica di essere. Si dimentica di essere gentile,
affabile, affascinante.
Sorride.
Sorride e basta. Ed è felice. Il suo cervello si spegne,
eppure riesce a essere
felice. Ed
è assurdo.
“È assurdo che tu me lo
chieda” ridacchia, ed è un bel suono
“perché è ovvio. Ti voglio molto bene,
Harry.”
Quando Harry sorride,
il mondo lo fa con lui. O almeno il mondo di Louis si illumina.
“Quindi se ti chiedessi di
darmi un bacio” e lo chiede senza arrossire, imbarazzarsi o
altro, quasi stesse
chiedendo alla cuoca della scuola cosa c’è sul
menu “qui” le dita lunghe di
Harry sembrano ancora più belle nell’indicare le
sue labbra invitanti “cosa mi
diresti?”
Louis boccheggia e Harry ridacchia. Louis sorride e Harry arrossisce,
mordendosi il labbro inferiore.
“Io..” prova,
non riuscendo a distogliere lo sguardo da quella bocca di rose che lo
implora
in silenzio “io credo che..” Harry non lo lascia
finire. Lo bacia.
A
Louis piacciono le descrizioni dei baci tipiche dei romanzi. Le lingue
che si
rincorrono, che giocano, che danzano. I sapori, le labbra morbide.
Miela,
menta, i morsi, le sensazioni, l’eccitazione che prende a
scorrerti nelle vene,
i pensieri che si bloccano. Non gli piace quando gli scrittori se ne
escono con
“non descriverò quel bacio, perché
sarebbe impossibile”. Non
è giusto – vorrebbe scrivere agli autori
dei suoi romanzi rosa
preferiti – anche io voglio sapere
di
cosa sanno le sue labbra, se il suo cuore batte a mille, se vorrebbe
che tutto
questo non finisse mai.
Ora
però capisce cosa vogliono dire quegli scrittori. Dire che
le labbra di Harry
sono calde e sanno di zucchero filato alla fragola, che i suoi ricci
sono
morbidi al tocco e che tirarli mentre le loro lingue fanno
l’amore è terribilmente
vero, terribilmente perfetto, ma anche e soprattutto, terribilmente
scontato.
Non va bene, perché quello che gli fa provare Harry non
è scontato. Harry è
quello che ha sempre voluto. E che ora ha, per puro miracolo,
perché la vita ha
deciso di fargli un regalo.
Grazie.
Niall ha dovuto
raccogliere i
pezzi già una volta.
Si
chiamava Chase. Aveva tutti gli attributi necessari per essere
catalogato sotto
la voce “principe azzurro ideale”, compresa un
mascella ben definita. Tirava
avanti con la paga da tatuatore e disegnava manga, di nascosto, alla
luce di
una piccola lampada da campeggio nel retrobottega. Aveva un bel sorriso
e
quando li vedeva, lui e Zayn, camminare mano nella mano, Zayn con lo
zaino di
scuola e lui con la sigaretta tra le dita, si rifletteva sul suo viso.
A volte,
uscivano in tre e Chase, tra le risate e gli sguardi adoranti di Zayn,
gli
offriva da mangiare e cercava di aiutarlo a rimorchiare qualcuna per
non
sentirsi solo. Era fantastico, Chase. Spiritoso, tanto a volte da
essere
sarcastico; bello, forse troppo, di una bellezza innocente in contrasto
con i
suoi adorati tatuaggi. Zayn non aveva tatuaggi, prima di Chase. Non gli
piacevano, preferiva disegnarli sui muri invece che sulla sua pelle.
Zayn era
felice. Sorrideva, cantava, andava volentieri a scuola e aveva un sacco
di
speranze: avrebbe voluto frequentare l’accademia di arte e
diventare un pittore
famoso. Erano praticamente inciampati l’uno
sull’altro, imbattendosi nell’amore
quasi avesse teso loro una meravigliosa trappola. Avevano un mare di
progetti,
da un viaggio al mare nel weekend al vivere insieme.
