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Autore: erflascor    07/03/2015    0 recensioni
Leon ha 15 anni, una fidanzata di cui è profondamente innamorato, degli amici che conosce fin da piccolo e una famiglia che lo ama, nonostante Bill, il compagno della madre, non sia il suo vero padre. Un giorno, però, la vita del ragazzo subisce una brusca svolta, e un susseguirsi di eventi negativi lo renderanno sempre più insofferente e apatico, finché non scoprirà veramente chi è...
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Su un letto ad una piazza e mezzo, due giovani ragazzi avevano appena consumato il loro atto d'amore. Giacevano stanchi sul materasso, ricoperti da un sottile lenzuolo bianco, e i loro corpi erano abbracciati in un silenzio quasi inquietante. Con gli occhi chiusi si baciavano, si annusavano, si amavano. L'atmosfera mistica e immobile era disturbata solamente da Luna, l'unica figura presente all'interno della casa oltre i due giovani, una piccola gatta nera, non più grande di una palla da rugby, trovata solo qualche giorno prima sul ciglio di una strada ma che era già diventata a tutti gli effetti un membro della famiglia. La passeggiata del piccolo felino lasciava dietro di sé una scia di matite, libri e fogli accartocciati che precipitavano dalla scrivania del quindicenne disordinato. I richiami poco convinti del ragazzo (forse non aveva voglia di staccarsi dalla fidanzata e di alzarsi dal letto per portare Luna in un'altra stanza?) non scalfivano minimamente la gattina, che anzi prosegue la sua scalata verso la vetta lanciandosi su un ripiano della libreria pieno di cornici e ricordi dei diversi viaggi del ragazzo (un ventaglio rosso raffigurante un toro acquistato a Siviglia, un sacchetto che emana per la camera il profumo della lavanda portato da Marsiglia, un boccale da birra da un litro preso alla Guinnes Factory di Dublino...) facendo cadere di tanto in tanto uno di questi souvenires dal ripiano.

La madre del ragazzo era partita insieme a Bill, suo marito. Si stavano godendo nella loro casa al mare gli ultimi giorni caldi di un'estate ormai agli sgoccioli, la più afosa e torrida che il ragazzo abbia mai visto, ma che nonostante ciò sarà presto costretta a timbrare il cartellino e far posto al freddo, all'inverno, alla noia, e soprattutto ad un altro lunghissimo anno. L'ha sempre vista così lui: il nuovo anno non inizia a gennaio, ma il “suo” capodanno (che però non festeggia) è a settembre, con la fine delle vacanze estive e la ripresa della vera vita.
Leon, così si chiama il ragazzo. Come è intuibile, significa “leone”. Il nome lo scelse sua madre: è di origini greche. Sembra quasi che la donna, come se fosse stata una sibilla e forte dei suoi studi delle lingue antiche, avesse visto il futuro del ragazzo in una sfera di cristallo, e avesse capito fin dalla nascita di suo figlio che avrebbe avuto bisogno di molta forza per riuscire ad andare avanti nella vita che lo attendeva.
Un silenzio stupendo e magico regnava nella stanza ormai da diversi minuti. I corpi nudi dei due giovani erano uniti sotto il lenzuolo bianco: ogni centimetro quadrato di pelle era attaccato all'altro, con le gambe tra loro intrecciate, il braccio di Leon cingeva deciso ma con delicatezza la esile vita della ragazza con le dita affondate nella carne, la sua mano ruvida accarezzava la guancia rosea della fidanzata, e le labbra non si staccavano un istante l'una dall'altra. Sono così in simbiosi da poter essere visti come un solo corpo, come un sinolo di amore e passione. Non c'è spazio per le parole in un momento come questo. Sono di troppo.