Poi, un uomo
ubriaco aveva deciso di farsi un giro a bordo di una Mercedes sulla
strada
della bottega di Chase, e Zayn si era spezzato. Zayn viveva,
letteralmente, per Chase. Si alzava la mattina col pensiero
che l’avrebbe visto e baciato, che lo avrebbe disegnato alla
luce della piccola
lampadina del suo appartamento sopra al negozi.
Chase
aveva passato una settimana in ospedale. Zayn si era praticamente
accampato
alla stazione, in quei giorni, in modo da prendere il primo treno:
arrivava
anche prima dei medici e delle infermiere.
Niall c’era,
quando gli diedero la notizia. Ricorda tutto, ogni minima cosa, e
vorrebbe non
ricordare nulla.
Le parole dei
medici, i loro volti dispiaciuti, quasi di routine. La madre di Chase
che
gemeva e piangeva, piegata in un angolo. Zayn era su una sedia di
plastica
rossa. Il sorriso gli era morto sulle labbra, gli occhi si erano
spenti,
offuscati da una coperta di lacrime. Lacrime che avevano continuato a
scendere
per quasi due settimane. Lacrime che Niall aveva dovuto asciugare. Era
stata la
prima e ultima volta che aveva visto Zayn piangere: probabilmente
quelle crisi
di pianto disperate gli erano bastate per tutta la vita.
Era
andato avanti, Zayn, ma non del tutto. Aveva coperto il suo corpo di
tatuaggi.
Era scappato di casa. Viveva in stazione, quasi fosse in attesa del
treno che
un giorno gli avrebbe riportato il suo Chase.
E ora Louis. Louis che
poteva significare la svolta, Louis che, nonostante la sua propensione
per le
merendine dietetiche che a Niall non piaceva per nulla, faceva
sorridere Zayn.
Lo faceva star bene: Zayn aveva cambiato soggetto, niente
più manga macabri o
il profilo di Chase al chiaro di luna, ma azzurro, solo azzurro; aveva
diminuito il numero di sigarette; parlava di più.
Niall sa che deve scattare nel momento esatto in cui vede Louis
arrivare
mano nella mano con Harry. Niall non ha mai visto Louis sorridere, ma
vicino a
Harry il suo è il sorriso più luminoso che abbia
mai visto.
Come quello di Zayn, quando si
accorge che Louis si sta avvicinando. Solo che poi si accorge anche di
Harry, e
a Niall pare di rivivere tutto ancora una volta: il sorriso che si
spegne, gli
occhi che muoiono.
Lo guarda boccheggiare, il carboncino che cade a terra tentennando nel
silenzio del caos della stazione. Niall è già a
pochi passi dal muretto che
divide il binario nove dal dieci, quando Zayn tira fuori una sigaretta.
Quando
Louis arriva, sorridente come un bambino giocoso, Zayn non gli
dà il tempo di
parlare. Gli chiede l’accendino e accende la cicca. Tutto
qua. Poi torna al suo
muretto, a disegnare.
“Questo è un addio” dice Niall. Louis si
volta e boccheggia,
dispiaciuto. Non vuole perdere Zayn, ma l’ha fatto. Niall fa
un sorriso tirato,
si stringe nelle spalle, mentre Harry osserva Zayn corrugando la
fronte.
Niall ha conosciuto Harry al campo estivo,
quando avevano rispettivamente sedici e quattordici anni. Se lo ricorda
bene,
quel ragazzino tutto brufoli e boccoli che gironzolava per il campeggio
con una
coroncina di fiori in testa. Hanno parlato poche volte, ma sono bastate
per
fargli capire che Harry è un angelo dimenticato sulla terra
per qualche
bizzarro motivo. Forse per Louis. Di certo, non per Zayn.
“Niall”
lo chiama “perché il tuo amico è
triste?” La sua ingenuità è impossibile
da
odiare, per quanto Niall si stia impegnando, in quel momento, non ce la
fa. Fa
un sospiro e guarda Louis fisso negli occhi, in quegli occhi perfetti,
quel
corpo perfetto che nasconde un’infelicità cronica.
Louis avrà pur trovato
Harry, ma ha perso Zayn. Una cosa stupenda per una cosa bella. Ma
chissà qual è
l’ordine.