Dall'altra parte della finestra, un acquazzone estivo stava portando via con sé tutto il caldo e l'afa accumulato nei giorni precedenti, dando all'aria una carica elettrizzante e rendendo il cielo grigio e triste come i vecchi palazzi della città. Le gocce continuavano una dopo l'altra a bagnare il davanzale della camera del ragazzo, mentre dalla finestra aperta a vasistas la pioggia scivolava sul parquet chiaro e inzuppava il tappeto bianco. Nella stanza entrava un tenue odore di bagnato, di pioggia e di muschio. L'aria fresca che penetra dalla finestra e i continui brontolii che quel cielo color piombo continua a far cadere sulla terra spinsero la ragazza ad abbracciarsi ancora di più a Leon. Appoggiò la testa di lunghi capelli rossi sul petto del ragazzo e sfregò la guancia con dolcezza sul suo corpo. Una parte di quella chioma rossa finì nel viso di Leon. Non li scacciò. Lui amava quei capelli color cremisi, rossi come una fragola matura. Li ama fin da piccolo. Fin da piccolo ama Rebecca.
Il respiro di Rebecca era turbato, pesante. Leon capì il suo malessere e l'abbracciò ancora più forte. Nessuno è in grado di comprenderla come fa lui: una smorfia, uno sguardo un po' spento, o qualsiasi gesto impercettibile, come anche quando si tocca i capelli o si morde delicatamente il labbro inferiore. Tutte piccole azioni che gli rivelano i sentimenti di Rebecca come se fosse un libro aperto. Capisce ogni sua sensazione, ogni suo pensiero, e dà tutto ciò che ha per renderla felice. Per questo lei l'ha scelto. La generosità di Leon non conosce limiti: sarebbe capace di buttarsi da un palazzo per le persone che ama.
Come un piccolo fiumiciattolo in una foresta, una lacrima si fece strada sulla pelle liscia e perlata di Rebecca, fino a infrangersi sulla mano di Leon, che prontamente afferrò con dolcezza la sua testa, la guarda dritta nei suoi occhi azzurri, quasi disegnati con un pastello, asciugò le lacrime con il pollice ruvido e le sussurra all'orecchio un “ti amo” di quelli sinceri, che quando viene detto fa venire i brividi lungo la schiena. Le labbra umide si raggiunsero di nuovo, e le loro lingue tornarono a giocare tra di loro. Si baciavano con tutto l'amore di cui erano capaci, fino a quando lei non smise di piangere.

Poi Rebecca si staccò dal ragazzo e gli diede un altro bacio. Il suo corpo fuggì dal candido lenzuolo bianco ed uscì nuda dal letto. Lo scroscio dell'acqua bollente proveniente dalla doccia rompeva la silenziosa atmosfera che si era creata, mentre uno strato di vapore acqueo iniziò a depositarsi sullo specchio e le pareti. È sempre stata una sua abitudine quella di farsi una doccia dopo aver fatto l'amore, un po' come se un essere tanto tenero, aggraziato e virtuoso sentisse il bisogno di purificarsi e di lavare via dall'anima il peccato del sesso.
Rebecca amava stare sotto la doccia. È l'unico momento della giornata in cui aveva la possibilità estraniarsi da tutto e pensare liberamente. Poteva focalizzarsi su ciò che aveva veramente in testa. L'acqua bollente scivolava sul suo corpo longilineo e sottile, e si mischiava insieme ai suoi pensieri e alle suo lacrime.
Nel frattempo, Leon se ne stava seduto sul bordo del letto, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le dita intrecciate a sorreggere la testa, anch'essa pesante e densa, forse troppo, di pensieri e preoccupazioni.
Sapeva bene cosa c'è che non va in Rebecca: Simon, suo fratello. Gli avevano diagnosticato la SLA circa dieci mesi fa. Cos'è la SLA? Beh, la prima cosa da dire è che si tratta dell'acronimo di una malattia dal suono ben più temibile, sclerosi laterale amiotrofica. La seconda domanda che qualcuno si potrebbe porre è che cosa fa concretamente questa SLA. La SLA è una malattia che va a colpire i motoneuroni, cioè quei neuroni che permettono al cervello di muovere i muscoli volontari. È degenerativa, logora il malato piano piano: all'inizio magari si iniziano ad avere delle difficoltà a correre, a ballare, a giocare una partita di pallone, ma più si va avanti e più si inizia ad essere ingabbiati nel proprio corpo, finché non si riescono a muovere solamente gli occhi. Ovviamente la maggior parte della gente non ci arriva a questo punto. Non è ancora stata trovata una cura. Esistono solo diverse terapie e trattamenti per rallentare gli effetti degeneranti della malattia.
Ma cosa poteva farci lui? Come poteva salvare Simon? In che modo avrebbe potuto ostacolare l'avanzare, lento ma inesorabile, della malattia? Ormai Simon aveva smesso di giocare a football dall'inizio dell'estate, sta cominciando ad avere i primi disturbi nel parlare, non riesce più a guidare la macchina come si deve. Ma Leon non riusciva a darsi pace per la sua impotenza. Non poteva accettare il fatto di non poter aiutare in nessun modo, di vedere Rebecca triste, depressa, sempre più magra e sempre più spesso in preda a degli attacchi di panico.
Leon si riprese da questo stato di trance mentale, forse anche grazie al ritorno di Luna nella stanza che con un balzo si era adagiata comodamente sul letto.
“Avanti, scendi.” gli ordinò Leon indispettito. Ma Luna, incurante del comando impartito dal ragazzo, non sembrava intenzionata a spostarsi. “Ma tu guarda questo microbo quanto rompe!” borbottò spostando di peso il piccolo felino che, offeso, uscì dalla stanza.
Leon, accorgendosi del marasma all'interno della camera, cominciò a raccattare i vestiti da terra e a metterli a posto, disponendo quelli di Rebecca ordinatamente piegati sul letto, e approfitta del momento per riportare un po' di ordine all'interno della camera, in cui regnava la confusione da almeno una settimana: toglie dalla sedia ben sei magliette e tre paia di pantaloni, selezionando quali di questi capi sarebbero dovuti finire dritti in lavatrice e quali invece potevano essere utilizzati ancora. Dei cinque libri sopra la sua scrivania, ne ripose tre che non aveva più intenzione di leggere su uno scaffale della libreria, mentre lasciò gli altri due in pila in un angolo della scrivania (quando diavolo si deciderà a smettere di iniziare a leggere un nuovo libro senza averne prima terminato un altro?!). I fogli accartocciati pieni di scarabocchi e simboli strani vennero tutti scaraventati nel cestino, così come le cartacce delle caramelle e un paio di bicchierini di plastica che ancora profumavano di caffè.
Quando la camera sembrava aver finalmente ritrovato un ordine che non vedeva da tempo, lo scrosciare dell'acqua bollente non sembrava ancora accennare a smettere.
“Becca, va tutto bene?”. Nessuna risposta.
Come al solito, Leon capì che il silenzio di Rebecca non dipendeva dal fatto che lei non lo avesse sentito. Aprì la porta del bagno ed entrò anche lui nella doccia, unendosi insieme a lei sotto la cascata d'acqua calda.

 

Dopo un'altra infinità di baci, molti più di quelli tra Catullo e Lesbia, e qualche “ti amo” sussurrato all'orecchio che si mischiava al rumore delle gocce, i due finalmente si decisero ad uscire dalla doccia. Facendosi strada nel vapore sollevatosi all'interno del bagno, Rebecca pescò dalla sua borsa un paio di mutande nere pulite e rubò dall'armadio del fidanzato una maglietta bianca con lo stemma della scuola di Karate in cui Leon si allena, troppo grande di almeno un paio di taglie per i suoi quarantasei chili. Poi, con spazzola e asciugacapelli alla mano, cominciò la complicata opera di asciugare la sua chioma rossa, che, con i capelli bagnati, arrivava fino al fondo schiena.
A qualche metro di distanza, in cucina, Leon prese una mela rossa e succosa e affonda i suoi canini affilati nel frutto. Luna entrò miagolando e si strofinò sulle gambe del suo padrone, come a dirgli: “Guarda che ho fame anch'io!”. Allora, tirando fuori dal frigorifero una bottiglia di latte, riempie un po' una ciotola in alluminio e il piccolo gatto subito smette di adularlo falsamente e inizia a bere a piccoli sorsi.