“Perché è innamorato.” Gli
occhi di ghiaccio di Louis si scuriscono e
quelli di Niall scintillano, di rabbia.
“E non dovrebbe essere
felice allora?” A volte Harry non si rende conto di rigirare
il coltello nella
piaga.
Per lui tutto è
semplice, è come avere a che fare con un bambino curioso che
chiede alla mamma
perché il cielo è blu, fino a ottenere una
risposta sensata. O almeno, che gli
vada bene.
“Non sempre l’amore fa bene, Harry. A volte la
persona che scegliamo non
è la persona giusta. A volte ci fa male. E
Zayn…” sospira piano, ripensa al
sorriso di quello che considera il suo migliore amico con Chase e ha
un’improvvisa voglia di piangere “Zayn ha scelto
troppe volte la persona sbagliata.
Ecco, perché è triste.”
Ed è
come se stesse dando la colpa di tutto a Louis.
Dell’infelicità e della
misantropia autoimposta di Zayn, della morte di Chase, della sua
continua ansia
per l’amico. Forse un po’ è
così, perché Louis poteva rendere tutto migliore,
ma non l’ha fatto. non l’ha fatto.
“Harry, andiamo.” Harry
potrà anche essere ingenuo e infantile, ma non è
stupido. Capisce che è Louis la persona sbagliata, e storce
la bocca,
dispiaciuto. Louis lo accarezza, mentre vanno via: Niall li vede
parlare, Louis
che trema e Harry che lo coccola, dall’alto dei suoi sedici
anni troppo maturi,
con un sorriso innamorato sulle labbra. Sa che Zayn li sta osservando,
quando
si baciano. Sente un gemito strozzato.
Pochi
minuti dopo è accanto a lui, ma Zayn non piange. Ha gli
occhi lucidi e Niall è
quasi sicuro di aver sentito il suo cuore spezzarsi, ma non piange.
Forse ha
davvero finito le lacrime. Forse semplicemente, non ce la fa nemmeno, a
disperarsi.
“Sono carini, insieme. Non
trovi?” Chase
diceva sempre che la voce di Zayn è meravigliosa: calda,
suadente e leggera.
Non l’aveva mai sentita rotta e incrinata da un pianto
represso forzatamente.
“Zay…” sussurra
Niall, voltandosi verso di
lui. Quello che vede è un volto distrutto, piegato,
dall’amore che non vuole
mai favorirlo. Probabilmente lo vede, Chase, e vede Louis. Li vede
andare via.
Vede le poche possibilità che aveva di essere felice
allontanarsi da lui.
“Scusami, Niall” mormora, al vento, le
lacrime che finalmente solcano il
suo volto “è che non riesco ad essere felice, da
solo, dopo aver assaporato
l’amore.”
Liam ha solo un
piccolo zaino.
Soldi, cibo, qualche cambio di vestiti. Ha intenzione di diventare
pompiere,
come sognava da piccolo. Di comprarsi un piccolo appartamento al
quindicesimo
piano di un palazzo, così da poter ammirare la
città illuminata nelle sere di
solitudine. Vuole ricominciare, vuole andarsene in un luogo dove
nessuno lo
paragonerà a suo fratello o lo ricorderà come il
paffuto e malato gemello di
Louis Tomlinson. Sarà solo Liam Payne, con la sua sfiga e il
suo aspetto da
orso buono.
“Come mai qui?” Se la ricorda, quella
voce: è l’amico di Louis, quello
innamorato di lui. Il pittore della metropolitana, lo chiamano, anche
se quella
è una stazione e Zayn protende di più per i
graffiti.
“Devo prendere un treno”
risponde
solamente, stringendosi nelle spalle. Non lo guarda, Zayn è
bello e i suoi
occhi lo destabilizzano. Lui però, è innamorato
di suo fratello, come
tutti.
“E hai
intenzione di tornare?” Ora Zayn è accanto a lui,
lo percepisce. Si volta e
rimane sconvolto: Zayn ha i capelli stravolti, gli occhi cerchiati di
nero e le
guance scavate. Ha una sigaretta tra le labbra e la stringe
nervosamente, come
a volerla spezzare. Ci riuscirà, se non la smette di
morderla in quel
modo.