“Ruffiano!” bofonchiò Leon, buttando il torsolo della mela nella spazzatura.
Dopo aver terminato con l'asciugacapelli, Rebecca si fece strada nella cucina scalza e con la sola maglietta di Leon addosso, con i lunghi capelli rossi ancora umidi che le scivolavano delicati lungo la schiena. Senza un velo di trucco, con una manciata di lentiggini che le ricoprivano gli zigomi, gli occhi grandi e verdi come un'oliva e il naso piccolo e all'insù sembrava proprio la figlia di un angelo.
“Baby sei bellissima!” le sussurrò Leon portando la testa della ragazza al suo petto in un abbraccio e poi stampandole un bacio sulla fronte.
I complimenti non sono mai indifferenti a Rebecca: un “sei bellissima” detto dal suo fidanzato fa sparire tutte le sue lentiggini dietro un rossore che si espande sulle guance.
“Ti va se quando abbiamo messo a posto andiamo un po' sul tetto? Devo dirti una cosa...” gli chiese lei.
“Tranquilla, ci penso più tardi a riordinare casa: la mamma e Bill dovrebbero tornare verso le nove, c'è tutto il tempo”.
“Va bene, allora vado in camera tua a prendermi una felpa e a mettermi un paio di pantaloncini. Prendo una felpa anche per te?”
Leon scosse la testa come a dire che non ce n'era bisogno. Pochi attimi dopo Rebecca tornò con un'enorme felpa grigia chiara senza cappuccio, la sua preferita tra quelle del suo ragazzo, sotto alla quale si nascondono un paio di pantaloncini di jeans di lunghezza minimale.
L'accesso al tetto della palazzina di Leon è stato ufficialmente vietato ai non addetti ai lavori un anno e mezzo prima in seguito ad una votazione da parte dei condomini, e così la porta è stata chiusa con un lucchetto la cui chiave è gelosamente custodire dal portiere della palazzina; ma dal piccolo balcone del suo appartamento basta salire su un tavolino e arrampicarsi sul muro per accedervi facilmente. Per terra tutto era fradicio e sporco, come era facilmente prevedibile, a causa dell'acquazzone che è stato protagonista della prima metà del pomeriggio, e i due decisero quindi di andare a sistemarsi sotto il portico.
“Guarda che bello!” affermò Leon tutto preso indicando con l'indice un arcobaleno perfetto e ben definito alto nel cielo, “Guarda, sembra proprio che finisca lì in mezzo al mare. Chissà se davvero c'è una pentola d'oro lì sotto... dopo tutto questa pioggia non è stata proprio inutile”.
“Se vuoi l'arcobaleno devi sopportare la pioggia. Per tutte le cose belle devi essere pronto a sopportare qualcosa” gli rispose Rebecca, uscendosene con un'altra delle sue citazioni giuste al momento giusto, letta in chissà quale libro.
“E questa ora? Da dove l'hai tirata fuori?”
“Da un libro che ho letto qualche giorno fa... davvero molto bello!”
“Lo sapevo! Devi smetterla di essere così intelligente” le disse Leon, fingendosi invidioso, “Mi fai sentire un idiota con tutti quei libri che mi porta mia madre e che puntualmente finiscono in mezzo agli altri quando sono ancora a metà perché mi sono stufato di leggerli.”
“Se soltanto la smettessi di iniziare un libro senza terminarne un altro. Inizi dieci libri insieme ed è tanto se riesci a finirne due... Con Siddharta, per esempio, a che punto sei?”
“In alto mare, anzi, altissimo direi! Mi sembra a pagina 17 più o meno” dice Leon cercando di giustificarsi con un sorriso a trentadue denti “Ma non è colpa mia, è il libro che è pesante.”
“No, è colpa tua perché sei uno scemo!” sbottò a ridere Rebecca “lo vedi che ho ragione io?! Che non finisci mai nulla”.
“Ti ho detto che devi smettere di fare quella mentalmente superiore” le ordina lui, intonando una voce simile a quella di un cattivo dei cartoni animati e mordendo il labbro inferiore della ragazza. Entrambi scoppiano a ridere.
“Allora, dovevi dirmi qualcosa?” riprese il discorso Leon.
“Già, è arrivato il momento anche di questo...” un'altra lacrima si fece strada sulla guancia sinistra di Rebecca, e venne bloccata prontamente dall'indice del ragazzo.
“Piccola che ti prende? Cos'è successo di così grave?” cercò di intervenire Leon, spiazzato nel vedere questo sbalzo d'umore della ragazza. Poi pensò alla cosa più ovvia: “è successo qualcosa a Simon?”
“No, lui sta bene” ribatté subito Rebecca in un fiume di lacrime “il problema riguarda noi due.”
“Cosa dici? Io e te non abbiamo nessun problema, siamo perfetti così! Dimmi, ho sbagliato qualcosa?”
“No, Leon, hai ragione: siamo perfetti. Ma io questa sera parto, me ne vado”
“E quindi? Vai in vacanza, e allora? Quando torni recupereremo tutto il tempo perduto piccola, non c'è bisogno di piangere. Mi stupisce che tu la prenda così male...”
“Ma io non tornerò più. Me ne andrò per sempre!” strilla Rebecca con la voce rotta dal pianto “questa è l'ultima volta che ci vedremo.”
Il viso di Leon aveva assunto l'espressione di un grosso punto interrogativo; Le parole di Rebecca si erano si erano infrante su di lui come una grossa pietra che viene scaraventata su uno specchio. Semplicemente, Leon non sapeva cosa dire. Non aveva mai neanche lontanamente pensato ad un'eventualità del genere. Ma per quale razza di motivo se ne sarebbe dovuta andar via? Glielo aveva promesso che non se ne sarebbe mai andata. Ora sentiva il cuore battere all'impazzata, quasi come se si stesse dimenando per uscire dal torace; era diventato pallido come un fantasma, aveva iniziato a sudare freddo. Ci mise almeno un minuto prima di riuscire a parlare, e, anche dopo essersi ripreso, tutto quello che riuscì ad uscire dalla sua bocca venne strozzato dal nodo che aveva in gola. A quel punto fu Rebecca a riprendere a parlare:
“Ci trasferiamo a New York: lì stanno studiando una nuova cura che potrebbe far guarire Simon entro due o tre anni. Ma dovrebbe fare molti controlli periodici, quindi non sarebbe sostenibile andare lì ogni volta, anche perché ci vorrà tempo per vedere i primi miglioramenti e nel frattempo le sue condizioni potrebbero peggiorare ancora di più. Potrebbero precipitare a tal punto da non riuscire a reggere tutti questi spostamenti. Papà ha già firmato un contratto con il Times, gli danno un ottimo salario, un ufficio tutto suo... è un passo importante per la sua carriera. Mia madre invece è già stata contattata da un paio di case editrici, e poi lei dice che New York offre ottimi spunti per la scrittura, e che potrebbe dare una svolta ai suoi prossimi libri. Mi hanno già iscritto in un liceo a Manhattan, inizio la scuola tra una settimana. Ho già la valigia pronta e tra poco i miei mi verranno a prendere per andare in aereoporto.”
“E tu” la interruppe Leon che a quel punto si era in parte ripreso dallo shock, “tu non puoi rimanere qui? Non puoi stare dai tuoi zii e andarli a trovare lì a New York? Ti prego Becca... resta qui!”
“Credi che non mi dispiaccia di lasciare tutto quanto? Per cosa pensavi che piangessi in tutti questi giorni? Vorrei tanto rimanere qui con te, con la persona che amo. Vorrei continuare a vederti tutti i giorni, così come vorrei continuare a vedere Pleun, Sophie, Ethan, Julian... tutti quanti! Guarda che è la mia la vita che verrà stravolta tra pochi giorni. È ovvio che mi mancherete tutti e sappi che ho lottato per rimanere qui. Ma non si può fare nulla, Leon. È questa la realtà dei fatti: devi soltanto accettarla, così come ho fatto io.”