“Bingo, Malik. Complimenti per la perspicacia.”
Zayn ridacchia. Sul serio,
non come suo fratello, ed è un bel suono.
“Vengo con te” esclama quello, tornando al suo
muretto. Liam si volta e
corruccia la fronte.
“Non
è una domanda” osserva, quasi divertito. Quel
ragazzo lo ammalia, lo diverte: è
strano. E bello.
“No,
infatti.” Raccoglie le sue cose in un piccolo fagotto, manco
un viaggiatore da
cartone animato “Ho voglia di andarmene. Tu hai i soldi e il
cibo. Mi stai
sulle palle, ma meglio di niente.”
“Oh beh, buono a sapersi”
ironizza Liam,
incredulo sulla sua sfacciataggine. Zayn sospira, si passa una mano sul
viso.
Raccoglie il fagotto e se lo porta in spalla, avvicinandosi e
guardandolo dal
basso. Liam sarà alto nemmeno dieci centimetri in
più di lui, eppure il fatto
che sia il doppio in robustezza lo fa sembrare ancora più piccolo. E indifeso. È
talmente bello. Liam scopre che riesce a
pensare solo questo, quando lo guarda.
“Senti” ha la voce rotta e Liam maledice
suo fratello mentalmente, perché sa che è colpa
sua “tuo fratello mi ha appena
spezzato il cuore. Non è la prima volta e non
sarà l’ultima.” Ormai sta quasi
piangendo e a Liam piange il cuore. “Voglio andarmene da qui,
voglio ricominciare.
Lo vuoi anche tu, quindi perché no?”
Liam
non sa perché lo abbraccia, non sa perché lo
accarezza mentre piange.
Quando il treno parte, però, sa solo che quel ragazzo
potrebbe essere la
cosa bella che cerca.
***
“Quindi
è così” conclude zio
Niall, i capelli biondi ingrigiti e un sorriso stanco sulle labbra
“che i tuoi
papà si sono conosciuti.” Il piccolo Josh batte le
mani sorridente e gli chiede
di continuare.
“Ma la storia è finita, piccolo mio” gli
fa notare con un sorriso.
“E
poi zio Louis e papà Liam hanno fatto la pace?”
chiede il bimbo, arrampicandosi
sulle sue ginocchia.
“Diciamo che non era la mia priorità,
Joshua” continua allora, per far
contento il bambino “ero arrabbiato perché
papà Zayn mi aveva abbandonato, ma
lo capivo. Era distrutto, così gli lasciai il tempo
necessario per riprendersi.
Due mesi dopo, a Natale, tornarono al paese. Erano felici, mano nella
mano, ed
erano dolcissimi. Zayn voleva rivedere Louis e convinse Liam a far pace
con
lui. Erano due coppiette davvero adorabili” ridacchia piano
“e al loro doppio
matrimonio suonai Wake me up when september ends. Una cosa davvero
romantica,
da far venire i conati di vomito.”
“Se non volevi
cantare bastava dirlo.” E Niall lo sa, che Zayn e Liam sono
sulla porta, abbracciati,
a fissarli con occhi luminosi. Sa che Zayn sta arrossendo, che si sta
mordendo
il labbro e ha lo sguardo basso, perché Liam lo stringe
orgogliosamente a sé,
accarezzandolo piano.
“Naah”
dice Niall, guardandoli, innamorato di quell’amore
“qualcuno doveva celebrare
la fine di settembre.”
So
che dovrei aggiornare Seven, ma avevo questa tra le bozze da oltre
due mesi, e Irene l’aspettava. Spero di non avervi annoiato,
anche perché mi
piace un sacco come sono venuti i personaggi: per una volta sento di
averli
rappresentanti per come li vedo veramente. Perciò, ecco,
spero vi sia piaciuta.
L’ho riletta due volte, spero di non essermi lasciata
scappare nessun errore. Grazie,
se contribuite alla causa Fai felice uno
scrittore con una recensione: bastano cinque minuti ed è
gratis! Sì, è
terribilmente squallida, ma morivo dalla voglia di usarla. Alla
prossima, un
bacione.