“Ma cosa cazzo dici, Becca?!” urlò arrabbiato Leon. “Accettare che la ragazza che amo mi venga strappata così? Sapere che tra qualche ora chiunque potrà girarti intorno e io, il tuo ragazzo, non potrò far nulla per impedirlo perché sono a chissà quanti cazzo di chilometri da te? Spiegami come posso accettarlo. Dimmelo!”
“Non puoi decidere di accettarlo Leon, dovrai semplicemente farlo, prima o poi. Neanche per me è facile...”

“E quanto pensi di restare lì?”
“Per la cura di Simon dovrebbero volerci due o tre anni, ma non è escluso che rimarremo lì molto di più. Per ora non abbiamo venduto la nostra casa, ma sinceramente non sono sicura di ritornare.”
“Va bene, in questi tre anni cercherò di venire a New York il più possibile; poi, quando finirò il liceo, mi iscriverò all'università di New York se tu non tornerai qui, così potremo vivere nella stessa città.”
“Leon, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Lo capisci anche tu che è una pazzia?”
“E allora cosa vuoi fare? Dimmelo tu perché a me non viene in mente nessun'altra idea. Visto che sei tanto intelligente, trovala tu la soluzione a questo casino.” disse Leon strillando, con la voce rotta dal pianto.
Rebecca, che fino a quel momento non aveva mai visto il suo ragazzo piangere in preda alla disperazione, cominciò anche lei a singhiozzare e a respirare a fatica.
“Leon, non c'è una soluzione... Basta, è finita così. Il mondo ha vinto, ci ha battuti. Non c'è altro da fare...”
“No, Becca, non finisce così. Non lo permetto.”
“Ti prego, non rendere la cosa ancora più difficile.”
“Potevi dirmelo, cazzo! Quanto tempo è che sapevi di dovertene andare?! Perché non me ne hai mai parlato e non ti sei tenuta tutto dentro. Potevamo trovare una soluzione, insieme.”
“Volevo farti vivere i nostri ultimi giorni insieme senza farti avere preoccupazioni in testa. Era inutile essere in due a soffrire. Volevo farti vivere spensierato e ti ho nascosto tutto; l'ho fatto per te. Credi che sia stato facile riuscire a tenermi tutto dentro così? Fidati che non lo è stato.”
A quel punto, Leon, con due occhi rossi che sembrava stessero per uscire dalle orbite, tirò un grosso sospiro.
“Ti prego, Becca, resta qui con me. Non lasciarmi solo... ci siamo fatti una promessa, ricordi?”
“Le promesse fatte con leggerezza a tredici anni non possono durare per tutta la vita, non trovi anche tu? Mi dispiace Leon, le cose stanno così. Non è giusto ma non si può neanche fare nulla per cambiarle. Ora devo andare” le disse Rebecca alzandosi in piedi.

“Aspetta, ti accompagno alla porta.” fece Leon alzandosi anche lui da terra.
“Tranquillo, non c'è bisogno, la so la strada.” le disse lei togliendosi la felpa preferita del ragazzo e porgendogliela. “La maglietta la lascio sul tuo letto. Ti ho lasciato anche un libro sul letto. Parla di una ragazza che perde la madre da un giorno all'altro, e di come affronta il trauma. Tra l'altro la protagonista si chiama anche come me.”
“No, tienila. E anche la felpa. Mi piace l'idea che tu abbia qualcosa lì a New York che ti faccia ritornare in mente il mio viso.”
“Non servirà certo una felpa per farmi ricordare di te. Non ti dimenticherò mai, Leon. Grazie mille per tutto.”.
“È un addio quindi?” le chiese Leon per un ultima volta, sperando quasi che si tratti di un brutto sogno e di essere sul punto di svegliarsi.
“Direi proprio di sì...” rispose la ragazza.
“Sarebbe soltanto stupido darsi un bacio d'addio ora, vero?”
“Molto stupido” convenne la ragazza “e ci farebbe soltanto soffrire di più.”
Un istante dopo, le labbra di Leon si erano poggiate su quelle della ragazza. Questo era l'ultimo bacio, quello che avrebbe dovuto essere il più intenso, che avrebbe dovuto essere ricordato anche a distanza di molti anni. Eppure entrambi provavano un senso di amaro in bocca in questo bacio. C'era l'amore, forse anche più di ogni altra volta, ma insieme c'erano anche la tristezza, la rabbia, la rassegnazione, la malinconia e la paura. Avevano entrambi paura. Erano terrorizzati da come sarebbe stata stravolta la loro vita una volta che quella relazione, che durava ormai da quasi due anni e che entrambi desideravano da molto più tempo. I cambiamenti non sono mai facili da accettare, specialmente quando implicano la mancanza di una persona. Specialmente quando quella persona è così importante.
Il bacio durò almeno due minuti. Ogni tanto uno dei due accennava a separarsi, ma dopo neanche una frazione di secondo tornava subito dall'altro. Alla fine fu Rebecca ad allontanarsi, con un espressione sul viso che era la rappresentazione di ogni sentimento malinconico. In quel momento pensò al loro primo bacio: quella volta, quando i due staccarono le loro labbra, entrambi sorrisero perché era arrivato un momento che cercavano da anni. E ora il fato ha voluto dividerli. Qualcosa non andava bene in questo mondo, e i due lo sapevano bene.
“Amore mio, me ne devo andare” gli sussurrò lei all'orecchio “grazie ancora per tutto, sei fantastico.”
Leon non rispose e vide la ragazza allontanarsi e calarsi nel balcone di casa sua. Si era seduto con la schiena poggiata sul muro, le ginocchia al petto e le mani tra i capelli. Probabilmente non aveva ancora realizzato bene ciò che era successo. Non aveva compreso fino in fondo cosa sarebbe successo. Strillò quanto più poté per qualche minuto, poi iniziò a singhiozzare sdraiato per terra come un neonato.

 

Erano le dieci di sera quando i genitori di Leon, disperati perché non riuscivano a contattarlo in nessun modo per sapere dove fosse, lo trovarono sul tetto del palazzo. Era disteso al suolo e dormiva. Aveva perso così tante energie nei lamenti che alla fine era caduto in un sonno profondo. La sua pelle bruciava ancora di rabbia, il viso era segnato dalle lacrime e le sue nocche piene di tagli per i pugni dati al pavimento.
Nel frattempo, a qualche isolato di distanza, Rebecca aveva finito di caricare tutti i bagagli in un grande taxi giallo. Si mise seduta nei sedili posteriori, insieme a sua madre, che tanto le somigliava, e Simon, che un po' a fatica riuscì a salire nell'auto. Nel silenzio profondo che regnava in quel taxi, Rebecca si sentiva come se stesse precipitando in un burrone. Le sembrava quasi di avare il vuoto sotto i piedi. Decise di combattere quel vuoto scegliendo la giusta playlist dal suo iPod. Si mise le cuffiette nelle orecchie e appoggiò la testa sul finestrino, formando con il naso delle appannature sul finestrino ad ogni respiro. La attendeva un viaggio di tre quarti d'ora verso l'aeroporto, in compagnia solamente della sua musica e dei pini che le scorrevano davanti uno dopo l'altro quasi come se non fossero dovuti mai terminare.   

FINE CAPITOLO 1

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Buonasera ragazzi, ecco a voi il mio primo capitolo della mia prima storia, spero vi piaccia ^^ I primi capitoli saranno un po', come dire, fuori tema rispetto alla piega che la storia prenderà in seguito. Per ora il nostro Leon si ritrova abbandonato dalla sua ragazza, ma vi assicuro che non sarà l'ultima volta che vedremo questa bella rossa in azione. Se vi è piaciuto questo primo capitolo fatemelo sapere con una bella recensione! A prestooooo.
   
 
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